Ricerca personalizzata

lunedì 29 marzo 2010

RISCHIO DI LICENZIAMENTO

Alessandra (lombardia)


Salve,
mi chiamo Alessandra e scrivo da una città lombarda. Vi ho trovato quasi per caso cercando in rete una soluzione al mio problema...Vi espongo il mio caso, sperando che possiate aiutarmi.
Da circa due anni lavoro presso una ditta che si occupa di ricambi e particolari per macchine industriali;una piccola realtà a carattere familiare. Nei primi mesi tutto filava liscio, i rapporti erano perfetti. Da parte della Proprietà c'erano tutti i presupposti per farmi crescere all'interno dell'azienda...seguivo corsi di lingue pagati dalla ditta, trasferte di lavoro...insomma tutto andava per il meglio... Premetto che il posto di lavoro dista 300 metri scarsi dalla mia abitazione, sono stata assunta a tempo indeterminato da subito, la ditta è sana e paga con regolarità...un posto ideale!
Purtroppo le cose oggi sono cambiate. Dopo circa un anno dalla mia assunzione i miei datori di lavoro hanno iniziato a manifestare disappunto su ogni cosa io svolgessi, senza una motivazione apparente. Su ogni cosa c'e da ridire. Tutto ciò che faccio è un errore, sono diventata col tempo il capro espiatorio dell'azienda, anche i miei 4 colleghi se ne sono accorti, tant'è che pure di fronte ad un palese errore di un altro la colpa ricade su di me!
La mia mansione consiste nel gestire ordini clienti e fornitori italiani ed esteri, e sono a stretto contatto
con il "figlio" del proprietario,il quale non mi permette di svolgere serenamente il mio lavoro subissandomi
di ordini e contrordini distogliendomi da quelle che sono le mie mansioni prioritarie e portandomi inevitabilmente all'errore. Questa situazione si è ripercossa sul mio stato di salute. Più volte sono ricorsa al medico (sempre con permessi personali, MAI con la mutua!)per patologie riconducibili allo stato di stress dovuto a questa situazione... Posso dire di essere disperata! Sono arrivata al punto di chiedere un consulto allo psicologo dell'ASL...non so proprio come uscirne... Come se non bastasse due giorni fa mi è stata consegnata una lettera di richiamo per alcuni errori fatti mesi fa;non posso certo dire con certezza di non averli commessi, ma anche verificare la veridicità degli stessi è impossibile! Ho deciso di rivolgermi al sindacato, perchè è ormai palese che la Proprietà ha deciso di "silurarmi", tant'è che sul giornale locale comparso un annuncio in cui la ditta richiede una figura identica alla mia (la ditta ha 6 dipendenti e ovviamente non ci sono 2 figure uguali). Vorrei chiedere quali sono gli strumenti disponibili per difendermi. Ho paura che possano licenziarmi da un giorno all'altro o recapitarmi altre lettere simili per poterlo fare ed avere una sorta di alibi. Io non ho voglia di fare cause, di "andare per avvocati",io voglio poter lavorare con serenità, tornare a casa stanca ed esausta per il lavoro e non con il magone e le lacrime da nervoso!!!!
Ho provato ad avere un dialogo con la Proprietà, capire quali siano stati i miei errori, le mie mancanze, dove ho sbagliato se ho sbagliato...Sono andata incontro stringendo i denti e ingoiando il rospo, anche quando con la consapevolezza di aver ragione dover dire di aver torto, perchè sarebbe da stupidi oggi perdere un lavoro con queste caratteristiche, ma non c'è stato verso di capire quali siano le cose che non vanno...
 Credo di aver fatto tutto il possibile per riconciliarmi ma penso che, comunque, anche se dopo una vertenza dovessi risultare "vincitrice", la sconterei in altri modi...purtroppo questa collaborazione è giunta al capolinea. A questo proposito ho anche pensato di licenziarmi in cambio di una "buona uscita"che potrebbe essere il corrispettivo di uno o due anni di lavoro... Questa è la mia storia e le domande per Voi sono:
come devo muovermi per tutelarmi e visto che comunque i rapporti sono compromessi, faccio bene ad andarmene di mia spontanea volontà? E legale la richiesta di denaro in cambio delle dimissioni?
Vi ringrazio in anticipo per l'aiuto.



Cara Alessandra,
vorrei tanto non rispondere mai a lettere come la Tua perchè è sempre difficile consigliare soluzioni così personali ma mi sono sempre proposto di rispondere a tutti e quindi lo faccio.
Sei disperata! In una frase, nella lettera, dici “sono disperata” e questo è il succo della situazione in cui Ti trovi. Nella vita occorre tutto tranne che essere disperati. Le cose ci possono apparire brutte, orribili, ma c'è sempre, oltre questa soglia, qualcosa di più sereno che ci aspetta. Quando pensiamo di essere sull'orlo del baratro non vediamo alcuna luce. Invece c'è. C'è sempre. La disperazione fa vedere ovviamente tutto nero ma la vita è piena di situazioni negative a cui si pensava di non poter uscire e che poi ci si è lasciati alle spalle, felici d'averlo fatto.
Vediamo se mai sia possibile soffermarci su alcuni punti per aiutarTi. Il primo anno di lavoro è andato bene poi sono iniziate le difficoltà. E giusto questo il periodo più difficile perchè, di norma, non bastano pochi mesi per capire se la collaborazione può essere profittevole o no, da entrambe le parti. Si è come in un matrimonio. Nella luna di miele tutto va bene perchè la fase dell'innamoramento non fa mai essere obiettivi nei giudizi e nelle valutazioni. Nel lavoro è la stessa cosa. Inizialmente sia una parte che l'altra tendono a non esprimersi liberamente e non scoprendosi, è difficile che le cose non vadano bene. Poi...arriva il momento come è arrivato a Te.
Io non so la Tua situazione personale. Quanti anni hai e se sei sposata. (A parte che oggi val poco anche questo). Me lo domando perchè scrivi che sei a diretto contatto col figlio del proprietario da cui, praticamente, dipendi. C'è stato tra Voi qualche frizione per motivi...personali? Non è magari che Ti abbia chiesto qualcosa a cui Tu hai risposto picche? Forse ha un po' troppo attenzioni e Tu non Te lo fili? Per carità, magari nulla di questo, ma nelle ipotesi non posso non inserire questa possibilità. Non sarebbe il primo caso di difficoltà che ha proprio in questo la chiave di ciò che avviene. Non vado oltre, su questo puoi rispondere solo Tu.
Tornando ad altre ipotesi relative al lavoro, comprendo che davvero non sei messa molto bene. Mi presenti la solita situazione in cui la Proprietà (in questo caso il figlio), probabilmente non preparato a gestire collaboratori, agisce scaricando le proprie incapacità sugli altri, creando ciò che accade. Questi ordini e contrordini non possono evidentemente permettere un sereno e corretto lavoro, ma chi glielo dice? Lo sappiamo io e Te. Chi agisce così, solitamente non se ne rende conto e quindi non può correggere qualcosa di cui non è consapevole. Fare il Capo non è poi tanto facile; e se lo si fa senza preparazione o cultura interiore, si creano danni.
La lettera di richiamo è ovviamente un segnale forte a questo punto e se a questa aggiungiamo l'inserzione apparsa sul quotidiano...mi sembra che la strada sia segnata. Certamente la Proprietà si sta preparando, con la lettera di richiamo, la motivazione per agire col licenziamento che presumibilmente avverrà dopo la ricerca con l'inserzione.
Se Tu hai questa consapevolezza, e mi pare di si, non devi drammatizzare oltre perchè, alla fine, faresti male a Te stessa ed alla Tua salute. Cerca davvero di stare calma. Se vali e sai di valere, un altro posto lo trovi.
Veniamo ora ad un punto della lettera che sarebbe stato estremamente interessante ma su cui inaspettatamente sorvoli. Dici d'aver avuto un colloquio con l'azienda per conoscere i problemi senza aver avuto risposte chiare. Sarebbe stato molto utile sapere sopratutto cosa Ti hanno risposto loro, ma non lo dici.
Dici però e lo ammetti, che errori ne hai fatti ma solo perchè portata a farli dal comportamento del Capo. Tu pensi che i Proprietari siano disposti a credere che gli errori nascano da un comportamento non perfetto del loro figliolo? Non credo e quindi, Tu stessa capisci d'essere arrivata al capolinea.
Il problema, ora, anche per la Tua salute, è sapere come uscirne. Un Sindacato adesso Ti direbbe che può agire solo davanti ad un licenziamento da impugnare (ma se a questo licenziamento è allegata una o più lettere di richiamo, la cosa si fa più difficile). Comunque la strada del Sindacato la puoi sempre intraprendere successivamente ed anche l'eventuale strada legale è sempre successiva al licenziamento ma, come Tu hai ben capito, entrambe anche se a Te favorevoli non porterebbero (come dico spesso) a nessun buon risultato perchè quando i rapporti sono rotti non si ripianano per legge ed ogni eventuale reinserimento non farebbe altro che farTi ritrovare in un ambiente ed in una situazione peggiore di oggi.
L'uscita con una indennità è una strada percorribile....se la vogliono percorrere loro. Sta a Te capire.
Io, non avendo elementi su cui basarmi (perchè purtroppo non me li hai dati) posso dirTi cosa farei se la situazione mi coinvolgesse.
1° La salute. Poiché è il bene più prezioso che abbiamo, dobbiamo mantenerlo. Star bene con noi stessi ci dà la possibilità di essere al meglio e di dare il massimo. Io cercherei di rimanere calmo; di dividere il lavoro dalla vita privata staccando davvero la spina all'uscita dall'ufficio. E fuori, cercherei di vivere come se non avessi problemi. Portarseli dietro (è difficile non farlo, ma occorre tentare) non serve se non a deprimersi ed a minare la salute. Proverei a pensare che, in fondo, “chi se ne frega” . Io valgo e troverò qualcosa di ancor meglio. Anzi, mi metterei subito alla ricerca. (Cosa che Tu, in tutto questo tempo, non hai fatto, rimanendo tenacemente attaccata a qualcosa di sbagliato).
2° Chiederei un sereno colloquio con la Proprietà, ancora una volta. Se mi chiedessero il perchè, direi che “devo capire perchè sta accadendo tutto questo e, non capendolo, chiedo un colloquio proprio per chiarire.” Oggi poi, con l'arrivo della lettera è ancor più utile. Se proprio dovessi ammettere gli errori, agirei lealmente dicendo che questi sono nati da una situazione di caos di direttive che mi sono stati dati e che, anche cambiandomi con un'altra persona, la situazione di caos rimarrà.. Insisterei per sapere come mai per un anno tutto è filato liscio per poi scoprire che non vado bene. Chiederei davvero che mi venissero dette le motivazioni perchè solo facendo affiorare le cause si possono poi correggere.
3° per mia abitudine mi presenterei con un notes per segnarmi le cose che mi dicono ( i problemi che ho creato) e per avere sotto mano i punti a cui controbattere, con serenità. Chiederei il perchè di questo accanimento nei miei confronti, davanti ad un atteggiamento di leale massima collaborazione da parte mia.
4° l'obiettivo è quello di arrivare ad un punto di incontro. Se io parlassi con pacatezza, senza astio, dovrebbero prendere atto di questo atteggiamento e controbattere nello stesso modo.
5° Se non vedessi un rilassamento da parte loro, a quel punto, ma solo a quel punto, potrei proporre due soluzioni. Una collaborativa: “se non vado più bene nella posizione in cui sono, mettetemi in altra posizione (a parità di stipendio e grado) perchè non voglio creare problemi all'azienda.” Questa disponibilità potrebbe anche spiazzarli perchè solitamente nessuno la offre. Ma, avere un altro lavoro, anche inferiore, mantenendo quello che ho, mi permetterebbe di agire sul mercato con più calma nella ricerca di un altro lavoro e magari poi scoprirei che quella nuova mansione è più serena. La seconda opzione è appunto quella di “cercare assieme una forma di chiusura della collaborazione che mi permetta di non trovarmi sul lastrico e di lasciarci comunque con una stretta di mano. Poiché è evidente che volete liberarvi di me, datemi una mano. Credo che per trovarmi un nuovo lavoro oggi, potrei impiegare anche un anno e quindi copritemi per questo tempo. Sono certo che entro un anno tornerete a cercarmi perchè Vi accorgerete che forse le cose non erano come le state vedendo, ma poco importa oggi perchè non potete avere una prova.”

