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mercoledì 29 aprile 2009

RAPPORTI TESI

F. (loc. n.c.)
Ho 30 anni ed una domanda da porvi.Da tre anni lavoro in una azienda commerciale, come responsabile acquisti. All'arrivo del nuovo direttore commerciale mi sono trovato demansionato, come ruolo, da responsabile acquisti a product manager, restando, comunque, a capo del mio settore. Circa un mese fa mi è stato detto che la macchina aziendale, a maggio, mi sarà tolta. Ho fatto presente che non ero d'accordo e che sulla lettera di impegno all'assunzione, e non presente sul contratto, erano riportati i benefits che l'azienda mi dava, uso della macchina aziendale e abitazione. Mi hanno risposto che non aveva nessun valore. Come mi devo comportare? Mi devo rivolgere a un legale?Vi ringrazio moltissimo per l'aiuto.

Caro F.
eccoci con un'altra situazione di rapporti che si tendono e quasi inevitabilmente portati alla rottura quando arriva in azienda una nuova figura.
Devi sapere F, che spesso l'arrivo di un nuovo manager serve anche, se non sempre, per fare questi cambiamenti. Il nuovo non ha legami e quindi è il più adatto a risolvere duramente o drasticamente quelle che sono vissute come anomalie.
Ma andiamo per ordine: Ti senti posto in una mansione inferiore perchè l'azienda oggi Ti ha messo nella posizione di Product Manager.
Il problema è dato da ciò che facevi prima (reale responsabilità e compiti) e ciò che fai ora. Sei Tu che puoi valutare esattamente se c'è stato un ridimensionamento dei compiti, perchè le etichette lasciano il tempo che trovano.
Se come Responsabile Acquisti avevi davvero in toto la responsabilità e la firma (in pratica eri Dirigente) allora la posizione di P.M. potrebbe essere leggermente riduttiva ma se Ti occupavi di acquisti senza però una vera totale responsabilità (in pratica seguivi solo il lavoro d'ufficio e della gestione) , questa nuova mansione potrebbe essere vista come migliorativa.
Personalmente preferirei questa seconda, anche per gli sbocchi che può dare nell'ambito del Marketing, ma non tutti la pensiamo allo stesso modo.
Occorrerebbe invece capire perchè Ti è stata tolta la prima mansione e su questo, come sempre non è mai l'interessato a poterlo dire. Giusto o sbagliato che sia quest'azione aziendale, qualcuno ha deciso così ed è a questo qualcuno che va chiesta la motivazione.
La funzione di Product Manger potrebbe esserTi stata data perchè qualcuno l'ha riconosciuta più adatta a Te, oppure perchè si ritiene che Tu possa essere più utile all'azienda in questa mansione come anche, lo devo dire, potrebbe esserTi stata data proprio per metterTi in difficoltà e farTi uscire dall'azienda.
Su questo punto, ho dato tutte le interpretazioni del caso. Ora analizza bene Tu il perchè puoi essere successo quanto accaduto.
Veniamo al secondo punto: l'auto aziendale. Oggi Ti dicono che a Maggio Ti verrà tolta. Questo benefit era scritto sulla lettera d'assunzione (anche se non sul contratto) ma il solo fatto che Tu sino ad oggi ne abbia usufruito, pone a Tuo favore in una eventuale causa.
C'è però un problema e non vorrei che tutto si giocasse su questo: il cambio di posizione. L'azienda può dire che per la funzione precedente l'auto era uno strumento di lavoro necessario che non è invece contemplato per il Product Manager. (In molte aziende comunque i P.M. hanno tra i benefit proprio l'auto aziendale). Poiché però ogni azienda fa a sé, è sufficiente che nella Tua non ci sia questa regola per mettere l'azienda nella condizione di togliertela.
Quindi, non è vero che la presenza del benefit sulla lettera d'assunzione e non sul contratto non abbia valore. Ne ha eccome, proprio per il fatto che sulla lettera era inserita l'auto e questa l'hai avuta e la stai avendo ancora. Devi capire bene però se il volerTela togliere non sia dovuto proprio al fatto della nuova mansione perchè se così è, non puoi farci nulla. Se l'azienda tiene a Te può toglierTi l'auto (se altri nella stessa posizione non l'hanno) ma comunque dovrebbe rimborsarTi della perdita del benefit calcolando il valore che Tu perdi ed inserendo questa cifra aumentata dei contributi, nello stipendio, affinche torni a giungerTi a te il valore reale del benefit che perdi.
Poiché comunque intuisco che una certa discussione tra le parti c'è già stata, non vorrei proprio che l'averTi posto in quella posizione, togliendoTi quel benefit sia un piano per cercare di liberarsi di Te.
Credo che un colloquio con un legale (per un approccio rapido puoi pure rivolgerTi ad un legale di un sindacato poi, se non Ti convince e se vorrai far causa scegli un legale del lavoro indipendente).
Come sempre finisco poi con la solita riflessione: sei Tu che devi decidere cosa fare, nel senso che quando si arriva a queste situazioni le soluzioni sono quasi sempre già scritte. Una lite sindacale o legale Ti permetterebbe di rimanere in azienda, a lavorare fianco a fianco con chi hai chiamato in causa? Pensi che successivamente ad una lite i rapporti possano rimanere normali? Ritieni che il clima che respirerai dopo sia adatto e sereno? Il mobbing nasce spesso proprio da situazioni come questa.
Scrivi che sei passato nel ruolo di Product Manager restando comunque a capo del Tuo settore. Questo mi crea dubbi e confusione. Cosa vuoi dire? Proseguirai a fare gli acquisti e Ti è solo stata cambiata l'etichetta o cambierai mansione?
Anche questo ha un significato. Perchè se continuerai a fare gli acquisti pur con l'etichetta di Product Manager, vuol dire che il cambio è puramente voluto per poterTi togliere l'auto non prevista in questa seconda mansione.
Se così fosse, può darsi che dietro a questa scelta ci sia solo la volontà di un ridimensionamento assolutamente necessario dei costi aziendali. Vedi, solo Tu stando dentro puoi sapere da come Ti è stata data la notizia se verso di Te c'è voglia di allontanarTi o se invece, comunque sei gradito.
Penso di averTi dato spunti su cui riflettere.
Alla fine raccomando a Te come ad altri, di metterTi in ogni caso sul mercato e cercare altre possibilità perchè, credimi, lavorare è già pesante di per sé; che almeno sia reso piacevole da un ambiente sereno!
Ciao

DOV'E' L'INPS ?

R. (loc. n.c.)

Salve vi espongo rapidamente il mio caso sperando che possiate darmi una soluzione. Sono un lavoratore stagionale ,lavoro infatti come portiere di notte presso un albergo, per sette mesi l’anno dopo di che in coincidenza con la chiusura dell’albergo vengo licenziato per essere riassunto regolarmente l’anno successivo per la riapertura. Ormai sono una decina di anni che lavoro nello stesso albergo e da quando sono stato assunto ho sempre lavorato per 12 ore al giorno vedendomene retribuite solo 6,40, con un solo giorno di festa settimanale.
La situazione che subisco e’ comune purtroppo alla gran parte dei lavoratori del settore che come me non accennano a ribellarsi per evitare una sicura emarginazione dal mondo del lavoro, cosa che accade regolarmente ai pochi coraggiosi che intraprendono un’azione legale. Vivo in un territorio in cui il 70% degli abitanti lavora nel settore del turismo e dover lasciare questo settore implicherebbe uno spostamento verso altre zone d’Italia, cosa che per chi ha famiglia come me diventa un po’ difficile. Vorrei sapere se c’e’ la possibilità di intraprendere un’azione legale pur essendo stato piu’ volte licenziato e riassunto, in quali termini e se e’ possibile farlo anche a distanza di alcuni anni. Nella speranza di un vostro aiuto vi saluto cordialmente.

