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lunedì 28 dicembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE - quattrodicesima parte

Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della tredicesima parte



SERENITA' COL CLIENTE

“Vede – proseguì il venditore – quando abbiamo fatte nostre queste conoscenze siamo certamente più sicuri e quindi pronti ad affrontare il cliente con maggiore serenità. Non c'è nulla di peggio che presentarci impreparati davanti ad un cliente, anche perchè chi sta di fronte ci mette un attimo ad accorgersene.”



quattordicesima parte

“ A questo punto della chiacchierata, davvero penso – disse il venditore - che lei possa proseguire la sua conoscenza sul profilo del buon venditore tornando dal mio amico. Sarà certamente pronto ad inviarla all'altra persona. Se non ha domande....”
“No, non ho domande. E' stato molto chiaro anche se, la sua chiarezza,,,mi ha creato non poca confusione, nel senso che nella mia ignoranza in materia pensavo che ciò che avevo detto di fare o che facevo con tutta la mia buona volontà fosse sufficiente. Oggi mi trovo invece a dover rianalizzare molte cose ed anche urgentemente....Ma è certo però che ci rivedremo presto perchè mi rendo conto che, al di là dell'esperienza, ciò che vale è il confronto delle idee che può portare avanti...”
“La ringrazio – interruppe il venditore – ed anch'io desidero rivederla, magari su un campo da golf per parlare durante 18 buche...”
E dopo una calorosa stretta di mano, il direttore generale lasciò l'ufficio.


IL RITORNO DA ME

“Ben tornato – dissi dandogli la mano, quando il direttore entrò nel mio ufficio. - Sono certo di non averla delusa mandandola ad incontrare il mio amico venditore. Ma si accomodi, la prego. - proseguii guidando il direttore nel salottino. - Penso che le abbia ben chiarito quale bagaglio tecnico debba avere un venditore. Solitamente usa metodi tutti suoi, fuori da quelli tradizionali, ma è veramente in gamba. Scommetto che le ha pure offerto un buon giro di golf, non è così? -
“Beh, vedo che lo conosce proprio bene – rispose il direttore generale – Non ha affatto sbagliato sia per il golf che per il lavoro. Ma per quest'ultimo mi ha davvero aiutato molto, anche se avrò bisogno di riordinare le idee per qualche nottata in...bianco.”
“Credo proprio di sì. Gli incontri con il nostro amico venditore creano sempre lacerazioni nelle conoscenze e nelle certezze e chi va da lui, davvero abbisogna di qualche giorno per assimilare gli insegnamenti. Ma dopo...accidenti quanto si cambia! Bene – proseguii – dopo le conoscenze tecniche, ora desidero farle incontrare....un'altra persona. E, sottolineo: un'altra persona. Perchè un buon venditore deve “sapere” ma deve anche “essere”. Ci ha mai pensato? - chiesi guardando ben bene negli occhi il direttore generale.- Ecco, questo secondo incontro l'aiuterà a completare il profilo, proprio sotto questo aspetto. Non voglio trattenerla oltre. Lei potrà andare da questa ...seconda persona, quando vorrà. Le do l'indirizzo, ma non si stupisca, la prego. Poi, alla fine di tutto, torni da me. Anch'io dovrò parlarle. Anzi, credo che sarà lei a dover voler parlare con me! “ e gli allungai il biglietto con l'indirizzo presso cui avrebbe dovuto recarsi.
Il direttore lo guardò un attimo stupefatto poi, rivolgendosi a me, disse: “ Ma che scherzo è questo? E' lo stesso indirizzo da cui sono appena venuto, ed è anche la stessa persona!”
Sorrisi apertamente. “ Su, non faccia così. Ora le mostro una cosa – ed aprii un cassetto estraendone una medaglia. - Guardi qua - e gliela porsi – Cosa vede? “
Il Direttore prese la medaglia ed osservò, poi rispose: “Un viso sorridente. Cosa significa? “
“Ora la giri – dissi – e mi dica”
“Un viso triste” – rispose il direttore tornandomi la medaglia.
“Già. Ha visto giusto. Sono due parti della stessa medaglia. Anche noi, sa, quando piangiamo o ridiamo presentiamo due lati diversi pur essendo sempre noi stessi. Non si preoccupi, vada da quest'altro...venditore. L'altro lo ha già incontrato! Vedrà che non sarà poi così uguale!” - dissi allungandogli la mano e lasciandolo sufficientemente perplesso.

Il giorno successivo il direttore generale si ripresentò dal venditore. “Sono ancora qui” disse stringendogli la mano. - “Ho volto pensare tutta la notte al giochino che state facendo ma giuro che non ho capito niente. Immagino che anche in questo ci sia un insegnamento ma, perbacco, non ci sono arrivato. Me lo spieghi almeno lei....” - disse il direttore.


LA CAPACITA' DI ESSERE


“Durante l'incontro scorso ha incontrato una faccia, o meglio, un lato del venditore. Ognuno di noi però è un insieme di facce, di lati o di parti. Non è negativo avere più facce; è negativo usarle male. Intendo dire che noi siamo fatti di tante parti di noi stessi. Vede, nel momento in cui adattiamo il nostro comportamento ad una determinata situazione, siamo sempre noi stessi...ma presentiamo o usiamo un'altra faccia. Guai se mantenessimo sempre la stessa, in ogni situazione. La volta scorsa abbiamo visto un lato del profilo del buon venditore. Ora possiamo vederne un altro ma parliamo sempre della stessa persona. Prima, il lato che abbiamo definito delle conoscenze tecniche; ora quello che definiremo il lato delle capacità di “essere”. Che ne pensa? Comincio a farmi capire?”
Il direttore stette un attimo a guardare il venditore poi rispose: “ penso, se mi permette la franchezza, di essere stato fregato un'altra volta ma penso anche che con poche parole mi ha chiarito in un attimo ciò che non ero riuscito a comprendere in una notte. Mi sta dicendo che il venditore deve conoscere bene i suoi prodotti, la sua azienda, i suoi clienti ma, nello stesso momento deve conoscere bene anche se stesso ovvero, deve avere le conoscenze tecniche ma anche una conoscenza delle più basilari sue leve psicologiche che gli permettano di capire come ottenere i risultati che si era prefisso di ottenere.”
“Proprio così – interruppe il venditore – ci siamo. Solo conoscendo se stesso il venditore potrà imparare a conoscere i clienti. E quando saprà bene come è fatto lui, saprà anche, di volta in volta, quale SUA parte presentare ed usare per ottenere il massimo. - Poi riprese - “ Sa quanti stili possiamo usare? Molti. Ogni persona, e nel nostro caso, ogni venditore è una realtà a sé.

lunedì 21 dicembre 2009

SCELTE DA FARE

R.R. (loc. n.c.)


“Vi ringrazio per le risposte che date e che, anche se non mi riguardano sotto certi aspetti, le sto leggendo tutte perchè da ognuna è possibile raccogliere briciole di saggezza utili al lavoro quotidiano di ognuno. Mi sono perso le risposte o meglio, i veri e propri aiuti dati in passato e che non sono in rete ma sto tenendo tutti questi. Vengo al mio problema che è piuttosto particolare e che, dopo aver letto, qualcuno potrebbe dire che è un problema grasso. Per me però lo è perchè do lavoro a decine di persone. Mi spiego meglio. Mio padre aveva creato ancora molti anni or sono una rete distributiva di servizi definibili di catering per gli uffici. Nel tempo, con accortezza, si è poi passati ad offrire questi prodotti e servizi alla famiglia. Grande lavoro e forte sviluppo.. Servizio eccellente, prodotti superiori. Ma è proprio di questo che voglio parlarvi e chiedervi aiuto. Nel tempo mi sono sempre più convinto che per strategie aziendali, le società che ci forniscono prodotti, avendo un loro marchio conosciuto, stanno cercando di attuare vendite dirette, legando i clienti con offerte particolari. Noi siamo così divenuti, da primi collaboratori particolari, semplici clienti e forse nemmeno più così importanti per loro. Noi operiamo principalmente al Sud, essendo dell'area napoletana ma potremmo allargarci anche al centro con particolare a Roma che manca di questi servizi. Io sono giovane. Entrato da tre anni in azienda dopo l'università, mi sono trovato sempre a domandarmi se valesse la pena proseguire ad offrire ai clienti i marchi proposti od invece proporre loro un nostro marchio. E' un dilemma che mi rode. Mio padre ritiene che non valga la pena costruire un marchio ed offrilo quando i clienti continuano a volere quelli che abbiamo. I tempi però mi sembrano maturi per non rischiare un domani di trovarci improvvisamente a piedi. “


Mio caro R.R.,
stai vivendo un periodo commerciale e di lavoro piuttosto infido. Il Tuo caso non è poi così unico. E' avvenuto negli anni passati che molte aziende primarie, leader di mercato, preferivano affidare particolari segmenti di mercato in cui non credevano più di tanto, a rivenditori od organizzatori esterni che, intuendo più d'altri le possibilità di sviluppo, investivano del loro. Questi segmenti si sono poi rivelati vere miniere d'oro e le aziende leader, produttrici dei prodotti, hanno iniziato a chiedersi se valesse la pena di continuare ad essere in quei mercati solo col prodotto piuttosto che direttamente. La differenza è presto detta. Vendere ad un altro rivenditore o società esterna comporta listini più bassi, margini inferiori e comunque possibilità di perdere un domani il mercato già esistente a fronte di un concorrente più perspicace. Crearsi una propria struttura significa andare incontro inizialmente a costi maggiori ma significa anche controllo totale del mercato, tenuta dello stesso e margini più controllabili.
Ecco quindi che si sono presentati sul mercato di queste società rivenditrici, alcuni concorrenti che altro non erano poi che le stesse aziende produttrici dei prodotti e che, in questo modo, iniziavano a crearsi un proprio mercato senza contemporaneamente perdere quello degli stessi rivenditori. Chiaro? I capitali alle spalle hanno permesso a queste pseudo società di infiltrarsi e radicarsi nello stesso mercato, erodendo quote ai loro clienti, capitalizzando gli investimenti con una presenza ed un controllo diretto.
L'operazione è ancora in atto e forse si stanno giocando le ultime carte. Alcune grosse società come la Tua resistono e probabilmente resisteranno ma solo se le zone coperte non sono di interesse della società che fornisce i prodotti. Se però le zone in cui operi Tu possono interessare, prima o poi subirai attacchi, anche e solo indiretti, che non Ti lasceranno scampo.
In quel momento, caro R.R., intervenire con un Tuo prodotto sarà difficile, oneroso, e fuori tempo. Forse, scusa se lo dico, lo sei già. Lanciare un proprio marchio non è facile e rapido, sopratutto se non vi sono forti investimenti alle spalle. Io partirei immediatamente. (Suggerisco questo a chi scrive perchè nella lettera ha ben specificato di quali prodotti e mercato si tratta e quindi posso fare le valutazioni del caso).
La strategia è una sola. Mantenere al più possibile i prodotti della società leader; nel frattempo farsi produrre da una società specializzata (ce ne sono alcune in Italia) analoghi prodotti su una formula Tua. Poiché ciò che vendi oggi ha un nome altisonante, leader, di qualità comunque non eccelsa, può essere piuttosto facile creare un prodotto migliore. Poiché Tu mi dici che il Tuo marchio è noto e molto apprezzato, non avrei problemi a dare questo marchio al Tuo prodotto. Ed eccoci al lancio. Opterei per un'azione che investisse esclusivamente sulla conoscenza e la prova del prodotto consegnando in omaggio ad ogni cliente che Ti ordina ciò che oggi vendi, una campionatura del Tuo prodotto. Poiché il Tuo mercato è fatto d'abitudine d'uso, devi far si che il cliente possa usare il Tuo prodotto consecutivamente almeno per quindi giorni. In questo modo si potrà abituare.
Per comunicare questa nuova possibilità di mercato dovrai far predisporre un pieghevole, ben costruito mi raccomando, in cui spiegherai che hai voluto creare il top dei top. Un prodotto cioè (o una linea) assolutamente superiore a tutto ciò che c'è sul mercato. Il costo dovrà essere ufficialmente superiore al leader che Tu già vendi. Questa tattica darà valore di fondo a ciò che dici. Poi, per i primi ordini o per un certo periodo offrirai il prodotto ad un prezzo sotto quello del leader. Infine, a mercato fatto, quando la qualità avrà avuto ragione nella scelta, adeguerai il listino a quello del leader.
I due prodotti dovranno essere offerti parallelamente per molto tempo e forse anche per sempre se non Ti verrà tolto il marchio leader. Sul Tuo, però potrai fare le scelte strategiche e di marketing che vorrai.
Ti suggerisco comunque di non lesinare sugli invii gratuiti di prova. Ogni volta che un cliente Ti ordinerà l'altro prodotto, invia assieme anche una prova gratuita del Tuo, sempre con la lettera d'accompagnamento che presenterà il nuovo prodotto. Se il cliente non lo acquisterà, prosegui per almeno quattro o cinque consegne.
Ovvio che il Tuo marchio Ti permetterà di creare una linea da suggerire al cliente. Falla, ma falla di assoluta qualità.
Questa è la strategia per salvaguardare quello che Tuo padre ha fatto e che Tu stai iniziando a portare avanti. Sarebbe davvero una follia, al giorno d'oggi, rimanere fermi ed inerti davanti ad un mercato che apertamente sta andando contro Voi. Rimanere fermi per paura è folle. Ha ragione Tuo padre quando dice che il cliente vuole solo il prodotto leader che avete attualmente. E come potrebbe fare altrimenti, se non gliene si presenta un altro? E' vero che il leader è sempre perfetto anche se non è vero, perchè la pubblicità è più forte di ogni ragionamento, ma è anche vero che la prova continua di una qualità superiore, fa incrinare le convinzioni.
Mi pare di vedere nel comportamento di Tuo padre la paura che, iniziando ad offrire un Vostro marchio, il leader possa prendersela togliendoVi il loro marchio. Non credo avvenga, adesso, se i tempi non sono per loro ancora maturi. Avverrà sicuramente, anche se non avrete un Vostro marchio, quando il leader deciderà che è ora.
In ogni caso, caro R.R., noi vediamo ormai come il mercato in cui operi si sia già spostato notevolmente verso altre fonti di offerta. Pensare che tutto possa rimanere come prima è illogico. Non attendere a prendere decisioni perchè davvero potresTi giocarTi il Tuo futuro.
Ciao.

