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lunedì 28 gennaio 2008

Motivazione

Antonio V. Firenze
“......Spero che mi dia risposta anche se, pur essendo giovane giovane non posso definirmi un giovane lavoratore con problemi di inserimento. Sono un imprenditore con una piccola fabbrica che ho ereditato improvvisamente, un anno fa, da mia padre. E' ancora piccola, con 30 lavoratori, ma con possibilità di sviluppo che riesco ad intravvedere e che mi fanno sperare bene. Il mio problema non è legato al settore ma alla gestione del personale. Mi spiego meglio. Poco dopo la mia entrata in azienda se ne sono andati molti lavoratori anziani che avevano iniziato assieme a mio padre. C'è stato un cambio piuttosto ampio che ha rivoluzionato un poco l'ambiente. Ho ancora, per fortuna, alcuni operai anziani ma la maggior parte è giovane. Credo d'essere stato fortunato perchè ho trovato ragazzi seri. Mi sono accorto e mi accorgo ogni giorno di più, però, che, malgrado io cerchi di far le cose corrette, sotto l'aspetto motivazionale, manca qualcosa o meglio, forse non capisco bene come fare per motivarli. Vedo spesso facce buie, piccoli litigi interni, forse un po' di invidia tra alcuni.....insomma, devo capire che fare....”