Caro R,,
le problematiche relative alle questioni sindacali preferisco non toccarle perchè non sono di nostra specifica competenza e sono tali i cambiamenti di norme e regole, con i rimandi, le sub scritture, gli accordi in essere, quelli che partiranno, e decine di altri orpelli che si rischia di suggerire male facendo un danno anziché dare un aiuto. Rispondo anche stavolta, come in passato guardando la cosa sotto un altro aspetto.
Credo che, volendo, Tu possa fare qualsiasi azione legale ma scrivi che non l'hai mai fatta perchè altrimenti c'è il rischio di essere isolati, mentre ora la vorresTi fare. I rischi di cui scrivi Te li ritroveresTi anche oggi. Il fatto che Tu in passato abbia accettato queste condizioni potrebbe diminuire un poco la colpa del Tuo datore di lavoro in quanto da parte Tua c'era sempre la possibilità di dire di no. Non facendolo, di fatto accettavi (come poi hai dovuto fare per necessità) la situazione.
Una denuncia può essere fatta presso un Avvocato del lavoro o andando presso l'INPS della Tua città. Se questa è la Tua decisione, Ti suggerirei di recarTi presso l'INPS di un altra città, di chiedere un colloquio con un funzionario facendo presente che preferisci momentaneamente non dire il Tuo nome per evitare problemi e chiedendo informazioni e chiarimenti sulla situazione in cui Ti trovi (lavorare 12 ore e pagamento e versamenti per 6,40).
Sarà poi l'INPS a valutare cosa si può fare e Tu potrai decidere con informazioni certe in mano. Questi casi hanno possibilità di ottenere un risultato se alle spalle nasce un movimento ampio di presa di coscienza di cittadini. Non credo però che nella zona in cui abiti, se il 70% opera nel turismo, Tu possa appoggiarTi ad altri. Devi però essere cosciente che è assai improbabile che gli Ispettori del lavoro dell'INPS della Tua zona non sappiano di questo andazzo. Impossibile che nessuno abbia mai detto mezza parola al bar! Se nulla succede significa quindi che vi è un lassismo, un menefreghismo totale e quindi Ti potresTi trovare a lottare contro i mulini a vento. E contro i mulini a vento ci si lotta quando si ha la sicurezza di poter vivere facendo altro.
Personalmente oggi contatterei il Ministro del Lavoro, scrivendo e facendo presente la situazione della zona in cui operi ed i disagi Tuoi e dei colleghi, chiedendo ovviamente l'anonimato (è possibile se lo chiedi).
Tieni presente che ad un danno Tuo (lavorare più ore per averne pagate meno) segue anche un forte danno per l'erario e per l'INPS che non ricevono gli opportuni introiti.
Contemporaneamente a questo, io mi metterei a cercare comunque un altro tipo di lavoro, anche non vicino a casa, pur di liberarmi di uno stato oppressivo che, a lungo andare, mina anche la Tua serenità. Prima o poi lo troverei.
Riassumendo:
puoi decidere di rimanere dove sei ed accettare la situazione per stato di necessità
puoi chiedere informazioni su cosa fare presso un' INPS di un'altra città
puoi recarTi da un Avvocato del lavoro e intentare causa al datore di lavoro (ovviamente perdendolo)
puoi denunciare la cosa all'INPS dellaTua città (ovviamente perdendo il lavoro)
puoi recarTi presso un Sindacato e denunciare la cosa (che sarà perfettamente a conoscenza ma che non verrà mai fatta emergere per tanti motivi)
puoi inviare una lettera (purtroppo anonima) al quotidiano locale denunciando il settore, ma ho dubbi che facciano scoppiare un caso.
puoi scrivere al Ministro del Lavoro (non al Ministero, ma al Ministro) una lettera riservata e personale, spiegando cosa avviene, quanto dovete sopportare Voi dell'ambiente, quanto dovete accettare per necessità e quanto questo costi all'economia; il tutto chiedendo l'assoluto anonimato perchè se il Tuo nome uscisse perderesTi più del lavoro. Poi devi solo attendere che qualcosa accada, a tempi lunghi.
Puoi non fare nulla di tutto questo; rimanere dove sei, cercarTi contemporaneamente un altro lavoro e solo a quel punto lasciare l'attuale occupazione senza polemiche.
Ti rimando comunque alla lettura di un contratto di lavoro del settore, nella sezione relativa al lavoro stagionale, contratto che potrai trovare sia in Internet ma che trovi anche presso la sede di qualunque sindacato. Se Ti rechi, senza dare precise informazioni, e chiedi di poter prendere visione del contratto specifico, non c'è motivo per cui Tu non possa essere accontentato.
Dove il lavoro scarseggia nascono sempre queste situazioni e questi soprusi. Non ricordo d'aver mai visto soluzioni senza che vi sia una decisa volontà di “mandare tutto all'aria” da parte di chi intraprende questa strada. E questa è la forza che porta alcuni settori o datori del lavoro ad approfittarne.
Tieni poi presente l'ambiente dove abiti. Se ritieni che vi siano legami tra quel settore ed altri, facendo scoppiare un bubbone in questo, Ti ritroverai probabilmente escluso anche da altri. Che tristezza a doverTi dire queste cose!
Per finire una preghiera: semmai Tu inviassi ad altri la lettera inviata a me, manda esattamente quella che ho pubblicato io, con quelle due o tre parole che ho corretto e che non permettono di identificare la zona.
Ti auguro che Tu possa trovare, con calma, la via che Ti dia maggiore sicurezza.
Ciao

domenica 26 aprile 2009

PAURE INUTILI

Federica M.

Non so se posso disturbarvi per un quesito ma ho cercato di chiedere ad amici e conoscenti senza aver una risposta. Ho cercato perciò in rete e scopro che date queste risposte, senza essere pagati. E' vero?
Il mio problema è che mi trovo davanti alla possibilità di u primo lavoro. Non ho mai lavorato e mi è stato offerto di fare la commessa. Devo dare una risposta entro qualche giorno.
Dunque, i l problema è che non so quale sia il contratto e cosa mi spetti. Stipendio, ferie, giorni liberi, permessi e così via. Non vorrei quindi che il datore mi dicesse una cosa che non è vera. Potete aiutarmi?

Mia cara Federica, certo che posso aiutarTi e lo faccio nel dirTi che, anche in Te, purtroppo come in altri, vedo solo una cosa. Ancor prima di iniziare un lavoro, Ti stai preoccupando che non Ti freghino. Insomma, i diritti subito, ancor prima dei doveri.
Ne vuoi una prova che probabilmente non Ti sei accorta di dare? Guarda un po' cosa chiedi: stipendio, ferie, giorni liberi, permessi. Non una richiesta per sapere i doveri legati al lavoro ma solo domande sui diritti. Se inizi con il cervello impostato a sapere quando e quanti giorni farai di ferie, pensi di iniziare bene la Tua vita lavorativa? Avrei preferito sentirTi chiedere “serve una preparazione speciale; riuscirò a svolgere bene il lavoro; potrò far valere le mie capacità? Qualche domanda che lasciasse intuire la Tua volontà ad entrare col piede giusto. Invece, no.
Tiro un sospiro perchè mi spiace quando vedo queste situazioni ma cerco di rispondere, come sempre, dicendo ciò che penso.
Il contratto sarà quello di categoria, ne più ne meno. Se vuoi saperne di più devi andare presso la Associazione commercianti della Tua città e chiedere se hanno copia del contratto da darTi o comunque se possono indirizzarTi altrove.
In ogni caso (ho la nausea a ridirlo) ciò che conta è iniziare. Mettere un piede nel mondo del lavoro e occupare una posizione. Cercare di ingranare, assorbendo tutto quanto sia possibile dal Capo, dalle altre commesse, dagli stessi clienti. Fare esperienza; imparare, togliersi la patina dell'imbranato che inevitabilmente hanno tutti coloro che iniziano da zero; carpire i segreti e sopratutto, usando la testa, prevenire domande, richieste, desideri, ordini di chi lavora con Te. Imparare ad essere un tantino avanti agli altri in tutto, compreso la voglia di fare, può solo essere premiante.
Poi, se il lavoro piace, potrai sempre, contratto in mano, andare a verificare presso qualche sindacato, se è tutto giusto quello che Ti viene dato. Perchè dico “se il lavoro Ti piacerà?” Perchè se non Ti piacesse, il problema non sarà certamente il contratto corretto o meno. Ti sembra?
Quindi cara Federica, posso sperare che dopo questa tirata di orecchie Tu riesca ad affrontare la Tua prima possibilità di lavoro (pensaci) con un approccio più giusto?
Se devi lavorare, vale di più pensare quando andare in ferie e come aver i permessi per stare a casa oppure come riuscire a svolgere bene il lavoro? Lo sai che gli aumenti di stipendio solitamente vengono dati quando il lavoratore opera bene e quando la “rendita” di questo lavoro è superiore alla media ?
Pensaci. Quando sarai così brava da far si che il Tuo datore di lavoro decida di darTi un aumento, allora potrai pensare anche ai diritti (intesi come permessi, ferie, giorni liberi e quant'altro).
Ed allora capirai che anche questo mio scritto, sarà servito molto più di quanto Tu oggi non possa pensare.
Ciao.

QUOTE SOCIETARIE

Pippo (Emilia R.)

Davvero complimenti per il blog che leggo sempre.
Ho un problema che vorrei mi aiutaste a risolvere. Con altre due persone vorremmo fare società per sviluppare un progetto che è nato da me e che ho potuto rifinire con l'aiuto di uno di loro. Il terzo entra in società come finanziatore.
Stiamo discutendo non tanto delle quote ma di quanti capitali serviranno. Non saranno molti ma stiamo facendo i conti. Successivamente penseremo a come dividere le quote. Ci sono però i primi movimenti e le prime richieste. Un socio vorrebbe avere il 49%, cioè la maggioranza relativa. Io e l'altro dovremmo dividerci il 51%.
Per me può andar bene anche se avere il 25 o 26% potrebbe significare uno sforzo economico. Che può dirmi? Secondo Lei cosa dovremmo fare?