giovedì 17 dicembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE - tredicesima parte

Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della dodicesima parte

Questo punto zero – proseguì il venditore mentre terminava un fantastico dessert che il direttore generale aveva ormai finito da tempo - dev'essere pensato al primo posto e servirà come filo conduttore per tutto quanto il venditore farà durante la visita. Ma ora, potremmo proseguire la chiacchierata in ufficio. Il caffè glielo offro io perchè è l'unica cosa che non mi piace di questo locale!”
“D'accordo - rispose il direttore generale – andiamo pure. Non vedo l'ora di saperne di più.”


inizio tredicesima parte


In ufficio, seduti su due comode poltrone, mentre bevevano un buon caffè, il venditore disse: “riprendiamo da dove avevamo interrotto. Parlando del profilo del buon venditore le avevo detto circa le conoscenze tecniche che un venditore deve avere, cosa deve fare e come deve agire. Possiamo allora riprendere da questo punto... -
Il direttore generale posando la tazzina chiese: “ Mi diceva dei cinque famosi punti che il venditore deve conoscere ed a cui deve saper dare risposta. Ve ne sono altri in aggiunta? “
“Per risponderle – disse il venditore – e per confonderla ancora un po', dirò che al quinto punto ne sono abbinati altri due e questo perchè i cinque punti sono legati alla preparazione della visita.”

ANALIZZARE IL RISULTATO

“ Stia bene attento perchè ci si può confondere. L'ultimo punto è quello relativo al risultato ottenuto. Ebbene, se vogliamo che il venditore cresca e si formi sempre più professionalmente dobbiamo far sì che, una volta ottenuto il risultato, questo venga sistematicamente analizzato per capire se quanto ottenuto è ciò che in realtà volevamo ottenere. In pratica, dopo aver fatto la visita è necessario fermarsi un attimo e riflettere su come è riuscita la visita stessa. Un buon venditore non deve mai tralasciare questa operazione mentale. Deve divenire un'abitudine: dopo la visita, ci si ferma e la si analizza. Vede – proseguì il venditore – è importante risponder sempre a questa domanda: cosa ho ottenuto? Già, perchè il risultato può essere l'aver ottenuto ciò che volevamo quanto l'aver ottenuto “parte” di ciò che volevamo se non nulla del tutto. Quindi, la risposta che il venditore avrà da quest'analisi non sarà fine a se stessa perchè, se ci pensiamo, essa è il punto di partenza per le successive visite e per l'eventuale correzione del proprio comportamento. Ma su questo torneremo dopo. Facendo un'analisi di ciò che il venditore avrà ottenuto, dovrà inoltre domandarsi anche quale è stato il rapporto che si è venuto a creare in quella visita con quel cliente. In altri termini, quali sono stati gli eventi importanti o i punti chiave che hanno fatto ottenere o meno ciò che lui voleva. Ed in questa analisi vanno inserite, a buon diritto, anche le obiezioni ricevute e le risposte date. Ecco il primo punto da valutare. Dopo aver risposto alla domanda se si è ottenuto ciò che si voleva, viene spontanea la domanda del secondo punto: cosa fare adesso? Ebbene – proseguì il venditore che vedeva il direttore sempre più assorto ad ascoltarlo - ricordo che quand'ero venditore...diciamo “da strada”, un giorno un tizio che collaborava con me disse che terminate le visite mi prendevo un paio di minuti in cui, secondo lui, riuscivo quasi ad isolarmi in assoluta concentrazione. Storcevo la bocca, alzavo le sopracciglia, mi mordevo il labbro e poi, scrivevo. Si, due minuti erano sufficienti per l'analisi della visita e per rispondere alle famose domande: cosa ho ottenuto e cosa fare adesso. Poi, scrivevo i risultati; le cose dette; le obiezioni espresse dal cliente; le reazioni; i desideri e le eventuali promesse fatte. Insomma, nulla passava senza una riflessione e, mi creda, tutto questo davvero in un paio di minuti.”


PIANIFICARE GLI INCONTRI

“Addirittura arrivavo a pianificare la visita successiva in base alle conoscenze del momento; alle cose percepite o sapute dal cliente precedente, perchè quello era il momento in cui avevo le idee più chiare per decidere come mi sarei dovuto comportare poi. Ebbene, credo che questo sia il modo più corretto per organizzare un lavoro di vendita. Se ci pensiamo, vediamo come ancora una volta, tutto sia legato. Ogni azione unita con un filo logico. Una visita non ha mai un inizio e mai una fine. Percepire un legame da qualcosa uscito nel precedente incontro da sfruttare o considerare per il successivo può dare un vantaggio al venditore. Occorre però che lui ne sia cosciente” - e così facendo si girò verso il famoso foglietto posato sul tavolo. - “Quindi, possiamo dire che esiste un bel decimo punto da ricordare.” - Prese una penna e scrisse il decimo punto.


IL DECIMO PUNTO


Il venditore deve:
1)far sentire il cliente a proprio agio.
2)conoscere bene ciò che vende
3)poter vedere come nasce un prodotto
4)sentirsi fortemente coinvolto nell'azienda
5)realizzare comunicazioni il più possibile legate contemporaneamente alla vista ed all'udito.
6)saper argomentare e vendere la qualità dei propri prodotti
7)preparare le tracce delle argomentazioni
8)dare risposte chiare alle obiezioni
9)preparare la visita e pianificare il risultato che si vuole ottenere.
10)valutare i risultati ottenuti e pianificare la strategia successiva

Scritto questo, il venditore depose il foglio sul tavolo e con un sospiro si rivolse al direttore generale : “Bene, credo di aver terminato il mio compito.... almeno per ora. Lei è stato indirizzato a me dal mio caro amico perchè io le spiegassi la parte relativa alle cognizioni tecniche che deve avere un buon venditore e, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di spiegargliele. Un buon venditore deve avere assolutamente un bagaglio di conoscenze tecniche e per tecniche intendo proprio quelle conoscenze che aiutano a sviluppare la professionalità. Io spesso le definisco la nostra coperta di Linus.”



SERENITA' COL CLIENTE

“Vede – proseguì il venditore – quando abbiamo fatte nostre queste conoscenze siamo certamente più sicuri e quindi pronti ad affrontare il cliente con maggiore serenità. Non c'è nulla di peggio che presentarci impreparati davanti ad un cliente, anche perchè chi sta di fronte ci mette un attimo ad accorgersene.”


fine tredicesima parte

mercoledì 16 dicembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE - dodicesima parte

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE


Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della undicesima parte


“Su tutti questi punti potremo tornare in futuro, analizzandoli approfonditamente – proseguì poi il venditore – ma ora veniamo al quarto punto della preparazione : come il venditore deve offrire tutto quanto detto nel terzo punto.


Inizio dodicesima parte


“A onor del vero su questo punto dovremmo discutere per alcuni giorni e non per quel poco tempo che ci rimane a disposizione. Troppo vi è da dire e, per correttezza, le dirò anche che su questo punto, ancor più che su gli altri, sarebbe necessaria una preparazione in aula, direttamente coi venditori. Solo attraverso esempi, coinvolgimenti, analisi dei comportamenti e correzioni si possono preparare gli uomini. Ma ora voglio tornare indietro negli anni perchè penso che con poche parole lei possa capire cosa intendo con questo quarto punto.”


ATTIRARE L'ATTENZIONE DEL CLIENTE

“Molto tempo fa – proseguì il venditore – si diceva ai venditori, ed io l'ho ancora presente perchè mi baso sempre su questi vecchi insegnamenti, di usare semplicemente questo metodo:
attira l'attenzione del cliente
fa sì che si senta coinvolto ed interessato ai vantaggi che il prodotto offerto può dargli
fai crescere il suo desiderio di poter godere di quei vantaggi in modo da stimolarlo all'azione d'acquisto
Ecco, questa semplice regoletta: attenzione – interesse – desiderio – azione - se sapientemente usata, porta inevitabilmente al successo che può avvenire anche con pochi minuti di trattativa oppure, volendo, anche in un periodo più lungo. Infatti, si può attirare l'attenzione del cliente su un prodotto, ad esempio, che verrà presentato successivamente. Si può interessarlo ai vantaggi per far crescere in lui il desiderio sino a giungere, nel tempo voluto, a portarlo “all'azione d'acquisto”. Tutto questo, come le dicevo, può avvenire subito come su un periodo più lungo di tempo. L'importante – proseguì il venditore scandendo bene le parole – è avere ben chiaro l'obiettivo finale: riuscire a vendere. Le dico questo anche se il mio collega, quando lo incontrerà successivamente, dirà che l'obiettivo è far acquistare. E pensi che nessuno di noi due ha torto; sono le due facce della stessa medaglia, affascinante sotto certi aspetti e misteriosa”.
“Sono senza parole – rispose il direttore generale, muovendosi sulla poltroncina del ristorante – Ricordo ancora quando ho deciso di capire cosa non andava nella mia rete vendita. Da all'ora sono passati pochi giorni ma mi sembra d'essere entrato in un altro secolo. Si, capisco che alcune azioni sono messe in atto anche da noi ma, probabilmente, in modo automatico, senza rendercene conto e quindi, sotto certi aspetti, del tutto inutilmente perchè se non si ha coscienza di ciò che si fa, se ne perde il senso. E' indubbio che, dopo aver riordinato le idee; le tecniche ed approfondito il tutto non potrò che averne benefici. Ma perchè, mi scusi – chiese al venditore – tutto questo non lo scrive in un bel libro che potrei dare ai miei venditori?”
“No, no, non servirebbe. I libri si leggono; fanno informazione, non formazione. Se si vuole imparare davvero occorre discutere; comunicare, in aula ma sopratutto sul campo, a fianco dei venditori. Oh, si, anch'io ho scritto libri e libercoli ma nelle prefazioni dico sempre di leggere per informarsi; senza la pretesa di voler ottenere di più. Se non lo facessi sarei il primo ad imbrogliare e non mi sembra il caso. Questo mi porta a parlarle del nostro quinti ed ultimo punto: l'obiettivo o, anche che cosa, alla fine,. vogliamo ottenere. Il mio obiettivo, ad esempio, è formare le persone. Farle crescere, maturare e capire che probabilmente possono ottenere dal lavoro più di quanto non pensino. Questo è il mio obiettivo e poiché la formazione non può avvenire con un libro, ecco che correttamente scrivo che leggendo, si potrà solo ottenere informazione. Ma lasciamo perdere me e pensiamo al profilo del buon venditore. Non dimentichiamoci mai che stiamo parlando della preparazione alla visita; di quello cioè che il venditore dovrebbe pianificare e preparare, prima di visitare il cliente. Per riassumere un poco, abbiamo detto che il venditore avrà iniziato, controllando tutto il materiale che ritiene possa essere utile durante la trattativa; poi avrà controllato tutti i dati inerenti il cliente stesso; quindi, ripassato mentalmente le argomentazioni, compreso la presentazione dei campioni. A questo, avrà aggiunto una propria pianificazione mentale su cosa ed in quali quantità offrire, trovando il modo di stimolare la curiosità del cliente, arrivando così ad interessarlo. Ed ora eccoci alla fine. Il venditore deve domandarsi cosa vuole ottenere. Normalmente il venditore deve porsi sempre come obiettivo l'ottenimento del risultato che si era prefissato. Se l'obiettivo – proseguì il venditore bevendo un bicchiere di ottimo vino - è la sola vendita, si può dire che essa era già contenuta nel quarto punto, nel momento in cui si convince il cliente. Ma ho anche detto che il quarto punto può svolgersi e completarsi in periodi ampi. Ecco allora che questo quinto punto assume un significato diverso. Il venditore, alla fine, può voler ottenere la vendita ma può volere anche solo un impegno. Può decidere di visitare il cliente mostrandogli un prototipo per informarlo di una novità che presto sarà sul mercato; può presentare delle promozioni o solo informarlo su attività che lui stesso o l'azienda intendono fare....Insomma, anche qui, le possibilità sono diverse. Ciò che però è importante è che il venditore, prima di visitare il cliente abbia ben chiaro l'obiettivo che vuole ottenere con la visita. Allora, il quinti punto, quello di chiusura, diventa inaspettatamente....il punto “zero”. L'obiettivo finale è, di fatto, quello che mette in moto tutto quanto. Dall'obiettivo....si parte! Questo punto zero – proseguì il venditore mentre terminava un fantastico dessert che il direttore generale aveva ormai finito da tempo - dev'essere pensato al primo posto e servirà come filo conduttore per tutto quanto il venditore farà durante la visita. Ma ora, potremmo proseguire la chiacchierata in ufficio. Il caffè glielo offro io perchè è l'unica cosa che non mi piace di questo locale!”
“D'accordo - rispose il direttore generale – andiamo pure. Non vedo l'ora di saperne di più.”



