Ricerca personalizzata

venerdì 24 dicembre 2010

LA GESTIONE DEL TEMPO 3

Qualche settimana fa, giovedì 18 Novembre, rispondevo ad una lettera (NATURALI PAURE) e promettevo, al termine della risposta, che appena possibile avrei approfondito il tema relativo alla gestione del tempo.
Ho atteso a farlo perchè su questo tema avrò probabilmente già scritto in passato e non volevo o vorrei ripetermi ma non avendo tempo per cercare quanto forse scritto, devo rischiare di ridire pensieri che a molti potranno non apparire nuovi.
Per brevità cercherò di elencare i fattori, sull'argomento, che ritengo importanti. Va da sé che, in qualunque momento potremo approfondire.

Mettendomi al computer ho capito che avevo già in mente di analizzare la gestione del tempo proporzionalmente alla mansione di un Manager, colui cioè più coinvolto. Mi pare di ricordare che anche la persona che mi aveva scritto, una donna, fosse Manager.

Il problema della gestione del tempo, comunque, può esistere per chiunque stia lavorando. Ovvio che un collaboratore potrà gestire i problemi che possano riguardarlo verso eventuali pari a lui e quindi non tutto ciò che dirò può andar bene per tutti.


SECONDA PARTE.


sui PRINCIPI PER UN'OTTIMALE GESTIONE DEL TEMPO.



Ecco, come promesso, una carrellata con qualche riflessione sui principi per ottimizzare il tempo lavorativo.


PIANIFICAZIONE
Ho già qualche volta scritto in passato che ogni ora spesa per una pianificazione efficace fa risparmiare addirittura tre o più ore nell'applicazione, dando inoltre luogo a risultati migliori. Non è questo un modo di dire. E' stato più volte provato anche dal sottoscritto con veri successi.
Fallire la pianificazione significa pianificare il fallimento. (Non è un concetto mio ma l'ho fisso in mente da sempre).


PROGRAMMAZIONE GIORNALIERA
Un buon Manager dovrebbe di norma effettuare sempre una programmazione giornaliera, da effettuare nel pomeriggio, sui temi e sulle questioni da svolgere o trattare il giorno seguente. Parrà strano e poco importante darsi un impegno così preciso ma, alla fine della giornata, prendersi il tempo per riflettere e pianificare le azioni del giorno dopo (o comunque le azioni da svolgere nei giorni successivi) permette di chiudere la giornata più sereni, senza l'angoscia del giorno dopo e delle incognite che può riservare.
Sapere in anticipo cosa si andrà a fare dal giorno dopo permette alla mente di predisporsi al meglio. Il giorno successivo, ci si troverà molto meglio sapendo esattamente cosa è stato programmato di fare. Il lavoro sarà da subito più fluido e verrà affrontato con maggiore serenità.
Ricordo che, nella programmazione, non si dovrà pensare a ciò che c'è da fare ma si dovrà prendere carta e penna e scrivere l'impegno di cui ci si occuperà ed il tempo che si vorrà impegnare. In pratica, una vera e propria scaletta da tenere sottomano e da controllare affinchè tutto scivoli come previsto, compresi i tempi.
Ad esempio:
entro le 10 portare a termine problema analisi costo prodotto X
incontrare Rossi max mezz'ora.
dalle 10,30 alle 11 controllare andamenti fatturati
11,00 /12.00 stesura prima bozza obiettivi BB per successivo meeting
e così via di seguito sino alle ore pomeridiane in cui apparirà:
17.00/18.30 controllo posta della giornata, risposte e pianificazione di eventuali incontri su temi da discutere con colleghi o collaboratori
18.30/19.00 risposta telefonate arrivate nella giornata


OBIETTIVI
Non sempre è chiaro che si ottengono risultati molto più efficaci perseguendo con forte risolutezza obiettivi programmati piuttosto che impegni casuali.
Ad esempio: il concetto fondamentale di “gestione per obiettivi” (Management by objectives) si fonda proprio su questo sperimentato principio.


PRIORITA'
Non sottovalutate la priorità da dare ai veri temi. Bisogna sempre preventivare il tempo disponibile e distribuirlo per compiti da svolgere secondo una sequenza ordinata di priorità.
Paradossalmente chi non lo fa si trova si trova sempre a distribuire il proprio tempo in maniera inversamente proporzionale all'importanza dei loro compiti.
E' insito nella nostra mente pensare di toglierci subito i piccoli problemi per avere poi tempo per dedicarci ai grossi. Questo accade spessissimo negli uffici. Si pensa, in questo modo, di agevolare il lavoro ma quando si inizia a gestire le piccole cose il tempo vola via e a sera si dice: “pensavo fossero piccoli problemi invece se n'è andato un giorno”. E la pianificazione è stata completamente ribaltata.
Altro suggerimento per un'ottimale gestione del tempo è quello di non rimandare a dopo gli impegni o i problemi che riteniamo fastidiosi. Il Manager tende a gestire e rimandare le cosiddette ”rogne” solo dopo aver portato avanti gli altri impegni. Va ricordato invece che un problema fastidioso che si sa di dover gestire e lo si rimanda, rimane nella nostra mente tutto il giorno e ci farà lavorare con un malessere inconscio perchè la mente sa di doverlo poi affrontare. Quindi, non ci sono scusanti. Un buon Manager per prima cosa si toglie di torno queste “rogne” affrontandole subito e, successivamente, con mente serena lavorerà molto meglio.


SCADENZE
Ogni compito da svolgere ed ogni decisione da prendere deve avere una scadenza precisa e pianificata ed un vero Manager deve abituarsi a mantenerla. Farlo, aiuta veramente i Managers a superare esitazioni, indecisioni e rinvii.
Davanti ad un problema urgente che viene sottoposto, un buon Manager non deve scomporsi. Verifica i suoi impegni e le scadenze e pianifica anche quel problema urgente in modo che non vada a creare scompiglio nella programmazione già fatta. Personalmente penso che nella pianificazione giornaliera ci si possa tenere una mezz'ora libera a disposizione proprio per queste situazioni. Mezz'ora che, se non occupata da queste urgenze, si riempie anticipando altre pianificazioni. Ciò non significa che l'urgenza si affronta appena si verifica, spostando tutto il resto. Si affronterà, pianificandola, nella mezz'ora destinata.
Non ho mai visto urgenze che non potessero essere gestite anche il giorno dopo.
Ricordate quindi che le scadenze pianificate e mantenute danno sicurezza al lavoro.


PREVEDERE L'IMPREVEDIBILE
Su questo tema ho tenuto una serie di corsi perchè, per un Manager, prevedere l'imprevedibile, al di là del gioco di parole, è più importante di quanto si pensi.
Agire d'anticipo è in genere più efficace che non agire successivamente per porre rimedio a qualcosa. Si dice: “fai una cosa oggi per non farne cento domani”.
Prevedere quanto potrebbe succedere, programmando di conseguenza, evita le sorprese e rafforza la sicurezza del Manager.



Alla prossima puntata con altri principi.

lunedì 20 dicembre 2010

LA GESTIONE DEL TEMPO 2

Qualche settimana fa, giovedì 18 Novembre, rispondevo ad una lettera (NATURALI PAURE) e promettevo, al termine della risposta, che appena possibile avrei approfondito il tema relativo alla gestione del tempo.
Ho atteso a farlo perchè su questo tema avrò probabilmente già scritto in passato e non volevo o vorrei ripetermi ma non avendo tempo per cercare quanto forse scritto, devo rischiare di ridire pensieri che a molti potranno non apparire nuovi.
Per brevità cercherò di elencare i fattori, sull'argomento, che ritengo importanti. Va da sé che, in qualunque momento potremo approfondire.

Mettendomi al computer ho capito che avevo già in mente di analizzare la gestione del tempo proporzionalmente alla mansione di un Manager, colui cioè più coinvolto. Mi pare di ricordare che anche la persona che mi aveva scritto, una donna, fosse Manager.

Il problema della gestione del tempo, comunque, può esistere per chiunque stia lavorando. Ovvio che un collaboratore potrà gestire i problemi che possano riguardarlo verso eventuali pari a lui e quindi non tutto ciò che dirò può andar bene per tutti.


SECONDA PARTE.



ISTRUZIONI NON CHIARE
Va fatta molta attenzione nel diramare istruzioni o messaggi. Essi devono essere inviati solo ai diretti interessati per evitare che altri, leggendo anche solo in copia perdano tempo per nulla. Ogni tipo di messaggio o istruzione, inoltre, dev'essere chiara e concisa pur contenendo tutti gli elementi e le informazioni utili. Se così non è, chi legge si troverà in difficoltà. Terrà fermo il tutto sino a quando non potrà parlare col Manager che l'ha inviata. In questo modo vi è una doppia cattiva gestione del tempo.


CONFUSIONE SULLE RESPONSABILITA' E SULLE AUTORITA' AZIENDALI
Questo punto, come del resto anche altri precedenti, coinvolgono i Manager come le aziende.
Una situazione di poca chiarezza dei compiti, delle responsabilità e dell'autorità di ognuno in azienda, tende a creare situazioni di stallo nella presa di decisioni e conseguente perdita di tempo. Così, un Manager non invierà messaggi o richieste a personale non da lui dipendente anche se in accordo col Capo del dipendente stesso. Invierà il messaggio al collega Manager che provvederà a passarlo a chi di dovere.
Dev'essere chiaro in Azienda il compito di ogni Manager ed il limite delle responsabilità. Può capitare e capita spesso che, sull'onda di una falso “snelliamo i processi e le procedure” un collaboratore di A invii ad un collaboratore di B una richiesta che avrebbe dovuto avere l'ok del responsabile. Così come capita che, sempre il collaboratore di A invii al Manager B una richiesta per recuperare tempo, senza che il proprio Capo ne sappia nulla. Ciò non snellisce le procedure ma può creare problemi che successivamente portano via tempo prezioso.
Che ognuno vada direttamente a discutere con l'interessato di un altro reparto senza che i Capi lo sappiano o addirittura col beneplacito dei Capi non è uno snellire i processi ma una volontà a scaricarsi di problemi e responsabilità da parte dei Manager che danno questi ordini.


TARDE O IMPRECISE INFORMAZIONI
Altro fattore di perdita di tempo. In azienda circolano sempre decine di informazioni. Più queste saranno precise e puntuali, maggiore sarà il tempo risparmiato. Un'informazione che impiegasse qualche giorno per raggiungere l'ufficio del piano di sotto o la scrivania a fianco porterebbe un ritardo a tutto un processo che l'informazione stessa probabilmente esige.
Vi domanderete perchè io non coinvolga in queste situazioni che scrivo l'uso del computer. Sarà balzato subito alla mente in qualcuno che un'informazione oggi arriva in tempo reale se inviata via e.mail e quindi ciò che dico può apparire obsoleto. Lo faccio appositamente perchè l'e.mail è oggi la massima colpevole di perdita di tempo negli uffici.
Andrebbe vietato l'uso. Le informazioni devono essere sempre archiviabili e rintracciabili velocemente. Le archiviazioni su carta, paradossalmente sono più rintracciabili e corrono meno rischi di perdita. In una discussione o in un meeting, un foglio può essere letto e tenuto tra le mani da tutti i partecipanti. Una e.mail va inviata anche a chi non era in elenco affinchè possa esserne presa visione.
Oggi, l'invio di e.mail arriva al paradosso per cui l'impiegato ed il Manager stesso è incollato al video per leggere e dare risposte immediate che ricevono risposte a cui dare risposta ecc...ecc...
E spesso gli invii di risposta contengono solo “si”, “no” “sono d'accordo” “quando” “ok” “parliamone” in una seria infinita di passaggi di palla che terminano per far dimenticare i problemi stessi.


LASCIARE LAVORI INCOMPLETI
Quando si inizia l'analisi di un lavoro si deve anche essere certi di portarlo a termine entro lo spazio di tempo che ci si era prefissi. Spesso il Manager inizia una riflessione su un problema importante infarcendo questo compito di improvvisi incontri, meeting o discussioni di gossip, interrompendo e riprendendolo diverse volte. In questo modo, oltre ad essere certo di non finirlo nei tempi corretti arriva a lasciarlo sulla scrivania per riprenderlo il giorno successivo. Se poi il giorno dopo vi sono altri impegni, arriverà a non finire quell'analisi come potrebbe farla finire senza un'accurata attenzione.
Di norma un buon Manager inizia un lavoro sapendo di poterlo finire entro i termini fissati. In altro caso, allunga la propria giornata alla scrivania.


MANCANZA DI AUTODISCIPLINA
Se un Manager non sa darsi una linea di condotta precisa e severa non potrà mai gestire bene i propri collaboratori. Potrà dare ordini ma non sarà una guida.
I collaboratori stimano un Capo quando vedono in lui una persona a cui non può essere addebitato alcunché.
Un Manager preciso avrà collaboratori precisi.


STAFF IMPREPARATO
Un buon Manager avrà sempre uno staff di prim'ordine. E lo staff va preparato con cura dal Capo stesso. Se un Manager è l'immagine dei propri collaboratori, il suo team sarà l'immagine della propria capacità di guida.
La preparazione dei collaboratori non è una perdita di tempo ma è un buon uso del tempo. Uno staff che funziona è di un aiuto tale a cui spesso non si pensa.
Dico solo che un buon ufficio ben preparato dal Manager potrebbe proseguire il lavoro anche in assenza del Manager stesso.
Quando uno staff è stato formato bene dal proprio Capo, la giornata del Manager può essere davvero gestita con estrema semplicità.
Se il Manager non è all'altezza di questo compito e si accontenta di ciò che trova, lavorerà sempre in tensione, con difficoltà e con notevoli possibilità che dal suo team non venga nulla di buono.