Mi chiedi di darTi del Tu, Antonio e Ti accontento.
La Tua è una storia classica ed è per questo che rispondo. Non dovrei forse farlo perchè, come Tu stesso dici, non potresTi metterTi nella categoria dei lavoratori giovani con problemi ed anche perchè, per risolvere il Tuo problema dovremmo entrare davvero nell'ambito della consulenza all'azienda.
Tuttavia, lo faccio per due motivi. Primo, per la delicatezza e l'educazione con cui mi scrivi; secondo perchè riconosco che il Tuo problema, oltre ad aiutare Te possa aiutare anche quei giovani lavoratori che, in qualunque posizione stiano operando, sentano d'avere un problema motivazionale legato al proprio lavoro. Il malessere nello svolgimento di un'attività è quanto di peggio possa esserci per chi la svolge. Spesso questo malessere nasce da una non conoscenza delle proprie esigenze. Allora, per rimanere nei termini di una risposta sul blog, voglio solo farTi riflettere sulla scala dei valori e dei bisogni che l'uomo ha.
Da come mi presenti il problema, potrai trovare in questa risposta il senso del malessere dei Tuoi collaboratori. Sono certo che saprai cogliere l'essenza e metterla in atto.
C'è una notissima scala dei bisogni identificata e chiarita da Maslow, lo psicologo che per primo ha espresso una teoria rivelatasi poi giusta a tal punto da essere presa come base per tutte le riflessioni inerenti la motivazione personale e la progressione dei bisogni dell'uomo.
E' proprio una scala, con cinque scalini. Sul più basso, il primo, ci sono i bisogni fisiologici, ovvero la necessità prima di tutto di soddisfare i bisogni primari: riuscire a sopravvivere, mangiare e coprire le spese minime basilari. Al secondo, la sicurezza. Dopo aver ottenuto ciò che c'è al primo gradino, l'uomo punta ad avere qualcosa in più e questo qualcosa è la sicurezza economica e fisica. Ottenere dal lavoro qualcosa in più di quanto serve a sopravvivere e star bene in salute. Poi al terzo, il senso di appartenenza. Solo quando si è ottenuto ciò che sta al secondo livello, l'uomo punta a qualcosa d'altro. E questo qualcosa è proprio il senso di appartenenza. Appartenere ad un gruppo, un clan, un team di lavoro, una squadra. E' questo un pensiero che l'uomo ha quando ha già risolto i problemi degli scalini precedenti. Al quarto, la stima ed infine, in cima alla scala dei bisogni, l'auto realizzazione.
Il quarto livello, come detto, è riferito alla stima. L'uomo, quando ha ottenuto le altre cose, chiede di essere stimato dal gruppo. Desidera cioè lui stesso dimostrare d'essere persona affidabile e quindi degna di stima. Ci tiene ad essere rispettato e punta a che, ciò che dice, sia considerato. Sapere d'essere stimato dagli altri è una motivazione a cui l'uomo ha sempre mirato. Per finire, l'autostima. Ogni uomo, quando ha superato gli scalini precedenti non ha altro a cui puntare se non realizzare i propri sogni e desideri. Nessuno è esente dal posizionarsi su questa scala, qualunque sia la posizione che occupa. Anche chi ritiene d'aver già tutto, punterà sempre a qualcosa di più e nel momento in cui desidera qualcosa di più significa che non è ancora arrivato al quinto scalino o, se già c'è, si trova su una scala mobile che non ha mai fine.
Questa scala, caro Antonio, Ti farà riflettere. L'uomo punta sempre, inconsciamente al quinto scalino. Vuole arrivarci ma non lo può fare se non soddisfa prima i bisogni precedenti. In altre parole: a nessuno interessa essere stimato dagli altri (terzo scalino) se prima non ha risolto il problema giornaliero della pagnotta. Prima viene la sopravvivenza e sino a quando l'uomo non ha risolto questo, non è interessato ad altro. Solo dopo, quando ha da mangiare, inizia a pensare a qualcosa di più.
Perchè Ti ho parlato di questa scala? Credo Tu l'abbia già compreso mentre leggevi. I Tuoi giovani operai soffrono di malessere (come dici Tu). Hanno ciò che sindacalmente è corretto, hanno la sicurezza del posto del lavoro,eppure.... Ecco qui il punto. Se collochi questi giovani nella scala, dovrai metterli al secondo scalino. Ma poiché anche il posto di lavoro, come mi scrivi, è sicuro e loro lo sanno, inconsciamente puntano ad arrivare più in alto.
E più in alto c'è il senso di appartenenza e poi ancora la stima. Credo che questi due scalini, in azienda, debbano essere non concessi ma permessi da Te. Il senso di appartenenza al gruppo di lavoro è davvero l'azienda e l'imprenditore che deve darlo. Far si che il lavoratore si senta coinvolto, facente parte dell'azienda stessa e non solo “colui che viene usato per raggiungere un obiettivo” è obbligatorio in gruppo di lavoro. Ci sono mille modi per far questo.
Renderli sempre partecipi dei risultati aziendali che il loro lavoro consente; responsabilizzarli sulla qualità di ciò che esce dall'azienda; qualità che nasce dalla loro attenzione. Farli sentire parte dell'azienda anche con vere e proprie riunioni in cui si presentano i successi, gli insuccessi e in cui si chiedono idee per superare i problemi. Appartenenza al gruppo significa anche dire come si posiziona l'azienda rispetto alla concorrenza e quali miglioramenti sta ottenendo. Appartenenza al gruppo significa festeggiare, anche solo con un brindisi tutti assieme, quando si prende un nuovo importante cliente.
E poi, dopo questo, la stima con assegnazione di obiettivi personali con premi ed encomi; coinvolgimento nella ricerca di soluzioni nell'ambito del lavoro da loro svolto; possibilità per gli anziani di svolgere mansioni di supervisione o di affidare loro un nuovo operaio affinchè venga formato e possibilità per i giovani di avere una guida sicura che li formi all'interno. Come vedi Antonio le possibilità di motivare ci sono e forse basta la creatività per trovarne di nuove. Inizia allora questo percorso non facile per Te ma che Ti porterà lontano. Diventa una figura di riferimento senza diventare il padre padrone. Vivi con loro per motivarli, rassicurarli, premiarli, facendoli sentire appartenenti al gruppo per loro scelta e soddisfazione e non per obbligo. Chiedi anche, ogni volta che serve, un parere su un problema a chi ritieni idoneo; tienti informato sui progressi dei giovani e, se ancora non lo fai, mantieniti informato anche sulla loro vita extra lavoro; sui loro problemi. Credimi, è importante per loro vedere che il loro capo si informa e si interessa dei loro problemi.
RileggiTi ogni tanto queste righe e vedrai che troverai sempre nuovi spunti. In bocca al lupo!