Questi sono i punti su cui focalizzerei la mia trattativa. La richiesta di danaro per andartene, è legale. Fa parte di una trattativa personale che si fa sempre. Non puoi chiedere due anni di stipendio perchè non Te li darebbero. Devi sempre tener conto anche che, mentre Tu parti da due anni, loro partono da zero e quindi dovete incontrarvi. Credo che l'incontro lo potreste avere con un anno, compreso la liquidazione. In pratica, se Tu sei impiegata da due anni, dovresTi, se il contratto è quello classico, avere due mesi di liquidazione. Il tentativo è di portare in tutto a 12 mesi (due + altri 10 aggiuntivi). Chiarisci subito che non è indispensabile una risposta immediata perchè la Tua è una proposta. Fai però intendere che non vuoi metterTi a mercanteggiare. Dico questo perchè sarà naturale, davanti alla Tua proposta di 12 mesi, arrivare ad offrirTene 6.
Tienti preparata anche ad una chiusura totale davanti alle richieste. Solo in questo caso e solo davanti ad atteggiamenti duri, puoi dire “mi spiace che davanti ad un approccio che voleva essere collaborativo e amichevole, manteniate questo atteggiamento così duro nei miei confronti. Non lo volevo, non lo voglio e non lo vorrei, ma se davvero volete proseguire così cattivamente nei miei confronti, dovrò necessariamente agire di conseguenza e mettere in mezzo il sindacato per una questione che poteva essere chiarita tra noi e che, finisca come finisca, creerà solo fastidi che non avrei, malgrado tutto, voluto crearVi”

Cerca davvero, se puoi, una soluzione interna perchè una lite giudiziaria, vedrebbe la Proprietà con in mano documentazioni che Tu non hai. Non so quando Ti è arrivata la lettera di richiamo ma se fosse giunta da poco, devi salvaguardarTi dando risposta (per raccomandata r.r.) su ogni punto che Ti viene contestato. Molto spesso i lavoratori non sanno che le cose vanno sempre scritte per poter avere un valore. E Tu sei l'unica che può controbattere a quanto detto. Puoi approfittare proprio della lettera per chiarire i Tuoi punti di vista dando, anche se in modo sereno e collaborativo, le responsabilità di quanto eventualmente contestato a “situazioni generali di mancata chiarezza negli ordini ricevuti, cosa che ha portato a difficoltà nella perfetta attuazione degli ordini stessi ed a cui non potevo collaborativamente esimermi”
Puoi anche dire, se vuoi, che “non comprendi la situazione che si è venuta a creare, dopo una fattiva e serena collaborazione durata oltre un anno e che Ti fa propendere per ritenere che dietro a tutto questo vi sia un piano per creare artificiosamente situazioni di mobbing atte ad una chiusura del rapporto e che Tu stai subendo con notevole danno biologico per la salute.”

Ti do i suggerimenti sopra scritti nell'ottica di quanto Tu ci hai scritto. In queste situazioni manca sempre di conoscere ciò che pensa la controparte e questo è un limite. Ovviamente non posso sapere se hai detto tutto o tutta la verità per cui, devi agire Tu come ritieni giusto.

In risposta alle Tue domande finali quindi:
devi tutelarTi rispondendo sempre per iscritto a ciò che Ti viene detto anche oralmente. Devi chiedere un colloquio per portare avanti il chiarimento e le eventuali proposte. Devi, per il tempo che Ti rimarrà, vivere comunque con filosofia questa situazione, pensando che non puoi fare lotte contro i mulini a vento. Devi contemporaneamente metterTi alla ricerca di un altro lavoro fin tanto che puoi presentare un curriculum con la descrizione di quanto svolgi oggi. Devi vivere bene, al di fuori del lavoro perchè la salute è Tua e se la perdi, perdi Tu. Devi far intervenire, se vuoi, il Sindacato, ma dopo l'eventuale licenziamento e se non c'è stato accordo. Infine, se non trovi soluzioni interne che Ti aggradano, fai bene ad andarTene perchè, come ho già detto, la vita è una è non val la pena rovinarsela in un ambiente di lavoro che non Ti accetta.
Se la situazione di attriti va avanti da un anno può darsi, ma lo sai solo Tu, che esistano tutte le motivazioni per un vero e proprio mobbing. In questo caso, anche una dichiarazione del medico specialista che attesti lo stato di stanchezza psicofisica sarebbe opportuno per un'eventuale mossa successiva.
In ogni caso, Ti auguro di risolvere al meglio la cosa tra di Voi.
RicordaTi che quando si chiude una porta, spesso si apre un portone.
Ciao

martedì 23 marzo 2010

IMPIEGATI

Adalberto (loc. n.c.)