SOCIALIZZAZIONE
Eccomi all'ultimo fattore di perdita di tempo che mi viene in mente.
Non credo ci sia molto da dire. Socializzare non significa passare mezz'ora ogni due ore alla macchinetta del caffè a parlare del più o del meno con le impiegate. Il tempo, in quelle condizioni passa senz'altro gradevolmente, ma passa... A fine giornata il Manager si può trovare con un paio d'ore o più non sfruttate in modo profittevole (per lo meno aziendalmente).
Ricordo anche che i collaboratori hanno un punto di vista estremamente chiaro e critico verso i Manager che agiscono così. Non lo daranno a vedere ma dentro di sé non danno mai una positiva valutazione di un Capo che perde tempo alle macchinette.
Socializzare con la segretaria tenendola in ufficio a parlare dei vari gossip aziendali con la scusa che è utile conoscere ciò che succede in azienda è altrettanto una perdita di tempo che non trova scusanti.
La socializzazione, se si vuole, la si fa dopo l'orario d'ufficio. Ma qualunque Manager si accorgerà allora che nessuno, fuori dell'orario di lavoro, è così interessato a socializzare (a meno che non vengano pagati gli straordinari!)



Termina qui la parte relativa ai fattori utili alla perdita di tempo.
Prossimamente scriverò sui PRINCIPI PER UN'OTTIMALE GESTIONE DEL TEMPO.
Arrivederci.

giovedì 16 dicembre 2010

LA GESTIONE DEL TEMPO

Qualche settimana fa, giovedì 18 Novembre, rispondevo ad una lettera (NATURALI PAURE) e promettevo, al termine della risposta, che appena possibile avrei approfondito il tema relativo alla gestione del tempo.
Ho atteso a farlo perchè su questo tema avrò probabilmente già scritto in passato e non volevo o vorrei ripetermi ma non avendo tempo per cercare quanto forse scritto, devo rischiare di ridire pensieri che a molti potranno non apparire nuovi.
Per brevità cercherò di elencare i fattori, sull'argomento, che ritengo importanti. Va da sé che, in qualunque momento potremo approfondire.

Mettendomi al computer ho capito che avevo già in mente di analizzare la gestione del tempo proporzionalmente alla mansione di un Manager, colui cioè più coinvolto. Mi pare di ricordare che anche la persona che mi aveva scritto, una donna, fosse Manager.

Il problema della gestione del tempo, comunque, può esistere per chiunque stia lavorando. Ovvio che un collaboratore potrà gestire i problemi che possano riguardarlo verso eventuali pari a lui e quindi non tutto ciò che dirò può andar bene per tutti. Chiarito quindi che mi rivolgo a Manager, partiamo.


I PRINCIPALI FATTORI DI PERDITA DI TEMPO

(la scena è l'ambiente di lavoro di un'azienda)


INTERRUZIONI TELEFONICHE
un tempo il Manager era alla scrivania e le telefonate venivano spesso filtrate. Malgrado questo, già molti anni fa, le interruzioni telefoniche erano uno dei principali fattori di perdita di tempo. Oggi, con uno o più cellulari sul tavolo, il Manager è in balia del telefono. E spesso il comportamento del Manager è fastidiosissimo per chi ha la disgrazia di trovarsi a discutere con lui. Può capitare che chi è al suo cospetto non possa nemmeno terminare una frase o un concetto iniziato. E' sufficiente che il Manager dica: “mi scusi, devo rispondere” e tutto si interrompe. Dopo pochi attimi, ritornando sull'argomento, ecco una nuova chiamata e ritornano le scuse. E se non c'è la telefonata, appare un messaggio che il Manager legge di traverso, con gli occhi, fingendo di ascoltare ciò che dice chi ha di fronte.
Quasi non bastasse, lo schermo del personal attira costantemente gli occhi del Manager che si aspetta continue e.mail.
Atteggiamento assolutamente sconcertante del Manager verso chiunque abbia davanti ma anche situazione di gestione del tempo completamente fuori controllo. Ciò che può essere detto e discusso in pochi minuti, si dilata e non viene mai approfondito. Il Manager si accorge solo quando è tardi che il tempo è volato.


VISITE NON ATTESE
Presumendo che i visitatori esterni siano ricevuti su appuntamento, le visite non attese sono quelle di colleghi, superiori o collaboratori che, con la scusa del “passavo di qua” entrano per discutere di qualcosa. Qualche volta di temi anche importanti che non possono però essere gestiti del Manager in quel momento, non essendo preparato. Ma spesso, si va a trovare il collega per parlare della partita, o di un po' di gossip aziendale. Se si accettano queste interruzioni del lavoro, la perdita di tempo è infinita. Il buon Manager parla coi colleghi quando vi è motivo di farlo, in un meeting o su appuntamento. Non si deve derogare.


MEETING
La mania del “facciamo un meeting” è contagiosa e si moltiplica costantemente. Per un nonnulla c'è sempre qualcuno pronto a voler fare un meeting, anche per cose che potrebbero essere discusse tra due persone.
Un meeting solitamente coinvolge più persone, anche non espressamente addette, dilatando così i tempi per arrivare ad una conclusione.
Indire un meeting solo quando si ritiene assolutamente necessario, coinvolgendo solo coloro che sono interessati al problema. Se i risultati a cui si arriverà dovessero poi interessare collaboratori o altri reparti, si invierà loro un rapporto del meeting stesso.


DELEGHE NON EFFICACI
Tutto ciò che può essere portato avanti e sviluppato da un collaboratore dev'essere a questi affidato. In questo modo è possibile risparmiare tempo prezioso. Ma non si deve destinare una mansione ad un collaboratore che non abbia l'esperienza o la capacità di portare avanti quanto affidatogli. Scaricare ad altri un problema per toglierselo di torno non è un risparmio di tempo perchè tornerebbe indietro successivamente ancor più ingarbugliato e con minor tempo a disposizione per risolverlo. Quindi un buon Manager deve sapere affidare i compiti giusti ai collaboratori più adatti.


MANCANZA DI OBIETTIVI, PIANIFICAZIONE E PRIORITA'
Per poter gestire bene il proprio tempo il Manager deve avere in mente obiettivi precisi a cui mirare, una corretta pianificazione per arrivare agli stessi ed idee chiare sulle priorità che ogni obiettivo ha su altri.
Troppo spesso vedo Manager che non hanno la minima idea di come darsi obiettivi e di come pianificarsi i tempi per raggiungerli. Figurarsi quindi come sia possibile che possano darsi priorità. Ed è sempre in questo modo che il tempo galoppa a loro sfavore.


VOLER GESTIRE MOLTE COSE CONTEMPORANEAMENTE
Non è mai stato scritto da alcuna parte, ma è un concetto piuttosto comune, che un Manager è tale quando riesce a gestire molte cose, velocemente. Nulla di più errato. Un buon Manager può portare avanti un solo obiettivo, se è importante, per più giorni. Ciò che conta è riuscire a gestirlo bene. In un Manager si chiede la qualità del lavoro, non certamente la quantità.
La gestione in contemporanea di diversi obiettivi, porta spesso ad un risultato forse appena sufficiente per ognuno. Ma per raggiungere obiettivi poco soddisfacenti non serve un Manager.


GESTIRE LE CRISI
La gestione delle crisi è un altro fattore importante di perdita di tempo. Se un Manager ha alla proprie dipendenze un reparto o vari collaboratori si può trovare a dover gestire le crisi che inevitabilmente avvengono nei luoghi di lavoro. Anche gli approfondimenti su queste crisi, le discussioni e la ricerca di idonee soluzioni vanno messe nel piano della giornata, analizzate e possibilmente risolte nel tempo che si è deciso di destinare loro. Fingerle di non vederle o sottovalutarle può creare problemi ancor più lunghi da gestire quando le crisi si incancreniscono.


SCRIVANIA INGOMBRA
Purtroppo pare esserci un nesso tra incapacità manageriale e scrivania ingombra. Personalmente ho sempre associato scrivanie poco sgombre ad uffici in cui operano “esecutori”. La scrivania del manager dovrebbe essere poco ingombra di carte. Dovrebbero cioè trovar posto, sotto gli occhi, solo i documenti inerenti le cose dal fare quel giorno o tuttalpiù relazioni o piani che devono trovar soluzione nei primi giorni successivi. Una scrivania troppo carica di carte, spesso addirittura impolverate o con forte evidenza di starsene lì da mesi, dimostrano disorganizzazione del singolo. Ed un Manager che non sa organizzarsi significa che non sa gestire il proprio tempo.


RINVII ED INDECISIONI
Ogni decisione non presa; ogni rinvio ad un successivo momento indicano una situazione di perdita di tempo. Ecco un altro fattore negativo. Rimandare una decisione significa occupare tempo successivo che andrebbe speso per un altro piano o un'altra decisione. Se una decisione implica inoltre il coinvolgimento di collaboratori è naturale che un rinvio implichi anche una perdita di tempo di queste persone che si troveranno, a loro volta, a non poter svolgere altri compiti nei tempi logici.


INCAPACITA' DI DIRE DI NO
Altro fattore di perdita di tempo. Il Manager deve saper anche dire no quando qualcosa chiesto o suggeritogli può creargli problemi o inconvenienti nel momento in cui vengono chiesti. Un incontro inaspettato; un meeting improvviso; la richiesta di un collaboratore non devono porlo nella condizione di non fare ciò che era in programma. E' buona norma quindi che un meeting sia pianificato ed un incontro concordato nella data e in orario che non crei problemi.



Termina qui questa prima parte di analisi. Nei prossimi giorni proseguirò.

lunedì 13 dicembre 2010

PERDENTE? CHE FACCIO ?

Anna B. (Milano)


Non sono più giovanissima, secondo i canoni che voi richiedete per dare risposta, ma spero che ugualmente possiate darmi una mano. Ho 35 anni, laureata, con una posizione sociale che non mi soddisfa, certamente timida, carina e con una normale rete di amicizie.
Se penso a me comunque non mi sento vincente. Ho un grado di insoddisfazione molto alto, più nervosa di quanto sia la media e, ripeto, insoddisfatta. Vorrei in molte situazioni di lavoro dichiarare che non sono d'accordo; vorrei dire che sono gli altri a sbagliare ma le parole non mi escono e quindi termino sempre per accettare.
Per superare questa situazione presumo di dovermi rivolgere ad uno psicologo per una serie di sedute. Non voglio impegnarvi oltre e quindi vi chiedo solo se potete allargare la mia visione sul tema per capire sino a che punto sbaglio.
Grazie


Gentilissima Anna,
più volte ho risposto su questo tema. Il Suo problema, se ciò può rassicurarLa, è un problema di molti. Non tutti sono ottimisti; non tutti sono sempre certi di farcela; non tutti sanno rimanere freddi davanti alle situazioni della vita.
Devo dirLe che, tendenzialmente, noi tutti siamo vincenti. Vi sono situazioni in cui questo essere appare più evidente o vien fuori di prepotenza. Altre situazioni vedono la nostra parte perdente, prevalere. Il vincente è più portato a ricordare e ad affidarsi a situazioni che gli hanno dato soddisfazione; il perdente tende a ricordare l'opposto. Costui avrà sempre in mente la situazione in cui ha perso o non ha avuto coraggio. Col tempo, il perdente sarà inoltre portato a vedere l'essere perdente, come una situazione di cautela. Il vincente è colui che rischia e può sbagliare; il perdente, non rischia e quindi ha meno occasioni di farlo.
Malgrado questo, ripeto, siamo tutti vincenti e quindi anche Lei può tornare ad esserlo. Per iniziare, deve comprendere che si debbono accettare i rischi ben consapevoli che possono portare a fiaschi.
Poiché Lei accenna a problemi e situazioni di lavoro, su tanto mi soffermo.
Mi capita, nella mia vita lavorativa, di trovarmi a dire “cerchiamo di fare bene questa raccomandazione” e di sentire, nel gruppo di Assistenti, sempre qualcuno rispondere “ tanto la Casa Madre non approverà”.
Ecco questo è il primo esempio di atteggiamento perdente che Le faccio. Ma potrei continuare. Un assistente un giorno mi disse: “io ritengo di essere bravo e preparato ma credo anche di poter migliorare ancora...” ed altri invece che ripetevano spesso: “ non sarò il primo ma non sono neppure peggio dei colleghi”. (Lascio ovviamente a Lei capire chi si identifica come vincente o perdente in queste situazioni).
C'è un progetto da portare avanti. Non è difficile. Voglio solo capire a chi affidarlo. Chiamo un Assistente e glielo presento. Mi risponde “Molto bello. Interessante. Ci tento”.
Lo ringrazio e chiamo altri. (Il lavoro va svolto in team). Ad un certo punto, un Assistente risponde: “E' una cosa che non abbiamo mai fatto”.
Ricordi, cara Anna, che un vincente accetta il rischio di fare errori pur di migliorare. Il perdente tende a non fare le cose proprio per paura di sbagliare.
Un vincente, nel tentativo di essere utile, di migliorarsi e di risolvere un problema, tende a concentrarsi sul modo migliore di superare i problemi che si presenteranno inevitabilmente. Il perdente, tende solo a pensare ai problemi che incontrerà, ma non andrà oltre. Non cercherà le soluzioni.
Il vincente si sente sempre molto responsabile del proprio lavoro, qualunque esso sia. Il perdente, pensa che quello che fa è un lavoro come altri.