fine dodicesima parte

domenica 13 dicembre 2009

FAR PARTE DEL GRUPPO

Alberto M. Roma

Sono stato assunto da non molto da una piccola realtà locale con una decina di impiegati e trenta venditori. Le scrivo perchè ho un problema e non so come comportarmi ne se devo fare qualcosa. Quando sono entrato mi è stato spiegato cosa dovevo fare; quali erano i miei strumenti di lavoro e con chi dovevo dialogare. Poi, più nulla. Mi sembra quindi di lavorare in compartimenti stagni in cui nessuno sa cosa succede al di fuori di ciò che fa. L'azienda potrebbe anche andar male e noi non ce ne accorgiamo. Potrebbe andare bene e noi manco saperlo. E' giusto così? Per lavorare meglio, come mi è stato detto dal direttore, è corretto che ognuno sia sempre focalizzato sul proprio lavoro?
Grazie


Caro Alberto,
su questo tema penso di aver scritto e d'essere tornato più volte. Mi scusino, come sempre, coloro che sanno già ciò che dirò.
La battaglia per mantenere attiva la presenza e crescere sul mercato sarà vinta solo da chi saprà conquistarsi il consumatore. E poiché nuovi consumatori sono sempre pronti ad affacciarsi sul mercato, occorre che le aziende siano costantemente preparate a questo scopo che non ha mai fine. Un buon imprenditore non può nascondersi dietro alcuna scusa come quella che Ti ha detto il Tuo Direttore.
Spesso si accusano i dipendenti di scarso rendimento o poco attaccamento al lavoro senza pensare che a questi va insegnato ad operare con entusiasmo. Ogni persona, sul lavoro, ha la reale necessità di sentirsi parte di un gruppo e di sapere che la propria opera è importante al fine del raggiungimento di determinati obiettivi.
Spesso nessuno lo informa su questo ne su altri obiettivi e cui deve mirare. Nessuno gli dice cosa ci si aspetta da lui ne tanto meno lo fa sentire importante. Se al mattino, con qualunque tempo, ci alziamo dal letto per andare a lavorare, vuol dire che abbiamo dentro una motivazione per farlo. Ora, si tratta di prendere questa motivazione, sviluppandola e rendendo consapevole il lavoratore del proprio ruolo.
Se un'azienda potesse avere tutti collaboratori motivati, otterrebbe risultati strabilianti. Il perchè è presto detto: la motivazione è contagiosa. Moltiplica i risultati.
Quindi, se l'imprenditore vorrà vincere la battaglia del mercato dovrà per forza di cose lavorare su due fronti: formare se stesso (cosa a cui molto spesso non pensa, ritenendolo superfluo) a comprendere ed a gestire bene in termini motivazionali i dipendenti e far formare questi ultimi in modo che sfruttino appieno le enormi potenzialità che ognuno di essi ha.
Fatto questo, il successo aziendale è assicurato. Il nuovo clima passerà velocemente dal personale ai clienti e da questi ai consumatori. I dipendenti motivati ed informati del loro ruolo e dell'importanza che ognuno ha per l'azienda sono un patrimonio incredibile.
Invece, caro Alberto, cosa accade? Accade che nell'azienda, il dipendente deve solo svolgere bene il suo lavoro. Non importa se poi, con fatica, renderà la metà di quanto potrebbe; deve solo pensare a lavorare. Spesso racconto questa storiella che è illuminante:
Un viandante vede in un bosco un uomo intento a segare con grande fatica alcuni tronchi e nota che insiste a lavorare con una sega sdentata e non affilata. Incuriosito lo osserva per bene poi, non riuscendo a capire, gli domanda: perchè continua a segare ed invece non si ferma ad affilare la lama? L'uomo lo guarda di traverso eppoi risponde seccato: non ho tempo da perdere, devo segare tutti questi tronchi entro sera.
Ecco, ci sono aziende ed imprenditori che sono come quel boscaiolo. Non capiscono che prima di segare occorrerebbe affilare la lama o quantomeno affilare quella dei propri collaboratori.
Nella azienda in cui operi pare si agisca così. Ognuno deve fare, all'oscuro di quanto serva il suo lavoro; all'oscuro di quanto facciano gli altri reparti ed all'oscuro dei risultati o dei successi aziendali. E giusto? Certo che no! Essere focalizzati sul proprio lavoro, come dice il Direttore, non significa che non si debba essere resi partecipi. Motivare i dipendenti e farli sentire facenti parte di un gruppo è, caro Alberto, ancora oggi un grosso problema che molti imprenditori o molti direttori non sanno proprio risolvere.
Ciao

venerdì 11 dicembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE undicesima parte

Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della decima parte

“Certo, il venditore deve parlare anche e sopratutto della qualità se il cliente già non la conosce, ma solo dopo che avrà convinto il cliente che quel prodotto risolve un suo problema. La prego, lo tenga sempre bene a mente perchè anche questo è un punto molto trascurato da parte dei venditori. Ascolti: io acquisto un abito perchè ne ho bisogno. Poi, cercherò anche la migliore qualità, sempre proporzionata a quanto posso o voglio spendere.....”


Inizio undicesima parte


“ Ma qui entriamo in un campo che è meglio evitare perchè di queste cose tratterà la seconda persona che lei dovrà incontrare. Ricorda che il nostro comune amico gliene aveva parlato?. -disse il venditore
“Sì – rispose il direttore generale – ricordo perfettamente. Ora prosegua pure lei...”
“Io ora voglio solo parlarle degli strumenti di lavoro e delle conoscenze tecniche che deve possedere un venditore. L'analisi di questi cinque punti ci porta un po' fuori da questa strada e quindi è meglio rientrare prontamente. E' ormai ora di pranzo – disse il venditore guardando l'orologio – possiamo proseguire la nostra piacevole chiacchierata davanti ad un buon piatto? Che ne dice? - domandò.
“Credo proprio lei abbia ragione Non mi dispiacerebbe proseguire al tavolo di un buon ristorante”
Così dicendo si alzarono ed uscirono dall'ufficio.

Il venditore lo portò ad un ristorante vicino all'ufficio.
“Ottimo questo locale – disse il direttore generale – intimo e adatto per una cena di lavoro senza essere disturbati. Lei sa scegliere bene - e proseguì - Senta, io vorrei fare un breve riassunto per dirle quanto ho compreso stamani, relativamente a cosa deve fare un venditore . Vorrei dirlo in modo che lei possa correggermi se sbaglio. Posso? “ domandò -
“E' la cosa migliore – rispose il venditore – la prego. E l'altro iniziò.


ORGANIZZARSI PRIMA DELLA VENDITA

“Un'ottima preparazione della borsa, dei campioni e di tutti gli strumenti di vendita sono le prime cose a cui il venditore deve porre attenzione. Ed è giusto, anche perchè penso che sapere di avere tutto in ordine e tutto pronto sia una base che dà sicurezza e forza al venditore . Poi occorre un'attenta analisi dei dati relativi al cliente, ai suoi acquisti ed alle movimentazioni. Questo rafforza ancor più la sicurezza interiore per incontrare il cliente con ben chiari i dati di vendita precedenti; i prodotti trattati; le condizioni particolari concesse od offerte. Questa preparazione preventiva permette infine di vedere se si sono segnati nelle note della scheda i dati personali che possono servire per entrare in maggior confidenza col cliente e mostrare che lo si conosce bene e che , per il venditore, lui è importante. Fin qui tutto bene? “ - domandò il direttore generale al suo dirimpettaio che lo ascoltava sbocconcellando il pane.
“Bene. Veramente bene. Sa dire le cose in termini estremamente chiari” - rispose il venditore e questo fa piacere perchè dimostra che sono stato ancora capace di farmi capire... Ecco un'altra attitudine che non può mancare ad un venditore....Ma prosegua – continuò il venditore - l'ascolto”


SFRUTTARE TUTTE LE POSSIBILITA'

“Dopo il materiale di vendita – proseguì il direttore generale - e dopo un'attenta analisi preparatoria dei dati, il venditore deve usare i materiali di vendita che ha in dotazione . Anche questo è un punto che forse viene troppo sottovalutato. Come ha detto lei, far vedere; far ascoltare e far toccare, tre azioni da fare assieme. E' un peccato avere a disposizione queste tre possibilità ed usarne solo una o due. Quindi, è corretto formare un venditore facendogli comprendere l'importanza di questa semplice tecnica. E per finire, usare buone argomentazioni, senza esagerare ma nemmeno stando zitti , aspettando che sia il cliente a far domande. Ecco, questi, in sintesi erano i primi due punti. Ed il terzo? - domandò il direttore prendendo il bicchiere.
“Prima di dirle il terzo – rispose il venditore – mi permetta di dirle che i sensi sono cinque ed un venditore, se l'azienda che rappresenta opera in altri settori, deve approfittarne. Un buon profumo, ad esempio, può trarre vantaggio se viene fatto odorare ed un buon prodotto alimentare, anche assaggiare. Bene, ora eccoci al terzo punto. Cosa possiamo offrire noi al cliente. Abbiamo detto che il cliente acquista qualcosa che soddisfa un suo bisogno. Il venditore quindi non dovrà offrirgli qualcosa che non risolve un suo problema, perchè otterrebbe più o meno garbati rifiuti. E se proprio dovesse cercare di vendergli un prodotto “difficile” dovrà almeno crearsi un'argomentazione che tenti di dimostrare che quel prodotto risolve un problema. Questo, relativamente a ciò che viene offerto, ma il venditore può dare altro. Ad esempio, informazioni tecniche; dati statistici; analisi di mercato in cui operano azienda e cliente, suggerimenti vari... Ma non solo. Il venditore può dare altri servizi quali l'assistenza post vendita; assistenza tecnica; suggerimenti di merchandising; aiuto espositivo....”


GARANTIRE LA SICUREZZA DELL'ASSISTENZA

“Inoltre il venditore deve offrire al cliente la sicurezza che non sarà abbandonato. Pensi bene a questo e lo ripeta mentalmente. Poi, nel rapporto, vale la certezza che l'azienda fornitrice rimarrà responsabile dei prodotti venduti; la garanzia che lo stesso venditore opererà sempre al massimo per mantenere proficuo il rapporto ..... insomma , le cose che un venditore può dare , al di là della pura vendita di un prodotto, come vede sono tante! “- disse spostandosi all'indietro per permettere al cameriere di posare davanti a lui un piatto dal delicatissimo ed accattivante profumo. -
“Su tutti questi punti potremo tornare in futuro, analizzandoli approfonditamente – proseguì poi il venditore – ma ora veniamo al quarto punto della preparazione : come il venditore deve offrire tutto quanto detto nel terzo punto.