Caro Pippo,
sono da sempre propenso che le società debbano essere ad ampio azionariato (quindi quotate in borsa) o padronali (un solo padrone).
Le società in cui i soci sono pochi come nel Vostro caso raramente funzionano a lungo. Avete un socio che già si propone come colui che, non potendo avere il 51% chiede almeno il 49%. Dateglielo. Ma ora Ti stupirò con un altro suggerimento. Poiché mi scrivi che il 25% per Te potrebbe essere impegnativo, io Ti proporrei di essere magnanimo e di chiedere solo il 2% della società. Lascia che anche l'altro socio abbia il 49%.
Dato che la società è fatta da tre persone che, di fatto, si uniscono per un fine commerciale ma dietro a loro non c'è quella conoscenza o amicizia che mi farebbe suggerire di osare di più, è facile che nel tempo si arrivi prima o poi a chiarimenti o liti.
Ebbene, il Tuo 2% vale come e forse più delle loro quote.
Davanti a qualunque situazione in cui va presa una decisione, il Tuo 2% sarà coccolato da entrambi perchè è quello che permette di arrivare alla maggioranza assoluta. Nessuno dei due potrebbe ignorarTi per paura che Tu offra il Tuo 2% all'altro socio. Semmai dovesse esserci una richiesta di aumento di capitale, il Tuo supporto sarebbe minimo e non potrebbero pensare di eliminarTi con un aumento di capitale perchè non faresti fatica ad accettarlo. Se poi qualcuno volesse la maggioranza potrebbe essere disposto ad acquistare il Tuo 2% ad una cifra di molto superiore al suo valore.
Queste sono solo alcuni dei riflessi di una quota assolutamente minima ma importantissima.
Di contro, va detto che se Tu pensi di vivere con i soli profitti dati dalla Tua quota, allora è evidente che tutto questo non funziona. Non so come avete pensato di pagarVi, ma se per caso Vi deste uno stipendio per il Vostro lavoro in società, allora questa soluzione potrebbe essere ideale, come anche se Tu fossi socio ma svolgessi un altro lavoro esterno alla società.
Ciao

giovedì 23 aprile 2009

CONSENSO

Luisella B. Mantova

Gentile Dottore,
sarò rapidissima. Desidererei sapere da Lei una sua interpretazione di cos'è il consenso. Ho partecipato ad un corso formativo pagato dall'azienda in cui opero ed in questo corso, tra altre cose, si è parlato di consenso e di come ottenerlo. Ma, mi creda, erano più lunghi i tioli dei paragrafi che i concetti espressi. Tra l'altro il formatore era piuttosto imbarazzato su questo tema e ad una precisa domanda, quella che pongo a lei, ha tergiversato e poi ha chiesto a noi cosa pensavamo fosse il consenso. Le pare giusto?
La ringrazio se potrà darmi, anche in pochissime parole, la definizione di consenso.

Certo cara Luisella che posso darTi in poche parole la definizione di consenso. Uso un concetto che non è mio ma di uno studioso americano di cui purtroppo non ricordo il nome. Questi definiva il consenso e sopratutto la sua ricerca, come un viaggio da affrontare in gruppo. Se vogliamo ampliare il tutto, diciamo che si potrebbe vedere il consenso come un gruppo di amici che decide di recarsi in un posto magari non conosciuto.
Ognuno si preparerà a proprio modo. Farà la valigia e metterà dentro ciò che riterrà possa servirgli. Si avranno quindi diverse valigie con differenti cose contenute. Esattamente come i componenti del gruppo ed i relativi modi di pensare e di agire.
All'inizio ognuno ha convinzioni diverse e probabili idee su come viaggiare al meglio e raggiungere la meta. Ma un viaggio in gruppo va organizzato, programmando bene le tappe per raggiungere poi la metà tutti assieme.
Quindi, dopo averne parlato e sentito i pareri di tutti, l'organizzatore (c'è sempre un capo branco voluto dal gruppo) deve iniziare a prendere spunti da ognuno per arrivare a far si che il gruppo raggiunga un accordo su come viaggiare per arrivare alla meta. Fatto questo, ogni componente sarà portato a seguire le linee guida per sostenere l'accordo.
Successivamente all'aver deciso dove andare; si dovrà decidere cosa portare con sé, quale percorso fare e come affrontare gli eventuali problemi. Magari qualche valigia (modo di pensare o di affrontare i problemi) andrà aperta e qualcosa andrà tolto o aggiunto in modo che ciò che si porta sia utile a tutti.
Per affrontare i problemi è necessario che il gruppo sia unito e quindi ecco che il gruppo deve anche conoscersi.
Credo che il modo migliore per gestire un gruppo nel suo viaggio, ottenendo il consenso sugli obiettivi da raggiungere, sia quello di concentrarsi sempre sui punti di forza dei vari componenti e del gruppo nell'insieme, dimenticandosi dei punti di debolezza. Se invece si decidesse di intervenire sulle debolezze e sui conflitti cercando di eliminarli, molto probabilmente non ci si riuscirebbe ed il gruppo non funzionerebbe. Nel nostro caso, non partirebbe o comunque non arriverebbe a nessuna meta.
Mi hai chiesto una risposta in poche parole e Ti ho accontentata. Se vuoi saperne di più, dimmelo.
Ciao

domenica 19 aprile 2009

LIMITE DELLA COMUNICAZIONE

Marco (loc. n.c.)


Vi ringrazio di aver inserito in rete il vostro sito che permette penso a molta gente di farsi un idea di un mondo che forse non gli appartiene ma che appassiona. Credo inoltre che davvero molti giovani, tra cui io mi inserisco ancora, possano veramente imparare cose che nessuna università insegna.
Vengo al punto. Io, per motivi di lavoro, giro il mondo. Capirete che proprio per questo devo necessariamente avere una certa apertura mentale ed una buona capacità di dialogo o comunicazione. Pur tuttavia mi trovo alcune volte nell'assoluta incapacità di interagire con le persone perchè non riusciamo a capirci. Vi sono popoli che, per loro cultura, sono piuttosto chiusi e non permettono aperture. Altri, con cui io cerco di spiegarmi, comprendendo però che quanto dico è poco capito. Perchè vi sono questi limiti?
Forse sto facendo una domanda pleonastica, ma vorrei proprio avere un vostro parere a cui tengo. Grazie

Egregio Marco,
Lei ha già detto grosso modo tutto quanto c'era da dire. Ogni popolo ha culture differenti ed esperienze che sono alla base delle conoscenze e che permettono poi di confrontarsi con altri.
Ogni persona porta con sé i limiti delle proprie conoscenze. Di fatto ognuno di noi riesce a comprendere ciò di cui può dare una spiegazione. Questo limite frena o blocca ogni altra nostra capacità. Noi, riusciamo ad comprendere mentalmente ciò che la mente riesce ad interpretare. E la mente interpreta (traduce in immagini) solo ciò che conosce o che ha già sperimentato. Se qualcosa non è nella nostra enciclopedia mentale, difficilmente riusciremo a capirla.
La comunicazione ha dei limiti che vanno al di là della ns. volontà. Vi sono molti esempi per spiegare questo. Io Le faccio quello più banale. La neve. E per farlo potrei rimanere vicino a noi. Vi sono paesi del nostro sud in cui raramente cade un fiocco di neve e magari una intera generazione non l'ha mai vista, così come non ha mai visto, magari, la nebbia. Provi a spiegare esattamente cos'è la neve e avrà difficioltà. Proviamo ora ad andare più in là e pensiamo di trovarci in una nazione africana, magari nel deserto. Se ci trovassimo a voler spiegare ad un abitante del luogo cos'è la neve, probabilmente ci starebbe a sentire ma non riuscirebbe mai a comprendere. Non avendola mai vista ne toccata, non esiste per lui esperienza diretta che sia stata archiviata nell'enciclopedia mentale. La neve, per lui, è una parola sconosciuta. Potremmo star lì a sgolarci delle ore ma se nella sua esperienza non c'è nulla a cui possa comparare questa cosa che è la neve, non capirà.
Quando Lei trova dei limiti, comunicando con le persone di esperienze diverse, di fatto si trova nella situazione che Le ho sopra scritto. Certamente ciò che per Lei è ovvio non lo è per chi magari Le sta di fronte. Le Sue esperienze non sono quelle dei suoi interlocutori e quindi c'è poca o nulla possibilità che questi comprendano quanto Lei sta dicendo. Sono queste conoscenze che abbiamo maturato che ci aiutano a formare il senso dei messaggi. Ignorare i limiti dell'esperienza che produce conoscenza porta a difficoltà notevoli.
Occorre quindi, in situazioni in cui si comprende che chi ci ascolta non capisce, fare differenti esempi portando a far si che la persona riesca a collegare quanto diciamo ad esperienze da essa vissute.
Cordiali saluti

mercoledì 15 aprile 2009

MEETING SHOW

n.n. Milano


Scusate se non mi firmo ma preferisco, per tanti motivi, l'anonimato.
Ho partecipato ad un corso formativo tenuto da un formatore che vanno per la maggiore. Grande numero di partecipanti, aula a teatro. Il formatore sul palco. Grande entusiasmo e finale con musica e ballo a ritmo. Euforia, grandi pacche sulle spalle tra i partecipanti, forte consenso e sorrisi a dentiere visibili. Eppure, calato il sipario mi sono ritrovato a fare qualche riflessione e come me chissà quanti altri.
Abbiamo partecipato ad un corso o ad uno show? C'è stato insegnato? Personalmente rivedendo il tutto ho forti dubbi anche perchè passato l'entusiasmo, non mi è rimasto nulla.
Cosa è accaduto?