Come può capire, il comportamento del perdente non tende a mirare ad ottenere un risultato e la sua partecipazione sarà data dal non commentare.
Le ho fatto alcuni esempi e poiché sono certo che Lei sia intelligente ritengo siano sufficienti a farLa riflettere. In ogni situazione, personale o lavorativa, siamo noi che scegliamo quale comportamento mentale usare. Se impariamo ad accantonare gli atteggiamenti perdenti e puntiamo a parlare o a tenere atteggiamenti vincenti, arriveremo a divenire vincenti.
Mi chiede in cosa sbaglia. Il Suo nervosismo, la timidezza e la Sua insoddisfazione di fondo sono sintomi chiari di un malessere comportamentale che può essere curato anche direttamente da Lei se accantona per un attimo le visioni negative.
Ripeto: siamo tutti vincenti e tutti, in talune situazioni, rischiamo o diveniamo momentaneamente perdenti. Poi, il vincente torna sulla retta via. Il perdente...non lo fa.
Provi a fare qualcosa che Le vien bene. Uno sport; un piatto in cucina, un ballo. E dopo averlo fatto si sentirà soddisfatta e sicura. Lo rifaccia e di nuovo si sentirà soddisfatta e sicura.
Ora affronti altre cose o impegni anche nuovi, con lo stesso stato d'animo, pensando che se ha fatto bene ciò che ha fatto, non c'è motivo per cui non riesca a far bene anche quest'altra cosa.
Non pensi minimamente a cosa va incontro. Pensi che deve riuscire a dare il meglio di sé.
Lei scrive: “Vorrei in molte situazioni di lavoro dichiarare che non sono d'accordo; vorrei dire che sono gli altri a sbagliare ma le parole non mi escono e quindi termino sempre per accettare.”
Ecco l'errore che non deve più fare! Lei non è d'accordo ma le parole per controbattere non escono e quindi accetta e lascia fare.
Ora Le sarà più chiaro ciò che avviene nella Sua mente. Qualche vocina suggerisce: “Lascia perdere. Che Ti frega! Se gli altri vogliono far così perchè vuoi crearTi problemi? Stai zitta che non sbagli!”
Provi invece, nello stesso momento in cui il cervello Le suggerisce di star zitta, a controbattere, pensando: “Perchè devo star zitta? Se penso che questa cosa può essere fatta diversamente e bene, lo devo dire. Poi non sarà perfetta, ma poco importa. Si deve tentare ed io devo dire cosa penso”
Le parrà di prendere sulle Sue spalle un peso enorme e penserà che tutti stiano a vedere cosa mai farà. Non ci faccia caso. Quasi certamente non sarà così ma Lei agisca come se fosse così. Si impegni a trovare soluzioni ai problemi, insistendo mentalmente a pensare che ogni problema ha una soluzione e che Lei può arrivare a trovare quella migliore.
Partecipi alla vita di gruppo, si inserisca e la Sua timidezza diminuirà. Nel momento in cui discuterà con altri o prenderà decisioni, giuste o sbagliate che siano, anche il nervosismo tenderà a calare.
Cancelli dal Suo vocabolario termini come: “è difficile; è impossibile; non ci si riesce; non ho sufficienti elementi per valutare, ecc..ecc..” ed ogni volta che torneranno a presentarsi questi pensieri, si fermi e li ricacci semplicemente dicendosi che tutto è fattibile e Lei vuol provarci.
Mi scriva se pensa d'avere ulteriori necessità.
Cordiali saluti.

lunedì 29 novembre 2010

INIZIATIVE

Romolo G. (Lazio)



Egregio Dottore,
ho terminato gli studi e dopo una bella vacanza all'estero sono pronto ad iniziare il mio futuro lavorativo. Come però vedo che accade a tanti anch'io mi trovo a decidere cosa fare e guardandomi attorno non trovo nulla.
Volendo iniziare qualcosa che non sia ancora sfruttato a pieno ho pensato di creare un allevamento di cani. Sto guardandomi in giro per trovare la location che dovrà essere in campagna ed avere tanto spazio.
Vorrei sapere da Voi se ritenete che abbia intuito la strada giusta.
Vi ringrazio e vi saluto.



Mio caro Romolo,
quando arrivano richieste come la Tua, le leggo diverse volte e cerco di digerirle nell'ambito di qualche giorno. Non so chi Tu sia e non so nemmeno se la lettera sia vera o no, nel senso che non capisco sino a che punto Tu possa decidere di fare qualcosa pensando d'aver scoperto una nuova via per fare business.
Risponderò solo così:
Se Tu mi avessi scritto “sin da piccolo ho sempre avuto la passione degli animali e dei cani in particolare. Ho sempre letto e studiato tutto quando sul tema, arrivando a ritenermi un piccolo intenditore o quanto meno un buon conoscitore. I miei studi mi hanno portato su questa strada con una laurea in veterinaria. Amo questi animali e vorrei dedicare loro il mio futuro lavorativo....”
Ecco, se io avessi letto questa premessa Ti avrei augurato tanto bene, certo che andresTi verso un futuro giusto. Dico spesso che chi ha la fortuna di lavorare portando avanti un proprio hobby è avvantaggiato ed in questo caso lo saresTi stato.
Ma Tu dici solo che, terminati gli studi Ti sei guardato attorno per trovare la strada migliore. Il Tuo fiuto Ti ha portato ad individuare questa. Non so poi fino a che punto sia la strada giusta ma proseguiamo. E che fai dopo aver intravvisto questa possibilità? Non parli di studio della materia, aggiornamento o approfondimento ma solo di star cercando un grande spazio in campagna, spazio che, che sono indovino, pagheranno poi certamente i Tuoi. Poi penserai senza dubbio ad una bella costruzione ed infine, ma solo in fine, penserai ai cani, come strumento per arrivare al Tuo obiettivo di business.
Non mi parli di piani, analisi, studi o ricerche che avvalorino questa scelta. Nulla!.
Rimango sempre demoralizzato quando qualcuno scrive che si guarda in giro e non vede nulla da fare. E' una tale logora scusa che nemmeno chi la dice la crede. Basta aprire un giornale o girare le vie delle città per scoprire offerte di lavoro a disposizione. Il guaio è che nessuno offre migliaia di euro per far nulla o poco, così come nessuno vuol più fare un lavoro che non sia in linea, non tanto con lo studio fatto, ma anche con le aspettative che le ragazze, l'ambiente e gli amici hanno di un ragazzo di successo. Ma il lavoro c'è, caro Romolo, a iosa. Siamo noi che non vogliamo vederlo e come tutti ripetiamo le cose che sentiamo dire e che sappiamo che in questi casi si dicono: “non c'è lavoro. Con questa crisi.....” La scusa è sempre della crisi.
Così, quando magari inizierai la Tua avventura con l'allevamento e dopo poco scoprirai che le cose non erano come volevi, anche in termini di lavoro vero e proprio; quando vedrai sparire in un baleno i Tuoi investimenti o quelli dei Tuoi genitori, alzerai le spalle e dirai: “non è colpa mia; con questa crisi nessuno vuole più cani.”.
Ed ancora una volta non saremo noi colpevoli del nostro insuccesso, dato dall'impreparazione, ma gli altri o il fato. Noi saremo sempre vittime involontarie.
E via così, pronti per un'altra disavventura.
Tanti auguri.

martedì 23 novembre 2010

PROMUOVERE SE STESSI

Francesca (loc. non conosciuta)



Salve, mi rivolgo a Lei perché desidero un aiuto per l’attività di mio marito. E’ un architetto, si occupa prevalentemente di ristrutturazioni e arredamento d’interni. E’, a detta dei suoi clienti, un ottimo progettista ed eccellente direttore dei lavori.  Ha sempre lavorato con il passaparola con privati e negozianti. Ultimamente risente di un fortissimo calo del lavoro. A questo punto diventa, secondo me, fondamentale cercare altri canali di comunicazione che non siano solo il passaparola, dovrebbe puntare sulla promozione e pubblicità del proprio lavoro, sulle pubbliche relazioni…. Il punto è: da dove partiamo? Lui dice che  i tradizionali canali di pubblicità non si addicono all’attività di un professionista. Un architetto si sceglie solo perché qualcuno te lo segnala quando ne hai bisogno.
Io avrei un’idea, vorrei sapere se questa  può essere una strada da percorrere: fare una lista di potenziali clienti, costruttori, aziende che lavorano con l’edilizia, ecc., cercare, tra le persone che conosce, il contatto che lo presenti e poi fissare un appuntamento per presentarsi di persona. Ma quando manca il “contatto” come si può fare?  Ed ancora, ho pensato che sarebbe interessante contattare grosse aziende di franchising  che aprono negozi o attività nella nostra città. Solitamente mandano i loro architetti per seguire i lavori. Non sarebbe meglio affidarsi ad uno locale? Come potrebbe proporsi?
Le chiedo di suggerirmi un’attività di marketing che possa sbloccare questa situazione che, ahimè, si ripercuote sulla  nostra vita, presente e futura.
 
La ringrazio tanto per i preziosissimi suggerimenti che vorrà darmi.
 
Francesca


Gentilissima Signora Francesca,
non conoscendo la città o l'area in cui vivete e non conoscendo quindi la realtà del territorio non potrò dare un parere specifico ma dovrò essere piuttosto vago. Non conoscendo inoltre la Vostra situazione finanziaria ed il Vostro grado di rischio, ciò che dirò va abbinato alle disponibilità di eventuale investimento.
Mi rendo conto che anche per Suo marito il momento possa essere divenuto piuttosto pesante. Del resto, dobbiamo ammettere che vi sono tanti e tanti architetti che obiettivamente è davvero difficile che tutti possano sviluppare il lavoro per cui hanno studiato. Questo, s'intende, vale anche per le altre categorie di laureati che devono ormai pensare alla laurea ottenuta come ad un bagaglio personale di conoscenze e di cultura, pur trovandosi poi a dover operare in altri innumerevoli campi.
Ma veniamo al Vostro caso. Suo marito ritiene che i soliti canali pubblicitari non si addicano ad un libero professionista.
E' un'opinione e come tale va presa. Personalmente ritengo che promozionare se stessi sia sempre una buona regola e, quando lo si fa, occorre fare ciò che la mente umana ha pensato allo scopo. Le forme di promozione personale sono tante e tra queste, trovare quella più idonea non è impossibile. Se c'è lavoro si può anche stare ad aspettare che qualche cliente soddisfatto parli con un altro potenziale cliente, ma se questo non avviene, mettere un po' di benzina nel motore non fa male.
La Sua idea, ad esempio, di crearVi una lista di potenziali clienti per poi cercare l'eventuale contatto, non è assolutamente cattiva. E' una possibilità da sfruttare. Ma possono essercene altre.
Comunque, Lei mi chiede però che fare quando manca il contatto. Occorrerebbe agire direttamente, è ovvio.
Io opterei, avendo la possibilità di poterlo fare, di costruire un book, esattamente come una modella che si presenta in agenzia. In questo caso, mettendo insieme un certo numero di presentazioni degli interventi che ha fatto Suo marito e di ciò che può fare. Una presentazione, volendo, anche elettronica, su CD.
In questo modo, mancando il contatto, la si invia al potenziale cliente con una lettera di presentazione.
Tenga presente però che il cliente riceve quotidianamente pressioni pubblicitarie di ogni tipo per cui, per essere letti occorre che la lettera di presentazione sia innanzitutto intestata alla persona che si vuole raggiungere senza usare quei termini vaghi che rendono subito da buttare lo scritto, termini come “Egregio dottore” o “ Gentilissimo Ingegnere” o ancor peggio “Spett. Beta srl”
Lo scritto dev'essere personale, quasi un colloquio con cui ci si presenta, ci si da la mano e si inizia a dire con frasi brevi il motivo della visita.
Va da sé che se ci sono stati in passato significativi interventi o lavori locali che possono essere portati ad esempio della capacità, vanno presentati o indicati come fossero referenze.
Altro suggerimento: poiché mi scrive che Suo marito opera anche nell'arredamento d'interni, credo che abbia una certa conoscenza dei punti vendita d'arredo della Vostra area. Un'azione semplice da fare è quella di intervenire semplicemente visitandoli e dando loro un pacchetto di biglietti da visita da lasciare su un tavolo o un banco.
C'è però di più. Se Suo marito ha anche spirito commerciale e non ha vergogna (lo dico perchè molti non ne sono affatto capaci) dopo aver fatto un'accurata scelta su cui poi Le sarò più chiaro, può recarsi presso alcuni di questi rivenditori e fare con loro un discorso chiaro. “Oggi, se si vuole crescere, è necessaria la massima collaborazione tra le nostre attività al fine di trarre vantaggio dalla cooperazione. Nel mio lavoro, quando mi capiterà di poter suggerire a clienti un arredatore o un negozio presso cui fare acquisti, li indirizzerò da Voi. Vorrei che Voi, quando vi capitasse clientela interessata al mio lavoro, anche per piccoli interventi, deste il mio nominativo. E' un modo come un altro per collaborare al fine di ottenere un aiuto reciproco, dando al cliente una soddisfazione in più. In un mondo di continua concorrenza e di menefreghismo, supportarci l'un l'altro può dare risultati utili ad entrambi.”
Altra possibilità legata a questa strategia è semplicemente quella di “commercializzare” il contatto o il rapporto semplicemente proponendo al rivenditore una percentuale sul fatturato che Suo marito produrrà lavorando per i contatti ricevuti attraverso il rivenditore stesso. Analogamente e senza vergogna, Suo marito potrebbe chiedere anch'egli un percentuale oppure, volendo, non chiedere nulla pur mandando i clienti presso quel commerciante, accontentandosi solo della pubblicità che verrà fatta a lui.
Poi, anche se alcuni non lo farebbero mai, può valer la pena di valutare una collaborazione assolutamente gratuita per e se un cliente è talmente d' immagine da influenzare altri. Naturalmente questo lavoro dovrà essere “pagato” sotto forma di presenza sul luogo stesso, di un riferimento a colui che lo ha creato o seguito.

Lei gentilissima Signora ha pensato ai negozi in franchising ammettendo però che le aziende inviano loro architetti per seguire i lavori. E' effettivamente così e credo che questo sia un ostacolo davvero insormontabile. L'architetto inviato dalla sede opera con precise linee guida ormai collaudate, uguali per ogni punto vendita. I costi sono ovviamente ridotti e la Sede non deve preoccuparsi di nulla. Affidare il tutto ad un architetto locale significherebbe poi dover effettuare una ricerca ogni qualvolta si pensa ad una apertura in un luogo diverso.
Ma proseguiamo.
Credo che non abitiate in una grande città per cui, potendo, potresTe concordare con il quotidiano locale, una Vostra presenza in termini di inserzione evidenziata, quando siano edite sul quotidiano stesso pagine o sezioni riguardanti l'edilizia o l'arredamento. L'inserzione deve solo essere una presentazione del biglietto da visita con pochi semplici riferimenti, salvo che, come detto prima, non sia stata firmata una realizzazione nota che possa influenzare la decisione di scelta del lettore interessato. In questo caso, un accenno ad essa, andrebbe fatto.
Io penso, forse a torto, che se esiste del tempo vuoto, piuttosto che lasciarlo tale sia preferibile riempirlo con qualcosa che possa dare frutti anche successivi. E qui è possibile giocare con tutta la creatività che si vuole.
Ed ecco che con questa logica può divenire possibile concordare con un negozio d'arredamento di immagine una azione promozionale a vantaggio certamente di entrambi ma sopratutto di Suo marito. Il negozio di arredamento può indire un concorso tra i suoi già clienti o quelli nuovi. Il senso dovrebbe essere:
“Cambiate casa? Acquistate casa? Vi sposate? Acquistate un intero arredamento da noi, una stanza o anche un solo pezzo e potrete vincere una consulenza gratuita dell'Architetto xxxx che studierà per voi la migliore sistemazione della vostra abitazione, dandovi ogni possibile suggerimento”.
Queste azioni io le metto sotto la voce investimento. Non danno nulla al momento ma permettono di creare una solida conoscenza attorno al nome. Infine, tenga presente che il fortunato vincitore della consulenza, per un fattore cortesia che si sviluppa in queste condizioni, sarà un Vostro continuo acceso fan.