Leggo sempre con interesse il vostro blog che dà molti utili aiuti. Io sono un Capo Ufficio vendite di una buona azienda piuttosto conosciuta. Ho alle mie dipendenze sedici impiegati. Tra questi, una ragazza, assunta da non molto che, al di là di quanto lasciava capire, in realtà ha difficoltà ad inserirsi ed a svolgere bene il lavoro dato.
Non è negativa ma vedo che alcune problematiche e certe regole non riescono ad entrarle in testa e quindi occorre fare molta attenzione perchè gli eventuali errori non ricadano poi sul lavoro degli altri. La seguo da vicino ma mi rendo conto che davvero rifiuta certe cose.
Non so cosa fare. Dovrei mandarla via? La devo tenere sperando che migliori? Che fare?
Grazie



Mio caro Adalberto,
molte volte quando si sta per assumere, le persone sono tutte terribilmente capaci. Poi, una volta messe nella posizione iniziano i problemi. Del resto, chi cerca un lavoro, pensa prima di tutto a farsi assumere e quindi a far bella figura in quel momento. Non potrà mai dire “io non so fare questo o quest'altro”. “Non capisco questo o non mi va di fare quello”. E', come si dice, un ambito aleatorio in cui a volte si casca bene ed altre no.
La Tua impiegata quindi non ha fatto altro che ciò che fan tutti: cercare, prima di tutto, di vendere bene se stessi. Se c'è riuscita, come mi pare, qualcosa di buono l'ha già.
A volte è il lavoro in se che può non appassionare tanto. Io parto sempre da una considerazione: deve andar bene la persona ovvero, se la persona assunta è onesta, seria, pronta, volenterosa, tutto il resto ha poco valore perchè lo si impara. A volte, non sarà il Tuo caso, il Capo Ufficio assume un'impiegata e vorrebbe che dal giorno successivo, questa fosse già indipendente e svolgesse il lavoro come se lo avesse fatto da sempre. Non è che si abbia molta più voglia di insegnare e quindi si demanda alla persona stessa.
Ma non tutti siamo uguali. Alcuni impiegano poco per apprendere; altri no. Ma non significa nulla. Se Tu ritieni che la nuova assunta abbia almeno la volontà, l'onesta, sia seria e pronta, rimboccaTi le maniche e stalle vicino. Spesso, queste persone sono poi quelle che alla lunga rendono meglio. Può darsi che abbia bisogno di sentire la presenza del Capo come consigliere. Posso suggerire di agire in due modi:
Avere con Lei un dialogo franco, in cui Le esprimi ciò che Tu vedi. Dille che Ti pare di comprendere le Sue difficoltà in certi compiti e chiedi a lei di spiegarTene i motivi. Fa che il dialogo sia davvero sereno, come tra amici e non come Capo -Dipendente. Ascolta ciò che dice perchè è dalle Sue risposte che Ti farai un'idea del tutto. Può darsi che le difficoltà nascano dall'inesperienza di alcuni compiti; può darsi che Lei preferisca esprimere la sua capacità in compiti che magari non Le vengono dati o sono dati ad altri. Insomma, scava sino a quando non sai da Lei cosa vorrebbe fare e cosa sa fare o cosa l'appassionerebbe fare. Alla luce dei risultati puoi poi, ammesso di poterlo fare, rivedere i compiti del gruppo spostando a Lei ciò che dice di volere o saper fare. Questo ha un vantaggio su altre soluzioni. Mette la persona nella condizione di non barare e di dare necessariamente il massimo in quanto si vede consegnare da svolgere quanto Lei stessa ha chiesto. Ed è chiaro che, se i compiti vengono gestiti bene, si è trovato la soluzione ottimale ma se i compiti non sono seguiti al meglio è la persona stessa che prenderà atto di non essere adatta a quel lavoro e il distacco sarà indolore per entrambi.
La seconda possibilità, se non puoi rivoluzionare i compiti del gruppo in favore della persona, è di trovarLe un Tutor, magari tra qualche impiegata con esperienza e con molta pazienza. Ci sono in ogni ufficio, fortunatamente, quelle signore che si sentono portate ad insegnare ed a seguire gli altri. La presenza magari poco ingombrante di una figura vicino potrebbe aiutarla.
Altrimenti, il compito può essere Tuo ed è questa una sfida che dovrebbe anche appassionarTi. Prendere una persona in difficoltà, parlarle chiaramente dicendo che così non va ma che Ti metti a disposizione per aiutarLa a migliorare, standoLe vicino è bello. Dille che Tu credi in Lei ed hai fiducia, per cui vuoi occupare parte del Tuo tempo ad aiutarLa. Dalle poi Tu di volta in volta in volta i compiti, seguila, correggila, scherzaci sopra se trovi errori ma continua a far presente che la stai aiutando per portarla a rimanere nel gruppo.
Cerca il più possibile di responsabilizzarla facendoLe fare cose che Le dici (anche se non vero) servono ad altri uffici se non al Vostro Capo. Dalle qualche piccola incombenza di controllo. Insomma, cerca di creare o risvegliare in Lei quell'interesse che dici Le stia mancando.
Tutta questa attenzione, come ho detto, Ti porterà quasi sicuramente ad ottenere un Suo cambiamento. Ogni persona sa in cuor suo che ad ogni favore si deve per lo meno portare un comportamento analogo. Se Tu fai delle “carezze” (simboliche) metti la persona nella condizione di ricambiare con un atteggiamento positivo. E la somma di queste carezze e di queste risposte positive permettono di costruire spesso solide basi.
Se poi vuoi provare, Ti suggerisco un altro metodo. Se ritieni che la persona possa svolgere un ruolo diciamo (tanto per intenderci) sino a livello 5, Tu prova a darle una responsabilità a livello 7. Mettila cioè in condizione di sapere che Le stai dando un compito superiore perchè sai che Lei può svolgerlo. Questa responsabilizzazione è molto coinvolgente e può dare i suoi frutti. Non sempre negli uffici ciò è permesso, ma se puoi, fallo. Ovviamente deve esser sempre seguita da Te o da un Tutor senza avere la sensazione di essere controllata.
Dille anche e sempre che Tu sei lì per aiutare i Tuoi impiegati (spero che Tu sia un tipo del genere) e che per ogni problema o dubbio la Tua porta è spalancata. Crea una linea in cui Lei si senta privilegiata nella possibilità di avere aiuto.
Se dopo tutto questo (occorrono un po' di mesi, naturalmente) le cose non funzionano, basterà metterLe davanti i risultati del Suo mancato impegno a fronte della Tua disponibilità per farLe comprendere che quel lavoro non è adatto a Lei. E probabilmente, se così fosse, sarà Lei stessa ad essersene accorta ancor prima che Tu glielo dica.
Ma non mollare sino alla fine. Ho visto decine di persone mal giudicate, rivelarsi poi ottimi collaboratori. Ho visto persone posizionate male, non capite nei loro ideali, frustrate, a svolgere compiti che non ritenevano idonei e che, chiarito il tutto, sono divenute grandi pedine nell'organizzazioni.
Credo che vadano innanzitutto compresi l'essere umano, le proprie ambizioni, come anche i propri limiti.
Forse mi sono ritrovato a scrivere altre volte ciò che sto per dire, e se così fosse, scusami.
Ogni collaboratore deve raggiungere il massimo delle proprie possibilità proporzionalmente ai propri limiti. Ed è in questo che si valuta la collaborazione e la volontà.
Mi spiego meglio. Ipotizziamo che un collaboratore “genio” dia di se stesso l'80% delle proprie possibilità e questo 80% sia superiore a ciò che fanno gli altri,
Ipotizziamo ora che un altro collaboratore valga il 80% del genio sopra detto ed ipotizziamo sempre che costui dia, sul lavoro o in un compito specifico il 100% della propria capacità (il suo limite) .
Bene, tra i due, è meglio il secondo collaboratore. Il primo, pur avendo dato, non si è “rovinato a strafare”. Non si è sprecato. Ha dato meno del proprio potenziale. Certo, va tenuto, per il Suo valore ma ciò non toglie che il secondo invece, il cui limite è inferiore, ha dato tutto se stesso, dimostrando quindi di essere più affidabile e più collaborativo.
Rifletti su tutto questo ed agisci. Non credo che Tu debba mandar via la collaboratrice, almeno ora, sui risultati attuali. Non devi nemmeno decidere di tenerla “sperando che migliori”, come scrivi. Non si deve sperare che un collaboratore migliori se nessuno va in aiuto. Aiutala, fai di tutto, e poi valuterai sull'impegno che questa persona avrà messo nel cercare di migliorare.
Ciao

venerdì 19 marzo 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 4

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.