Caro n.n.
Presumo Tu sia un manager a cui sono indirizzati questi corsi. E credo pure di riconoscere il formatore di cui parli. Non mi stupisco di quanto mi racconti. Grandi sale; centinaia di partecipanti, entusiasmo, battute di mano a ritmo, ed il leader che, sul palco, parla.
Non mi stupisco di questo, mi stupisco di chi partecipa spendendo un sacco di soldi pensando di imparare qualcosa. Questo è teatro; show, quasi cabaret in cui, chi parla, pensa alla parte, pensa a fare bella figura; pensa a piacere ed a raccogliere entusiasmatici applausi da chi, scusami, non capisce proprio nulla di formazione e quindi non potrà nemmeno trovare giovamento.
Vedi, n.n., scrivere un paio di libri e venderli non significa proprio nulla. I libri si leggono anche per curiosità e poi magari si buttano per delusione. La vendita dice solo che qualcuno l'ha comperato e non che sia servito allo scopo. Se da questa fama si passa a seminari e i partecipanti non mancano, significa solo che c'è gente che è curiosa di sapere cosa viene detto. Stop.
Certamente non si impara in quel modo. Quel formatore lo sa benissimo (perchè se non lo sapesse sarebbe da ricovero) ma sa anche che il suo obiettivo è fare business per sé e quindi dà ai partecipanti ciò che i partecipanti stessi vogliono. Una persona che da un palco, parla, faccia show, che dica qualcosa di assolutamente condivisibile e che, alla fine, non ha chiesto loro, in aula, di impegnarsi mentalmente, è un leader che piace perchè non “rompe”.
Diciamo che fa dei bei comizi, belle conferenze che i partecipanti, alla fine, condividono. Parte di quei partecipanti pensano che condividendo ciò che lui ha detto, si impari a far qualcosa. Nulla di più errato.
Quella a cui hai partecipato e che, alla fine, Ti ha creato dubbi facendoTi aprire gli occhi, è una conferenza. Ad una conferenza ci si va per ascoltare un oratore non per imparare qualcosa.
Se si vuole insegnare a come fare business, questo è un bell'esempio. Il conferenziere, parlando ad un gruppo molto grande che ha pagato fior di soldi, ha dimostrato come si possa fare affari.
Per carità, nulla di disonesto, assolutamente. Tutto è regolare. Viene lanciata un'occasione di incontro per spiegare come agire in certe situazioni e se tanti manager accorrono ad ascoltare, non è problema di chi parla. Nessuno si impegna a garantire che i partecipanti usciranno dalla sala formati a gestire il loro futuro, quindi se all'uscita tutti hanno capito ciò che è stato detto ma non sapranno mai mettere in atto le strategie, è problema loro.
Credo però che queste situazioni se le vadano a cercare i partecipanti. Basta un nome con un alone di fama e subito si idolatra la persona. I guru spuntano come funghi in ogni settore ma se dopo poco vien detto di farne un elenco, nessuno si ricorda di ciò che hanno fatto o dei loro nomi. Come è possibile pensare in qualche ora, stando in una sala con altre centinaia di persone a sentire un tizio che da un palco parla; come è possibile dicevo, pensare di imparare qualcosa? Ascolto = dimentico. Faccio = imparo. Se non si è coinvolti direttamente non si impara un bel niente, La differenza è che la formazione prevede fatica ed impegno personale, anche psicologicamente duro e questo non è mai gradito. A nessuno, se non preparato, piace mettersi in discussione davanti ad altri. Partecipare invece ad una conferenza in cui non ci si deve scoprire e nulla viene chiesto, è molto facile. Ed il paradosso del partecipante sta proprio nel fatto che meno è coinvolto, meno impara, ma meno è coinvolto e più è contento di aver partecipato, convinto d'aver imparato.
Se la gente vuole questo, la gente trova senz'altro qualcuno che la accontenti. Se poi, per essere accontentata è pure disposta a pagare, che colpa ne ha il leader pseudo formatore che tiene la conferenza?
Ciao

lunedì 13 aprile 2009

SEGUIRE LA PASSIONE ?

F. (loc. n.c.)

Innanzitutto voglio complimentarmi con Voi per l'utilissimo blog che avete creato, chiarisce molti dubbi con definizioni ed esempi pratici senza tralasciare un parere personale che molte volte è la cosa che mi più si cerca da un consulente!Mi chiamo F. Sono un trentenne , e da 3 anni gestisco una piccola gastronomia con un cugino. Appoggiati (soprattutto economicamente)dai nostri genitori abbiamo deciso di intraprendere la strada imprenditoriale in una società in cui io conferivo i locali e l'altro socio il REC con la relativa licenza.Dopo qualche tempo si sono venuti a creare dei conflitti, a dir la verità normali discussioni che però vanno ad incidere sui rapporti famigliari,e questa non è certo una bella cosa. Comunque tutto questo mi ha fatto riflettere e decidere di voler fare qualcos'altro ovviamente da solo.Dopo questa mia lunga premessa vengo al sodo! Il mio problema è dunque quello di voler intraprendere un'altra attività, magari legata alla mia grande passione, la fotografia. Pensavo di creare una sorta di galleria d'arte fotografica (anche se chiamarla così mi sembra eccessivo)in cui possa esporre, debitamente incorniciate, le mie immagini e quelle di altri artisti emergenti a cui pagherò una percentuale del prezzo di vendita che comunque sia dovrà essere molto abbordabile, e magari affiancare anche la vendita di libri fotografici .Per ovviare alla spietata concorrenza dei grandi centri commerciali di arredamento con le loro dozzinali stampe del faro travolto dalle onde dell'oceano, o tramonti impossibili, pensavo di dare un valore aggiunto alle mie foto...l'originalità, nel senso della stampa in unico esemplare e ovviamente il rilascio del negativo con tanto di certificato di autenticità...questo potrebbe essere quel qualcosa in più...anche se non so...come faccio a sapere se un negozio del genere può darmi da mangiare, non ce ne sono in giro e un'indagine di mercato risulta essere piuttosto difficile. Non so nemmeno che tipo di licenza dovrei chiedere...Gallerista??? Sicuramente le spese sono minori di quelle di una gastronomia minore il consumo di corrente e di gas (niente frigo, niente cucine o elettrodomestici), pochi fornitori e soprattutto merce non deperibile! Non cerco assolutamente il denaro o il successo voglio solo fare un lavoro che mi faccia svegliare la mattina con entusiasmo e la voglia di andare in negozio!Purtroppo però, io stesso quando smetto di sognare, torno alla realtà e penso all'articolo che andrei a vendere non so in quanti lo comprerebbero...RingraziandoVi in anticipo per le risposte che Vorrete darmi colgo l'occasione per augurarVi una felice Pasqua.