Parallelamente a questa possibile iniziativa, può esserne valutata una seconda relativa a chi ha già un'abitazione e magari sta pensando di cambiarla per avere maggior spazio. Quasi sempre gli abitanti di una casa non hanno il senso degli spazi e non hanno occhio per capire che riadeguandoli, si può trasformare una abitazione in un'altra più spaziosa. Ecco allora che il messaggio da passare è:
“Vorresti cambiare casa? La tua ti va stretta? Hai bisogno di spazio? Prima di un nuovo investimento non da poco, contattami. Uno studio degli spazi potrebbe ridarti un'abitazione del tutto nuova con inaspettate soluzioni e grandi vantaggi. Visita gratuita in loco e suggerimento sulle possibilità di riuscita. Architetto xxxx, tel..........”
Starà poi a Suo marito, verificata l'abitazione ed il tenore di vita degli abitanti studiare un piano con una spesa adeguata alle possibilità, indipendentemente dal lavoro stesso. (Spero di riuscire a farmi capire. Non serve un tabellario fisso per tutti se poi non si riesce a portare a casa nessun lavoro perchè quanto chiedono gli architetti è esagerato...)

Le ho parlato, in altra parte della risposta, che Le sarei stato più chiaro relativamente all'accurata scelta dei rivenditori con cui dialogare per la collaborazione.
Per accurata scelta non va necessariamente inteso l'unico rivenditore al top della Vostra zona quanto piuttosto il rivenditore o i rivenditori di maggior successo locale. Occorre quindi avere una buona conoscenza del territorio (e Voi l'avrete) per valutare chi valga la pena contattare. Mi spiego meglio. Se il miglior rivenditore in zona è talmente esclusivo da servire pochi e fedeli clienti, probabilmente non potrebbe essere la Vostra migliore soluzione anche se dovrà comunque fare parte del Vostro pacchetto..
In ogni caso, maggiore è la base della clientela a cui arrivare attraverso i Rivenditori e maggiori saranno le possibilità per Voi.
Analizzate perciò i singoli rivenditori o i negozi che ritenete più adatti. Eliminate quelli la cui clientela può essere di soli clienti di un ceto che non potrebbe essere interessato. E poi, via!
Bene, per adesso quanto detto può bastarVi per riempire il Vostro tempo e divenire professionisti del “marketing fai da te”.
Non abbiate fretta; studiate bene le mosse e, proporzionalmente anche alle Vostre capacità finanziare, iniziate ad agire. Va da sé che queste azioni possono essere, man mano, allargate anche ad aree vicine alla Vostra.
In bocca al lupo!

giovedì 18 novembre 2010

NATURALI PAURE

lettera firmata loc. non conosciuta)



Buongiorno,
per caso ho trovato il vostro blog e lo ritengo molto utile. Ne approfitto per chiedere qualche consiglio sulla mia situazione attuale. Ho 26 anni e lavoro da quasi 3 anni per un'azienda che disegna e produce in licenza un marchio di abbigliamento. Sono entrata qui appena uscita dal mio corso di laurea e ho cominciato ad assistere sia lo stile (la parte di ufficio che disegna la collezione) che il prodotto (la parte invece che si occupa della realizzazione concreta della collezione, per inciso la parte di lavoro di cui mi sarei voluta specializzare).
Non è stato semplice perché l'azienda partiva da zero e inizialmente eravamo solo in 3 per la parte stilistica/tecnica: io senza esperienza e due ragazze di 35 anni con più di 10 anni di esperienza. Il lavoro era tanto e per due anni abbiamo fatto orari duri 9.00/23.00, ma è lavoro che volevo e ho accettato di buon grado l'impegnarmi molto. Poi è subentrata una stagista per lo stile, ho potuto proseguire nel prodotto come volevo e tutto il lavoro si è normalizzato (in ogni caso finivamo alle 20).
Prima di proseguire ritengo importante dire che il rapporto con le due cape non è mai stato semplicissimo, sempre a rimarcare che loro all'epoca lavoravano anche tutti i weekend e noi giovani siamo fortunate...etc. Io non mi sono mai lamentata degli orari in quanto prima di cominciare a lavorare  sapevo a cosa sarei andata incontro in questo settore.
Mi sono data tanto da fare, tanto che a fine luglio di quest'anno il mio capo ha deciso di mettermi a capo della gestione e organizzazione della produzione (il terzo passaggio dopo, stile e prodotto), quindi il mio compito è quello di commissionare e coordinare la realizzazione della collezione.
Io non l'ho presa molto bene perché, nonostante sia una grossa possibilità, non è proprio quello che vorrei fare nella vita e poi, cosa non da poco, sono davvero giovane e con poca esperienza. In questa parte di lavoro l'esperienza è importante perchè devi saper far fronte a mille imprevisti che capitano ogni giorno e la merce che produci va poi nei negozi, se la qualità non è buona, se la merce arriva in ritardo rischi la perdita di vendite.
Nonostante non fossi contenta ho visto che quest'occasione era molto importante per la mia carriera, la possibilità di imparare anche l'ultimo processo della filiera produttiva...solo che...sono da sola!! Non ho nessuno...prima erano in 3 persone a mandare avanti tutto questo: il responsabile che era sempre in giro a contrattare 20 anni di esperienza, un ragazzo nella parte tecnica, una ragazza per i prezzi, approvvigionamento materiale e consegne. Ora faccio tutto da sola e certo il mio capo mi aiuta nel rapporto con i fornitori (parte economica), se ho dubbi chiedo in giro, ma sono attanagliata dalla paura...se non faccio qualcosa bene ne va la produzione e il mio capo ci perde soldi e in questo caso gli errori devono essere fatti il meno possibile; sapere di non poter sbagliare è tremendo, lavoro anche bene sotto pressione, ma in questo momento non so da che parte girarmi.
Seguire la produzione significa anche gestire e risolvere eventuali resi e problemi di merce che è già nei negozi di cui non hai seguito la produzione, è molto più articolato del lavoro che avevo prima, da sola è davvero dura e rischi di farti scappare delle cose importanti. Senza contare che le mie ex cape non avendomi più a disposizione e dovendo formare delle persone nuove, siccome non sono ancora autonome chiedono a me di fare alcuni lavori, ma non chiedendomi se ho la possibilità di aiutarle, ma scrivendo una mail (siamo a un metro) con in copia il mio capo dicendo che devo fare questo, quello e quell'altro e ovviamente non posso non farlo. Mi sono pure presa della poco altruista perché ho osato chiedere un weekend che mi hanno gentilmente obbligato a lavorare per loro, che orari avremmo fatto.
Io non so come comportarmi, non so davvero che fare, non mi sento brava abbastanza perchè so di poter fare tutto quello che mi compete, ma mi manca il tempo materiale per organizzarlo e avrei in mente grandi idee per come sistemare alcune cose, e mi servirebbe una persona che mi dia una mano.
Il mio capo tenta di ottenere il massimo con il minimo, non vi sto neanche a dire che sono nella generazione 1000euro e gestisco una produzione da sola.
Cosa posso fare, come posso darmi la carica?
Grazie in anticipo, spero davvero di ricevere qualche buon consiglio




Cara G.,
ho dato un titolo alla Tua lettera, titolo che ritengo azzeccatissimo: naturali paure.
Tu Ti stai trovando nella posizione in cui vengono a trovarsi tutti coloro che, ritenuti bravi, affidabili e capaci, vengono promossi o vien dato loro un incarico di maggiore importanza.
Devi sapere che ogni bravo Manager, se capace, si trova sempre a lavorare al massimo della propria incapacità, nel senso che quando riesce a gestire con successo la parte di lavoro a lui affidata, viene ritenuto idoneo per coprire un incarico maggiore e quindi...promosso in una posizione di cui non sa nulla, non ha esperienza e quindi obbligato a lavorare al massimo della propria incapacità.
Tu non sei da meno. Hai dimostrato d'essere brava e quindi, eccoTi il premio: portare avanti un compito più gravoso, che non conosci e di cui non hai esperienza. Poi, quando sarai riuscita a gestire tutto e bene, qualcuno vedrà che sei abile per qualcosa di più e nuovamente sarai posta in un'altra situazione di incapacità.
In una delle ultime frasi della Tua lettera, scrivi:
“Io non so come comportarmi, non so davvero che fare, non mi sento brava abbastanza perchè so di poter fare tutto quello che mi compete, ma mi manca il tempo materiale per organizzarlo e avrei in mente grandi idee per come sistemare alcune cose, e mi servirebbe una persona che mi dia una mano.”
Come comportarTi? ComportaTi regolarmente, come sempre. Non sei stata Tu a voler quella posizione. Ti è stata data perchè sei stata ritenuta valida e se Ti è stata data significa che qualcuno ha visto giusto ed ha fiducia in Te. Perchè dici che non Ti senti brava? Che significa? Brava e capace certamente lo sei, a meno che il Tuo Capo non sia impazzito.
Vedi, nella mia carriera e nelle mie esperienze difficilmente ho visto Capi sbagliarsi nell'affidare posizioni di rilievo a persone non capaci. Se poi il Tuo Capo è anche il padrone...., ancor meno.
DovresTi avere maggior fiducia nelle Tue capacità organizzative. Probabilmente il Tuo Capo ha visto e vede, dall'esterno, le cose in modo asettico. Tu sei troppo coinvolta per essere, forse, obiettiva con Te stessa.
Sei entrata in un'azienda nascente; hai accettato orari di lavoro molto pesanti, hai digerito due colleghe- Capo che Ti tiranneggiavano. Penso che Tu abbia davvero la stoffa (visto dove lavori è ancor più giusto!) perchè hai superato situazioni che molti non avrebbero accettato.
E se ora il Tuo Capo Ti affida la responsabilità della gestione ed organizzazione della produzione devi solo esserne contenta e fare i salti di gioia perchè è un premio al lavoro che hai svolto. Eppure Tu non sei contenta perchè Ti ritieni giovane, con poca esperienza e con tanta paura di sbagliare.
Cominciamo col dire che l'esperienza si fa col lavoro. Nessuno nasce con l'esperienza. E come dicevo prima, quando uno inizia può essere solo incapace di gestire ciò che gli viene affidato. Poi, proprio attraverso il lavoro ed anche qualche guaio ed errore, si fa l'esperienza.
Farai anche Tu errori, non preoccuparTi e questi Ti serviranno per non farne altri. Ed il Tuo Capo, stai certa che ha già messo in conto il fatto che Tu possa sbagliare.
Scrivi ancora:
“Nonostante non fossi contenta ho visto che quest'occasione era molto importante per la mia carriera, la possibilità di imparare anche l'ultimo processo della filiera produttiva...solo che...sono da sola!! Non ho nessuno......”
Meno male che hai visto l'opportunità che Ti vien data da questa nuova posizione perciò, non piangerTi addosso se ritieni di essere sola. Il Tuo approccio al lavoro, ora, deve iniziare a diventare diverso. Ritieni di non poter fare tutto da sola? Hai bisogno di qualcuno che Ti aiuti? Prepara una breve relazione per dire al Tuo Capo esattamente queste cose. Fai capire che da sola rischi di gestire non al meglio il Tuo lavoro e questo non lo vuoi. Chiedi che Ti venga messa a fianco una figura di sostegno. Identificala Tu: potrebbe essere una giovane alla prima esperienza che Tu “alleveresti” o qualche altra figura che ritieni idonea. Ad un certo livello di responsabilità, pare sempre d'essere soli perchè si devono prendere decisioni, a volte veloci, senza chiedere aiuto o un parere. Si può sbagliare? Eccome! Ma le decisioni vanno comunque prese e se non sono proprio giuste, si correggerà il tiro strada facendo. Ciò che conta è la calma con cui si analizzano i problemi e si trovano soluzioni.
Riporto ancora un altro brano della lettera:
“...sono attanagliata dalla paura...se non faccio qualcosa bene ne va la produzione e il mio capo ci perde soldi e in questo caso gli errori devono essere fatti il meno possibile; sapere di non poter sbagliare è tremendo, lavoro anche bene sotto pressione, ma in questo momento non so da che parte girarmi....”
Se qualcosa non è fatto bene il Tuo Capo ci perde soldi. Sacrosanto, ma può capitare. Certamente ne è consapevole quindi non stare Tu ad angosciarTi più di quanto sia necessario. In effetti scrivi che gli errori devono essere fatti il meno possibile; quindi anche Tu ritieni che si possa sbagliare.
Se non sai da che parte girarTi, fermaTi. Per un Manager non vale la mole quantitativa di lavoro quanto la qualità dello stesso. Sei Ti senti angosciata, se non sai da che parte prendere...fermaTi. PrendiTi un'ora di riposo. Svuota la testa; vai al bar, fai due chiacchiere, leggi un giornale. Insomma, rilassaTi.
Il Tuo compito è gestire bene il lavoro affinchè quello degli altri proceda al meglio. Ciò non avverrà se Tu avrai il fiatone; se non saprai come fare; se Ti sentirai il fiato sul collo.
RicordaTi che queste sensazioni o situazioni sono le meno idonee per sviluppare un buon lavoro.
Relativamente alle Tue due ex Cape che ancora chiedono aiuto inviandoTi e.mail e mettendole in copia al Capo, dovresTi rispondere loro, se vuoi a voce ma forse anche via e.mail con copia al Capo, che l'attuale mole del Tuo lavoro non Ti permette, con rincrescimento, di continuare ad interessarTi di cose che non puoi più seguire.
Se non Ti liberi con chiarezza, Ti ritroverai sempre ad essere la loro “schiavetta”.
Parlane prima a voce col Tuo Capo. Digli che non puoi interessarTi del Tuo lavoro ed anche delle loro richieste salvo magari far male entrambe le cose. Avvisalo quindi che, con molto tatto, dirai loro che non potrai più aiutarle.
Nell'ambiente lavorativo queste situazioni vanno sempre chiarite. Dovrebbe farlo il Capo ma mi pare di capire che su questo si defili. In pratica le Tue due ex Cape, come le definisci, vorrebbero continuare a “gestirTi” per sentirsi loro stesse ancora Cape.
Quindi, per carità, non dire assolutamente, quando le due tizie Ti chiedono qualcosa “ovviamente non posso non farlo” perchè, invece, ovviamente non devi farlo.
Non è più Tua mansione. Potrai essere Tu ad intervenire su qualcosa nel caso sentissi o vedessi che una situazione non viene gestita bene, ma solo se Tu lo vuoi e se ne hai il tempo, per il bene della società. Non certo perchè Ti viene ordinato da loro. In ogni caso chiarisci la cosa col Tuo Capo e poi con loro, lasciando perdere gli eventuali pettegolezzi o critiche che ne deriveranno.
Termini la lettera con:
“...Io non so come comportarmi, non so davvero che fare, non mi sento brava abbastanza perchè so di poter fare tutto quello che mi compete, ma mi manca il tempo materiale per organizzarlo e avrei in mente grandi idee per come sistemare alcune cose, e mi servirebbe una persona che mi dia una mano.
Il mio capo tenta di ottenere il massimo con il minimo, non vi sto neanche a dire che sono nella generazione 1000euro e gestisco una produzione da sola.
Cosa posso fare, come posso darmi la carica?...”
Se ripeti ancora una volta che non Ti senti abbastanza brava, mi diventi antipatica! Nessuno T'avrebbe messa nella posizione che occupi se non fossi brava.
Se parliamo invece della sensazione di mancanza del tempo, posso darTi ragione. La gestione del tempo è una materia di insegnamento nelle scuole di Management.
Il tempo c'è e c'è per tutto. Molto spesso il Manager, sopratutto alle prime armi non sa gestirlo. In un attimo la giornata è finita; i compiti si sono accavallati; molte cose sono ancora ferme. Il Manager spesso tende a usare il tempo nella stessa misura sia per cose importanti come per quelle banali o addirittura in modo inversamente proporzionale.
Tendenzialmente, ad esempio, vi è l'abitudine di ritenere meglio smaltire le cose veloci ed antipatiche per prime, in modo d'aver poi tutto il tempo da dedicare alle cose importanti. E questo è errato. Si deve sempre iniziare a gestire le cose importanti, lasciando a fine giornata le cose semplici o antipatiche. Le risposte a chiamate telefoniche si fanno a fine giornata; le risposte a lettere o e.mail si fanno a fine giornata e sopratutto ricorda questo: il giovane Manager solitamente pensa che una scocciatura vada tolta di mezzo per prima ed alla svelta per non ritrovarsela sul tavolo durante tutto il giorno. Entra quindi in ufficio e dice: “prima di iniziare voglio togliermi questa rogna” a cui poi ne seguirà un'altra ed un'altra ancora. Così si ritroverà a sera avendo risolto tante piccole beghe, senza alcun valore, ma anche senza aver svolto cose ben più importanti.
Quindi, prima le cose importanti ed alla fine si apre la cartella delle cose antipatiche o delle telefonate o lettere, e si sbrigano.
Il tempo va poi gestito in modo preciso dedicando ad ogni compito quanto è ritenuto necessario. Una cosa che ritieni Ti debba portar via un'ora, deve occupare quel tempo perchè poi avrai altre cose da un'ora. In pratica: impara a determinare il tempo da dedicare proporzionalmente al valore di ciò che devi fare.
In archivio puoi trovare certamente qualcosa sulla gestione del tempo. Mi riprometto comunque, in futuro, di pubblicare qualcosa su questo tema, in modo che, se avrai voglia di seguirmi tra un'angoscia e l'altra, potrai avere ulteriore aiuto.
Per finire, rispondo alla Tua domanda: come posso darmi la carica?
Ebbene, Te la puoi dare in diversi modi. RilassandoTi anziché angosciarTi; pensando che tutti sbagliano ed il più bravo è chi sbaglia meno e non creandoTi problemi se non riesci a far tutto alla svelta.
Ti ricordo di chiedere comunque un aiuto, come Ti ho detto prima ed anche, non lo avevo detto, di chiedere se non sia il caso, con l'aumento di mansioni e responsabilità, di rivedere anche lo stipendio.
(Questa è una cosa che, se al Capo non viene in mente, va sollecitata. Sono pochi i Capi che lo fanno in automatico).
Infine, cosa a cui non hai pensato, sappi che se il Capo non dovessi aggiornarTi lo stipendio, se l'aiuto non dovesse venirTi dato, se le due Cape continueranno a usarTi come schiavetta, la posizione avuta Ti permetterà, dopo un adeguato periodo di esperienza, di venderTi molto bene sul mercato.
Quindi, come vedi, oggi stai soffrendo una posizione che trovi difficile ma un domani...potrai ringraziare d'esserci passata.
Ciao