Fine terza parte


“Le do ragione. Sapevo che parlare con lei era molto piacevole. Mi ricordo del nostro precedente incontro. Anche il suo modo di ascoltare è diverso. Le, se posso dire una mia impressione,”assorbe” più che ascoltare. Per questo percepisce le più piccole sfumature. In realtà, io non ho più parlato di problema, perchè IL PROBLEMA ESISTE PRIMA CHE SI CERCHI UNA SOLUZIONE. Poi, quando è già soluzione, tanto vale GESTIRLO AL MEGLIO. Ora le dico un'altra piccola cosa....”



inizio parte quarta


“ Non credo sia poi tanto piccola – risposi interrompendolo – lei non ha mai detto e credo nemmeno pensato cose piccole. Forse, cose “sottili” ma questo è ben diverso....”
Sorrise leggermente, confermando col movimento del capo, la mia tesi.
“Si ricorda quandole dicevo che la fortuna di alcuni, a volte, sta nella incapacità, nell'impreparazione o anche solo nella cecità dei concorrenti? Ecco, io posso ritenermi fortunato perchè i miei concorrenti, per chissà quale motivo, non riescono a vedere al di là del proprio naso. Addirittura non riescono neppure a copiarmi: Continuano imperterriti a scannarsi sui prezzi e dimenticano ciò che, alla fine, più conta per il cliente: IL SERVIZIO. Lo dimenticano realmente, davvero, come fosse la cosa meno importante del mondo. Questo dà ovviamente a me un vantaggio enorme. Ecco dov'è la mia fortuna .... - disse prendendomi sottobraccio - vede, un collaboratore posto a controllare le auto di chi entra nel mio negozio ha un costo, ma lei provi a pensare a chi entra. Lei stesso, poco fa, ha detto che non avrebbe potuto trattenersi che pochi attimi. Ebbene, se lei fosse entrato per un acquisto, sarebbe stato obbligato ad effettuarlo velocemente. Appena il tempo di parlare con un addetto, sempre magari con la mente rivolta all'esterno, con la paura di una multa o del traino e poi, via. Se ci fosse stato da dover o poter scegliere; se qui le avessimo presentato un articolo migliore rispetto alla sua richiesta; se avessimo cercato, come facciamo sempre, di dare consigli o soluzioni ai problemi, ebbene, tutto questo sarebbe stato mal seguito o addirittura non ascoltato da lei.
Lei sarebbe stato nervoso e se ne sarebbe uscito velocemente ed anche scontento per non aver potuto spiegare appieno il suo bisogno ed avere così, soddisfazione. In parole povere AVREMMO FATTO UN CATTIVO AFFARE IN DUE.
Adesso pensi a lei come PERSONA-CLIENTE, che entra sapendo che il problema posteggio le viene subito risolto. E' certo che si trova pronto a discutere serenamente su ciò per cui lei è entrato. Non trova sia differente? Ed è anche differente ...il risultato sa? Intendo il conto economico. Abbiamo appurato che la totalità di questi clienti esce con la soluzione al loro problema e la quasi totalità, con acquisti maggiori di quanto era l'intenzione iniziale, solo per aver potuto, con calma, dialogare, verificare ed ascoltare proposte.
Alla fine, mi creda, il nostro servizio porta un buon profitto.”
“Le credo – risposi – visto l'ambiente, la sua serenità e quella dei suoi collaboratori, sono veramente certo che i rapporti con i clienti siano ottimi e l'aver tolto il problema auto a chi entra, penso veramente sia stato fruttuoso...”
“Si, è vero – disse intervenendo – ma la prego, non si faccia di me l'idea che io sia un missionario; ciò che faccio, quando lo faccio, è sempre stato precedentemente ed attentamente analizzato. In molti casi anche testato per verificare se i miei pensieri sono, tradotti in realtà, fattibili e...perchè no, profittevoli. Se partiamo dalla logica constatazione che SE ESISTE UN PROBLEMA, ESISTE UNA SOLUZIONE, risolvendo il primo avremo come risultato gente più libera di rimanere in negozio e, che sia più o meno credibile, il livello di spesa aumenta proporzionalmente al tempo trascorso qui. Quindi, come vede,non mi creda un missionario. Sono un uomo d'affari che a differenza di altri ho le idee più chiare.. Ma ora venga – disse prendendomi per braccio – che le mostro ciò che ho fatto di nuovo ed intanto le offro un ottimo caffè, sena dover uscire dal magazzino. Le va?”
“Perchè no?” - risposi pensando mi portasse nel retrobottega a bere uno di quei tristi intrugli che spesso mi capita di bere. Invece, girato l'angolo di una corsia, mi trovai inaspettatamente in un'altra realtà. Qualche tavolino, due panche, alcune piante. Il tutto formava un vero piccolo angolo bistrot. A parete, un piccolo banco bar, un'autentica macchina da caffè ed alcune tra le più note bibite. Mi fermai un attimo e lui, accorgendosene, sorrise. Ad un tavolo, una persona leggeva beatamente un giornale; ad un altro, due bambini erano intenti a compilare un gioco mentre i probabili genitori, al banco, stavano bevendo un caffè, incredibilmente ascoltando un addetto alle vendite che spiegava loro il funzionamento di un oggetto.
“Non posso credere – dissi – c'è qualcosa che non capisco....”
“No – rispose l'amico negoziante – non c'è nulla di incredibile. Lei vede solo il risultato di un'altra mia riflessione. Ha mai visto le persone, ad un banco, in attesa d'essere servite o solo in fila per chiedere un chiarimento od un'informazione? Ha mai notato quante di queste, dopo un poco sono scocciate e pronte ad andarsene? Bene; io ho solo pensato che da me non deve accadere. Così ho atteso sino a quando non mi si è presentata l'occasione giusta. Ho preso una licenza libera ed ho pensato di usarla in questo modo. Il mio personale non deve più uscire per un caffè a pagamento che può trovare gratuitamente all'interno ed i miei clienti possono, durante la loro visita nel punto vendita, sedersi e leggere il quotidiano che mettiamo a disposizione oppure chiedere una bibita che non costerà loro nulla e, come stanno facendo quei due clienti, approfittare del caffè offerto per proseguire la trattativa di acquisto.
Ho un concetto tutto mio di vendita e di trattativa ed i miei collaboratori la apprezzano incredibilmente. Non esiste stress ed è per questo che c'è passione per il lavoro.
Ognuno può decidere di invitare il cliente al bar o al tavolino e proseguire la vendita da lì: Scommetto che lei si starà chiedendo il costo di tutto questo.......”



fine parte quarta

martedì 16 marzo 2010

STUDIARE L'ITALIANO

Gianfilippo M. (loc. n.c.)

Egregio Dottore,
leggo il blog da tempo dandogli una occhiata quando il mattino arrivo in ufficio senza pensare che un giorno ne avrei avuto bisogno anchio. Mi capita una cosa strana che voglio raccontare perche mi crea dei problemi che non penso di averne bisogno.
Sono laureato in economia e commercio e dopo esperienze varie sono arrivato in questa azienda come (mansione definita ma tolta da noi). Ho sotto di me una rete vendita e tanti clienti direzionali. Oggi le vendite come lei insegnia non vengono fatte quasi più visitando i clienti ma conttattandoli direttamente col computer con informazioni e offerte. L'o sempre fatto anche nelle precedenti ocupazioni senza che nessuno ha mai avuto da ridire. Invece qui è successo il finimondo. Mi spiego bene. L'azienda è una padronale e a aiutare il padrone cé la moglie che è una proffessoressa in pensione. Laltro giorno è venuta da me disperata perche dice che fa brutta figura l'azienda nel far leggere ai clienti delle cose scritte da me perche scrivo male. Premesso che io ci metto lanima nel costruire le mail che invio studiandole e facendole inmodo che il cliente comprenda bene le informazioni ritengo ammesso che qual'cosa non sia perfetto che non sono comunque da trattare cosi. La moglie del mio capo dice che devo andare a scuola e che non ha mai visto un modo di scrivere come il mio e che vuole vedere la laurea. Cosa che mi indispetisce. Probabilmente qualche errore ci scappa quando si scrive ma oggi non ci bada nesuno perche conta il contenuto infatti i clienti che contatto mi rispondono e fanno ordini. Io leggo quello che scrivo ma non trovo errori mentre lei mi dice che ora in poi vuole vedere cio che mando via a nome del'azienda. Che bisogna leggere Dante prima di scrivere. Mi sento umiliato anche perche in ufficio se va avanti cosi non faccio una bella figura. Cosa devo fare? Posso rifiutare?
Grazie