Fine undicesima parte

martedì 8 dicembre 2009

TORNARE SUI PROPRI PASSI 2

Michele (Loc. dichiarata)

Buongiorno,
faccio seguito alle mia mail del giovedì 21 maggio 2009 TORNARE SUI PROPRI PASSI?
chiedendo un ulteriore aiuto in seguito ad una inaspettata situazione che si è verificata. Le ho chiesto allora consiglio su come gestire una situazione lavorativa "nuova" che  si era  rivelata fallimentare. Ho seguito il suo consiglio e non sono "tornato sui miei passi" ma ho cercato una nuova soluzione e con molta fatica sono riuscito a venire fuori ed essere assunto in una azienda concorrente della mia prima, azienda nella quale adesso mi trovo bene, pur nutrendo qualche dubbio sul fatto che il prodotto sia allineato alla massa avendolo messo in paragone col primo che vendevo (un po' la Ferrari e la Punto). E adesso viene il bello, dopo solo 3 mesi di lavoro nel nuovo posto, dove sono ovviamente partito dal ruolo di venditore "alle prime armi", ricevo una inattesa telefonata dalla mia prima società, che mi propone un ruolo da responsabile di area con ovvi vantaggi sia economici che professionali rispetto alla situazione attuale. Il tutto perchè il mio vecchio capo in seguito ad una promozione ha indicato all'azienda me come consiglio sulla sua successione. E adesso che fare? Poca serietà? Cosa faccio con quei clienti (certo pochi) che in questi  3 mesi ho incontrato nuovamente col nuovo incarico e ai quali ho raccontato il perchè ho fatto questo doppio passaggio (che adesso sarebbe un triplo passaggio)? Come reagiranno i colleghi dell'ufficio che di fatto si sentiranno scavalcati da qualcuno che era andato via? Ma alla fine è meglio puntare sulla Ferrari o sulla Punto (anche se leggendo i suoi post la risposta è chiara)... Insomma è meglio accettare o rifiutare quella che di certo potrebbe essere una opportunità?
Grazie mille del suo aiuto, veramente importante per noi giovani.



Ed eccoci al dunque, caro Michele!
La vita va avanti e le situazioni che ci presenta ci fanno qualche volta trovare in questi imbarazzi. Per fortuna, almeno in questo caso, piacevoli perchè qualunque cosa Tu decida, lo farai cadendo sul morbido. Riassumiamo un poco la storia per chi magari non ha letto la precedente Tua richiesta.
Ti trovavi in un'azienda in cui, dopo un certo periodo (se ricordo 4 anni) non avevi più stimoli. Ed allora, il dubbio. Rimango o cerco altrove. Avevi cercato , ma la successiva opportunità non era stata all'altezza delle tue aspettative. Da qui la Tua richiesta di aiuto. Che faccio? Rimango o cerco di tornare? E la mia risposta era stata semplice. Non si torna indietro, se si può. Gli errori fanno parte della vita e sono “esperienza”. Così, sei riuscito, dandoTi da fare, a trovare una terza opportunità, sempre nell'ambito delle vendite e...in concorrenza con la prima azienda. In questa azienda stai bene anche se hai qualche dubbio sui prodotti che non sono “Ferrari” come quelli commercializzati dalla prima azienda ma solo “Punto”. Il fatto che Tu oggi stia bene Ti copre le spalle. Ma ecco il fattaccio. Quella maledetta prima azienda si rifà viva. E, per crearTi un po' di problemi, non Ti dice di tornare e basta ma Ti dice: “torna che Ti metto in una posizione ottima”. (Pensa quanti lettori in questo momento sogneranno di potersi trovare prima o poi nella Tua posizione!) E adesso che fare? Io avevo risposto che non si torna sui propri passi dopo pochi mesi per ripassare dalla seconda alla prima azienda. OK? Ma Ti avevo anche detto che se proprio lo avessi voluto, avresTi dovuto far si che fosse l'azienda a cercarTi. Così è accaduto e Tu non sei nemmeno più nella seconda azienda. Dobbiamo fare qualche riflessione da diverse angolazioni prima del mio personalissimo parere.
Il Tuo precedente Capo forse si è reso conto della Tua validità solo essendo stato lui promosso, nel momento in cui doveva trovare un sostituto. Forse avrebbe potuto perorare prima la necessità di tenerTi. Ma le cose non sono mai sempre logiche e forse Ti ha lasciato andare proprio perchè, non sapendo della sua promozione e dello spazio che ne sarebbe venuto, non vedeva per Te possibilità di sviluppo. Un Capo, in questi casi, se è corretto, deve preferire lasciar libera la persona che vale piuttosto che tenerla legata.
L'azienda forse è stata un po' miope, ma....richiamandoTi Ti dà atto delle Tue capacità.. Sapeva forse di non poterlo fare offrendoTi la stessa posizione ma qui si tratta di altro e quindi è una mossa da tentare e l'azienda tenta.
Veniamo ai clienti. Oggi stai visitandone alcuni che incontravi prima e con cui probabilmente avrai detto qualche parola sulle scelte fatte. Se hai detto loro di essere uscito dalla prima azienda in quanto demotivato o senza stimoli, non vedo problemi eventuali a dire che torni, visto che lo potresTi fare con un incarico maggiore.
E veniamo agli ex colleghi d'ufficio che si troverebbero a vederTi tornare, scavalcandoli. Certo non è bello, ma....non è nemmeno colpa Tua. C'era un'opportunità in azienda ed anziché pensare a loro, l'azienda ha pensato a Te. Se proprio devono prendersela con qualcuno dovranno prendersela con l'azienda o con se stessi. Ma Tu non c'entri proprio. Sei uscito non trovando più stimoli. Hai fatto altre esperienze ed in questo momento non sei a spasso ma lavori. Magari dovranno far loro qualche esame di coscienza sul Tuo eventuale ritorno.
Si sentiranno senz'altro scavalcati da uno che era andato via ma anche da uno che l'azienda ha deciso di riavere. Non so com'erano i Tuoi rapporti con questi colleghi ma se tutto era normale, potresTi aver la possibilità di spiegar loro cosa hai fatto e come Ti sei dato da fare.
In ogni caso, la Tua scelta non può tener conto dei loro giudizi che, senza dubbio, non saranno benevoli e che Tu devi accettare. Una alzata di scudi dovrai eventualmente aspettarTela; questo è logico e sicuro. Chi non avrebbe da ridire? Se noi possiamo dar colpa ad altri delle nostre incapacità, uscendone quindi incolpevoli, lo facciamo, eccome!
Veniamo al Tuo curriculum. Ti avevo scritto che non è gradevole vedere una persona che lascia un'azienda, va in un'altra e dopo pochi mesi torna dalla prima. Le motivazioni le ho dette e non le ripeto, tanto le sai. Le cose però non sono più come allora. Ricorderai che avevo anche scritto che diverso sarebbe stato se Tu Ti fossi trovato nella condizione di tornare con una posizione superiore. Ebbene, oggi sei in una terza azienda e torneresTi alla prima con un incarico maggiore. Movimenti di lavoro, a questo punto, accettabilissimi perchè dovuti a responsabilità maggiori e quindi al riconoscimento della prima azienda, del fatto che Tu Te ne eri andato proprio per trovare stimoli nuovi che forse loro non potevano darTi all'ora.
C'è però un altro incomodo, in questa situazione, a cui Tu non accenni: l'attuale azienda con cui collabori da tre mesi. Poveretta, magari pensa d'aver risolto i suoi problemi ed ecco che forse...tutto svanisce. Oltretutto, pur non vendendo la Ferrari ma solo la Punto, tutto sommato Tu Ti ci trovi bene, Cosa diresTi? Me ne torno dal vostro concorrente oppure me ne vado per altri motivi, senza dir altro? Accidenti che pasticcio!
Personalmente, se dovessi andarmene, direi la verità. Mi hanno offerto una posizione che non posso rifiutare. Magari Ti chiederanno le condizioni e cercheranno di contro-offrire. In questo caso presenta sempre condizioni più alte di quelle che effettivamente prenderesTi perchè, se proprio dovessero rilanciare, almeno Ti troverai a fare una scelta guadagnando di più.
E, sempre che Tu voglia andarTene, potresTi anche dir loro che, essendoTi comunque trovato bene nell'ambiente, li aiuterai a trovare un sostituto (magari qualche Tuo ex collega d'ufficio della prima azienda che, sapendo dell'opportunità, Ti ringrazierà d'averglielo detto).
Dici che leggendo i miei post la risposta che darò Ti è già chiara. Non essere tanto sicuro. Non c'è mai nulla di certo. Ogni situazione va vista nel proprio ambito. Ciò che viene detto per una situazione può non valere per un'altra che pare simile.
Io non tornerei, ma io sono io e quando devo valutare una situazione per dare un suggerimento non posso tener conto di come agirei per me ma devo pensare cosa può essere più giusto per la persona che chiede aiuto. Ed eccoci finalmente al suggerimento: analizza bene il contesto aziendale della Tua ex azienda. Tu ne sai più di altri. Conosci il Capo che potresTi avere; conosci l'ambiente, i prodotti, il grado di serietà del management, e sopratutto se, in quella nuova posizione potrai riuscire a trovare quegli stimoli che non avevi più. Se le risposte che Ti darai saranno positive, se fossi in Te, tornerei. Chiedi ovviamente un incontro, facendo capire che non lo chiedi per dire si ma per approfondire le condizioni, il ruolo ed il job. Fatti un tantino desiderare perchè Ti renderà più prezioso. Prometterai poi di pensarci in breve. Volendo potrai anche permetterTi di rilanciare un pochino, ma è un gioco che puoi fare se Ti senti sufficientemente abile nel farlo. Certo è che la nuova mansione deve darTi ben di più della precedente o di quella attuale sia in termini di guadagno che di possibilità future. Le cose si sono mosse per il verso giusto e le situazioni sono cambiate. Patti chiari, comunque. Verifica bene le condizioni e, comunque lascia capire che torni in virtù dell'aumentato incarico, in quanto ritieni che questo Ti dia ciò che in precedenza Ti aveva allontanato: mancanza di stimoli e non volontà di rimanere per scaldare la sedia. (Oltretutto queste motivazioni fanno sempre scena)
Non vedo, nel Tuo caso, negatività a ciò che potresTi decidere di fare proprio perchè tutto si è messo a girare nel modo giusto e si sono avverate le cose di cui avevamo parlato nella precedente risposta.
In ogni caso, qualunque possa essere la Tua decisione, cadrai sempre in piedi. Quindi....cosa vuoi di meglio!
In bocca al lupo.

giovedì 3 dicembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE - decima parte

Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della nona parte


Eppure, spesso, su questo secondo punto si fanno scivoloni spettacolari. Se ci ponessimo per un attimo nei panni del cliente vedremmo che tutto sommato ci piace acquistare perchè l'atto d'acquisto soddisfa il bisogno di avere, che è in tutti noi e ci permette di sentirci anche importanti nel momento in cui siamo noi ad avere il potere decisionale. Se noi fossimo il cliente noteremmo che il venditore che sta di fronte è spesso in posizione di inferiorità psicologica. Un nostro SI o un NO è per lui determinante.”



inizio decima parte



LE MOTIVAZIONI PER L'ACQUISTO

“Dunque – proseguì il venditore guardando il direttore generale estremamente attento - che cosa si aspetta un cliente dal venditore? Si attende che gli vengano date sufficienti motivazioni per convincerlo che, acquistando, farebbe un buon affare. Ecco quindi che cercherà, anche se ormai convinto, di fare domande (classicamente definite obiezioni) per ottenere ogni sorta di rassicurazione sul fatto che, acquistando, non sbaglierebbe. Il venditore dovrà far capire al cliente che quanto gli sta offrendo sarà utile ai suoi clienti perchè li aiuterà a risolvere i loro problemi. La vendita che il cliente farà, porterà vantaggi ai suoi clienti e guadagni a lui...”
“C'è qualcosa che forse mi è sfuggito – disse il direttore generale – non aveva detto che oggi i clienti sono attirati solo dal prezzo e non sono interessati ad altro? Ora mi sembra che quanto ha detto poco fa sia in contraddizione...o sbaglio?” domandò incuriosito
“No, è vero che ho affermato quanto lei dice - rispose il venditore – ma la cosa è un po' più complessa.