domenica 14 novembre 2010

RAPPORTI INTERPERSONALI

lettera firmata



Buonasera, scrivo per avere un parere al riguardo di un problema che mi assilla da un pò: ho 25 anni, sono segretaria in una scuola e mi trovo bene. fino a qui nessun problema, tuttavia, a causa del mio carattere molto impulsivo, spesso non riesco a gestire in maniera "professionale" le conversazioni "sgradevoli" (una discussione, un problema da affrontare, sollecitare lavori ecc) e le. situazioni lavorative normali con i colleghi e con il pubblico. Mi spiego meglio. se devo affrontare una lamentela la prendo sempre sul personale e divento aggressiva (cosa molto sbagliata per una segretaria) perchè non tollero il criticare e il lamentarsi delle persone che non conoscono l'organizzazione della mia scuola, e in generale non tollero il tono di voce aggressivo delle persone. L'altro grande problema sono i colleghi. in generale mi trovo bene con tutti, ma con un collega non vado per niente d'accordo e ci "sopportiamo" a vicenda. Capita però che debba parlarci per richiedere date cose o. sollecitare lavori, e a quel punto mi prende una sorta di "paura" e non voglio affrontare questo compito, con il risultato che più di una volta sono stata ripresa dalla direzione proprio perchè non volendo parlarci ho creato problemi ai miei superiori. 
Oltretutto, mi trovo in difficoltà ad entrare nelle classi per consegnare dei documenti ecc.. cose normalissime, ma per me entrare in una classe piena di adolescenti mi scatena il panico;  spesso anche fare delle telefonate a persone che non sono il massimo dell'educazione mi rende nervosa.
Alla fine però mi sforzo sempre di eseguire tutti questi compiti perchè fanno parte del mio lavoro, però sento di fare delle figuracce qualche volta.
Non so se mi spiego, tuttavia potrei riassumere il tutto dicendo che mi faccio prendere troppo dalle emozioni e reagisco in maniera impulsiva. Invece vorrei riuscire ad affrontare le persone in maniera sicura e professionale, e spesso non ci riesco. Vorrei saper affrontare le persone con più fermezza, anche e soprattutto quelle con cui non vado d'accordo, perchè proprio per il mio ruolo sono "al centro del mirino" e 9 volte su 10 la colpa ricade su di me se non so gestire bene i rapporti con le persone.

Esiste qualche consiglio adatto a me? grazie per l'attenzione


Mia cara,
ricevo spesso richieste confuse in cui chi scrive non sa nemmeno cosa e perchè capitino certe situazioni. La Tua lettera, invece, è chiara, tanto da contenere al suo interno, domande e risposte. E' una buona cosa perchè quando c'è un certo grado di consapevolezza delle difficoltà o delle mancanze si è a buon punto per superarle.
Non vedo grossi problemi perchè capisco che “c'è la testa”.
Diciamo che devi smussare alcuni angoli ed essere consapevole che facendo parte di una società occorre accettare che tutti abbiano un parere ed un loro modo d'esprimerlo. Può non esserci gradito ma non possiamo pensare di cambiarlo ne di cambiare il modo di fare degli altri. E' molto più semplice e saggio cercare di cambiare il nostro o meglio, di adattare il nostro alle situazioni.
L'impulsività è uno stato dell'essere che non definirei neppure difetto. E' un modo. Può diventare difetto se usato nel momento sbagliato ma non esserlo in altre situazioni.
Avendo a che fare col pubblico indubbiamente l'impulsività Ti può creare difficoltà ma se sei consapevole di questo problema puoi gestirlo. Il vecchio “conta fino a tre” può essere ancora utile. Che ne dici?
Di fondo, mia cara, hai solo una grande insicurezza di Te stessa e, come sempre negli insicuri, l'aggressività è l'arma dietro cui ci si trincera; ci si ripara per paura degli altri.
“Prima che mi salti addosso, alzo la voce per far vedere che so difendermi”. Nel cervello parte questo concetto e la bocca fa il seguito.
Se prendi maggiormente atto delle situazioni, lentamente capirai ed uscirai da ogni situazione che Ti pesa. Quando un genitore viene a lamentarsi di qualcosa è ovvio che sia internamente alterato. Magari inizierà con tono di voce pacato poi, proseguendo, alzerà i toni. Se da parte Tua vi è un' alzata analoga di toni, la frittata è fatta. Ma se Tu sei consapevole, come lo sei, che chi è inquieto tende ad alzare i toni, al di là della propria volontà, quando questo avverrà non deve scuoterTi. Accettalo come una situazione piuttosto “logica” che capita in quei frangenti.

Posso suggerirTi :
davanti ad una persona che si sta alterando, scommetti con Te stessa che riuscirai a calmarlo e quando ci sarai riuscita, sarai fiera d'aver vinto la Tua scommessa. Ricorda che chi alza la voce è in grosse difficoltà quando si trova davanti qualcuno che, invece, è calmo e non reagisce allo stesso modo. Il suo cervello lo mette in allarme e dice: “stai attento perchè non sta perdendo la calma. Non è un debole che puoi guidare. E' troppo calmo. E' più forte di quanto sei tu”.
Davanti ad un comportamento calmo è molto facile che gli animi bollenti si raffreddino velocemente. C'è poi un atteggiamento verbale che può aiutarTi. In queste situazioni se Tu, sempre con molta calma ed un briciolo di sorriso, dici: “Posso capire il Suo sfogo ma può dirmi le stesse cose con calma, spiegandosi meglio, cosi che io possa aiutarla. Possiamo parlare serenamente. Lei ha un problema ed io sono a disposizione per cercare di risolverlo. Dobbiamo vedere le cose da lati diversi e con le giuste conoscenze. Ricominciamo daccapo. Mi dica.....”
Se qualcuno, come scrivi, si lamenta perchè non conosce l'organizzazione della scuola, puoi rispondere, sempre col sorriso: “ Ogni luogo di lavoro è organizzato secondo regole precise. Non si arrabbi senza prima conoscere come funziona la scuola. Ora le spiego tutto, poi lei vedrà se le sue lamentele sono ancora giuste. Anch'io a volte mi lamento di cose che non conosco per poi ricredermi e capire che facevo male. Vedrà che spiegandoci, le cose appariranno diverse.....”
Mi piacerebbe, cara, che Tu non usassi e togliessi dal Tuo vocabolario il verbo “tollerare” o meglio “non tollerare” perchè lo usi probabilmente molto spesso. Dire “non tollero” è estremo e non dà spazio agli altri.
“Non tollero che mi si dica; non tollero i comportamenti.....ecc...ecc..” è fortemente aggressivo. Se io desidero dire un mio parere o comunque relazionare con qualcuno che non tollera, sarò portato subito ad alzare la voce per cercare di farmi ascoltare. Se invece parlo con qualcuno che è disposto ad ascoltarmi, anche poi dandomi magari torto, userò toni pacati e la comunicazione proseguirà.

Circa il Tuo collega con cui non vai d'accordo, sappi che in ogni gruppo di lavoro esiste questo problema. Non possiamo trovarci bene o essere simpatici a tutti. Probabilmente, all'inizio, uno dei due è stato sgarbato, ha fatto un torto o semplicemente si è sentito non considerato. L'aggressività o la convinzione d'essere dalla parte della ragione (anche sbagliando) fa poi il resto.
Nel Tuo caso occorrerebbe un chiarimento definitivo tra Voi due per capire cosa non è andato in passato affinchè non debba più accadere. RicordaTi che la richiesta di un chiarimento per rasserenare i rapporti indica forza e capacità di gestione, due cose non da poco in un'organizzazione. Non so cosa dirà il Tuo collega, so però che Tu, in un eventuale colloquio davanti ad un caffè, dovrai essere disposta ad accettare il suo punto di vista anche se non lo condividerai. Potrà dirTi che sbagli nel modo di fare, che sei arrogante o chissà cos'altro. Ebbene, sappi che tutto quanto dovesse uscire dalla sua bocca, potrà solo essere un punto di partenza per una Tua analisi interiore. Sapere cosa pensano di Te e come Ti vedono gli altri è importante per capire il Tuo comportamento. Da parte Tua, digli cosa, secondo Te, non va nel suo modo di fare. Ma diglielo pacatamente e sempre con la volontà di chiarire il passato per gettare basi proficue per il futuro.
E veniamo all'altra situazione. Sei stata ripresa perchè il non voler parlare col collega ha creato problemi.
Questo è davvero male, anche per il Tuo futuro lavorativo.. Tutti sono giudicati dai Capi ed il giudizio è di estrema importanza quando mai dovesse accadere che si debbano fare valutazioni su promozioni o nuovi assetti.
Non devi assolutamente farTi prendere da “paure” per il fatto di dover parlare con qualcuno che non la pensa come Te. Anche il termine “paura” è piuttosto strano in questo contesto. Puoi provare fastidio, disinteresse, menefreghismo, ma paura....no. Se Tu provi paura significa che ritieni il Tuo collega più forte di Te. E' così?