ps. aspetto anche un suo parere su come scrivo



Gentile Dottore,
posso dirLe che sono davvero stato molto dubbioso sulla pubblicazione o meno della Sua lettera? Avevo ed ho ancora il dubbio che sia uno scherzo ma poiché potrebbe non esserlo, Lei forse è davvero in attesa di sapere cosa penso del caso.
Innanzitutto non doveva proprio scrivere quel post scriptum perchè mi obbliga a risponderLe. Non so davvero se Lei faccia apposta ma se mi chiede un parere su come scrive presumo che abbia anche ben riletto ciò che ha battuto sul computer. O Lei ha una tastiera difettosa che parte per la tangente da sola oppure, mi creda, pure se la Sua laurea è in Economia e Commercio, non capisco (lo dico senza ironia e con tristezza) come possa aver scritto la tesi ne come, chi l'ha letta, l'abbia accettata. Sono forse brutale ma, ripeto, Lei mi chiede un parere ed io glielo do.
Si, non ha torto la moglie del Capo, la professoressa (con una “f”). Mandare in giro comunicazioni sbagliare non è affatto salutare per il buon nome dell'azienda, oltre che Suo, se è Lei a firmare. Magari qualche cliente non ci baderà ma questo non giustifica che chi scrive non debba farlo al meglio.
Valgono certamente le condizioni, i prezzi e quant'altro ma se tanto mi dà tanto, forse gli errori (che ci sono Dottor Gianfilippo, ci sono) ci saranno anche nella parte descrittiva delle offerte.
Un tempo, quando le vendite erano, ed in certi casi sono, ancora fatte di persona, a voce, gli errori lessicali si confondevano e ci poteva far meno caso. Dire “ l'o sempre fatto” a voce pare giusto; metterlo per iscritto è un'altra cosa. Paradossalmente quindi i poco preparati o predisposti all'italiano facevano una figura meno brutta un tempo che non oggi che, con i nuovi mezzi di comunicazione, va tutto per iscritto.
Ma qui c'è proprio un fattore di immagine che l'azienda vuole salvaguardare e che davvero fa bene a fare. Come posso aver fiducia di quanto mi scrive l'azienda se non sa nemmeno presentarsi? Senza pensare che diventerà o sarà divenuta lo zimbello dei concorrenti che approfitteranno di queste cose per svilirne l'immagine.
Eh, si! Ha proprio ragione la Professoressa. Occorrerebbe aver letto od occorrerebbe leggere un po' Dante o, se proprio non vuole, almeno qualche bel classico per trovare quella grazia ed un po' di raffinatezza nelle espressioni; grazia e raffinatezza che fan venir voglia di scrivere bene per leggere meglio.
Certo è che se Lei è uscito (davvero?) da un'Università con una Laurea, mi chiedo come erano i Suoi esaminatori. Forse non tutti i torti sono Suoi.
Ed ora che fare? Ciò che conta è uscire da questa situazione. In azienda, caro Dottore, non penso Lei possa far altro che accettare le imposizioni. Scriva i Suoi testi, li rilegga, li corregga se può e li dia alla Proprietà affinchè vengano rivisti.
Certo è che se Lei avesse dettato i Suoi scritti ad un'impiegata o ad una segretaria, costei li avrebbe scritti bene! Può comunque iniziare fin da ora a farlo.
Nel frattempo però, se proprio non vuole farsi aiutare da qualcuno in ufficio, mi ascolti bene. Cerchi velocemente un buon vecchio Professore di italiano in pensione e si faccia dare una mano. E' inutile che gli dica il problema. Gli presenti un Suo scritto e capirà. Lo faccia con umiltà e con umiltà si impegni a passare le Sue serate a leggere, leggere e leggere ancora.
Non c'è motivo per cui Lei non possa migliorare.
La saluto cordialmente

sabato 13 marzo 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 3

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.



Fine seconda parte

“ E' proprio questo il problema. CHI E' DIETRO IL BANCO DOVREBBE PENSARE COME CHI SI TROVA DAVANTI AL BANCO. Ma sono troppe le tentazioni per riuscire a risolvere i problemi di cattivi acquisti, così si spingono e si forzano le vendite per eliminare le giacenze. Vendite che, alla fine, portano a disastrosi risultati ed anche...alla fortuna del mio negozio, perchè i miei concorrenti agiscono così e non si accorgono che io vendo di più proprio sui loro errori. Beata ingenuità: siamo nel 2010 ed ancora trattiamo i clienti come STRUMENTI PER VENDERE anziché PERSONE A CUI VENDERE”.


Terza parte


“Un momento – dissi – mi faccia riflettere. Lei ha chiamato i clienti PERSONE A CUI VENDERE e dice che non possono essere trattati come STRUMENTI PER VENDERE....è incredibile. Non ho mai sentito dare una valutazione così sintetica e perfetta di come andrebbe visto il cliente...”
“Per me è così – rispose - e credo che lei capisca bene i miei pensieri – mi disse con un sorriso – ed allora voglio confidarle una cosa. Nel mio punto vendita entrano persone che sanno benissimo di non trovare le cose che cercano (spesso merceologie diverse) ma entrano per sapere da noi dove possono trovare la soluzione ai loro problemi. Questo, a dimostrazione che di noi ci si fida. Le pare poco?”
“No, no, anzi, mi pare molto. E' incredibile quanti messaggi lei sia riuscito ad emettere e con quanta chiarezza. Ora capisco perchè entrare in questo negozio è così piacevole. Confesso che quando lei ha iniziato a parlarmi, io la spiavo. Cercavo di comprendere perchè per tutti coloro che entravano aveva una frase ed un sorriso: in parole povere, la spiavo per scoprire il suo segreto...”
“Lo ha scoperto il mio segreto! Il segreto che ho insegnato ai miei collaboratori si chiama semplicemente COMUNICAZIONE. Fare comunicazione, usare la comunicazione, giocare con la comunicazione per farsi capire e capire meglio. Ed ora le dirò un altro segreto. Sto attentamente valutando l'idea di tenermi qualcuno vicino affinchè possa imparare ad “accogliere i clienti” proprio come faccio io.
Credo che questo piccolo benvenuto sia ampiamente ripagato dai clienti. Sentirsi ben accetti, li dispone bene. Oggi poi, il negozio è diverso, non è più quello di una volta e va visto in modo diverso. Gli ampi spazi dedicati alla vendita diretta impongono studi per risolvere altri tipi di problemi e, sebbene molti li abbia già risolti, voglio seguire bene da vicino il loro svolgimento per vedere come ottenere i migliori risultati anche in questo campo. Sono sicuro, anche se sembra incredibile, che la comunicazione sappia aiutarmi anche in questo caso. Ma credo proprio che una mano me la possa dare anche lei, o sbaglio?”
“Lei è un bel tipo – risposi – termina sempre facendo una domanda...”
“Certo, per permetterle di darmi una risposta! Che comunicazione sarebbe se parlassi solo io? “
Ci lasciammo così quella prima volta e per molto tempo da quell'incontro continuai ad avere in testa u pensiero: quel negoziante affermava di ricordare tutti i clienti e di poter riprendere un discorso con ognuno dal punto in cui era stato interrotto. “Questa – diceva – è la dimostrazione della stima che ho verso le persone che entrano nel mio punto vendita”.
Ebbene, il mio desiderio ma anche la mia curiosità erano legati alla verifica della sua capacità di comunicazione. Così, un giorno, decisi di ripercorrere la stessa strada e di entrare nello stesso punto vendita, per verificare.
Non fui molto facilitato nel posteggiare l'auto, con le mille difficoltà di cui tutti soffriamo oggi nelle città. Anzi, non trovai affatto un posto e mi accontentai di mettere lauto in brutta posizione ma quantomeno visibile dal punto vendita. Tanto, la mia verifica di quanto diceva quel negoziante, avrebbe portato via poco tempo.
Mi chiesi comunque come, con questi problemi di circolazione, tanta gente continuasse a preferire quello ad altri magazzini. Mi tenni la mia considerazione ed entrai.
Era lì. Pareva osservare merce esposta su uno scaffale ma in realtà era attento a tutto. Mi riconobbe subito, ancor prima che mi avvicinassi.
“Ben tornato! E' qui per me o...è qui per lei? O meglio, è tornato per conoscere ancora qualcosa di me o è entrato per trovare la SOLUZIONE AD UN SUO BISOGNO?”
“Confesso di non aver un problema che lei possa risolvere vendendomi qualcosa e mi spiace, ma sentivo comunque un bisogno: quello di sapere se mai mi avesse riconosciuto e, perchè no, quello di conoscere e capire più profondamente lei e le sue teorie...” - dissi.
“Vede. Lei mi fa già un grande piacere nell'essere tornato perchè la vita di un....definiamolo pure tra virgolette, commerciante, non è fatta di sola vendita a quelle che io definisco PERSONE CLIENTI. Per me lei è una PERSONA, PROBABILE CLIENTE ma, per il momento è comunque e certamente una PERSONA con cui mi è oltremodo piacevole scambiare un punto di vista. Oltretutto ho molte cose da mostrarle. Dalla prima volta in cui ci siamo incontrati ho apportato ulteriori innovazioni alla mia attività...”
“La ringrazio – risposi - ma credo che dovremo rimandare. Ho un problema di parcheggio e non vorrei trovarmi una sopresa, all'uscita...”
“Beh, se è per questo, non la troverà di sicuro – disse con quel suo sereno e rassicurante sorriso - . Il suo problema è purtroppo quello di molti che vengono qui e, con l'attenzione che ho sempre per le PERSONE CLIENTI all'interno del magazzino, sarebbe veramente grave se non avessi cercato di trovare una soluzione anche a questo, pur se all'esterno. Lei ricorda il mio motto? “Qui si entra con un PROBLEMA e si esce con una SOLUZIONE. Sarebbe grave se non avessi cercato, per le persone clienti, una soluzione anche per questo. Mi dia, per cortesia, le chiavi della sua auto e me la indichi se la si può vedere. Per il resto ci pensiamo noi” . E detto questo chiamò un suo collaboratore.
Gliela indicai e fu tutto. Diede le ie chiavi ad un giovane che era già nei pressi dell'ingresso e che, mi parve, avesse proprio il compito di controllare le auto dei clienti.
“Certo che lei non bada a spese” – dissi quando tornò ad avvicinarsi. “Una persona appositamente messa per questo specifico compito....”
“Questo è il suo compito specifico – rispose – quando esiste questo PROBLEMA DA RISOLVERE. E' più giusto dire che fa parte dei suoi compiti. Vi sono momenti in cui non dobbiamo avere questa attenzione e quindi questo mio collaboratore opera su altre cose.”
“E' incredibile, lei - dissi sorridendo. - Occorrerebbe registrare quanto dice e riflettere su ogni frase, ogni parola. Ha detto che vi sono momenti in cui NON DOVETE AVERE QUESTA ATTENZIONE. Qello che per altri sarebbe eventualmente una scocciatura, ma non ho mai saputo che altri abbiano un simile servizio, per lei è un'attenzione. Anche i vocaboli testimoniano la cura che qui si ha per il cliente....”
“Le do ragione. Sapevo che parlare con lei era molto piacevole. Mi ricordo del nostro precedente incontro. Anche il suo modo di ascoltare è diverso. Le, se posso dire una mia impressione,”assorbe” più che ascoltare. Per questo percepisce le più piccole sfumature. In realtà, io non ho più parlato di problema, perchè IL PROBLEMA ESISTE PRIMA CHE SI CERCHI UNA SOLUZIONE. Poi, quando è già soluzione, tanto vale GESTIRLO AL MEGLIO. Ora le dico un'altra piccola cosa....”