Mio caro F.
la Tua lettera mi pone davvero in una situazione difficile come purtroppo accade spesso ultimamente e cioè dare un parere scegliendo tra il proseguire una normale attività o seguire un sogno.
Difficile per me, perchè io sono sempre stato propenso a suggerire di seguire i sogni, sopratutto se si è giovani. Ma c'è un però, ed il però è che i sogni si devono seguire senza pesare sulla famiglia, altrimenti sono i genitori che investono sui sogni dei figli e non è giusto.
Nel Tuo caso mi sembra che i genitori abbiano già dato, quando hai intrapreso l'attività che hai in atto, quindi non è il caso che l'aiuto prosegua. I genitori infatti sono sempre disponibili a dare tutto ciò che hanno. Ma pensa se un domani le cose non andassero come vorresTi.
Tu saresTi in difficoltà ed i Tuoi genitori, ancora di più in quanto Tu non potresTi neppure aiutarli.
Non so se l'attività iniziata con il cugino è stata un colpo di testa od invece pensata. Questo lo sai Tu. Certo è che aprire una gastronomia significa anche dover amare molto la cucina, altrimenti i risultati non vengono. Tu non mi dici nulla di questo. Operare nella gastronomia; aver a che fare con piatti e sughi, Ti piace o lo fai solo perchè ormai sei dentro?
Ti dico di chiederTi questo perchè se c'è passione, allora tutto è superabile e tutto passa; se non c'è interesse, tutto diventa pesante. Le discussioni, nel lavoro e sopratutto se si hanno soci, ci sono e ci saranno sempre. Le troverai in ogni occupazione in cui avrai a che fare con altri, quindi non dev'essere questo il motivo che Ti fa rompere col cugino. Le famiglie, se ci si mettono in mezzo, possono creare ulteriori danni perchè ognuna terrà la parte del proprio figlio. Dovreste essere Voi figli a far si che le famiglie restino fuori dalle Vostre discussioni. Discutere è assolutamente normale purchè questo avvenga senza degenerare. Sta poi ad entrambi, o ad uno di Voi, finire la discussione con una risata, una manata sulle spalle o un sorriso per far capire all'altro che la discussione non mina i rapporti.
Detto questo, veniamo al dunque:
il lavoro, attualmente ce l'hai e fai il gastronomo. Il Tuo sogno invece è la fotografia ed allora, vorresTi piantarla con la cucina.
Hai una visione piuttosto romantica della nuova attività; meno male che in finale di lettera scrivi
“Purtroppo però, io stesso quando smetto di sognare, torno alla realtà e penso all'articolo che andrei a vendere e non so in quanti lo comprerebbero...”
Questo pensiero mi tranquillizza un attimo e mi fa tirare un sospiro di sollievo. Vuol dire che stai sognando ma, nel dormiveglia, Ti rendi conto che la realtà forse non sempre è come noi vorremmo.
E' vero che nei centri commerciali vedi gigantografie che non Ti piacciono; è vero che pensi che le Tue sono migliori ma il mercato è una cosa piuttosto complessa e qui entra in ballo il marketing che dobbiamo scomodare per darTi la possibilità di riflettere meglio.
Le gigantografie che Tu vedi nei centri commerciali e che non Ti piacciono, ci sono perchè la gente le vuole e le acquista e se le acquista vuol dire che ciò che ritraggono, piace. Che siano scene improbabili o meno, poco importa. Nessun produttore le stamperebbe se non ci fosse vendita e tanto meno nessun centro commerciale le metterebbe in vendita se sapesse di non venderle. E' vero che sono multipli di mille, ma se la gente le compra vuol dire che non è interessata se entrando in altre mille case trova le stesse scene.
Quindi ricordaTi: non si vende ciò che è bello per noi o che piace a noi; si vende ciò che il pubblico (la massa) gradisce. Chi compra una di queste riproduzioni non vuole un nome famoso; non è interessato a sapere l'autore e se quell'autore è bravo, mediocre o scarso. Guarda, sceglie e compra in base alla propria necessità. Il marketing dice: ogni prodotto deve soddisfare un bisogno ed un cliente acquista quando ritiene che un prodotto possa risolvere un problema.
La foto d'autore è ancora ben lontana dalle masse e dall'essere compresa come vera arte se non per pochi casi in cui il fotografo è divenuto famoso. Ciò significa quindi che se l'autore è sconosciuto, la sua opera, pur bella che sia, non interesserà nessuno.
Vi sono decine e decine di concorsi fotografici e mostre locali, nelle varie città e paesi d'Italia. Sono migliaia coloro che espongono le opere ma, credimi, tutti lo fanno per la soddisfazione personale di mostrare. La vendita è davvero l'ultimo dei loro pensieri perchè sanno che non ci sarebbe.
So di darTi una delusione ma, aprire una galleria per mostrare Tue foto, magari bellissime, può davvero essere un bel rischio. Forse potresTi avere qualcuno che viene a visitare (altri appassionati come Te ed anche per questo dovrai spendere soldi per far sapere che esiste la Tua galleria), ma tra il venir a visitare la galleria e l'acquistare, ce ne passa.
L'idea della foto singola con tanto di negativo, certificato di autentica e quant'altro, non è cattiva, ma non lo è solo se vendi.
Il problema è calcolare se le vendite possono essere tali da pagare le spese e lasciarTi vivere. Eppoi dove apriresTi la galleria? Perchè anche questo è importante.
Cose simili andrebbero posizionate in particolari aree della città, dove gli affitti sono stratosferici. Se apri una galleria in un paese, Ti suggerisco subito di lasciar perdere.
PotresTi partire, come mille altri come Te, dal basso. Fare fotografie, inviarle alle solite mostre e vedere se inizi a raccogliere premi. Un buon malloppo di premi potrebbe servirTi per capire che i Tuoi scatti sono davvero apprezzati ed allora potresTi iniziare ad inviarne qualcuno a riviste specializzate o a quotidiani e settimanali. Vi sono poi speciali agenzie fotografiche che raccolgono e vendono scatti in tutto il mondo. Dopo i passi che Ti ho detto, potresTi indirizzarTi a loro e capiresTi se quanto Tu hai in testa ha effettivamente un valore commerciale o no.
Tutti i fotografi famosi hanno iniziato da zero, quasi sempre lavorando in un'agenzia o per un editore. Una volta fatto il “nome” hanno provato a vendere le loro foto direttamente agli editori. Ricorda però che la quasi totalità di loro è nata, come assistente, facendo scatti in studio a modelle. Ed ancora oggi, per campare (bene) operano nel campo della fotografia pubblicitaria. La foto d'arte, se la fanno, se la tengono per sé.
Tieni inoltre presente che ogni fotografo (quei piccoli studi o negozi che trovi nelle città in cui ormai fanno quasi solamente fototessere) presentano sempre, in vetrina, qualche loro foto d'arte per dimostrare che ci sanno fare. Pensi che di queste ne vendano?
Torniamo ora alla galleria. Ipotizziamo che Tu la voglia davvero aprire (con i Tuoi soldi, però). Al di là delle Tue foto, probabilmente la strada da seguire può essere quella di affittare lo spazio ad ogni neo-fotografo appassionato che voglia fare una mostra.
Poiché i costi presso una galleria rinomata sono elevatissimi, potresTi solo puntare su una rotazione veloce di esposizioni accettando compensi limitati.
Di fatto, cosa potresTi fare? Mettere a disposizione il Tuo locale a chi oggi fa la propria piccola mostra presso l'oratorio del paese. Concordi tariffe cash da pagare prima della mostra, indipendentemente dal successo o meno in quanto questo non dipende da Te. Il Tuo compito è puramente quello di affittare lo spazio.
Facciamo ora qualche calcolo. Una mostra potrebbe rimanere in vita una settimana o quindici giorni al massimo. Ciò significa che potresTi affittare lo spazio settimanalmente. Ed eccoci ora agli introiti.
Calcola quanto Ti costa l'affitto e tutte le spese che puoi avere per un locale nella grande città. (Calcola in grande perchè sono costi grossi). Aggiungi a questo ancora un 50% di altre spese a cui non pensi (assicurazioni, tasse varie ed altri orpelli) ed infine aggiungi quello che Tu vuoi cavar fuori da quest'attività. Fai un totale. Fatto questo lo dividi per quattro ed avrai il costo a settimana che dovrai chiedere ad un “povero” neo fotografo che vuole cimentarsi in una “personale”.
Se ritieni di poter trovare clienti, parti con l'idea.
Parlavi di costi inferiori in quanto la gastronomia li ha alti. Può essere, ma vedi, caro F. se i costi bassi significano nessun introito, con che campi?
I costi, in un'attività non devono mai essere un blocco. Vanno solo affrontati se tali costi portano introiti sicuri tali da poterli coprire.
Non mi sembra però che il caso che proponi possa arrivare a questo.
Potrei ancora suggerirTi una cosa.
Fai l'elenco di fotografi famosi e studia o informaTi sulla loro storia. Come sono nati, cosa hanno fatto e in quale settore agiscono. Prova a vedere se qualcuno è passato dalla strada che Tu vorresTi iniziare.
Potrebbe essere d'aiuto capire come hanno agito. Magari sono diventati famosi grazie alle foto di natura, paesaggi e animali scattate su contratto della famosa rivista americana.
E' vero, siamo a Pasqua e poiché mi fai gli auguri, voglio aiutarTi a sperare, facendoTi seguire un certo filo logico che possa indirizzare i Tuoi sogni lungo un percorso che Ti rafforzi.
Il mio suggerimento è: continua a fare il gastronomo, senza litigare e facendo capire alle famiglie che tutto va bene. Scendi il mattino in negozio felice perchè, poco o tanto che sia, quel lavoro Ti da un reddito.
Poi, prendi il Tuo tempo libero ed usalo per il sogno. Non farlo morire mai, perchè il bello del sogno è proprio “avere il sogno”. Fai fotografie, quelle che Tu vorresTi che la gente acquistasse nei centri commerciali al posto degli infimi tramonti. Scegli poi le migliori. Presumo che essendo un amante, Tu stamperai in proprio. Bene. Preparane un piccolo numero e vai a proporle. Proponi proprio la Tua idea.
Foto unica, garantita, con tanto di certificato, negativo, firma di autentica ecc..ecc.. Se vuoi puoi anche incorniciarle direttamente (cornice bella, mi raccomando) e decidere il prezzo. Fatti un listino e, nel tempo libero, datti da fare. Chi possono essere i Tuoi clienti? Tutti coloro che vendono già questi articoli. Poi, negozi di fotografia; negozi di articoli quali posters; negozi di articoli da regalo, librerie e chissà quanti altri. Nel frattempo, devi anche farTi un nome. Allora, fai un classico che va sempre bene. Fotografa gli angoli più strani della Tua città o della metropoli. La classica “Milano com'era” o “I Navigli” o “Milano by night” . Scegli gli scatti migliori, mettili in cornice e vai ad offrirli gratuitamente per addobbare vetrine. Cerca i negozi di abbigliamento del centro e lascia le foto gratuitamente per la vetrina per il tempo che vorranno. Unico vincolo, un bigliettino a fianco di una foto che indichi l'autore.
E' una forma di pubblicità che potrebbe esserTi utile.
Con tutto questo avrai la possibilità di capire cosa fare. Se la cosa dovesse funzionare, potrai sempre lasciare ciò che fai; se non dovesse funzionare, per lo meno non Ti ritroverai con problemi enormi sulle spalle.
Se ritieni di saper fare cose belle, credo che con un investimento piuttosto basso, e con qualche mese di studio alle spalle, potresTi partite.
Sappiami dire. Ciao.

venerdì 10 aprile 2009

EX BENEFIT

Ugo (loc. n.c.)