Ed ancora, non pensare che devi sopportarlo, ma accetta il fatto che devi conviverci otto ore al giorno. Non è meglio conviverci con la consapevolezza che ognuno ha un proprio carattere che va accettato, bello o brutto che sia e che vanno cercati i punti di incontro piuttosto che gli altri? Potrai pensare, perchè così credo che sia, che non capisci perchè devi essere sempre Tu ad accettare gli altri e non l'opposto. Se cosi fosse, sappi che ognuno di noi dice la stessa cosa degli altri. Quindi anche il Tuo collega penserà che non capisce perchè dev'essere lui ad accettare ecc...ecc..
In un gruppo di lavoro ciò che vale è far proseguire la comunicazione ovvero, che le persone interagiscano tra loro per un fine comune quale la risoluzione dei problemi. Quindi il gruppo funziona se le persone si parlano, si accettano e guardano assieme nella stessa direzione. Possono esserci gli screzi ma occorre anche il buon senso e qualcuno, con buon senso, deve darsi da fare per superare le barriere e gli ostacoli. E questi si superano solo parlando, dialogando.
Noi siamo quello che abbiamo appreso; siamo il risultato delle nostre conoscenze e degli insegnamenti avuti. Del vissuto da bambini; della morale ricevuta. Siamo le paure che abbiamo visto in altri. I timori, i successi e gli insuccessi. Siamo una tale complessità che basta poco per farci andare in tilt.
Anche entrare in una classe in cui c'è un gruppo di adolescenti può creare ansie e panico. Non voglio qui analizzare le motivazioni che sono già inserite nelle frasi precedenti; certo è che gli adolescenti alla vista di una ragazza di venticinque anni faranno pensieri più o meno velati. E Tu da venticinquenne lo intuisci e Ti dà fastidio. E' un'intrusione che “non tolleri”. Non vuoi essere l'oggetto di pensieri e lazzi.
Gli adolescenti sono tali proprio ed anche per il loro comportamento. Oggi poi, più che un tempo. Lascia che dicano, che pensino o che immaginino. Tu sei Tu. Accetta che altri siano come vogliono essere.

Entrare in una classe vuol dire, in quel momento, avere gli occhi addosso da parte di tutti. Non Ti piace sentirTi guardata e osservata con quello che segue. Avere quaranta occhi puntati addosso per Te è come essere sottoposta ad un giudizio universale. Ed ecco le angosce e le paure. Paure d'essere giudicata.
Ma più continuerai ad avere queste paure e più le coltiverai come in serra, facendole divenire sempre più grandi e robuste. Fermati un attimo e domandaTi: “ma di che devo avere pura? Di qualche ragazzo? Di ciò che dicono o pensano guardandomi? Perchè? “
Forse Ti hanno insegnato o sei vissuta in un ambiente in cui si doveva fuggire o non approfondire certi argomenti o comportamenti. In cui la morale andava al di là di un logico corretto comportamento. Tutto possibile ma oggi sei maggiorenne, dimostri di avere capacità di espressione e di ragionamento e quindi assolutamente pronta e libera di accettare ciò che Ti circonda o meglio, di accettare che gli altri abbiano comportamenti diversi dai Tuoi ma comunque da rispettare pur se sbagliati.
Soluzione al problema: andare sempre più spesso nelle aule avendo coscienza che i ragazzi Ti guarderanno, criticheranno o giudicheranno. Anche in questo caso di a Te stessa che te ne fai un baffo di quaranta occhi su di Te. Scommettici e vinci la scommessa. Poi premiaTi con un “brava”.
Non mi dici perchè ritieni di fare delle figuracce e forse era importante saperlo perchè il nocciolo del problema è proprio in quella paura di fare figuracce.
Certo, non brilli di molta autostima. Ti senti inferiore o non adatta. Gli altri sono tutti più in gamba e per questo, per sopravvivere nella giungla devi aggredire. Credo invece che Tu sia notevolmente più forte di quanto pensi. Devi solo imparare a tirar fuori questa convinzione, tenendo presente che la forza è nella calma. Tanto più imparerai a gestire le situazioni con calma, tanto più rafforzerai il Tuo IO e diminuirai le paure e le ansie.
Finisci la Tua lettera con questo:

“Non so se mi spiego, tuttavia potrei riassumere il tutto dicendo che mi faccio prendere troppo dalle emozioni e reagisco in maniera impulsiva. Invece vorrei riuscire ad affrontare le persone in maniera sicura e professionale, e spesso non ci riesco. Vorrei saper affrontare le persone con più fermezza, anche e soprattutto quelle con cui non vado d'accordo, perchè proprio per il mio ruolo sono "al centro del mirino" e 9 volte su 10 la colpa ricade su di me se non so gestire bene i rapporti con le persone.
Esiste qualche consiglio adatto a me? “
Ho riportato per intero questa parte perchè Tu stessa dici già tutto. Passa solo dal condizionale al presente e agisci in tal senso.
Ancora scrivi di sentirTi al “centro del mirino” ed è questo che Ti complica la vita. SentirTi osservata. Devi invece pensare che se sei al centro del mirino è proprio perchè il Tuo ruolo è evidentemente importante. Non puoi allora fuggire per nasconderTi in un ruolo inferiore.
Godi e vai fiera di trovartTi in un ruolo di valore per il lavoro che svolgi. Non pensare invece di dover imparare a trattare le persone “con fermezza”. Questo termine non è il più adatto. Non devi usare la fermezza a tutti i costi e con tutti, nei rapporti. Se pensi di agire in questo modo, sicuramente sbaglierai. Mai agire secondo etichette o comportamenti standard. Ogni persona con cui hai a che fare è diversa da altre e diversa da Te. Devi relazionare con tutti andando loro incontro, rispondendo ai loro bisogni secondo il loro stesso modo di esprimersi o agire. Un po' come dire: “mettersi nei panni degli altri”. Con un po' di confusione invece, Tu vorresTi che gli altri si mettessero sempre e solo nei Tuoi oppure vorresTi che tutti mettessero gli stessi panni.
Fermezza quindi solo con chi abbisogna di direttive certe o risposte chiare ed univoche. In questo caso la fermezza è benvoluta perchè è un aiuto. Dialogo e raggiungimento di accordo sulle finalità, con chi invece sai che sa valutare e capire.
Nove volte su dieci oggi Ti senti dire che la colpa è Tua perchè non sai gestire i rapporti interpersonali.

ParTi proprio da questo punto per migliorarTi . Datti l'obiettivo di ridurre questo 9 su 10. Ce la puoi fare benissimo perchè devi solo diffidare meno degli altri e non aver paura dei giudizi. (Forse con questo ultimo concetto ho detto tutto). Apriti sopratutto con chi hai difficoltà di rapporti, perchè quando sarai riuscita a risolvere i problemi di rapporti con questi, tutto il resto sarà solo una lunga e bellissima discesa.
Se vuoi saperne di più sui rapporti interpersonali e sulla soluzione dei disaccordi tra colleghi cerca in archivio e trovereai spunti utili.
Intanto, leggiTi e rileggiTi queste pagine e , se avrai bisogno, scrivi ancora. Ti credo però capace di riuscire a risolvere bene i Tuoi problemi.
In bocca al lupo.

martedì 9 novembre 2010

CHE SUCCEDE?

F.G. Milano


Sono preoccupato. Ho sempre seguito la vostra rubrica sin da quando è nata, anche se non ho mai approfittato. Le risposte che date mi sono comunque servite e mi servono tanto che ogni volta che ho un problema o lo ha qualche mio amico, vado a cercare una risposta e trovo il suggerimento giusto.
Vi scrivo perchè da qualche tempo vedo rarefarsi le risposte sin quasi ad aver smesso. Che succede? Volete interrompere? Chiudere questo spazio? Non fatelo perchè è davvero utile.
Vi ringrazio



Mio caro F.G. Di Milano,
le risposte si sono rarefatte perchè si sono rarefatte le lettere. Noi non inventiamo lettere per poter rispondere. Se chi è interessato scrive, noi rispondiamo. Se non riceviamo lettere, non lo facciamo. Evidentemente in questo momento c'è poco interesse oppure, come fai Tu, è sufficiente cercare in archivio le risposte.
Può anche darsi che sia cambiata la presenza del blog in rete e che sia più difficilmente raggiungibile. Non sappiamo. Comunque, siamo sempre a disposizione. Non aver paura.
Ti ringraziamo del Tuo interesse.
Cordiali saluti

lunedì 18 ottobre 2010

ACCORDI SETTORE UMANITARIO

lettera firmata)


Salve,
lavoro nel settore umanitario, molto precario, anche se con alta specializzazione. Nei prossimi giorni sarei dovuto partire in missione per due mesi, dopo la selezione per lavorare con questa ONG (sono anche andato a Parigi a mie spese), mi hanno fatto una proposta via mail, ho accettato e mi hanno richiesto tutti i documenti, compreso il passaporto, anche se non mi hanno fatto firmare alcune contratto (sarebbe stato firmato a Parigi un giorno prima della partenza in missione), ma credo che in ogni caso il contratto si sia verificato.
Premetto che per questa missione che mi interessava molto, professionalmente, ho investito sia in vaccini che in tante altre cose, ebbene un giorno prima della partenza mi chiamano dicendo che a causa di un alluvione la partenza era rimandata e stabilita ad inizio Novembre. Pur avendo qualche dubbio che l'alluvione si fosse verificato proprio il giorno prima, poichè avevo visto mappe delle zone interessate da alluvioni almeno due settimane prima, ho accettato di rimandare pur avendo rifiutato altre opportunità e dovendo riorganizzare tutto, pur di dimostrare loro il mio attaccamento e poichè consideravo l'avvenimento come non imputabile alla loro responsabilità.
Visto che mancava più di un mese alla nuova partenza, mi sono dato da fare per trovare qualcosa su cui lavorare, ed ho accettato una consulenza fino alla fine di Ottobre, ebbene due giorni fa mi richiamano dicendo che vi era la necessitò di scrivere una proposta entro il 15 nov e che sarei dovuto partire subito pena la cancellazione della mia missione. A quel punto avevo già dato la mia parola ad un altra persona fino a fine ottobre, tra l'altro dicendogli non oltre, visto che per i loro rimandi ero rimasto senza salario. Sono veramente arrabbiato, poichè credo di essere stato hanno trattato male e senza alcun tatto, pur avendo dato io prova di dedizione. Passi una volta che la missione venga rimandata, ma la seconda è suonata come un ricatto e come un insulto a cui sento di dover replicare. Secondo Lei il contratto può essere ritenuto valido, ovvero per una questione di giustizia posso chiedere che mi venga compensato almeno la parte di danno?
 
Grazie.
 


Gentile lettore,
purtroppo in alcuni punti della Sua lettera non capisco bene alcuni passaggi poiché Lei come accade spesso a noi tutti, quando scriviamo, avendoli ben chiari in mente ha ritenuto che lo fossero a sufficienza già anche per iscritto.
Cerco comunque, punto per punto di dire ciò che penso.
Mi chiede tendenzialmente se l'accordo intervenuto tra Lei e l'associazione sia di fatto un contratto vero e proprio e, come tale, debba sottostare alle regole del caso.
Tendenzialmente un contratto tra due parti andrebbe di norma scritto e firmato, tant'è che, se Lei fosse partito, il giorno prima glielo avrebbero fatto firmare. Basta questo per intuire che, anche da parte loro, la fase verbale dell'accordo non era da considerarsi a tutti gli effetti “impegnativa” pur se tra Voi vi era stato un tacito accordo.
Moralmente per Lei, l'accordo c'è stato ed era già contratto. Personalmente non sono così certo che legalmente un accordo verbale sia a tutti gli effetti un contratto a meno che entrambe le parti non dichiarino che lo sia. Ma poiché, se ciò avvenisse Lei chiederebbe i danni, sarebbero poco furbi a dichiarare l'avvenuta validità dell'accordo verbale.
Comunque, Lei ha speso dei soldi ed all'ultimo momento Le dicono che non se ne fa nulla.
Mi soffermerei un attimo proprio qui.
Anche ammettendo che di contratto si sia trattato, nel momento in cui Le dicono che non si fa nulla, il contratto viene, da parte loro, annullato. Si rompe. In quel momento Lei avrebbe forse, diciamo dovuto avanzare subito le Sue pretese. Non avendolo fatto, usando fraseologia classica del caso, Lei ha tacitamente acconsentito a che quell'accordo avesse fine ed un altro iniziasse, forse, più avanti.
Infatti, la partenza rimandata a Novembre e non da Lei rifiutata, dà inizio ad un nuovo accordo verbale che si convaliderebbe con la firma vera e propria del contratto al momento della partenza.
V'è da dire però che, in questo lasso di tempo, Lei può davvero ritenersi libero perchè nessuno può stare ad aspettare le decisioni che variano proporzionalmente al tempo, alle pioggie o ad altro.
Senonché, come ho scritto,, Lei ha nuovamente accettato questo nuovo impegno e qui, torniamo al punto di partenza. A suo favore sta il fatto che Lei ha accettato una data precisa e futura: inizio Novembre ed entro quel termine Lei può davvero decidere di fare ciò che vuole.
ChiamandoLa prima, come è accaduto, Lei può giustamente dire no perchè gli accordi erano per Novembre.
Se Lei ora lasciasse prima ciò che sta facendo, commetterebbe l'errore di non mantener fede al patto fatto e poiché l'attuale accordo l'ha voluto e tacitamente sottoscritto Lei, precisando anche la data di fine collaborazione, credo sia corretto mantenerlo.
Non so se l'hanno trattata male e senza tatto o se questo è il sistema usato da queste associazioni umanitarie su cui non voglio parlar oltre perchè ci sarebbe da proseguire per qualche migliaio di pagine. Mi pare che di umanitario spesso ci sia solo l'impegno che mettono quelli come Lei, e qui mi fermo.
Allora: il contratto può essere ritenuto valido e può quindi chiedere che Le vengano rimborsati i danni?
Per chiedere, Lei può chiedere ma per eventualmente avere dovrebbe andare in causa. Ed allora deve domandarsi: “cosa ho in mano che confermi quanto lamento?”
In una richiesta da fare c'è la Sua parola relativa al tutto, ma ci sarebbe probabilmente anche la loro a dire che non c'era nulla di definitivo.
Credo che questi accordi si basino un po' sull'aleatorietà, dove entrambe le parti sanno che tutto è deciso e confermato ma nulla lo è. Credo che tutto ciò che si spende prima di mettere una firma su un pezzo di carta, lo si faccia volontariamente, magari sperando ma comunque senza imposizioni.
Si è mai chiesto perchè i contratti vengono fatti firmare appena prima di salire sulla scaletta dell'aereo? Proprio per evitare di aver problemi legali e dover pagare danni!
Ma, se ha trovato altro, perchè non cerca di proseguire anche oltre Ottobre iniziando a costruire qualcosa per sé ?
Cordiali saluti.