fine parte terza

lunedì 8 marzo 2010

I PROBLEMI DEL PRIMO IMPIEGO

Luigi B. (Marche)


Mi chiamo Luigi e scrivo da.............. Chiedo il vostro aiuto perché non so come comportarmi. Sono al mio primo impiego e già ho problemi. Dopo la laurea mi sono messo a caccia di un lavoro. Naturalmente non ho trovato quello per cui ho studiato ma dopo essermene fatta una ragione ho allargato la ricerca e finalmente ho trovato qualcosa. Ho avuto un colloquio ed essendo andato tutto bene sono stato assunto. Una volta iniziato il lavoro mi sono trovato in una situazione dove le cose sono diverse da quelle che mi aspettavo. Nel colloquio mi erano state dette alcune cose ma non avendo mai lavorato non ne avevo compreso appieno le problematiche ed avevo acconsentito. Ora mi accorgo della differenza. Poi devo aggiungere che mi vengono dati incarichi di cui non mi era stato parlato ed altri che probabilmente non dovrebbero rientrare nel ruolo. Cosa devo fare? Sono piuttosto imbarazzato e deluso ed anche infastidito perché ritengo che quanto mi viene chiesto non faccia parte di quanto dovrei effettivamente fare.
Vorrei mandare tutti al diavolo ma non so se in un'altra occasione le cose saranno poi diverse. Come faccio a saperlo?
Grazie.



Caro Luigi,
come fai a saperlo? Non c'è una cartina di tornasole che Te lo dica in anticipo. C'è però un atteggiamento che dobbiamo tutti avere e che può preservarci da sorprese poco gradite.
Nel Tuo caso c'è stata un po' di ingenuità nella fase di colloquio; ingenuità che non Ti ha fatto approfondire le cose. Non è l'inesperienza che Ti ha fatto sbagliare ma proprio l'ingenuità. Spesso, sono proprio i giovani inesperti coloro che chiedono di più; approfondendo ogni dettaglio, mettendosi così al riparo da sorprese. Tu invece hai scelto la strada dell'accettare ciò che Ti è stato detto, senza approfondire.
Se posso permettermi, devo inoltre dire che, leggendoTi, noto anche, tra le righe un certo atteggiamento di rifiuto verso forse qualcosa che non ritieni alla Tua altezza. Sei però al primo impiego e, come Tu stesso dici, ci sei arrivato dopo aver dovuto accettare che, cercando in un campo ristretto, non trovavi l'opportunità che avresTi voluto.
Probabilmente, il Tuo rifiuto ad approfondire la proposta è nato proprio anche da questo. Ed ora ci sono i dolori. Il guaio è che è difficile ora, e sopratutto per me, dirTi che chi Ti ha assunto è stato bugiardo. Può aver detto le cose come stavano, mentre Tu rifiutavi di ascoltarle così come può aver sorvolato su alcune cose.
In ogni caso, quello che è stato è stato. Ora devi guardare avanti e farTi Tu alcune domande, piuttosto che chiederle a me, come ad esempio:
il lavoro Ti serve per vivere? Capirai che da questa risposta nasce la Tua scelta su cosa fare.
E poi ancora: ciò che Ti viene richiesto è un ampliamento positivo del ruolo o qualcosa che lo abbassa?
A volte, scusa se lo dico, mi sono trovato innanzi giovani che non accettavano nemmeno un ampliamento positivo del ruolo perchè questo significava lavorare di più.
Poi, ammettendo che Ti venga chiesto qualcosa che ritieni essere non adeguato al Tuo livello (noi però non sempre siamo obiettivi), è così negativo nell'ambito del lavoro? In questa mansione non è possibile trovare qualcosa di buono o di utile, anche sotto l'aspetto dell'esperienza?
Il ricevere oggi incarichi di cui non Ti avevano parlato non mi sembra così negativo. Mi pare invece, e scusa se Te lo dico, che Tu ne faccia una questione di principio. “Non me ne avevate parlato, quindi non mi va che mi venga dato quest'incarico”.
E se invece questo significasse un allargamento delle mansioni in previsione di qualcosa altro? E se il datore volesse metterTi alla prova o mettere alla prova la Tua disponibilità? Ti ricordo che mi scrivi circa il Tuo primo impiego ed in questa fase solitamente occorrerebbe essere molto più aperti e disponibili perchè ciò che vale è fare esperienza.
Mi sono trovato più di una volta ed in un'altra parte della mia vita a confezionare cartoni per dare una mano ai magazzinieri in una situazione d'urgenza mentre la mia funzione era quella di numero uno in azienda.. Non ne ho mai fatto un dramma. Da allora però, ogni volta che devo confezionare e riporre qualcosa, non ho rivali e ritengo di saperlo fare bene!
Personalmente cercherei di riflettere e valutare bene se ciò che viene chiesto è uno svilimento, un aumento di esperienza da portare a casa, un favore da fare o cos'altro.
Farei la stessa cosa su ciò che dici non esserTi stato detto o detto in parte. Mi pare che Tu ne faccia un po' una questione di principio, ma coi principi...si mangia poco, sopratutto nei primi impieghi.
Mi chiedi se cambiando troveresTi le stesse cose. Può darsi. Perchè se quanto Ti vien chiesto fa comunque parte del ruolo, anche se non Ti è stato detto, certamente Te le ritroverai. Ma Te le ritroverai anche se, per qualche motivo Ti venisse chiesto un favore e nella vita lavorativa accade e va anche accettato.
Cambiando, se lo vorrai fare, dovrai però stare più attento a quanto viene detto durante i colloqui per non dare poi la colpa a chi Ti ha parlato. Sta a Te approfondire e, se qualcosa non è chiaro, dirlo.
Se invece prendi la cosa sottogamba come forse hai fatto questa volta, allora dovrai solo dire che la colpa è Tua.
Un pizzico di umiltà in più; un pizzico di voglia di fare, di collaborare, di crescere, di fare esperienza; un pizzico di tutto questo lo dovrai sempre mettere, in questo primo incarico come negli altri.
Ciao

domenica 7 marzo 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 2

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.



Fine prima parte

E' una grande soddisfazione ma anche una prova che qui abbiamo instaurato un rapporto che altrove non c'è ancora. Forse lei non se ne intende – mi disse – ma io metto in pratica semplicemente quello che i grandi professori chiamano “COMUNICAZIONE”.
La cosa certamente mi interessava e lo stimolai a raccontare.