Le chiedo se può aiutarmi a chiarire questa situazione:
Sono stato dipendente della xxxxxxxx dove avevo per contratto una retribuzione fissa più un benefit: la macchina. In un secondo tempo la mia ditta e stata acquistata e sono stato oggetto di una cessione di ramo d’azienda, con tanto di contratto firmato, che obbligava la nuova ditta subentrante di non variare nulla al mio vecchio contratto di lavoro. La macchina mi è sempre stata data ma mai menzionata in busta come invece succedeva nella vecchia gestione e cioè ora io affitto e pago la vettura in anticipo con contratto intestato alla nuova ditta e poi mi viene pagata come spesa mensilmente o trimestralmente con un semplice bonifico.
Fino a qui tutto andava bene. Da un po’ di tempo però mi è stato chiesto di provare ad accordarci in altro modo e cioè di fare loro una proposta per ridimensionare quest’esborso oneroso mensile .
Dati : la macchina costa loro 650 euro mensili ivato
Facendo i miei calcoli per l’acquisto e la manutenzione dovrei proporre loro + o - 400 euro in più mensili , per avere gli stessi benefici. La domanda e :
Chiedere un aggiunta in busta paga in soldi ? Porterebbe loro a pagarmi contributi anche su questi soldi e a stima li farei spendere 800 euro al mese , (mi corregga se sbaglio )
Esiste in busta paga una voce tipo premio produzione o qualcosa di simile che non sia oneroso o tassabile da entrambi le parti ?
Oppure lei conosce una soluzione burocratica da propormi , in modo che io possa avere quest’ importo netto senza che io e la ditta ne veniamo tassati ?
La ringrazio in anticipo e mi scuso se le faccio perdere del tempo.

Caro Ugo,
non si scusi; non mi fa perdere tempo. Le rispondo volentieri.
Parta dal principio che non ci sono soluzioni o modi “regolari” per aver qualcosa e non pagare o far pagare tasse. Lei e l'azienda dovete quindi adeguarVi. Sopratutto l'azienda, perchè Lei è stato assunto con un contratto che implicava l'azienda a non variare le condizioni in essere e quindi è l'azienda che si trova nella condizione di dover mantenere ciò che Lei ha.
Tant'è che l'azienda, non potendoLe togliere il benefit, se non andando incontro a problemi sindacali e di rapporto, Le chiede gentilmente di suggerire un altro modo. Ma Lei che altro modo può suggerire? Ha un auto che per Lei vale un certo quantitativo di euro mensili. Se Le viene tolta, dev'esserLe dato il corrispettivo in busta. Ma non il corrispettivo del costo mensile all'azienda (che mi dice essere di 650 euro mensili ivato, pari a poco più di 500 euro netti al mese) ma questa somma (500 euro) a cui va aggiunto il valore delle trattenute che Lei pagherà. Per un calcolo esatto occorrerebbe sapere il Suo stipendio attuale e l'aliquota delle trattenute che Lei ha (presumibilmente un 27%). Potrebbe quindi essere un totale attorno ai 700 euro che può arrotondare agli 800 che Lei scrive, comprendendo anche le trattenute pensionistiche e sanitarie.
Quindi, togliendoLe l'auto, l'azienda sa perfettamente che dovrebbe darLe in busta una cifra anche superiore a quella che Lei chiede. Lei infatti farebbe già un grosso favore all'azienda chiedendo 800 euro perchè forse non ha pensato che, se Lei non usufruisce più dell'auto aziendale, deve comunque comperarsene una (ed anche se l'avesse non cambia nulla). L'auto di proprietà non ha solo un costo relativo ad un valore mensile perchè Lei deve calcolare il costo del carburante, del bollo, dell'assicurazione, degli pneumatici, della manutenzione. Se Lei calcola tutte queste spese annue e le suddivide per mese, il valore dell'auto non è più quello che Lei chiede all'azienda. L'auto personale va ammortizzata perchè non dura una vita.
Se vuole davvero avere il costo dell'auto, deve informarsi presso l'ACI e farsi dire la tabella costo chilometrico del modello che Lei andrà ad usare o acquistare. Nel costo chilometrico che Le diranno è compreso tutto, anche l'ammortamento. Prenda questo dato, lo moltiplichi per i chilometri mensili che mediamente fa e troverà il valore reale mensile del costo dell'auto.
Non esistono in busta paga premi o altro su cui non si paghino contributi se non sulle spese (giustificativi) documentabili da ricevute, biglietti, ticket e fatture di spese.
L'azienda potrebbe concordarsi con lei per pagarLe viaggi di lavoro e studio all'estero per aggiornamenti di lavoro (che dovrebbe comunque fare). Poi, all'estero, se oltre al viaggio di lavoro o studio, comunque documentabile, Lei si fermasse un po' di più per motivi personali...questo può non essere”detto”. Certo è che un viaggio di studio non potrà essere Cuba o le Maldive!
Non credo vi siano altre fonti e l'azienda lo sa bene. Io non conosco il Suo lavoro ma avendo a disposizione un auto potrebbe operare esternamente, nella vendita. In questo caso, vende oggetti di valore che hanno un listino per il cliente di 100 ed all'azienda costano 20?
Sinceramente non posso dire altro. Restando nel limite della legalità, come credo e spero, non vi sono soluzioni diverse da quelle già scritte.
Per finire, c'è poi da fare un'analisi che va al di là dell'auto e del costo e che io faccio sempre, in questi casi. Lei deve riflettere su come si trova in azienda, se bene o non bene. Se i rapporti sono ottimi o stiracchiati, perchè quest'analisi vale, a volte, più di molte altre considerazioni. Le dico questo perchè se i rapporti sono ottimi e Lei sta “bene” in quest'azienda, deve pensare che una Sua eventuale richiesta, ritenuta dall'azienda troppo onerosa per se stessa, potrebbe incrinare questi rapporti. Non sarebbe il primo caso, anzi..
Davanti ad una situazione senza accordo o con un accordo oneroso ed obbligato, qualcuno potrebbe iniziare a pensare che forse è meglio crearLe problemi per spingerLa a lasciare la mansione e l'azienda.
Su questo, Lei dovrebbe riflettere molto ed eventualmente essere anche pronto a trovarsi a gestire una situazione simile.
Poiché, mi creda, quando l'azienda inizia a trovarsi nella condizione di fare ciò che sta facendo, molto spesso si arriva proprio a quanto Le ho detto, Lei dovrebbe valutare se piegare la testa e basta o se portare avanti a tutti i costi le Sue giuste richieste (nel qual caso Le direi di farlo guardandosi contemporaneamente in giro per non trovarsi spiazzato da un giorno all'altro.)
Queste sono sempre situazioni delicate in cui entrano in gioco interessi aziendali e personali, ed è quindi Lei a sapere ciò che può fare o ciò che deve accettare.
In bocca al lupo!

giovedì 9 aprile 2009

MOBBING

Francesca T. (loc. n.c.)

Vi scrivo perchè mi trovo in una situazione disdicevole in quanto nel mio ufficio e nell'azienda in cui lavoro sono soggetta a mobbing e questo mi sta creando problemi anche psichici.
Tutto è nato quando il vecchio Capo se n'è andato ed è arrivato al suo posto un giovane di belle speranze e poca esperienza tant'è che io ho dovuto seguirlo ed aiutarlo suggerendogli cosa fare, altrimenti chissà cosa avrebbe creato.
Ed anziché essermi grato ha iniziato a trattarmi in un modo sgarbato e, avanti di questo passo, le cose sono sempre andate di male in peggio. Io ho vent'anni di esperienza ed un giorno il Capo mi ha chiesto di portargli il caffè in ufficio perchè aveva ospiti e non poteva uscire. E' vero che la sua segretaria era fuori ufficio per lavoro ma avrebbe potuto attenderne il ritorno. Io non sono una cameriera. Ho comunque portato il caffè per educazione ma alla prima occasione gliel'ho fatto notare. Da quel momento, anziché capire che gli avevo fatto un favore, ha iniziato ad isolarmi ed oggi sono praticamente a fare delle cose che possono fare i ragazzini che arrivano come primo impiego.
Questo ha portato lentamente anche i colleghi a vedermi in un modo diverso e vedo che loro stessi mi rivolgono poco la parola e fanno comunella tra loro.
Sto impazzendo. Mi date una mano e dirmi cosa devo fare? Non sono mai stata iscritta ad un sindacato perchè non credo in loro, ma questa situazione mi fa pensare che forse dovrei farlo.
Aiuto.