giovedì 30 settembre 2010

DISASTRI PREVEDIBILI

A. R. (loc. conosciuta)


Non sapevo cosa fare. Ho 24 anni e mi rendo conto di non poter sempre dipendere dalla paga dei miei per tirare avanti. Così, avendo il vuoto davanti a me nel senso che non ho la minima idea di cosa fare come lavoro, ho cercato di capire cosa potevo fare. Alla fine, ho deciso di aprire un bar. Un locale per giovani come quelli che io frequento. Potevo basarmi su una rete di amici che avrei portato nel mio locale.
I miei genitori non erano molto d'accordo. Avrebbero preferito qualsiasi altro lavoro ma non questo che ha richiesto un grosso capitale che mi hanno dato loro. Io però li ho convinti che sarebbe stato un buon affar e così ho iniziato a guardarmi attorno.
Non c'era niente di disponibile in zone centrali ed i costi erano fuori dalla portata di quanto pensassi. Allora ho deciso di guardare nella cinta esterna ed a fianco di un supermercato su una strada statale, ho visto un locale già adibito a bar ma chiuso ed in vendita. Era tutto arredato e molto bene. Mi sono informato e dopo la trattativa sono riuscito a comperarlo. Qualche miglioramento con nemmeno molta spesa e finalmente ho aperto il mio locale.
Facevo conto sulla gente che andava al supermercato e che, con un bar aperto,si sarebbe fermata a bere un caffè, ed anche della gente di passaggio. Invece, mi sono accorto quasi subito che chi andava al supermercato non gliene fregava nulla del caffè; che non c'era passaggio e le macchine ed i camion tiravano dritto malgrado i miei cartelli. Nemmeno i miei amici vengono. Dicono che sono fuori giro e mi hanno mollato.
Ho avuto la sensazione di aver fatto una cosa sbagliata ed ho cominciato a pensare che i miei mi avevano dato tutti i loro soldi e se il locale non si fosse messo a lavorare, sarebbe stato un disastro. Ora mi ritrovo a ricevere pressanti richieste di pagamento dai fornitori ed io non ho un euro.
Ho provato a mettere in vendita il locale ma non trovo nessuno. Cosa devo fare?
Grazie


Caro A.,
la Tua lettera è disarmante. Tante e troppo volte ho risposto sull'argomento e, forse fortunatamente per chi leggeva, sono riuscito a bloccare colpi di testa che rovinano la vita. Tu arrivi tardi. Ormai il danno l'hai fatto. Che posso dirTi, benedetto ragazzo?
Quando si fanno le cose con leggerezza; quando non esiste alle spalle alcuno studio di fattibilità; alcuna sia pur misera e alla buona ricerca di mercato; quando si arriva a pensare di spendere tanti soldi per un'attività iper-inflazionata, senza alcuna base (Tu nemmeno quella dell'esperienza di barista avevi!), quando si pensa di essere più furbi degli altri e quando si hanno genitori che vogliono bene e che sono disposti a rovinarsi per un figlio, accadono queste cose.
Tutto, nella Tua lettera, indica che sei andato incontro al disastro senza accorgerTene, ad occhi chiusi quando, chiunque con un briciolo (ma solo un briciolo) di esperienza o di buonsenso Ti avrebbe detto di non farlo.
Rimango stupefatto con quanta disarmante ingenuità, oggi, molti giovani pensano di crearsi un futuro sopratutto approfittando di quanto la famiglia ha magari accantonato con fatica per decenni.
Ecco, ragazzo mio, ora hai esperienza di come si fa a travolgere un'intera famiglia in una situazione che probabilmente cambierà in peggio tutta la vostra vita e sopratutto quella dei Tuoi.
Perchè a 24 anni, senza nulla alle spalle, senza aver mai svolto un lavoro, senza alcuna esperienza, si crede di essere imprenditori a tal punto di non aver bisogno di nulla se non del proprio intuito e ci si butta in situazioni da cui, scusa se lo scrivo, anche con poca intelligenza, chiunque sarebbe stato lontano?
Cosa posso dirTi per aiutarTi? Nulla, purtroppo.
Hai fatto tutto da solo. Se tenere aperto il locale Ti costa, come è ovvio, ogni giorno di più, chiudi. Inventati una malattia, un impegno e chiudi e cerca di trovare un altro come Te che lo compri.
Poiché però ritengo sia difficile, vedi almeno di cercare di vendere, fin tanto che è nuovo, tutto l'arredamento per recuperare almeno qualcosa che forse non Ti basterà nemmeno per accontentare i creditori.
Non posso darTi suggerimenti per raddrizzare una situazione che Tu stesso vedi essere disastrosa. Il luogo scelto non è tra i più sbagliati ma il più sbagliato in assoluto. Non c'è ovviamente passaggio a piedi; le auto ed i camion che passano non sono interessati. I clienti del supermercato sono persone anziane della zona che non frequentano bar...
Coinvolgere qualcuno in qualità di socio è impensabile perchè non hai nulla da mostrare se non una situazione debitoria. Non Ti suggerirei nemmeno di spendere danaro per promozionare l'attività perchè aumenteresTi il debito.
Non ho davvero altro da dirTi se non che penso ai Tuoi con molta pena.

mercoledì 22 settembre 2010

MARKETING E PUBBLICITA'

R.B. Milano


Egregi Signori,
in autunno entrerò, come primo lavoro, in un'agenzia pubblicitaria. Sono emozionato ma anche timoroso per ciò che mi aspetta perchè non ho la più pallida idea di ciò che andrò a fare o di ciò che mi verrà chiesto di fare. Tuttavia sto cercando, per non fare una pessima figura, di interessarmi il più possibile di campagne pubblicitarie guardandomi attorno, cercando di leggere cosa sta dietro a varie campagne. Mi sforzo di capire perchè sono state fatte in quel modo. In questo modo mi sembra di prepararmi meglio. Non sarà così ma è un tentativo.
Gradirei un vostro parere.


Mio caro R.B. di Milano,
gradiresTi un parere ma sinceramente non so su cosa. Forse se quello che stai facendo può essere utile o meno. Non scrivi altro e presumo che sia proprio su questo.
Non dicendomi in quale agenzia andrai non mi dai la possibilità di dirTi molto. Ben diverso è entrare in una grande agenzia o in una piccola. Comunque, essendo il Tuo primo lavoro ritengo che Tu debba innanzitutto assorbire, proprio assorbire, l'umore, gli odori, i rumori, i suoni, le sensazioni, le parole, insomma tutto di tutto.
Non pensare di entrare, ma probabilmente lo sai perchè lo scrivi, per metterTi a creare una nuova grande campagna. Non Te la affiderebbero, ovviamente, primo perchè sei nuovo e secondo perchè chi è dentro da tempo difende il proprio posto anche coi denti. Ti verrà chiesto di seguire gli altri e Tu fallo con molta e molta umiltà. Ascolta, ed incamera. Se l'agenzia è divisa in settori, farai training nei vari uffici. Potrai così avere un'infarinatura ed imparare il lavoro dei grafici, cinema, creativi, packaging, stampa.
Probabilmente seguirai un addetto al contatto con i clienti per capire anche come si raccolgono le richieste e come queste dovranno essere elaborate in agenzia per poi proporre l'idea al cliente e, sopratutto, venderla.
Ora distruggerò qualche Tuo sogno dicendoTi che, anche se magari i caffè verranno portati in sala riunione dalle segretarie e non da Te (ma non ci sarebbe alcun male se ciò avvenisse), probabilmente Ti verrà chiesto con la massima naturalezza di fare lavori di manovalanza da ufficio. Alcuni rimangono offesi da queste richieste; altri si sentono umiliati e se ne vanno. Ma, credimi, tutti hanno iniziato così ed i più grandi hanno trovato anche in queste mansioni poco importanti uno spunto per dimostrare a se stessi d'essere bravi. Molti, riandando ai tempi dei loro esordi, ricordano quei momenti come un periodo di esperienze che solo dopo anni si sono rilevate utili.
Segui quindi tutto e tutti. Fai domande, fissaTi in mente le risposte. Cerca di capire perchè le cose vengono fatte nei modi in cui son fatte. Potrai non essere d'accordo ma se non Ti viene chiesto un parere, non dirlo. Avrai modo successivamente di capire, da solo, se quanto pensavi Tu era giusto o meno.
Non so cos'altro dirTi. Forse le mie risposte non Ti bastano. Se così fosse, scrivi ancora e fammi domande più precise.
Ciao.

lunedì 13 settembre 2010

CONFUSIONI POST LAUREAM

Luigi (loc. dichiarata)



Buon giorno,
vi scrivo perché ho letto alcuni interventi sul vostro blog e sono rimasto piacevolmente colpito dalla franchezza e dalla schiettezza delle risposte per cui ho pensato di sottoporvi anche la mia problematica con la speranza che riusciate quanto meno a darmi uno scossone.
Ho 23 anni, mi sono laureato  in luglio in filosofia (3+2) e adesso sto cercando di porre le basi per cominciare a crearmi il mio posticino al sole. Il problema è che ho la sensazione di sparare a raffica a vuoto e di aver perso completamente la bussola. Mi spiego meglio, ho sempre avuto dei brillanti risultati sia a scuola sia all'università. Ho studiato per due semestri all'estero (in America e a Parigi), ho svolto due stage in azienda mentre studiavo, qualche attività di volontariato, quindi non posso dire di non essere soddisfatto di quello che ho combinato finora, né posso dire di essere rimasto con le mani in mano. Il problema è che non so dove indirizzarmi ora. Tutti mi dicono che sono una persona in gamba e che potrei riuscire in qualsiasi (con gli ovvi limiti) cosa volessi, ma io non ho la più pallida idea di ciò che voglio. Non mi mancano le opportunità, ma sono io a non capire che cosa riuscirebbe a gratificarmi in modo tale che potrei dedicarmi ad esso con tutto me stesso. Mi manca la motivazione. Ho scartato il dottorato perché (oltre a questioni di natura pratica) non ho la passione tale per intraprendere una strada che richiede dedizione e sacrifici per raggiungere un obiettivo a cui non aspiro. Sto inviando i curricula alle aziende che a volte si rivelano interessate però ho come la sensazione che non mi renderebbe felice perché io, in primis, sento di non essere adatto al meccanismo aziendale. Faccio richiesta per lavori dall'insegnante di italiano in Ecuador, al dialogatore per associazioni ambientalistiche, al commerciale esteri. Manco di prospettiva, non riesco a vedere che cosa vorrei diventare di conseguenza non riesco a capire quali strade imboccare per giungere alla meta e tutto mi sembra la cosa sbagliata. So di avere molte capacità (e anche molti limiti) e so anche che nel momento in cui credo in qualcosa non risparmio né forze né energie e sono disposto a lottare per ottenere ciò che voglio. È come se possedessi una Ferrari e la tenessi in garage perché non so dove andare. A quel punto sarebbe meglio avere una Cinquecento e dirigersi verso la destinazione desiderata, magari ci s'impiega più tempo, ma alla fine ci si arriva. Da un lato, non voglio continuare ad essere dispersivo, dall'altro non so dove convogliare le mie risorse. È come se fossi paralizzato. Mi viene detto di tentare di percorrere alcune delle strade che mi si sono offerte, mal che vada, mi si dice, si può sempre cambiare. Tuttavia io sento l'esigenza di prendere una rotta che, anche se è possibile che subisca variazioni  nel corso della vita, cominci ad essere abbastanza definita. Spero di essere riuscito a comunicare il mio stato d'animo (di profonda confusione).
Qualche consiglio?