Inizio seconda parte

“Vede, prima ho detto che i miei collaboratori suggeriscono SOLUZIONI AI PROBLEMI dei clienti. Qui non si vendono oggetti, ma soluzioni. QUI' C'E' LA SOLUZIONE AL TUO PROBLEMA, qualunque esso sia. Questo può essere il motto del mio negozio. DEVO SOLO FARTELO SAPERE. Ed inizio sempre con un benvenuto, come lei ha visto. Questo benvenuto, questa frase di ricordo o comunque di contatto mette a proprio agio il cliente, anzi LA PERSONA e gli comunica proprio che qui troverà la soluzione al suo problema.
Un tempo, quand'ero giovane, ho fatto per un breve periodo il venditore di una grande azienda. E sempre un giorno, un tizio di quelli che chiamano “i professori” disse in una riunione alcune cose certamente molto importanti ma col tempo purtroppo, e me ne spiace, non le ricordo poi tutte.
Importante però è che alcune di esse mi si stamparono in mente in modo tanto indelebile da ricordarle benissimo ancora oggi e la cosa ancor più importante è che proprio da queste cose sono nate alcune “riflessioni” che mi sono poi sempre servite nel lavoro e nella vita privata, permettendomi di arrivare dove sono arrivato. Ecco vede – proseguì - il cliente è come un'antenna o, se vuole, un apparecchio ricevente e come tale riceve il messaggio che io gli trasmetto.
IL CLIENTE CAPISCE SE PER NOI, LUI E' IMPORTANTE; se io quindi trasmetto questa sensazione, ecco che li capirà che qui si potrà trovare bene e che qui verrà considerato. Per questo preferirà tornar sempre da noi, ed allora.... LA VENDITA DI UN PRODOTTO DIVENTA SOLTANTO UN MEZZO PER CONTINUARE A COMUNICARE COL CLIENTE.
In altre parole, vendere è solo AVERE CURA DEL CLIENTE. Dico sempre ai miei nuovi collaboratori: lasciate parlare il cliente ed ascoltate senza paura di perder tempo. Più il cliente si spiegherà, meglio potrete aiutarlo e più lui si sentirà bene ed IMPORTANTE.
L'incomprensione, la fretta, il pensare d'aver capito tutto e subito, la non passione per il lavoro che si fa, tutto questo è il nemico più grande che certamente porterà ad un sicuro insuccesso. E poi – dico sempre - quando siete certi d'aver compreso il problema del cliente (ovvero la richiesta del prodotto) DOMANDATEGLI ANCORA QUALCHE CHIARIMENTO. Dimostrerete che siete attenti a quello che diceva; che vi siete presi a cuore il suo problema e che volete aiutare lui a risolverlo. In questo modo e solo in questo modo la PERSONA che si è presentata a voi CON UN PROBLEMA diventerà CLIENTE e da quel momento, il cliente ridiventerà PERSONA.
Può non essere facile comprendere subito questo concetto ma io cerco di dare sempre dimostrazioni di quanto dico, sino a quando non vedo che sono stato chiaro.
La comunicazione....quanti problemi risolve e quanti ne risolverebbe se la gente conoscesse maggiormente le leve che la muovono e quindi la grande capacità di soluzioni che c'è dietro questo termine. Sa una cosa – continuò poi, prendendomi sotto braccio – se lei è stato attento a come ricevo i clienti, si sarà accorto che ogni frase da me rivolta termina con una domanda. E sa perchè?”
Risposi di no per stimolarlo a parlare.
“E' presto detto – continuò – Questo è il modo migliore per instaurare da subito un rapporto di comunicazione che si sviluppa col dialogo. Vede. Se io dicessi solo” buongiorno signore” oppure “si accomodi” o anche “arrivederci” emetterei una comunicazione che quel professore, a suo tempo, diceva essere AD UNA VIA. In pratica, dico qualcosa che anche se viene recepito non permette o non obbliga a rispondere. Sono chiaro?
“Chiarissimo – dissi – tanto che anche ora lei mi invita a risponder alla sua domanda”
“Ecco, vede? In questo caso, terminando la mia esposizione o la mia TRASMISSIONE con una domanda, la pongo nella possibilità di rispondere e la comunicazione è così divenuta A DUE VIE. Proprio quello che ci vuole per iniziar ad instaurare un corretto rapporto di comunicazione. Se poi aggiungiamo un pizzico di buona memoria che viene con gli anni di mestiere, si può riuscire a fare ciò che faccio io.
Nessuno lo fa perchè probabilmente tutti ritengono che sia solo una perdita di tempo o che non faccia parte del lavoro. Invece, le posso assicurare che al cliente fa piacere.
Fa molto effetto entrare in un punto vendita e sentirsi riconosciuti; sapere che si si ricorda di loro e che, contrariamente ad altrove, non si è trattati come numeri o semplicemente come “uno a cui affibbiare qualcosa, purchè esca dopo aver lasciato un po' di soldi”. Sa una cosa? La più GRANDE PUBBLICITA' di questo punto vendita è fatta proprio dalla mia clientela.
Una volta si chiamava propaganda. Ebbene, i miei clienti sono i più grandi propagandisti che ho in giro per la città. I miei collaboratori hanno addirittura clienti fissi che entrano ed aspettano in fila per esser serviti proprio da loro, come fossero medici o, meglio ancora, sacerdoti al confessionale. E tutto questo perchè hanno saputo creare quell'atmosfera, quel rapporto umano che solo con una buona conoscenza della comunicazione è possibile creare.
Un tempo mi divertivo a leggere alcuni testi – proseguì dicendo - che ritenevo utili al mio lavoro. Ricordo un volumetto di tanti e tanti anni fa “L'one minute per vendere” di Johnson e Wilson, se ho buona memoria, in cui vi erano raccolte molte considerazioni intelligenti. Una che poi ho fatta mia, diceva:
RICORDATI CHE ALLA GENTE NON PIACE CHE LE SI VENDA QUALCOSA, MA ADORA COMPERARE”
Ci pensa – continuò – a quanta verità è racchiusa in questa semplice frase? Che fastidio reca alle persone il vedere che un negoziante vuole assolutamente vendere qualcosa, magari con insistenza o, peggio ancora, in modo subdolo, cercando di convincere un cliente che quello offerto è proprio ciò che fa per lui, anche se magari è l'opposto in assoluto?”
“Si – risposi – mi ci sono trovato anch'io e spesso in questa situazione e devo ammettere che è fastidioso. Quando entro in un punto vendita DESIDERO COMPRARE e mi aspetto solo di trovare persone disposte ad ascoltarmi ed a suggerirmi soluzioni. Capita invece di aver l'impressione che, per gli addetti, è finalmente arrivato il “pollo”; quello a cui vendere l'articolo obsoleto che è fuori listino o a cui appioppare l'articolo su cui c'è maggior margine.”
“ E' proprio questo il problema. CHI E' DIETRO IL BANCO DOVREBBE PENSARE COME CHI SI TROVA DAVANTI AL BANCO. Ma sono troppe le tentazioni per riuscire a risolvere i problemi di cattivi acquisti, così si spingono e si forzano le vendite per eliminare le giacenze. Vendite che, alla fine, portano a disastrosi risultati ed anche...alla fortuna del mio negozio, perchè i miei concorrenti agiscono così e non si accorgono che io vendo di più proprio sui loro errori. Beata ingenuità: siamo nel 2010 ed ancora trattiamo i clienti come STRUMENTI PER VENDERE anziché PERSONE A CUI VENDERE”.



Fine seconda parte

giovedì 4 marzo 2010

COS'E' IL SERVIZIO

Pierantonio B. Caserta



Ho ventiquattro anni, e sto iniziando un lavoro in cui la parte più importante è improntata sul servizio. Quando ho fatto il colloquio l'unica parola che mi sono sentito ripetere mille volte è servizio ed io non capivo. Non potevo dirlo perchè avevo paura che mi eliminassero e quindi continuavo a dire di si per far capire che sapevo cos'era e cosa dovevo fare.
Ora però devo davvero iniziare e visto che ho trovato il vostro bellissimo sito, vorrei per piacere chiedere se potete spiegarmi un po' cos'è il servizio e cosa viene chiesto a chi lo deve fare.
Grazie


Mio caro Pierantonio,
la Tua lettera mi ha fatto sorridere perchè, con molta sincera, ammetti di aver fatto la manfrina durante il colloquio pur di non perdere l'occasione.
Parliamo nuovamente di servizio. Non mi dici esattamente cosa andrai a fare (questo è il solito problema di chi scrive) ma se il Tuo datore di lavoro ha fortemente parlato di servizio, significa che dovrai svolgere un lavoro in cui esso ha notevole parte. Stando allora sul vago, senza approfondire su uno specifico lavoro, posso dirTi che il servizio è “mettere il cliente a proprio agio”.
Tu probabilmente avrai a che fare con clienti. Che vengano da Te o che Tu vada da loro, poco importa. Si parla di servizio quando vi è da curare un rapporto con un cliente, servito successivamente ad una vendita, da Te o da altri. Si parla di servizio quando il cliente ha acquistato un bene che sta funzionando e che abbisogna di manutenzione, ad esempio. Allora, ecco che la persona che visita il cliente deve dare un servizio che può essere il controllo della macchina; la manutenzione, riparazione od altro.
Si parla di servizio anche quando, in negozio, occorre dare la maggior soddisfazione alle necessità del cliente.
Insomma, servizio è un termine usato ormai in mille situazioni. Di fatto, come ho detto, dare un servizio vuol dire mettere il cliente a proprio agio; dare soddisfazione alle sue necessità ma anche andare incontro a ciò che lui si aspetta.
Cosa posso dirTi ancora? Se avrai a che fare con clienti che hanno acquistato dalla Tua azienda strumenti di lavoro che abbisognano di controlli, dare il servizio significa “mettersi a disposizione del cliente” od anche “facilitare il rapporto tra cliente ed azienda”. “Dare al cliente ciò che al cliente abbisogna”; “dare al cliente la massima disponibilità”. Insomma, dare servizio è “fare di tutto per risolvere i suoi problemi”.