PREZZO E QUALITA'

“Vede – proseguì il venditore – il cliente discute solo il prezzo quando, conoscendo l'azienda e la qualità solita che produce, sa che sui quei primi due punti può star tranquillo. Mi spiego meglio: sapendo che l'azienda non lo ingannerà mai su questi, inizierà a discutere del prezzo. Ma, se facciamo attenzione, vedremo che l'argomento prezzo viene sempre dopo. Quando il venditore parla di prezzo il cliente è già certo di star trattando con un'azienda seria. Un'azienda sconosciuta che si presentasse da quello stesso cliente con uno strepitoso prezzo, non otterrebbe nulla. Il cliente vedrebbe il prezzo basso come possibilità di prodotto scadente. Su questo punto, però, dovremmo discutere a lungo e possibilmente in presenza dei suoi venditori, in aula. Diciamo – proseguì il venditore alzandosi ed avvicinandosi alla finestra per sbirciare fuori – che in questo momento stiamo cercando di costruire il profilo di un buon venditore. Come, cioè, un venditore dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare. Nella preparazione alla visita – disse ancora il venditore tornando a sedersi – al di là del conoscere bene il cliente dovrebbe, appunto, saperlo valutare preparandosi valide motivazioni per convincerlo ad acquistare. Sa una cosa? - domandò il venditore al direttore sempre più attento – Il cliente è curioso. Lui sa che il venditore lo visita portandogli delle cose nuove e, anche se non sembra credibile, è sempre ben disposto ad ascoltare. Molti credono che per i clienti il tempo passato con i venditori sia tempo perso e che il loro maggior desiderio sia di chiudere velocemente la visita. Non è affatto vero. Per il cliente, il venditore è colui che porta le novità; colui che dà informazioni del mercato ed un incontro è sempre un modo per tenersi aggiornati e spesso è anche un momento di relax per fare quattro chiacchiere serene con chi, alla fine, è anche amico. Pochi pensano a questo, eppure dovrebbe essere o potrebbe essere un punto di forza del venditore che, spesso, non riesce a sfruttare. Vuole saperne un'altra? - domandò il venditore ad un direttore piuttosto corrucciato.
“Mi dica. Mi dica – rispose - me ne sta dicendo tante che metà basterebbero. Egoisticamente mi auguro che i miei concorrenti non la conoscano e non mmettano in pratica i suoi consigli, altrimenti per la mia azienda sarebbe la fine....”
“Ma no, per carità! In questo momento, forse, ma tra qualche tempo penso che la sua azienda tornerà a battere la concorrenza. Non si preoccupi! Lei è troppo motivato a capire e questo è l'inizio giusto per un cambiamento positivo. Stia ora attento a quanto le dico: il cliente ha bisogno del venditore più di quanto il venditore stesso non pensi. Nessuno può vendere se non acquista e non acquista se non dopo aver raggiunto la certezza di soddisfare dei bisogni. Questi meccanismi non funzionano o funzionano molto male in assenza di un venditore che dia ogni chiarimento ed ogni rassicurazione. Eppure anche questo è scarsamente considerato da chi va a vendere. Vi è quasi una inconscia incapacità a prendere atto del proprio ruolo e dell'importanza che riveste. Quante armi e quante possibilità ha il venditore e quante poco ne usa! E con questo, almeno per il momento, abbiamo chiarito cosa il cliente si attende da chi ha di fronte.”
Alzandosi ed avvicinandosi alla porta interna, chiese al direttore generale: “che ne dice di un buon caffè?”
“Ottima idea – rispose il direttore. A questo non rinuncio mai”
Il venditore chiamò la segretaria.


COSA OFFRIRE AL CLIENTE

“Veniamo ora al terzo punto importante della nostra preparazione alla visita: che cosa possiamo offrire noi al cliente. Ebbene, per rispondere a questo terzo punto occorre prima avere ben chiaro in mente che nessuno, dico nessuno, compra un prodotto per le qualità che possiede, ma solo perchè questo risponde ad un bisogno. Certo, il venditore deve parlare anche e sopratutto della qualità se il cliente già non la conosce, ma solo dopo che avrà convinto il cliente che quel prodotto risolve un suo problema. La prego, lo tenga sempre bene a mente perchè anche questo è un punto molto trascurato da parte dei venditori. Ascolti: io acquisto un abito perchè ne ho bisogno. Poi, cercherò anche la migliore qualità, sempre proporzionata a quanto posso o voglio spendere.



Fine decima parte

martedì 1 dicembre 2009

CASSETTA DELLE IDEE

Antonio F. Udine


Leggo da tanto questo blog e ne sono entusiasta. Per questo, avendo oggi motivo di chiedere una cosa lo faccio con voi.
Nell'azienda dove lavoro come operaio è stata messa una cassetta delle idee dove ognuno può inserire ciò che vuole. Idee e suggerimenti per lavorare meglio.
I miei compagni di lavoro vorrebbero scrivere qualcosa ma non sanno come e se sia giusto farlo. Io ho alcune idee ma mi domando se sia giusto dirle. Penso cioè che sia un sistema per ottenere gratis dei suggerimenti che se chiesti al di fuori dell'azienda avrebbero un costo mentre a noi probabilmente ci verrebbe una stretta di mano. Però a guadagnarci alla fine sarebbe solo la proprietà.
Potete dirmi cosa ne pensate?
Grazie


Mio caro Antonio,
grazie dei complimenti che fa e che ormai aprono tutte le lettere in arrivo, seguendo una moda radiotelevisiva, quasi a volersi far benvolere.
Non c'è bisogno di questo. Lo dico a LLei ed a eventuali altri. Noi rispondiamo a tutti nel tentativo di essere utili e dare una mano a risolvere qualche problema. Quindi, anche se non ci fossero i complimenti, va assolutamente bene ugualmente.
E veniamo alla cassetta delle idee che, di tanto in tanto, viene rispolverata dalle aziende. Finirò per divenire antipatico ma quando vien tirata fuori c'è sempre sentore di qualcosa dietro, come se si fosse costretti.
Che dire? Ha in parte ragione. Se i suggerimenti dati venissero dall'esterno certamente avrebbero un costo ed anche piuttosto alto. Tentare di averli gratuitamente....costa meno! A volte le aziende arrivano ad un punto morto. C'è qualcosa che non va ma non si capisce. I costi sono alti ma non si sa perchè. Il processo produttivo è lento ma non si intuisce come migliorarlo. Ci sono operazioni difficili e lunghe che non si sa come abbreviare. La gestione in ufficio è problematica e con molta burocrazia ma non ci sono idee o visioni per modernizzarla. Insomma, c'è sempre qualcuno che, in una riunione se ne esce con l'unica idea innovativa e creativa: “perchè non creiamo una cassetta delle idee dove chiunque, se vuole, può inserire la propria per migliorare il lavoro?”
Ed è anche l'unica idea, probabilmente, di quella riunione, su cui tutti concordano felici. Finalmente qualcosa è stato trovato.
Tutti i giorni poi l'addetto alla raccolta va a spiare per vedere se qualcuno ha depositato l'idea risolutiva e se va bene, in tutta la durata in vita della cassetta, si potranno ritirare un paio di foglietti striminziti con sopra scarabocchiati pochi suggerimenti che, dal punto di vista del suggeritore sono vissuti come geniali e da chi li legge, semplicemente cose risapute.
Questo avviene perchè nel meccanismo classico mentale dell'ideatore della cassetta, si sviluppa la paura che ad idea buona ed eventualmente accettata si debba pagare. E nulla è peggio che pagare un'idea. Quanto vale? Ed è giusto pagarla? Se è un dipendente a suggerirla, non fa parte del proprio lavoro nell'ambito aziendale la collaborazione affinchè tutto l'ambiente abbia a migliorare e svilupparsi? Eppoi, perchè dare qualcosa solo per il fatto che qualcuno si sia messo a scarabocchiare su un foglio qualcosa che lo ha impegnato per qualche minuto? Magari minuti facenti parte dell'orario di lavoro. E che cosa direbbero gli altri se un collaboratore, solo perchè ha suggerito qualcosa, dovesse avere più di loro? Un aumento? Non se ne parla. Un una tantum? Di che entità? Mamma mia quanti problemi per aver chiesto quello che di norma andrebbe dato gratis. Insomma, facciamo così: una pacca sulle spalle ed eventualmente un caffè alla macchinetta. Tanto, non è che chi ha avuto l'idea si sia rovinato a darla.
I Suoi colleghi sono restii a dare idee ed anche Lei, a quanto scrive, non sa che fare. Personalmente ritengo che la cassetta delle idee possa essere un'idea ottima se dietro c'è davvero un progetto azienda/dipendenti; un inizio di una collaborazione estremamente aperta in cui tutti devono tirarsi su le maniche per trovare come far andar meglio qualcosa che non va. Proprio per questo, andrebbe premiato in qualche modo ogni suggerimento, rendendolo pubblico magari attraverso una riunione. In quel contesto, l'ideatore dovrebbe avere la possibilità di parlare e spiegare bene i motivi del suggerimento ed anche i miglioramenti che questo porterebbe.
Dovrebbe poi essere istituito un piccolo gruppo di analisi del suggerimento per definirne la fattibilità. Questo gruppo dovrebbe coinvolgere il Capo del settore interessato al suggerimento, un esperto aziendale, l'ideatore dell'idea ed un paio di altri collaboratori scelti a caso tra coloro ritenuti “costruttivi” anche se totalmente estranei al settore.
Facciamo un esempio: un operaio ha un suggerimento. Il gruppo dovrebbe essere presieduto dal Direttore di produzione, eventuale il Capo Fabbrica, un esperto Amministrativo per l'analisi dei costi, l'ideatore ed altri due impiegati. In pratica, il gruppo deve tendere a sviluppare l'idea per renderla applicabile sia in termini produttivi che con i costi. I due impiegati “extra” sono coloro che, nulla o poco capendo del settore, possono intervenire con domande banali, se si vuole stupide, al fine di smuovere o trovare vie diverse alle soluzioni che, se pensate e date da persone del settore, spesso riescono poi per contenere difetti di applicazione.
Diciamo cioè che dovrebbe nascere un piccolo brainstorming in cui tutti possono dire la loro col fine di arrivare a sviluppare al meglio l'idea.
Quindi, l'idea della cassetta, se vista in questo modo può essere utile. Se vista solo nel modo come prima l'ho descritta, crea fastidi e, lo dico sottovoce, spesso nelle aziende si creano fastidi.
Va dunque fatto il suggerimento? Io lo farei per il gusto di farlo, non con l'intento di ottenere qualcosa che, se viene sarà una gradita sorpresa, ma se non dovesse venire, non era questo lo scopo. Vede, Antonio, ho più volte detto che difficilmente le idee sono di una sola persona. In questo stesso momento, nel mondo, decine di persone stanno probabilmente pensando di sviluppare un nuovo progetto. L'idea è nella testa di molti. Qualcuno si ferma a riflettere; un altro va avanti deciso. Un terso pensa a raccogliere fondi prima di sviluppare l'idea ed un altro ancora vuole rifinirla prima di portarla avanti. Poi, all'improvviso queste persone apriranno un quotidiano ed un giorno vedranno che qualcun altro ha avuto la loro stessa idea. Peccato. Nemmeno la soddisfazione di essere stato il primo ad esporla.
Questo per dirLe che se Lei ha un'idea per qualcosa di utile, il non dirla non porta vantaggio a nessuno. L'azienda non sa che può contare su qualcuno con idee e Lei, se se la tiene, comunque non incamera nemmeno un grazie.
Se poi il dirla migliora il lavoro, verrà migliorato anche l'ambiente e ne godrà anche Lei. E se l'azienda dovesse guadagnarci e finisse per “fischiettare guardando in alto” , pazienza. La brutta figura non la farebbe Lei.
Cordiali saluti.

domenica 29 novembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE parte nona

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE


Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della ottava parte


“Si, probabilmente si – riprese il venditore – ma desidero essere davvero molto chiaro perchè sono i particolari che costruiscono un insieme affinchè sia chiaro. Bene, dopo questa perfetta preparazione degli strumenti entrammo dal cliente e dovetti assistere a qualcosa che, ci creda o no, è facile trovare nei venditori. Una presentazione delle novità senza un argomentazione di supporto che motivasse il cliente ad acquistare il nuovo prodotto al posto di quello in listino, ormai obsoleto. Era un venditore che io chiamo “su domanda”.