Carissima Signora Francesca,
quando sento parlare di mobbing cerco sempre di andare molto cauto nei giudizi e nei pareri da dare perchè oggi molta gente vede mobbing anche dove non c'è e, quasi sempre, dietro c'è una situazione in cui il mobbing è usato e sfruttato per ottenere qualcosa. In altre parole, basta un minimo dissidio per gridare al mal trattamento ed alle sevizie mentali per cercare semmai qualcosa da ottenere.
Ho trascritto interamente la Sua lettera e la lascio ai lettori perchè probabilmente tra loro potrebbe esserci qualcuno che sa “leggere tra le righe”.
A dire il vero, Lei è stata estremamente sincera nello scrivere a tal punto che ha descritto una situazione che quasi certamente (dico quasi) dipende o è dipesa da Lei. Il vecchio Capo se ne va. Probabilmente era lì da tempo ed avevate iniziato assieme. Altri tempi, altri rapporti ed, a volte, forse, altre ipocrisie. Arriva il nuovo Capo che Lei descrive come un giovane di belle speranze, senza intuire che così dicendo lo sta già classificando, come uno che vorrebbe fare ma che non ne ha la capacità. Ecco allora che dall'esperienza ventennale nasce in Lei l'idea di intervenire su di lui come magari faceva e Le era permesso fare col Capo precedente. Nulla di male se ciò è chiesto, ma se diventa ingerenza, può creare problemi.
Il nuovo Capo, mi pare di capire, se n'è stato zitto (forse per educazione o forse perchè Lei poteva essergli d'aiuto). Ma l'aiuto si dà quando viene chiesto e non si obbligano le persone a riceverlo se non lo chiedono. Tant'è che la prima volta che davvero il Capo s'è permesso di chiederLe un favore (il caffè in ufficio) Lei si è di fatto rivoltata contro questa cosa non sentendosi una cameriera.
Mancava la segretaria e la richiesta fatta a Lei, quasi quasi doveva essere presa come “non c'è chi gli è più vicino, si rivolge a chi d'altri ha più fiducia”.
Trovo un'azione davvero brutta l'aver fatto poi presente al Capo che Lei non è una cameriera in quanto certamente non s'era rivolto a lei ritenendoLa tale. Ma si sa, quando si comincia a veder male le cose (e Lei ha cominciato quando è appunto arrivato il nuovo Capo) si finisce per vivere male il tutto.
Lentamente è stata messa in un angolo ed oggi anche tutti i colleghi La vedono male. (Riporto ciò che Lei scrive ed è tutto da verificare).
Personalmente io credo, anche per esperienza, che in questi casi le colpe possono essere di entrambi. Sappia però, che molto più spesso di quanto non si creda, c'è qualcosa nell'impiegato che, anche e a volte involontariamente, l'ha portato a ritenersi sotto mobbing.
Vede Signora Francesca, noi viviamo in un mondo di lavoro in cui le persone valide tendono, con i dovuti benefici, a diminire. Lavorare otto ore in un ufficio non significa lavorare bene; significa essere presente. Otto ore di presenza, possono spesso significare 4 ore di vero lavoro. Questo per farLe capire che un imprenditore o un'azienda, quando ha veramente a che fare con qualcuno valido, se lo tiene stretto. Mi creda Non ho mai visto in vita mia un'azienda che abbia voluto davvero liberarsi di qualcuno valido o l'abbia voluto mettere in condizioni d'andarsene, perchè poi è difficile trovarne un altro.
E' spesso in noi l'idea di essere oppressi, schiavizzati, sfruttati e pensiamo questo perchè riteniamo d'essere più in gamba di quanto gli altri credano ma poi facciamo ben poco per dimostrarlo a tal punto che, a volte (ecco il mobbing fai da te ) ci chiudiamo in noi stessi dicendo “non faccio più niente perchè non mi meritano”.
E ci si mette in un angolo con la speranza che siano gli altri a venire a chiederci come mai siamo pensierosi, tristi, irati, nervosi, tesi. Ma gli altri non vengono e questo alimenta lo stato di tensione perchè ci sentiamo abbandonati ed iniziamo a domandarci perchè mai tutti ce l'hanno con noi. Non riceviamo ovviamente risposta e questo aumenta ancor più la negatività della situazione in una spirale senza fine.
Così si passa il tempo a costruire piani d'attacco, a vendicarsi anche dei colleghi che anziché aiutare e darci ragione, ci lasciano nel nostro brodo e si, pensa, come fa Lei, ad iscriversi al sindacato per farla pagare al Capo.
Non so sinceramente se ho descritto anche il Suo caso; certamente ho descritto una buona parte di situazioni vissute da affetti da mobbing.
Come posso aiutarLa? Non Le dirò certamente come vendicarsi di un Capo che, alla fine, pensando di rivolgersi a chi poteva risolvergli un problema, ha poi involontariamente creato una situazione che Lei ha addirittura ritenuta offensiva. Non posso anche perchè, sarei estremamente scorretto se lo facessi senza sapere l'altra versione.
Posso invece aiutarLa dicendo che, al di là del mobbing vero o presunto, se Lei è davvero brava ed ha l'esperienza di vent'anni di lavoro, dovrebbe incanalare le Sue forze per cercare un posto altrove.
Dovrebbe vivere più serenamente la situazione, sorridendo ai colleghi ed interagendo con loro. Ha da fare lavori semplici? Bene. Li faccia col sorriso. Vorrà dire che dovrà impegnarsi e stancarsi meno. Perchè non pensa questo?
Nessuno Le toglie lo stipendio. Viva un po' meglio il tutto e si impegni a trovare altrove la soluzione del problema, pensando però (lo dico con molta lealtà) che da quanto ha scritto, Lei appare un tantino sopra le righe. Ho sentito un po' di arroganza o di sufficienza. Allora, mi chiedo, non sarà forse stato anche questo Suo comportamento subito negativo davanti al nuovo Capo che a fatto si che Lei non vedesse più nella giusta dimensione ciò che faceva, tanto da portarLa a sentirsi da sola e non più parte di un gruppo?
Ci pensi, si risponda e trovi una soluzione che se vuole sa trovare.
Cordiali saluti

domenica 5 aprile 2009

CHE LAVORO FARE?

Chiara (loc. n.c.)

Sono una ragazza di 21 anni e faccio l'impiegata amministrativa. Ottenuto ildiploma di maturità ho scelto di iniziare subito a lavorare per raggiungereuna mia autonomia economica e così è stato, solo che il mio lavoro non mirende per niente gratificata e tanto meno felice.Ho riflettuto diverse volte su quali siano le mie passioni e cometrasformarle in un lavoro, ma forse non conosco tutti i lavori che potreivalutare. Sono una persona creativa, attiva e vivace. Mi piace la cucina, losport e ho una buona manualità. Mi diverto molto col fai da te, come cucitoe decorazioni. Ma non so se questo possa aiutarmi a trovare il lavoro giustoper me.Mi potreste fornire qualche idea di lavoro, per confrontarla con quelle cheho valutato fin ora? Grazie mille.