Credo, con i virgolettati, di averTi detto proprio tutto su cosa si intende per dare il servizio. Ora dobbiamo però fare un'altra considerazione su cui poche volte stiamo a riflettere.
Il servizio è una “sensazione emotiva” nel senso che è qualcosa che si dà ma non si vede. Il servizio non si pesa, non si tocca, non si presta, non si vende anzi, semmai il servizio è qualcosa che si dà prima di vendere qualcosa.
Non è neppure qualcosa che si può apertamente valutare, difatti il servizio non è uguale per tutti. Esso è percepito in modo differente dalle persone. Quello che Tu offrirai ad uno (nel senso di Tuo lavoro o di Tua presenza) può non essere ugualmente valido ed importante per un altro. Infatti il servizio è piuttosto soggettivo ed ognuno lo percepisce proporzionalmente alle aspettative che ha.
Se proprio devo darTi una definizione finale di servizio dirò che per me esso è “ la creazione di un rapporto che va al di là del rapporto di lavoro”.
Se un cliente dovesse chiamarTi per un problema, e Tu arrivi prontamente a risolverglielo, egli percepirà di avere da Te un ottimo servizio. Se lo stesso cliente dovesse telefonare più volte per poter ricevere la visita di qualcuno, percepirà una mancanza di servizio.
Ma il Tuo lavoro non dovrebbe fermarsi a questo. Purtroppo non so, lo ripeto, cosa andrai a fare ma, solitamente la persona predisposta a dare un servizio è anche la più importante per far ottenere vendite alla propria azienda. Infatti, chi fa un servizio è visto spesso come un “medico” che arriva al capezzale quando qualcosa non va. E come un medico, ciò che dice e consiglia ha un certo valore.
Per essere più chiaro devo farTi un esempio e quindi scelgo un settore a caso. Ipotizziamo che Tu debba portare avanti la gestione di manutenzione di una società che ha venduto apparecchiature d'ufficio. Ipotizziamo fotocopiatrici. Ebbene, ipotizziamo anche che Tu venga chiamato perchè la macchina inizia a fare capricci. Arriverai prontamente dal cliente, verificherai il danno; lo riparerai e potrai dire al cliente stesso: “E' tutto a posto” oppure “E' tutto a posto. La macchina va bene e funzionerà ancora. I nostri venditori Le hanno già mostrato il nuovo modello? Molto più facile da gestire, necessità di minori manutenzioni ed ha costi inferiori. Per il Suo ufficio potrebbe essere un affare”.

Capito? Le due risposte possono essere date dalla stessa persona. La prima da un bravo tecnico che ha effettuato un ottimo servizio arrivando subito dal cliente e risolvendo il problema; la seconda da un tecnico super che si è tramutato da gestore di un servizio in “medico della situazione”.
In bocca al lupo.

lunedì 1 marzo 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 1

Qualche tempo fa ho ricevuto una lettera da L.C. di Ancona, un giovane negoziante che, tra l'altro, mi scriveva:


L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.

Avevo promesso di pensarci (la risposta si può leggere col titolo FARE IL NEGOZIANTE). Poiché il tema richiesto è abbastanza comune e copre una larga fascia di lettori interessati, affidandomi anche ad altri precedenti miei scritti apparsi sulla stampa, ho cercato di costruire, secondo la tecnica del racconto, tutto un insieme di regole e comportamenti utili a chi svolge o vorrebbe intraprendere questo lavoro. Non mancano i suggerimenti e le eventuali idee che, ovviamente, vanno prese e soppesate proporzionalmente alle realtà locali ma che pur sempre possono essere d'aiuto, stimolando a loro volta nuove idee. Nel racconto, di cui peraltro non conosco in questo momento la lunghezza, metterò in evidenza (con maiuscole) i punti essenziali in modo che, chi fosse interessato, potrà tenerli come guida.
Dovevo scegliere un genere di negozio per costruire la scena ed ho scelto l'ambito della ferramenta perchè questo tipo di negozio o di attività è più complesso di altri per la gamma, le conoscenze che necessitano e per la necessità di far fronte ad una più agguerrita concorrenza dei centri commerciali.
Va da sé che quanto scriverò ed i consigli che darò sono applicabili da qualsiasi negoziante ed a qualsiasi attività purchè ovviamente esistano le condizioni affinchè si possa operare come scriverò.
Non lasciatevi ingannare dalla tecnica del racconto che, pur apparendo per certi versi banale, manda messaggi seri.
Ho sempre trovato noioso leggere testi tecnici di qualunque tipo perchè spesso non lasciano alcun ricordo e quindi servono a ciò a cui dovrebbero servire. Nelle pagine e nelle puntate che seguiranno invece, il personaggio chiave si muove nel suo ambiente e ci delizierà o ci torturerà con i suoi pensieri. In questo modo, ascoltandolo, avremo più insegnamenti di quanti potremmo aspettarci. Alcuni non potranno essere approfonditi; altri lo saranno a sufficienza.
Non è facile far parlare questo immaginario personaggio ma ci riuscirò. Queste riflessioni vogliono essere un “tarlo”; qualcosa da leggere, da tenere vicino, da sfogliare ogni tanto, sopratutto nei momenti difficili per ricaricarsi e non perdere la fiducia, prendendo le piccole o grandi dosi di ottimismo che il nostro personaggio è disposto a dare.
Dev'essere proprio come un tarlo; lo stimolo cioè a pensare a qualcosa di nuovo per migliorare o solo per far fronte ad una necessità. Lo stimolo per tentare nuove strade quando sembra che non ci sia più nulla da fare; lo stimolo quando pare che tutto sia già stato inventato e pensato.
Il mio personaggio ci coinvolgerà liberamente, con le sue riflessioni che spazieranno dalla “comunicazione” al “servizio”; dalla “vendita” alle “idee avute” entrando ed uscendo in continuazione dai temi, proprio come faremmo tutti noi se ci trovassimo a parlare tra amici, spruzzando anche qua e là piccole dosi di psicologia pratica, sufficienti a farci comprendere le sue scelte e, forse, quelle che dovrebbero essere fatte da altri.
Ora vi lascio alla lettura. Se vorrete, alla fine, approfondiremo.


Parte 1

“Buongiorno, desidera qualcosa? Hai poi risolto il suo problema che mi diceva l'ultima volta che ci siamo visti? Le avevo fatto fare un buon acquisto?”
E' sempre molto piacevole entrare in un negozio e vedere che si ricordano di noi. Non capita spesso ma potrebbe accadere un maggior numero di volte se appena ci fosse un po' di buona volontà e la capacità di dialogare e comunicare con gli altri. Chi ama il proprio lavoro e desidera “viverlo” bene non può sottovalutare questo aspetto che permette veramente di far nascere quella benefica intesa che riuscirà a tenere legato il cliente.
Mi meraviglio sempre quando entro in un negozio della mia città ed ascolto con grande curiosità il proprietario che saluta ogni singolo cliente e ad ognuno dice qualcosa. Chiede dei figli, della moglie, del lavoro, dell'acquisto fatto la volta precedente; ricorda le richieste ricevute e non potute soddisfare; avvisa che il prodotto chiesto in precedenza è arrivato; comunica che ci sono novità adatte a quel preciso cliente e quando entra un nuovo cliente, dopo averlo analizzato e non trovando nella sua mente un ricordo, se ne esce con un pensiero sul tempo o su qualunque altra cosa che ha il grande pregio di terminare sempre con un punto di domanda.
Cosa significa? Significa che quest'uomo ha una, forse innata, ma certamente aumentata nel tempo, grande capacità di comunicazione.
Un giorno, quando si accorse che ero fermo a guardarlo e ad ascoltare ciò che diceva ai clienti, mi si avvicinò con il sorriso più rassicurante che mi sia mai capitato di vedere e mi chiese: “Lo trova strano?”
Non dovette chiedermi perchè lo osservavo:lo sapeva già. Mi chiese solo se trovavo strano il suo comportamento con la clientela.
Durante il colloquio che poi ebbi con lui, mi disse:
“E' il grande amore che ho per il mio lavoro; lo stesso amore e la stessa passione che ho cercato e cerco di passare, con l'esempio, ai miei collaboratori e che, a quanto vede (il negozio era pieno di clienti) sono riuscito a fare. Non è facile al giorno d'oggi stare ad ascoltare le richieste ed a volte le pretese dei clienti, anzi è molto difficile ed è proprio per questo motivo che occorre riflettere e capire che questo tipo di lavoro lo si può fare solo RENDENDOLO MIGLIORE.
E per renderlo migliore occorre farlo con passione. Chi ama il lavoro che fa, lo fa bene; chi riesce a farlo bene lo amerà ancora di più ed allora sarà tutto più facile. Vede – mi disse – io ricordo i clienti che entrano, quelli che acquistano, quelli che non trovano ciò che cercano, i problemi che ognuno ha e le soluzioni che io od i miei collaboratori abbiamo proposto. Forse quello che dico le sembrerà strano e potrebbe credermi pazzo – continuò – ma non ho mai avuto clienti che non trovando ciò che cercavano non abbiano atteso pur di tornare ad acquistare da noi. E' una grande soddisfazione ma anche una prova che qui abbiamo instaurato un rapporto che altrove non c'è ancora. Forse lei non se ne intende – mi disse – ma io metto in pratica semplicemente quello che i grandi professori chiamano “COMUNICAZIONE”.

La cosa certamente mi interessava e lo stimolai a raccontare.



Fine prima parte