Inizio nona parte


“Il cliente domanda ed il venditore è pronto, anche in modo assolutamente corretto, a dare le risposte. Questo è ciò che io chiamo “venditore a domanda”. Ebbene, il cliente fece non so quante domande di chiarimento relativamente al nuovo prodotto, a cui il venditore seppe rispondere, seppur con la difficoltà di chi non fa uso degli strumenti adatti. Su gli altri prodotti in riordino il venditore riuscì anche a commettere qualche errore madornale ma, anche in questo caso, mi creda, errori molto comuni nelle formazioni di vendita. In pratica si ritrovò più volte a chiedere che giacenze aveva di un tal o tale altro prodotto che mai il cliente aveva acquistato. Ecco, le ho detto alcuni tra i più nanali errori degli uomini di vendita....”
“Mi dica com'è andata a finire perchè mentre parlava ho visto nella mia mente alcuni miei uomini fatti in questo modo. Ma li vedo ora che lei mi ha spiegato....” interruppe il direttore generale.
“Beh, è andata a finire che ho ricostruito i due venditori, rammentando ad ognuno le loro visite, attimo per attimo, punto per punto, facendo loro prendere coscienza delle mancanze. Il pratica, il primo venditore affidava tutto il risultato della visita alla sua capacità di argomentazione, senza far alcun uso di campionari. Il secondo, sapeva d'aver delle difficoltà di esposizione, tanto per intenderci, di parlantina, e quindi affidava il buon esito della vendita ad una perfettissima presentazione del materiale a cui contemporaneamente faceva mancare le argomentazioni, limitandosi solo a rispondere alle domande poste dal cliente”


UNA MANCATA PREPARAZIONE

“Commettevano entrambi l'errore di una mancata preparazione della visita sotto gli aspetti delle loro mancanze. In pratica, ognuno aveva ciò che mancava all'altro. Risolto il problema, oggi sono i migliori venditori di quell'azienda. Da soli non sarebbero mai riusciti a correggere i rispettivi difetti. Sempre occorre qualcuno che parlando faccia prendere loro atto dei difetti. Solo in questo modo e solo dopo che ne hanno preso atto, possono cambiare. Pensi – proseguì il venditore – che molte vendite sono destinate al fallimento ancor prima di iniziare, proprio per queste situazioni che vanno al di là dell'immagine della persona, della capacità di parlare, di presentarsi o di saper catturare l'attenzione. Su questo le aziende dovrebbero riflettere a fondo...”
“Me ne rendo conto – disse il direttore generale – ma su questo punto....può darmi ancora riferimenti...come dire, più decisivi...? “
“Certo – disse il venditore – e lo farò. Eccoli. Nella pianificazione della vendita, oltre ad una preparazione approfondita del materiale di presentazione, come campioni, strumenti, scheda ed altro ancora, va preparata, come ho detto, la visita a livello mentale.


CINQUE PUNTI ESSENZIALI

“In pratica, del cliente che ci si appresta a visitare, si devono aver chiari quattro punti essenziali:

chi è
cosa si aspetta da noi
cosa possiamo offrirgli
come possiamo offrirlo.

Questo, per arrivare all'obiettivo vero, il quinto punto:

cosa vogliamo alla fine ottenere
Non è poi molto, vero? Solo che la maggioranza dei venditori ignora qualcuno di questi punti e molti venditori li ignorano tutti. Ed il risultato è, ovviamente, la crisi della vendita.
Ora, è pronto a seguirmi su questi cinque punti? Ecco, se mi da solo il tempo di scrivere sul mio foglietto promemoria un piccolo riferimento, parliamo subito dei punti in questione. Che ne dice?” - domandò, e prese il foglietto sul tavolo per scrivere il nono punto che aveva in testa.


Il venditore deve:
1)far sentire il cliente a proprio agio.
2)conoscere bene ciò che vende
3)poter vedere come nasce un prodotto
4)sentirsi fortemente coinvolto nell'azienda
5)realizzare comunicazioni il più possibile legate contemporaneamente alla vista ed all'udito.
6)saper argomentare e vendere la qualità dei propri prodotti
7)preparare le tracce delle argomentazioni
8)dare risposte chiare alle obiezioni
9)preparare la visita e pianificare il risultato che si vuole ottenere.


Fatto questo, il venditore depose il suo foglio sul tavolo e riprese:
“Vediamo il primo dei cinque punti di cui le ho parlato: sapere chi è il cliente - proseguì il venditore. Pare banale ma può essere più importante di quanto non si pensi, conoscerlo in modo approfondito. Il suo modo d'agire; di pensare; i suoi problemi sul lavoro o, perchè no, nella vita; le sue necessità; il suo potere decisionale nell'ambito della struttura in cui opera e...perchè no? Una piccola chicca di grande importanza che pochi usano: conoscere la sua data di nascita.


CONOSCERE IL CLIENTE

“Conoscere la sua data di nascita è importante ? – interruppe il direttore generale piuttosto sorpreso.
“Certo che lo è. Lei non può immaginare il valore di un biglietto personalizzato di auguri inviato dal venditore...ma su questo torneremo più avanti. E' essenziale iniziare a conoscere il cliente che si ha davanti. Troppe volte vanno in fumo trattative e vendite solo perchè non si conosce bene chi si ha di fronte. Poter fare una scheda con questi dati, che sembrano sciocchi, ma solo per gli sciocchi, può dare vantaggi incredibili.....”
“Si, ora me ne rendo conto – disse il direttore generale – Credo che lei voglia dire che tutti noi, spesso, ci affidiamo alla nostra capacità di improvvisazione o a una nostra sicurezza interiore che ci fa pensare di saper raddrizzare una situazione strana mentre, se fossimo più preparati....”
“Non c'è dubbio – proseguì il venditore – e con la conoscenza di questo primo punto abbiamo maggiori possibilità di poter rispondere anche al secondo e cioè: che cosa si aspetta il cliente da noi. Sembra facile, vero? Eppure, spesso, su questo secondo punto si fanno scivoloni spettacolari. Se ci ponessimo per un attimo nei panni del cliente vedremmo che tutto sommato ci piace acquistare perchè l'atto d'acquisto soddisfa il bisogno di avere, che è in tutti noi e ci permette di sentirci anche importanti nel momento in cui siamo noi ad avere il potere decisionale. Se noi fossimo il cliente noteremmo che il venditore che sta di fronte è spesso in posizione di inferiorità psicologica. Un nostro SI o un NO è per lui determinante.”


fine nona parte

giovedì 26 novembre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE - ottava parte

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE


Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.
La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.


Ultime righe della settima parte


“Già – disse il direttore generale – allentandosi la cravatta – ora capisco cosa è accaduto anche nella mia azienda. Forse non ci siamo nemmeno trovati in questa situazione perchè, ad onor del vero, io non ho mai insegnato a vendere diversamente da come facevo io, ma abbiamo probabilmente subito la situazione.”



inizio ottava parte


“Ricordo – proseguì il direttore generale - che il mio voler operare puntando sulla qualità, indipendentemente dai costi, trovò ostacoli infiniti. Mi sembra ancora di udire le richieste pressanti da parte del settore commerciale quando veniva detto alla sede che non era più possibile interessare i clienti e vendere perchè la concorrenza abbassava i prezzi ed i clienti acquistavano altrove. Resistetti non poco ma quando il direttore vendite insistette facendomi vedere gli andamenti, cedetti. Feci studiare, mio malgrado, tecniche produttive atte a risparmiare e feci cercare componenti dal costo inferiore....Sia chiaro, sempre meglio degli altri, ma anche per noi meno di prima”
“Mi rendo conto – interruppe il venditore – che era difficile resistere davanti ad una massa di simile portata. E' avvenuto un cambiamento enorme. Una politica di vendita diversa avrebbe dovuto prevedere anche e soprattutto una preparazione diversa della rete commerciale, a cui le aziende avrebbero dovuto porre rimedio con una nuova formazione adeguata, invece...l'ultima cosa a cui si è pensato e si pensa è sempre l'aggiornamento degli uomini. Ecco, questa è la storia. - disse il venditore allungandosi sulla poltrona su cui s'era seduto. Poi continuò - Lunga ma andava ricordata per capire meglio le difficoltà che oggi troviamo negli uomini di vendita. Ed ora, possiamo anche riprendere la nostra chiacchierata per identificare la figura del venditore ideale iniziando proprio dalla preparazione della visita. Se mi segue, forse avrà un aiuto per risolvere i suoi attuali problemi, ma che ne dice se ne parliamo dopo un buon caffè? - e così dicendo chiamò la segretaria.
“Ottima idea – rispose il direttore – un buon caffè non si rifiuta ed aiuta a ragionare meglio perchè ciò che ha detto poco fa abbisogna di un attimo di riflessione. Pensavo di sbrogliare la matassa dei miei problemi ma oggi mi pare ancor più ingarbugliata. Meno male che lei mi dice che tutto questo mi sarà d'aiuto per risolvere i miei problemi...”
“E' naturale – rispose sorridendo il venditore – uso la tattica dei consulenti. Se non creiamo problemi, come facciamo a risolverli? Anche noi dobbiamo mangiare, non crede?”
La risata esplosiva del direttore generale colse di sorpresa la segretaria che stava portando loro il caffè.
“Vede – proseguì il venditore – la preparazione della vista è forse il momento più importante di tutta l'azione di vendita. Del resto, non si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera? Vale anche in questo caso: il venditore che pianifica bene la visita sarà notevolmente avvantaggiato.”


UN MOMENTO DI RIFLESSIONE

“La preparazione non è solo relativa agli strumenti di lavoro ma va anche intesa come momento di riflessione. Pochi pensano a questo. Spesso i venditori, riferendosi alla preparazione, intendono voglia dire voler dare un'occhiata se la borsa o il computer contengono i dati che servono; se il campionario è pronto e cose del genere. Non penano che la preparazione significa anche preparare la testa alla visita. Le racconto un fatto che spiega molto bene il problema della preparazione. Mi sono trovato poco tempo fa ad analizzare i comportamenti di alcuni venditori. Un giorno mi capitò di uscire in training con uno di loro. Bella presenza, parlantina sciolta, capacità di argomentare....insomma, per certi versi un venditore che non avrebbe dovuto aver problemi. Durante la prima visita notai che eravamo arrivati in presenza del cliente, senza la borsa. Si, proprio la borsa; la classica, vecchia e scontatissima borsa del venditore. Non dissi nulla ovviamente ma attesi di analizzare e verificare l'andamento della trattativa che iniziò bene ma continuò con una certa difficoltà. Pensi che il venditore doveva, proprio in quel giro, presentare un nuovo prodotto. Prima di incontrare il cliente, in mia presenza si diede ad analizzare la scheda, calcolò il da farsi; si rinfrescò la memoria su alcuni dati importanti da ricordare;si diede un obiettivo ed entrammo. La sicurezza interiore di quella persona gli faceva credere di essere assolutamente capace di argomentare comunque una buona vendita, basandosi e mostrando il nuovo prodotto usando il catalogo fotografico che appariva sul personal. Vede – proseguì il venditore – già non credo assolutamente alle presentazioni multimediali fatte ai clienti perchè distraggono ed i clienti, guardandole, tutto pensano fuorché a quanto vorremmo pensassero. Ma così è, e se le aziende vogliono perdere vendite sono ben libere di farlo. Dunque, io vedevo la difficoltà del cliente ad accettare le pur ottime argomentazioni verbali senza poter materialmente vedere l'oggetto che avrebbe dovuto acquistare. Una delle più grosse armi della vendita è di usare e sfruttare il maggior numero di possibilità a disposizione. In quel caso, se ci pensa – proseguì il venditore - anzhè usare le tre armi : udito, tatto e parola, il venditore ne sfruttò solo due. Aveva deciso che poteva fare a meno dell'arma del “tatto”. Invece è molto importante mostrare e far toccare al cliente l'oggetto che gli si vuole vendere, proprio mentre se ne parla ed il cliente ascolta. In quel caso il cliente ascoltava e guardava una bella foto sullo schermo di un personal! Il quadro non era completo. Sarebbe stato evidente a qualsiasi osservatore”



ALTRA SITUAZIONE

Mi ritrovai pochi giorni dopo con una situazione diametralmente opposta. Un venditore, per certi versi modesto, insicuro come la maggioranza dei venditori; timido quanto basta per apparire falsamente estroverso. Questo venditore, prima di visitare il cliente, passò cinque buoni minuti a svuotare la borsa campionario ed a riempirla con ogni campione che riteneva potesse essergli utile. Con molta pignoleria si mise a controllare ogni oggetto, passandolo tra le mani per verificare che fosse perfetto, presentabile senza dar adito ad obiezioni. Mi disse anzi – proseguì il venditore - che questo era molto importante e che mai avrebbe presentato un campione danneggiato o che mostrasse l'usura di quei giorni di vendita.”
“Lei mi tiene sempre sulle spine – interruppe il direttore, muovendosi sulla poltrona ed accavallando le gambe.
“Si, probabilmente si – riprese il venditore – ma desidero essere davvero molto chiaro perchè sono i particolari che costruiscono un insieme affinchè sia chiaro. Bene, dopo questa perfetta preparazione degli strumenti entrammo dal cliente e dovetti assistere a qualcosa che, ci creda o no, è facile trovare nei venditori. Una presentazione delle novità senza un argomentazione di supporto che motivasse il cliente ad acquistare il nuovo prodotto al posto di quello in listino, ormai obsoleto. Era un venditore che io chiamo “su domanda”.



Fine ottava parte

martedì 24 novembre 2009

VISITE A CLIENTI

Maurizio (loc. n.c.)