Mio caro Luigi,
ho letto e riletto diverse volte il Suo scritto per vedere da che parte iniziare per aiutarLa poi ho capito che questa risposta sarà tutto un collage della Sua stessa lettera perchè, in questo modo, potremo analizzare assieme le piccole sfumature che, spesso, involontariamente scriviamo senza accorgercene e che possono aiutarci a comprendere cosa pensiamo o vogliamo.
Appare evidente, nello scritto, tutta la situazione di disagio e confusione che confessa. Va detto però che dichiara 23 anni e, santo cielo, almeno a questa età il diritto alla confusione è lecito. Sino ad ora Lei ha studiato. Il rapporto col mondo esterno allo studio è stato marginale e quando ci si presenta davanti al “vuoto decisionale post studio” si ha un bel dire che occorre essere decisi. Si deve iniziare una nuova vita, totalmente differente, che non ha agganci con le esperienze vissute e questo angoscia.
A 23 anni, mi creda, anche se ci si crede uomini, oggi si è ancora ragazzi sopratutto se vissuti studiando. A 23 anni si è uomini quando le vicissitudini di vita portano ad iniziare a lavorare a 18 anni o ancor prima. Quindi, iniziamo col dire che i Suoi dubbi e le Sue confusioni sono quanto meno lecite.
Tenga inoltre presente, per quanto leggerà, che Lei si è laureato a Luglio ed oggi siamo a Settembre. Con Agosto di mezzo, credo Lei abbia avuto ben poco tempo e spazio per darsi una seria guardata attorno. Tuttavia, iniziamo.
Scrive: “...con la speranza che riusciate quanto meno a darmi uno scossone.” e poi ancora: “... Il problema è che ho la sensazione di sparare a raffica a vuoto e di aver perso completamente la bussola.”
Fermiamoci qui. Io non potrò certamente darLe uno scossone perché lo scossone nasce da uno choc che Lei dovrebbe subire e non penso proprio che le mie parole bastino. Comunque se proprio vuole qualcosa su cui riflettere, gliela dico: la smetta di filosofeggiare e si dia da fare. Tutta la Sua lettera è filosofia; il che è anche ovvio e giusto essendo Lei filosofo; tuttavia, un conto è studiare filosofia ed un altro è usarla anche nelle situazioni in cui occorre essere più pragmatici.
Detto questo, veniamo al concetto dello sparare a vuoto ed alla conseguente sensazione d'aver perso la bussola. La mancanza d'esperienza, caro Luigi, fa proprio questo. Si pensa che basti sparare nel mucchio e qualcosa cadrà, e ci si convince di questo. Così, quando non accade e non cade nulla, arriva l'angoscia, prima strisciante e poco invadente, ma che col tempo attecchisce assumendo proporzioni che iniziano a dare fastidio perchè non ci molla più. Così, anziché concentrarsi su un obiettivo, se ne abbozzano tanti e si punta velocemente o per poco tempo su ognuno; tanto poco tempo da non permettere ad alcuno di questi di svilupparsi. Tutto rimane in embrione. Ed ecco il Suo perdere la bussola.
Dice di aver avuto sempre brillanti risultati nello studio; risultati che a volte creano illusioni. Accidenti, quanto bello sarebbe stato se avesse avuto risultati discreti ma sofferti. Le sarebbero stati di maggior aiuto. E' piuttosto la norma che chi ottiene meno a scuola ha quasi maggiori possibilità di “cavarsela meglio” nella vita. Non tanto in tema di cultura e preparazione personale quanto piuttosto nell'arte di arrangiarsi; di sopportare meglio le sconfitte ed i rifiuti; di sapersi rialzare e ricominciare, di tentare e ritentare. L'aver magari sofferto un po' durante la vita di studi permette quella scorza di resistenza ai problemi ed alle disavventure che rendono più forti. Sconfitte o disagi che Lei mi pare non abbia avuto.
Ed ancora: “...Tutti dicono che sono una persona in gamba e che potrei riuscire in qualsiasi (con gli ovvi limiti) cosa volessi, ma io non ho la più pallida idea di ciò che voglio. “.
Lei vede che io riscrivo frasi del Suo scritto per farLe notare come, in ognuna, vi siano punti su cui soffermarci per aiutarLa a capire.
Luigi, Lei è una persona in gamba ma che significa “non ho la più pallida idea....?
Iniziamo a dire che forse sarebbe meglio se Lei si abituasse a pensare: “sono una persona in gamba ma non ho ancora un'idea precisa su quale strada incamminarmi.” Pensare di non avere la più pallida idea di ciò che si vuole, significa mandare messaggi negativi al cervello, e con messaggi negativi non potrà avere risposte positive. Se il Suo cervello potesse risponderLe Le direbbe: “Senti un po'. Ma se non sai Tu dove vuoi andare, come cavolo pensi che possa aiutarTi io? Pensaci un po', dammi almeno qualche opzione di preferenza e magari Ti aiuterò.....”
Proseguiamo con l'analisi dello scritto. Scrive: “...Non mi mancano le opportunità, ma sono io a non capire che cosa riuscirebbe a gratificarmi in modo tale che potrei dedicarmi ad esso con tutto me stesso. Mi manca la motivazione. “ Qui ci fermiamo ancora un po'. Dunque, per la prima volta dice che non Le mancano le opportunità ma Lei non riesce a capire cosa riuscirebbe a gratificarLa. Ricorda la storiella dell'asino che messo in mezzo a due balle di fieno, per non sapersi decidere verso quale indirizzarsi per mangiare, è morto di fame? Può aiutarLa questo ha capire meglio la Sua situazione?
Posso essere cattivo? Ma è proprio sicuro di averne comunque voglia di indirizzarsi verso qualcosa? In altri termini? E' sicuro di aver voglia di impegnarsi in un lavoro in questo tempo della Sua vita? La prego, non la prenda come una critica ma come pungolo.
Le scrivo questo perchè, davanti ad opportunità che dice di avere, l'indecisione sulla strada da prendere, coperta dalla giustificazione della gratificazione, fa sorgere molti dubbi. In altri termini, Lei sta dicendo:
“ Come faccio ad iniziare un lavoro se non so se mai riuscirà a gratificarmi tanto da dedicarmici con tutto me stesso? E se poi non fosse questo quello giusto? E se magari la gratificazione per dare tutto di me era nell'altra opportunità che ho scartato? “
Parrà evidente anche a Lei che prima di una mancanza di motivazione qui c'è forse una volontà a non avere motivazione.
Nessuno può sapere, prima di iniziare un lavoro, se questi gli darà soddisfazioni o dolori. Lo si inizia e si cerca di farlo al meglio. Se poi il tempo dirà che non siamo adatti o esso non è adatto a noi, ci si separerà. Ma la disquisizione sulla soddisfazione (molto filosofica) che potrebbe darci un lavoro è implicitamente una riserva che ci diamo per non iniziare. E se poi si dovesse trovare un'occasione migliore? No, meglio non iniziare.
Scrive: “...mi manca la motivazione....”
Allora, iniziamo a chiederci cos'è un motivo e cosa una motivazione.
Il motivo è quella guida interiore, o diciamo quel bisogno, quell'impulso che stimola all'azione. La motivazione, invece, è lo sforzo che dobbiamo esercitare per soddisfare tale impulso. Questo sforzo deve essere giustificato dal valore che attribuiamo al motivo.
Poiché si parla di lavoro e di motivazione o meno legata a questo ambito posso dirLe che l'unico elemento soddisfattivo a lungo termine, nel lavoro, è proprio il lavoro stesso. Questo è il motivatore principale.
Non Le manca quindi la motivazione, come scrive, ma il motivo.
Così, il non iniziare un lavoro solo perchè non si sa se sarà motivante o no...è piuttosto un'argomentazione o una scusa fragile.
Ancora scrive: “...Faccio richiesta per lavori dall'insegnante di italiano in Ecuador, al dialogatore per associazioni ambientalistiche, al commerciale esteri. Manco di prospettiva, non riesco a vedere che cosa vorrei diventare di conseguenza non riesco a capire quali strade imboccare per giungere alla meta e tutto mi sembra la cosa sbagliata.”
Troppa evidente confusione. Davvero sta lanciando frecce a casaccio. Andare in Ecuador per insegnare l'italiano è quasi una missione. Il dialogatore per associazioni ambientalistiche, ci vuole creatività anche solo a pensarlo; inserirsi al commerciale estero in un'azienda c'entra come i cavoli a merenda con le altre ipotetiche scelte.
E' ovvio che così facendo manderà in tilt il Suo cervello che non capirà più come aiutarLa. Riscrive ancora di non vedere cosa vorrebbe diventare ed è quindi ovvio che se non sa cosa vorrebbe diventare non potrà mai intraprendere quella strada.
Forse, anziché inviare curricula a destra e manca (cosa per altro negativa) perchè non si ferma a riflettere per decidere, o quanto meno per limitare la scelta delle strade da intraprendere a non più di due o tre? Solo successivamente, una volta deciso cosa vorrà fare o cosa Le piacerebbe divenire, potrà dedicare i Suoi sforzi verso quelle strade.
“Non riesco a capire quali strade imboccare per giungere alla meta”. Ma come può, Luigi, arrivare alla meta se non sa qual'è?
Proseguiamo: “...e so anche che nel momento in cui credo in qualcosa non risparmio né forze né energie e sono disposto a lottare per ottenere ciò che voglio.”
C'è sempre, in ciò che dice, un'enunciazione di volontà, ma sempre rivolta al poi, al dopo. “Nel momento in cui.... Quando sarà....io farò....” Riesco a farmi comprendere?
Ancora scrive: “...È come se possedessi una Ferrari e la tenessi in garage perché non so dove andare. A quel punto sarebbe meglio avere una Cinquecento e dirigersi verso la destinazione desiderata, magari ci s'impiega più tempo, ma alla fine ci si arriva.”
Considerarsi una Ferrari in questo caso significa avere molta autostima e non è negativo se però si accetta di doverla guidare anche come una cinquecento. Riesco a farmi comprendere? C'è sempre qualcosa nello scritto, che lascia dubbi. In questo caso è “sarebbe meglio avere....”. Il condizionale porta nuovamente ad allontanare la presa di decisione. “Se avessi....potrei fare....Dato però che mi sembra d'essere un Ferrari, non posso fare come se fossi una cinquecento”. Ma anche una Ferrari può andare verso una metà; basta sapere quale meta si vuol raggiungere!
La Sua lettera termina con un accorato appello:
“... È come se fossi paralizzato. Mi viene detto di tentare di percorrere alcune delle strade che mi si sono offerte, mal che vada, mi si dice, si può sempre cambiare. Tuttavia io sento l'esigenza di prendere una rotta che, anche se è possibile che subisca variazioni  nel corso della vita, cominci ad essere abbastanza definita. Spero di essere riuscito a comunicare il mio stato d'animo (di profonda confusione). “
Ed ancora una volta torniamo sullo stesso tema. Paralizzato davanti ad una possibile decisione.
Vede, Luigi, chi Le ha suggerito di tentare di percorrere una strada tra alcune offerte, Le ha detto qualcosa di buon senso; di pratico. (Un familiare? Forse). L'indecisione è peggio di una scelta sbagliata. Non si può non far nulla per non sbagliare. Meglio iniziare e, strada facendo, correggere eventuali errori.
Ma so che sarà difficile convincerla in tal senso perchè proprio a fine lettera torna sul fatto che, davanti ad una reale possibilità d'inizio di un lavoro...preferisce aspettare per prendere la rotta che possa essere, in qualche modo, definitiva.
Bene, sin qui la Sua lettera.
Ora vediamo cosa suggerirLe ipotizzando di non saper nulla di quanto ha scritto.
Lei ha 23 anni, ha finito gli studi, deve trovare un lavoro e non sa che fare.
Vi sono di norma tre possibilità per chi non sa quale strada intraprendere. La prima, ovviamente, è legata a quanto studiato. Nel Suo caso Filosofia. Il Filosofo, di per sé, proprio per gli studi effettuati non sempre è aperto a tutti i possibili lavori. Potrebbe trovare problemi nell'ambito commerciale in cui occorre una rapidità di scelte, di decisioni e di stile di vita che forse sono poco adatte ad uno riflessivo.
Quindi, una possibilità è di indirizzarsi espressamente verso ciò che gravita nell'ambito degli studi fatti.
La seconda possibilità, che suggerisco di analizzare quando vi sono dubbi, è di rivolgersi all'ambito degli interessi personali ovvero, al mondo degli hobby.
Banale il motivo. Se io ho un hobby, significa che quella cosa o quel mondo mi interessa e quindi, se non ho capacità di valutare altre scelte, probabilmente se andrò ad agire nel mondo dell'hobby che mi piace, inizierò già mettendo, nel lavoro, almeno la passione personale che mi sarà da stimolo.
Anche a Le, quindi, suggerisco queste due linee. Forse l'insegnamento (non c'è bisogno di andare in Ecuador) o la libera professione nell'ambito del giornalismo; oppure, se Lei ha un hobby, capire se non sia possibile intraprendere una strada in questo settore. Gli studi fatti, probabilmente non serviranno a niente se non come preparazione culturale, ma almeno inizierà qualcosa in cui ha già qualche interesse.
Ed ora, stravolgiamo tutto con la terza possibilità. Ci vuol poco a rendersi conto che Lei davvero sta vivendo uno stato di profonda confusione; un caos interiore che la blocca. Sempre ammettendo che non sia una scusa interiore per allontanare il momento di rottura da uno stato senza responsabilità come quello di studente laureato ventitreenne a quello di un adulto che deve assumersi responsabilità (ma per questo dovrebbe incontrare personalmente uno psicologo) Le suggerirei di provare a buttare a mare tutti i dubbi, le paure, le strade definitive e quant'altro, e di iniziare il primo lavoro che trova. Non importa quale, non importa la posizione, quanto guadagna ne le ore impegnate.
In questi casi mi vien sempre, per esempio, in mente McDonald's, un inizio magari duro che secondo me forgia come pochi altri.
Si stancherà, si romperà le ossa, ma inizierà a capire solo in questo modo cos'è il mondo del lavoro. Cominci a fare i primi passi e strada facendo, vedrà che riuscirà a fare tutte le riflessioni e le scelte.
Quello che è certo, Luigi, è che prima deve guardarsi dentro e dire a se stesso se ciò che ha scritto è vero o se, di fondo, non vi sia una velata volontà a trovare confusione perchè il rimanerci dentro fa slittare il momento della verità sulla voglia o meno.
Se fosse vero quanto scritto e se non trova la volontà di buttarsi a corpo morto nella prima esperienza che le si dovesse presentare e se sentisse di rimaner bloccato davanti alla decisione, cerchi un dialogo con uno psicologo a Lei vicino per trovare lo sblocco.

Io ho sempre suggerito, sino alla noia, che per riuscire in qualcosa occorre darsi ed avere un obiettivo. Qualcosa a cui si tiene. Ad esempio, una particolare posizione nell'ambito di un determinato lavoro o il raggiungimento di sogni se si lavora in proprio. Eppoi, darsi da fare per raggiungerlo.
Non ho letto, nella Sua lettera, l'obiettivo che vuole raggiungere nella vita. Forse, se se lo dà, avrà più chiara la strada da percorrere.
Davvero tanti cari auguri.