Mia cara Chiara,
come spesso dico, chi mi scrive tendenzialmente non dà informazioni chiare che possano permettermi di analizzare bene le cose e le risposte, mio malgrado, a volte sono generiche. Tu sorpassi questo limite perchè mi chiedi cosa, secondo me, potresTi fare senza dirmi davvero nulla se non che Ti piace la cucina, il cucito, la decorazione, terminando dicendomi di darTi dei consigli che metterai a confronto con quanto da Te già pensato.
E se Tu mi avessi detto cos'hai pensato? E se mi avessi detto se abiti in una città di provincia o in una grande città? Può apparire ininfluente questo dato eppure è importante. Per suggerire ad esempio un'attività in proprio occorre sapere se il luogo in cui dovrebbe svolgersi può supportare tale attività.
Non so nulla, quindi con le poche informazioni che ho, devo agire da “padre”.
Dunque, vediamo. Partiamo dal primo punto. Hai un diploma; fai l'impiegata amministrativa ed il lavoro non Ti gratifica e non Ti rende felice.
Da padre dovrei dirTi che, nel momento economico attuale è meglio che Tu tenga il lavoro che hai ma a volte i padri sono troppo raziocinanti e Tu probabilmente sei ben conscia che va tenuto sino a buone nuove. Un giovane senza sogni però non deve esistere e se poi il lavoro che si fa non dà soddisfazioni, non gratifica e addirittura non rende felice, come posso dire di andare avanti così?
Capisco che già da sola, con la testa sulle spalle, hai pensato ad un cambiamento ma sei attenta ad analizzare variazioni senza perdere ciò che hai oggi. E fai bene.
Vogliamo provare a sognare? Ipotizziamo di essere ad un tavolino di un bar e, davanti ad un caffè, facciamo quattro chiacchiere.
I lavori che puoi fare sono essenzialmente tutti. Togliamo però quelli che non vorrai mai fare in assoluto così come i settori in cui non vorrai entrare. Puoi iniziare a fare quindi una scelta al contrario, scartando ciò che non vorrai mai fare.
Nei casi come il Tuo, io pongo sempre molta attenzione alle parole che vengono scritte ed anche all'ordine con cui vengono presentate. Tu inizi dicendo d'essere una creativa, attiva e vivace. Questo fa subito comprendere che il lavoro che svolgi può davvero non esserTi adatto perchè in una mansione amministrativa non ci vuole creatività e l'amministrazione ad un creativo ci sta come un cavolo a merenda.
Il lavoro è di per sé un'attività a cui l'uomo non è portato ma si adegua. Lo si deve fare e lo si fa. Se quindi possiamo avere una molla che ci spinge il mattino a scendere dal letto con ottimismo, lavoreremo certamente meglio. La molla è l'entusiasmo, la passione e l'interesse in un lavoro che “ci piace”. Nel Tuo caso dovremmo allora pensare di usare questa creatività (che Tu senti) per capire come sfruttarla nel lavoro.
I lavori creativi sono tutti quelli in cui la persona agisce nell'ambito di una certa libertà mentale e di azione. Va detto, per inciso, che la creatività può entrare e dovrebbe essere usata in tutte le mansioni perchè ogni lavoro può essere visto sotto un'ottica creativa, ma dobbiamo altresì dire che alcuni lavori sono più adatti a chi è creativo.
La creatività, l'essere attivi e vivaci sono, ad esempio, doti utili ad un venditore. Vi sono nella vendita regole precise da seguire, obiettivi da raggiungere ma la libertà per raggiungere l'obiettivo premia la creatività.
Può essere una strada a cui hai pensato? Forse e forse no. La vendita può essere esterna, con autonomia di visita a clienti o interna, in una sala esposizione o in negozio. Il venditore può essere assunto o può lavorare a provvigione ed essere indipendente nel tempo da gestire e nella quantità di lavoro da svolgere.
E' un'ipotesi a cui le donne raramente pensano ma a cui sono portate e da cui possono trarre vantaggi perchè la quasi totalità dei clienti è maschile e gli uomini sanno raramente dire di no ad una donna venditrice.
Non sapendo nulla di Te, non so se sei economicamente indipendente a tal punto da permetterTi di metterTi in proprio.
Ti piace la cucina. Ti elenco le possibilità relative.
Aprire una piccola trattoria (le scelte strategiche per prendere mercato sono numerose e va ponderata la migliore).
Cercare un lavoro come aiuto cuoco e, nel frattempo, frequentare una scuola di cucina per una maggiore preparazione futura.
Aprire una gastronomia (ma penso che Tu sia ancora troppo giovane e con poca esperienza per preparare una gamma di piatti che possano attirare una buona clientela). In questo caso però potresTi associarTi ad altri con il Tuo stesso interesse.
Gestire un wine-bar o un piccolo bar per spuntini.
Se invece vuoi prepararTi davvero bene al futuro e ritieni che in questa passione Tu possa esprimerTi, informaTi per vedere se e come sia possibile frequentare una scuola di alta cucina nelle vicinanze della Tua città. Potrebbero esserci corsi serali che Ti permetterebbero di non lasciare l'attuale attività.
Passando ad un'altra ipotesi, se dove abiti ci sono agenzie pubblicitarie, potresTi informarTi per capire se abbisognano di impiegate o assistenti per posizioni interne. Vivere in un'agenzia Ti permetterebbe di iniziare a respirarne l'aria e capirne le varie attività. Poi, dall'interno, potresTi iniziare a tenere i contatti con i clienti per finire a divenire Account o ad esprimere meglio la creatività in altri settori.
Ti sto suggerendo, come capirai, di armarTi di tanta pazienza e di iniziare come “ragazza di bottega” per rubare esperienza a chi ne sa più di Te.
Cambiando ancora settore, visto che mi parli di passione per lo sport, potresTi buttarTi nel campo di ciò che ruota attorno alle palestre. Qui però occorrerebbe una preparazione più specifica per non rimanere ai margini. E' comunque una possibilità da non tralasciare perchè possono esserci palestre che abbisognano di assistenti anche se non con una vera e propria preparazione nel campo.
Poi viene il cucito. Dev'essere una vera passione perchè una ragazza della Tua età che si interessa di cucito è rara. Oltre al cucito, la Tua creatività Ti porta anche ad aver disegnato qualche modello? Perchè se così fosse e senti che questa può essere una via, potresTi disegnare abiti, magliette o quant'altro, riunire il tutto in un album ed inviarlo alle più importanti case di moda. La stessa cosa vale nel caso Tu abbia passione (con la manualità, come dici) per creare e disegnare gioielli e ornamenti vari.
Nell'ambito delle decorazioni, se comprendo cosa vuoi dire, si apre anche il settore di decoratore d'interni o aiuto arredatore. Ma anche in questo caso occorrerebbe che Tu possa frequentare un corso che Ti abiliti per poi offrirTi a qualche studio di arredo o negozio del settore.
Vedi, Chiara, come purtroppo, devo stare molto vago nelle risposte? Il guaio è che non conoscendo il Tuo “mondo” non posso immedesimarmi maggiormente.
Ti ho comunque suggerito alcune strade non tanto da seguire, quanto da considerare. Potrebbero essercene altre. Sappi comunque che tutte le situazioni che Ti ho descritto necessitano anche di personale di vendita ed in questo caso, la creatività si unirebbe alla libertà ed all'intraprendenza. Vendere bigiotteria per una società specializzata; vendere abbigliamento, vendere attrezzi sportivi per palestre o prodotti per la cura del corpo. Ti permetterebbe di entrare nel mondo desiderato e d'essere libera.
Un ultimo suggerimento può essere questo:
scegli un settore che davvero Ti piace. Scrivilo su un foglio. Poi, a cascata, scrivi le opportunità che quel settore offre. Scegli quella che più trovi adatta a Te e di questa elenca le varie specializzazioni. Scegli quella più adatta a Te e così via sino a trovare il lavoro che vuoi.
Ti informo inoltre, poichè molti giovani non lo ignorano, che spesso sono disponibili fondi europei appositamente a disposizione di giovani che desiderino mettersi in proprio creando una loro attività. La disponibilità, le norme e le clausole per poterne disporre si possono avere tramite gli uffici della Regione o delle varie Camere di Commercio. A volte basta un buon gruppo di giovani seri, con idee chiare per creare qualcosa di bello.
Se non sei soddisfatta, scrivimi ancora, dandomi maggiori dati. Ed ora beviamoci il nostro caffè.

mercoledì 1 aprile 2009

CHE DIFFERENZA C'E'

G.P. (loc. n.c.)
buonasera. Sono uno studente di ingegneria gestionale. Mi è sorta una curiosità, ovvero sapere che differenza c'è tra la soddisfazione, insoddisfazione e il piacere del cliente.
Attendo una vs risposta e ringrazio. Complimenti per il sito

Gentile G.P.,
mi dai davvero pochi elementi per poterTi spiegare bene le differenze. Essendo Tu studente universitario sai bene che i termini singoli possono perdere o variare significato se estrapolati dal contesto in cui sono contenuti. Se Tu mi avessi per lo meno scritto la frase in cui le hai lette o, a grandi linee, l'argomento, potrei essere preciso. La parola, di per sé, non ha significato perchè siamo noi che glielo diamo.
Tuttavia, usando i concetti codificati, e portandoli nell'ambito della vendita (Tu parli di questi termini legati al cliente) posso dirTi che:
quando si parla di un cliente “soddisfatto” si intende un cliente che ha ricevuto risposte chiare alle domande poste od alle obiezioni sollevate. In un incontro di vendita, il venditore ed il compratore comunicano tra loro al fine di arrivare ad una soluzione. Nel caso preciso, il venditore vuole vendere un prodotto ed il compratore ha la necessità di acquistare un prodotto. Per questo si incontrano e per questo discutono. La comunicazione quindi avviene perchè entrambi hanno un motivo affinchè questo avvenga. Se non ci fosse un motivo, ovvero una necessità, l'incontro non avverrebbe.
L'incontro non è una vendita ma solo la possibilità che la vendita avvenga, se le necessità del cliente e quelle del venditore possono combaciare. Nell'ambito del dialogo che avviene (la comunicazione), il cliente ha delle aspettative espresse o inespresse. Se le argomentazioni del venditore sono tali da dissipare gli eventuali dubbi sul prodotto o sul servizio offerto, il cliente si sentirà soddisfatto.
Ovviamente può avvenire l'opposto. Quando un cliente ha aspettative su prodotto o servizio e queste non vengono soddisfatte dal prodotto stesso o da quanto detto dal cliente.
La soddisfazione o insoddisfazione può essere anche successiva alla vendita. Si acquista un prodotto perchè lo si ritiene idoneo a ciò che si vuol fare e solo provandolo si può poi dire effettivamente che “ha soddisfatto” le aspettative oppure “non serve per l'uso che se ne voleva fare”.
Comperiamo un trapano sicuri che sia ciò che risolverà una nostra necessità e ci accorgiamo usandolo che non è poi così facile da usare, com'era stato detto, ed i buchi perfetti sono invece delle caverne slabbrate. Ecco l'insoddisfazione. Comperiamo titubanti un paio di scarpe che ci vengono dette idonee anche per la pioggia e ci accorgiamo, in una giornata di nubifragio, che effettivamente non passa una goccia ed il piede rimane asciutto. Ecco la soddisfazione.
Il “piacere del cliente” è l'eccellenza della situazione. Possiamo definire il piacere quando vi è la soddisfazione, per il cliente, d'aver acquistato esattamente ciò che voleva, sapendo che avrebbe ottenuto dal prodotto o servizio ciò che poi ha verificato ottenere. In questo caso il cliente trae un vero e proprio piacere perchè la trattativa d'acquisto ha portato, come risultato, al concretizzarsi delle aspettative.
Se noi desideriamo qualcosa e ciò si avvera, siamo felici; proviamo cioè piacere.
Caro G.P. Penso d'averTi risposto. Se poi le Tue necessità erano diverse, riscrivimi dandomi maggiori ragguagli. Sarò lieto di aiutarTi.
Ciao