Buongiorno
sono un giovane venditore  di prodotti  tecnologici per l'industria  (sensoristica per l'automazione per essere precisi). Nella mia  breve esperienza ho avuto modo di cambiare due aziende concorrenti nel settore ed in entrambe mi sono imbattuto in quella che è una gestione piuttosto rigida del numero di visite ai clienti. Per essere più preciso a fronte di una giornata in ufficio, per contattare i clienti, vengono richiesta 20 visite nei restanti 4 giorni. Questa rigidità, unita alla oggettiva difficoltà del riuscire a completare il numero di visite richiesto, porta spesso a dover "forzare" delle visite o peggio ancora a mentire sul database, se uniamo a questo il fatto che spesso i responsabili affiancano i venditori nella visite dando un preavviso quasi nullo, ho notato in queste due società lo stesso esagerato tourover dei venditori unito ad una situazione di forte
stress degli stessi. Mi domando, quale deve essere il numero "giusto" di visite,  ma soprattutto deve  essere fissato per legge? Io credo che questo sistema porti più danni che vantaggi reali. Per completezza, avendo letto che a volte il numero di visite è legato al costo del prodotto, Le dico che questo varia dai 100 ai 2000 euro.
Grazie in anticipo



Caro Maurizio,
la tematica del numero visite varia ovviamente da azienda ad azienda, dai prodotti offerti, dalla difficoltà di presentazione, dalla distribuzione dei clienti sul territorio e dalla loro reperibilità o problemi di raggiungimento. Non c'è però assolutamente nessun raggiungimento che sia di “legge”. Questo non esiste, a meno che Tu non voglia dire se l'azienda può obbligare i venditori alle visite che ritiene. In questo caso la risposta è si. Può chiedere ciò che vuole. Poi sta nell'elasticità dei Capi capire il giusto.
Devo dirTi subito che la rigidità nel numero visite da eseguire è “abbastanza” la norma. Teoricamente essa dovrebbe derivare da l'esperienza di precedenti venditori o meglio ancora da personale direttivo che in precedenza svolgeva il compito e che quindi conosce ciò che può essere fatto. Se ben capisco Tu parli di una parte di lavoro svolto in ufficio e 4 giorni in esterno in cui fare 20 visite globali. In pratica 5 visite al giorno. Accidenti! Mi tocca fare il medico per corrispondenza senza avere indicazioni e questo è un po' difficile. E' come se andassimo dal medico e gli dicessimo: “Dottore, non sto bene. Indovini lei cosa ho!” Capirai che senza le indicazioni di base devo obbligatoriamente presupporre ma ciò che dirò può non esser assolutamente abbinato al Tuo caso. Con estrema sincerità Ti dirò che, se i clienti sono facilmente raggiungibili e non necessitano ore di trasferimento dall'uno all'altro, cinque visite al giorno non dovrebbero essere impossibili. Mi prendo però il beneficio d'inventario, nel senso che non conoscendo i prodotti e la trattativa di vendita, non posso andare oltre.
Una buona norma, nel Tuo caso, è di pianificare tre visite al mattino e due al pomeriggio. Il mattino è sempre più proficuo. Sempre di norma, la prima visita dovrebbe essere pianificata presto. Alle 8 o comunque quanto prima, con disponibilità del cliente, in modo che rimanga poi il tempo per raggiungere gli altri. Anche l'itinerario dovrebbe essere seguito con logica; ma credo di dirTi cose che Tu saprai già molto bene e che, qualche volta, non è possibile seguire. Ma qui sono già in difficoltà. Vi sono visite fatte esclusivamente su appuntamento ed altre che invece vanno fatte senza alcun vincolo. Le prime sono piuttosto vincolanti e possono creare intoppi, le altre invece permettono maggiore elasticità. Poi, ad esempio, e credo di averne già parlato anche più volte in risposte che puoi trovare in archivio, va gestito il tempo visita. Anche su questo avrei potuto darTi un aiuto ma non dandomi informazioni, non posso. Molto spesso i venditori no sanno gestire il tempo da dedicare alla singola visita. Così si perde molto tempo senza accorgersene. Si è prolissi quando non serve o si chiude su qualcosa su cui sarebbe stato utile dilungarsi. Insomma, la gestione del tempo è ovviamente una buona base per poter tenere il passo. Purtroppo è una parte di lavoro che va proprio analizzata dal trainer direttamente in affiancamento per poter dire se è tutto corretto o no.
Anche il piano visite deve avere un proprio personale budget di raggiungimento. Parlo di un piano Tuo. Se ad esempio, un giorno, per qualche fortuito motivo, tutte le cose vanno per il verso giusto e Ti ritrovi ad aver fatto le cinque visite e ad avere ancora tempo, portati in anticipo sul giorno successivo e cerca di fare la sesta. Il giorno successivo sarai al sicuro da eventuali problemi ma se anche quel giorno Tu potessi farne cinque, lavorerai sempre con un margine di sicurezza per il domani.
Non so gli orari che Tu hai ma sappi che il venditore non ne può avere. Può benissimo iniziare più tardi di un impiegato ma dev'essere anche disponibile ad iniziare ben più presto ed a finire dopo. Certo è che se ci si deve trovare dal primo cliente per le 8 e c'è un trasferimento da effettuare è chiaro che l'alzata dal letto dovrà essere ancora col buio.
La rigidità del numero visite ha anche altri risvolti. Spesso si chiede al venditore di effettuare 5 visite al giorno perchè quantomeno si può contare sul fatto che ne faccia di media 4,5. Se si lasciasse libero il numero, credimi, scenderebbero subito a 3.
Lo stesso numero poi è soggetto a valutazioni di fatturato. Se Tu facessi una visita al giorno con un fatturato pari a 10 visite, nessuno avrebbe da obiettare o quasi. Dico quasi perchè ci sarebbe comunque qualcuno che direbbe che Tu, se fai quel fatturato con una visita, se ne facessi 2 sarebbe il doppio!
C'è del vero nel fatto che la visita sia legata non tanto al prodotto quanto al fatturato che da esso scaturisce. Il venditore ha un costo e questo costo deve necessariamente ritornare. L'azienda può calcolare il margine che deriva dal prodotto e vedere quante visite, o meglio quanto fatturato per visita deve nascere, per poter pagare le spese di vendita.
Capirai anche Tu che se si deve dare uno stipendio ad un venditore e costui a fine mese ha procurato un fatturato al di sotto delle sue spese, la cosa non può essere profittevole. Ecco quindi che si cerca di trovare una soluzione mediata. Si calcola un certo numero di visite perchè si ritiene che facendole ne derivi un fatturato equo da pagare le spese e da portare utili.
La storia di vendita insegna che, statistiche alla mano, aumentando le visite tende ad aumentare anche il fatturato che da queste scaturisce. Poi si può essere d'accordo o meno, ma una certa logica di base purtroppo c'è ed è evidente.
E veniamo al solito vecchio trucco del fingere d'aver fatto visite che non si sono potute fare. Il venditore le fa e l'azienda, quasi sempre, sa che il venditore le fa. Però, sino a quando le cose non sono dette e non sono chiare, c'è sempre il dubbio che non avvenga. Se tutti i venditori che non riescono a raggiungere il numero di visite desiderate, davvero lo dicessero, probabilmente l'azienda si troverebbe ad analizzarne i motivi, trovando eventuali soluzioni.
Devo farTi una domanda a cui Tu solo puoi dare risposta. Quando esce il personale direttivo in affiancamento, riesci a fare cinque visite? Perchè se in quei giorni ci si riesce....è più difficile dire di non riuscirci negli altri giorni. Poi: quando esce il Tuo Capo con Te, come va il fatturato rispetto agli altri giorni? E' uguale, più alto, più basso? Se si facessero 5 visite con fatturati più bassi della media, significherebbe che la forzatura per arrivare al numero visite porta via tempo per la trattativa e quindi al fatturato.
Certo è che, se quando esce il Capo, le visite arrivano a malapena a tre o quattro in modo sistematico, è ben difficile pretenderne di più, e dovrebbe essere più facile per i venditori chiedere (tutti assieme) maggiore elasticità. Sappi comunque che si può chiedere maggiore elasticità offrendo in cambio lo stesso fatturato, altrimenti il gioco non vale. Se so di poter fare quattro visite garantendo il fatturato che solitamente raggiungo con cinque, posso anche proporlo.
Non so, perchè non ne parli, di quello che forse è la parte più importante di tutto: la preparazione. L'azienda vi tiene preparati e vi aggiorna sulle tecniche di vendita? Vi ha dato informazioni su come preparare la visita e su come visitare il cliente ben a conoscenza di tutto? La preparazione fa risparmiare molto tempo e va fatta la sera precedente. Su questo, se vuoi puoi prendere spunti da “Il profilo del buon venditore”. Arrivare alla visita con le idee chiare da maggior sicurezza.
Tu scrivi che spesso i Capi escono con preavviso quasi nullo. Non è un buon metodo, anzi sarebbe da deplorare perchè nasce da ignoranza, da incapacità a gestire se stessi e gli altri ed anche dalla mancanza di rispetto verso il lavoro dei collaboratori. Se così avviene significa che costoro non sono essi stessi preparati a gestire personale. Un coordinatore dovrebbe pianificare le visite sul campo preavvisando la settimana precedente e decidendo in anticipo i giorni di uscita.
Le improvvisazioni sanno sempre tanto di incapacità a gestire anche se stessi; figurarsi gli altri. Il venditore deve operare sempre nella massima tranquillità. I giochini delle improvvisazioni possono effettivamente creare stress. Come sempre però devo vedere i due lati della faccenda ed allora Ti dirò che un venditore che sa il fatto suo e che non ha nulla da nascondere, se ben preparato non deve assolutamente avere alcun problema (ne farsene) se il Capo, pur con ineducazione, arriva improvvisamente. E' solo un fatto di gestione di rapporti interpersonali che un Capo dovrebbe ben conoscere. Tutto qua.
Infine mi dice che nell'azienda c'è un esagerato turn-over. La cosa dovrebbe preoccupare i vertici a meno che...i vertici non lo vogliano. Vi sono aziende, sopratutto piccole, che tendono a sfruttare l'entusiasmo dei venditori all'inizio. Solitamente per far bella figura il nuovo venditore ci dà dentro ed ottiene di più. Poi col tempo si adagia un po' ed allora, se anche se ne va, non è un problema.
E' sbagliato, fortemente sbagliato, ma ci sono aziende che operano ancora così.
Che dirTi quindi, Maurizio? Relativamente a Te, se puoi, creaTi un Tuo budget di visite, inizia presto al mattino e cerca sempre di recuperare una visita in più. Datti l'obiettivo ed insisti. Tieni sotto controllo i fatturati. Se fatturi bene, saranno accettate anche meno visite ma sappi che il numero, aiuta sempre. Non è il numero visite che conta ma quanto da queste tiri fuori. Se Tu Ti mettessi in testa che devi fare 6 visite al giorno, indipendentemente da ciò che vuole l'azienda, vedrai che 5 le fai senz'altro e probabilmente arriverai nel tempo anche a 6. Lavora serenamente, sii calmo, propositivo col cliente, sorridente, professionale, disponibile e...qualche forzatura di fatturato lo puoi anche chiedere al cliente. Se Ti ordina due pezzi portalo a ragionare sino a quando non arriva a 3. E' in questo modo che si aumenta il fatturato per visita. Non dimenticare poi di uscire dalla visita senza aver parlato di tutto quanto può esser utile al cliente. Ricordargli prodotti che ha acquistato può servire per verificare in magazzino.
E poi, che ci sia il Capo o no, poco importa. Impara a lavorare per Te. Immagina d'essere il Direttore di Te stesso. Ti fai il piano, cerchi di portarlo avanti; Ti dai degli obiettivi “sempre ambiziosi”, e non molli sino a quando non hai raggiunto ciò che volevi. All'ora vedrai che soddisfazione! Ti sembrerà d'essere su un altro piano.
Ciao, e se vuoi, riscrivi.

domenica 22 novembre 2009

ESPORTARE IN CINA

Carlo Torino

buongiorno,
Innanzi tutto vorrei congratularmi con Voi per l'aiuto che date a molti giovani, aiuto che oggi è sempre più difficile da trovare (gratis ovviamente!!) Vengo al dunque...ho bisogno di un aiuto sul "come si fa"! mi spiego: un conoscente, durante i suoi innumerevoli viaggi in Cina per lavoro, e venuto in contatto con alcuni titolari e direttori di ristoranti di livello medio-alto, i quali gli hanno chiesto di fare da tramite per l'acquisto di prodotti alimentari italiani, come pasta, marmellate,vino, oli aromatici ecc... Questa persona mi ha proposto di entrare in questo "business". Io gestisco un bar e qualcosa su come si trattano e si conservano gli alimenti lo so...il problema e che non ho proprio la minima idea di come si possa iniziare! Voglio dire, è il caso di creare subito una società con la quale presentare domanda di licenza export? Se casomai il tutto svanisse in una bolla di sapone avremmo perso parecchi soldi per l'apertura delle pratiche e della partita IVA e altri ne spenderemmo per chiudere il tutto e poi, basta presentarsi in un pastificio per esempio e chiedere il prodotto? E l'esclusiva su di esso? Poi non penso basti chiamare DHL e dire :"Mi porti questo pacco in Cina? Non vorrei "fare magazzino" sia per i costi ed anche perchè si andrebbe incontro a tutta una serie di pratiche come ASL, VVFF ecc... Sono molti i quesiti e molta è la difficoltà, ma non mi spaventa, anzi è anche un lavoro che può dare soddisfazioni...Mi affido a Voi, ringraziandoVi in anticipo,per una infarinatura sul come procedere e su quali possono essere le difficoltà che ora mi sfuggono.


Caro Carlo,
le domande che poni sono tante e ad alcune hai già di fatto anticipato le risposte. Ma analizziamo la cosa con calma.
Sono molte più di quanto pensi le persone che recandosi in Cina ed andando a pranzo in buoni ristoranti (anche perchè non si può rischiare di andare in altri) si mettono a parlare con gli addetti ed i direttori sui cibi e sempre, ma sempre, il discorso cade su quelli italiani, finendo sempre per arrivare all'idea di “importare prodotti italiani perchè, facendolo, si farebbero i soldi. Il mercato potenziale è non grande ma enorme ecc..ecc.. “ Così, si torna in Italia e si comincia a dire ad altri d'aver scoperto una possibilità grande.
Ma occorrerebbe fare una buona ricerca di mercato ed un piano di marketing prima ogni altra cosa. E quindi occorrerebbe tornare in Cina, ed analizzare:
l'attuale presenza di ristoranti o pizzerie italiane (che di fatto importano già)
la loro ubicazione, perchè ricordaTi che è vero che la Cina è grande ma i luoghi dove vi è possibilità di trovare mercato sono solo le grandi città (solo.. per modo di dire, perchè le grandi città sono popolose come nostre regioni)
i veri gusti alimentari dei Cinesi. L'alimentazione non è come la moda o l'abbigliamento. L'uomo rimane sempre legato a ciò che è della sua terra e, anche se fa piacere variare, questo accade di tanto in tanto, non sempre.
gli eventuali importatori che già ci sono. FiguraTi se in un mercato globale già non si sono importatori di nostri prodotti.
Le eventuali presenze di prodotti pseudo italiani con etichette nostrane che, per chi ignora, è come se fossero italiani.
Le loro leggi relative alle importazioni. Quali prodotti sono importabili e quali no.
La legislazione relativa alle tasse sui prodotti esteri.
Cercare di capire, intervistando decine di direttori di ristoranti, quanti possono essere i loro clienti interessati a pasti all'italiana o comunque a consumare prodotti italiani. Ti dirò una cosa: se Tu chiedi ad una persona se sarebbe disposto a comperare un certo prodotto, non avendo l'obbligo di farlo, Ti risponderà sempre di sì. (Effetto cortesia). Se però, alla stessa persona, dici che il prodotto puoi averlo e glielo offri, tutto cambia. Il sì di prima si tramuta quasi sempre in un no. Se trasportiamo questo concetto in un dialogo fatto con un ristoratore cinese, relativamente ai nostri prodotti, costui, che diceva d'essere interessato, davanti alla concreta possibilità, dirà che lui intendeva dire che sarebbe interessante sapere che c'è la possibilità di avere i prodotti, non intendeva dare la sua...disponibilità a comperare.
Occorrerebbe definire il target dei consumatori o acquirenti. Non puoi pensare che il mercato sia la Cina ma certamente devi pensare che i potenziali consumatori sono una nicchia di Cinesi. Non certo i Cinesi che vivono nelle campagne o nei paesi dell'interno. Non certo coloro che, per cultura o possibilità economica, non possono spendere più di tanto. Insomma, va definito il target di clienti potenziali: il numero cioè di chi può essere interessato ad acquistare.
Infine, ma potrei continuare ancora per molto, un piano per identificare il prezzo di vendita di un prodotto italiano così importato. Un prodotto non si vende solo perchè abbiamo deciso noi di venderlo. Si vende se tutte le condizioni che girano attorno ad esso sono eque ed accettabili dal mercato. Sugli acquisti in quantità parliamo dopo. Ora facciamo l'esempio singolo. Se Tu acquisti un pacco di pasta in Italia, pagandolo X, aggiungi a questo costo le Tue spese di gestione, il Tuo ricarico di margine, le spese relative all'esportazione e per l'invio in Cina, questo pacco di pasta molto probabilmente arriverà ad un costo in loco quasi raddoppiato. Ma una volta giunto in Cina, quel pacco deve andare in mano ad un rivenditore che ne cura la distribuzione. Quindi, nuovamente, avrai costi e margini ed infine un prezzo di vendita. Ipotizziamo che questo pacco vada al pubblico al triplo del suo valore. Fatti tutti questi conti (che vanno fatti passo a passo, chiedendo agli uffici competenti) dovrai capire quanti potranno essere i Cinesi interessati ad acquistare il Tuo pacco di pasta ad un valore che probabilmente per loro è esageratamente alto. Ci saranno e non ne dubito perchè tutto si vende a qualsiasi prezzo, ma è chiaro che maggiore è il prezzo e minore di conseguenza è il numero dei potenziali clienti disposti ad acquistarlo.

Credo che possa servire anche una riflessione sui Cinesi che sono qui da noi e che gestiscono un ristorante. Ebbene, se ci sono ristoranti a buon prezzo sono proprio questi. Ciò significa anche che è insito in loro un certo atteggiamento di “risparmio” sulle spese alimentari.

Queste sono alcune valutazioni che vanno fatte prima di qualsiasi altra cosa. Ci vorrà tempo? Non importa. Un'iniziativa deve avere inizio solo quando si è convinti e si hanno tra le mani tutti gli elementi che possano dire che quel piano ha possibilità di riuscita. Le iniziative falliscono quando nascono da “discorsi da bar”. Non basta tornare dalla Cina e proporre all'amico di mettersi nel business. Di queste proposte se ne fanno decine al giorno tra amici. Prova a dire al Tuo amico di mettersi al tavolo con Te e discuti di tutto. Poi inviatalo a tornare in Cina ad approfondire le conoscenze del mercato e dei bisogni dei Cinesi. Solo così potreste iniziare col piede giusto.
Prima di creare una società di export, risolvi tutti questi punti. E' tipico del nostro modo di agire, il pensare a costruire prima il tetto delle fondamenta. Quasi che il creare la società di export risolva tutto. Invece, prima pensa al resto. Quando sarete pronti, chiederete la partita iva per l'export.
Ed eccomi agli altri Tuoi dubbi: puoi chiedere a chiunque un prodotto per esportarlo ma dimenticaTi che qualcuno, sopratutto oggi, Ti dia l'esclusiva per la Cina o per qualsiasi altro paese. Salvo che non sia un'azienda scassata, tutti hanno già contatti con questi paesi. Potranno quindi venderTi il prodotto e dirTi che Tu puoi farne ciò che vuoi ma mai, dico mai, si legheranno ad un'azienda nuova, senza esperienza ne garanzie di fatturati sicuri.
Circa il corriere, questo è forse il punto più facile. I corrieri internazionali sanno bene cosa fare ed anche la gestione delle pratiche viene seguita bene da loro. Essi potranno darTi tutte le informazioni circa le spese relativamente ai carichi ed ai tempi. Solitamente vengono inviati container di merce.
Ovviamente Ti sconsiglio anch'io di far magazzino. La strada più semplice è cercare semplicemente di mettere in contatto il cliente cinese potenziale acquirente con l'azienda italiana produttrice del prodotto che il cinese vuole acquistare. Il come è presto detto: il Cinese desidera acquistare vino. Ipotizziamo che non sappia quale. Sarà quindi Tua cura visitar alcune cantine in Italia ed avere da loro listini per quantità di prodotto da inviare in Cina. Ottenuto questo, dovrai far caricare dall'azienda un Tuo margine di mediazione che potrà essere del 5% o del 10% e farai fare dall'azienda, se interessata a questo business, un'offerta diretta al cliente. Le condizioni le deciderà essa stessa (solitamente la merce in questi casi viene data con un prezzo franco fabbrica. Ciò significa che dovrà essere cura del cliente pagare il trasporto o mandare un corriere a ritirare la merce. Va da sé che i pagamenti si intendono sempre con bonifico anticipato ovvero, prima si paga e poi viene inviata la merce.)
Da parte Tua dovrai, prima di mettere in contatto l'azienda col cliente, avere un accordo firmato tra Te e l'azienda stessa che Ti garantisca su tutte le vendite fatte a quel cliente (vendite a nominativo) da quel momento in poi. Altrimenti l'azienda potrebbe pagarTi per il primo invio e poi decidere di servire direttamente il cliente senza riconoscerTi più nulla.
Se invece ritieni di fare Tu da magazzino, puoi contattare le aziende, avere campioni e prezzi da sottoporre ai clienti cinesi. Dopo il loro ok alle condizioni che Tu darai, acquisterai la merce, Te la farai spedire al Tuo magazzino e da qui, in Cina (sempre con pagamento anticipato). In questo caso l'accordo con l'azienda fornitrice non serve perchè di fatto, sei Tu che acquisti.
Certo è che, per non esserci dentro non è che Tu Ti stia mettendo in una situazione facile da gestire. Va bene l'entusiasmo, ma un po' di pratica non guasterebbe.
Diciamo poi che tutto è anche legato ad una certa disponibilità economica. Se c'è ed è piuttosto ampia, inizia. Se non è così, pensaci un po'.
Due cose ancora ed ho terminato.
La prima riguarda internet. Pensa anche che qualsiasi cinese, in questo momento può, in pochi attimi, collegarsi ad internet e con un semplice tasto, contattare qualsiasi azienda italiana, produttrice o esportatrice, per avere condizioni e forniture di qualsiasi prodotto. Quindi, qualsiasi ristoratore o altro cliente cinese che davvero volesse prodotti italiani dovrebbe solo toccare un po' la tastiera e tutto si risolverebbe, Ecco perchè Ti ho detto prima che spesso, ciò che si dice quando si frequentano quei luoghi è solo un “tanto per parlare”.
La facilità di contattare è ormai tale che molti tipi di operazioni perdono valore. Diciamo che è molto più comodo sapere di trovare, magari a Canton per chi è di Canton, un magazzino con tanti prodotti italiani dove eventualmente recarsi se nasce la necessità. Questo, anche perchè non implica vincoli d'acquisto. Ma impiantare un magazzino a Canton....è tutta un'altra cosa, capisci?
Posso comunque, se vuoi, darTi anche questo secondo suggerimento. CostruisciTi una società virtuale in internet. Dopo aver chiesto all'ufficio commerciale cinese di Torino o eventualmente a Roma, quali sono le pratiche relative all'esportazione di prodotti in Cina e gli eventuali prodotti che non possono essere inviati e dopo aver preso accordi con le singole società, relativamente ai prezzi, potrai presentare con foto tutti i prodotti che vuoi, con i dati relativi alle consegne, imballi, costi di trasporto ecc...ecc..
Poi dovrai trovare un buon motore di ricerca che, a pagamento, metta in evidenza il Tuo sito. Parallelamente dovrai esser Tu a contattare via e.mail, con una buona lettera in inglese o cinese, tutti i potenziali clienti presentando il sito ed offrendo i prodotti. Questo è un tentativo meno impegnativo e meno rischioso che può servire anche per saggiare il terreno.
In questo caso può essere necessaria solo una partita iva, che Tu hai, su cui scaricare le fatture (peraltro con esenzione iva per esportazione). Questo, almeno sino a quando il lavoro non dovesse divenire tale da preferire la costituzione di una società a parte.
Infine, il secondo suggerimento. Tu gestisci un bar. Vuoi fare una pazzia? Fatti un viaggio in Cina, in una grossa città. InformaTi sulle possibilità e sui costi per aprire Tu, se non un ristorante, quantomeno una pizzeria italiana. Se le cose sono abbordabili e se hai voglia d'avventura, fallo. Una volta là, potrai importarTi tutto ciò che vorrai per Te e, lentamente, iniziare anche a rivendere.
Chi ha il coraggio di dare un taglio netto, lo deve fare ora. Domani sarà già tardi. Se invece il Tuo bar in Italia Ti dà soddisfazioni e non ami le cose estremamente rischiose, pensa a portare avanti questo impegno.
Tanti cari saluti.