Ricerca personalizzata

giovedì 30 luglio 2009

SILENZIO

Rolly M. Bologna

Ho partecipato ad un seminario formativo e durante la giornata, tra le molte cose dette il relatore ha accennato alla forza che può avere il silenzio nel parlare. Non so spiegarmi meglio perchè a dire il vero è stato solo un accenno e non capisco nemmeno perchè sia stato fatto visto che poi non è stato spiegato. Cosa voleva dire? E' possibile avere da voi qualche maggiore informazione? E' utile sul lavoro?
Ringrazio per la risposta che vorrete darmi.

Caro Rolly,
hai partecipato ad una giornata che doveva essere formativa e che, come sempre accade, serve a poco perchè si pretende di far stare in poche ore di incontro tutte le tematiche della comunicazione. Il relatore, ammesso che valesse in ciò che svolgeva, ha quindi accennato a qualcosa senza approfondire. Stop. La coscienza è a posto. Tiriamo avanti.
Così Tu, per saperne di più devi cercare altrove.
Devi sapere che il silenzio è un'atavica paura dell'uomo. L'uomo non è fatto per vivere nel silenzio tant'è che chi tace in realtà parla continuamente dentro di sé, da solo. Il silenzio porta all'angoscia. Così, spesso, pur di non tacere, l'uomo apre la bocca e dice cose che non dovrebbe o non vorrebbe, commettendo errori.
Il silenzio è una parte essenziale delle nostre relazioni con gli altri. Troppi però lo vedono come un “vuoto” nella comunicazione. Se ci si trova in un momento in cui nasce il silenzio è meglio non romperlo. Così come se ci si trova per lavoro con un interlocutore ed avviene una fase di silenzio, è meglio lasciare che sia l'altro a riprendere a parlare.
In una fase di trattativa, ad esempio, dopo aver presentato quanto si deve, fermarsi un attimo in silenzio, può portare l'altra parte ad intervenire ed in questo caso, molto spesso, l'intervento “riempitivo” porta con sé informazioni che magari non sarebbero venute fuori ma che escono solo perchè chi le dice si è sentito improvvisamente preso dalla necessità di riempire un silenzio.
Stare in silenzio poi, se ci pensi, può anche voler significare per chi ascolta, una nostra volontà a dare spazio, un'apertura verso l'altro; un gesto di pazienza.
Si, si può usare molto bene il silenzio a vantaggio.
Oggi Ti accenno ad un paio di situazioni in cui è utile sfruttarlo. Poi, se riterrai approfondire, riscrivimi e Ti dirò qualcos'altro.
La forma di silenzio più usata è quella di disapprovazione. Lo facciamo tutti, sin da bambini. Davanti a qualcosa che non ci va, taciamo, non rispondiamo alle sollecitazioni e dimostriamo a chi eventualmente ci interroga che non siamo d'accordo con lui e con quello che dice.
Nell'ambito di un dialogo a due, il silenzio come disapprovazione lo si vede scritto anche in volto. La persona che tace abbassa le sopracciglia, scuote la testa, stringe le labbra. Insomma, fa tutti quei gesti, magari appena accennati, che comunque dimostrano la sua volontà a star zitto. Silenzio!
In questo caso è molto facile cadere nel tranello. Se l'altro tace, noi iniziamo a parlare. E parlando possiamo scoprirci. Meglio tacere ed aspettare. Fosse anche per un minuto (che è lungo) o più. Alla fine, chi ha usato il silenzio come disapprovazione su qualcosa di cui si discuteva, tornerà ad aprirsi spiegando magari il proprio stato d'animo o i motivi del disaccordo.
Il silenzio può poi essere usato abilmente come atto di provocazione. Quante volte abbiamo visto anche in TV intervistatori che dopo una domanda lasciata a metà, non terminano per inserire un periodo di silenzio, guardando in faccia, l'intervistato? E' una provocazione che quasi sempre va a segno. L'altra persona si sente quasi in dovere di riempire quel silenzio che si viene a creare pensando che, non facendolo, potrebbe dare l'immagine di trovarsi in difficoltà. Così si mette a parlare e spesso commette errori.
Ma questa tecnica è molto usati anche da avvocati o oratori ed ha sempre lo scopo di spingere gli altri a commettere errori che nascono dalla foga di rispondere pur di riempire quel maledetto silenzio. Se il silenzio dell'intervistatore è seguito come sempre accade da uno sguardo pieno di ironia, la reazione viene alle labbra istintivamente e con irruenza.
Insomma, stare zitti può essere un'arma molto potente per chi decide di usare il silenzio. Vuoi imparare lentamente questa tecnica?
Inizia nel gruppo di amici per capire come fare e poi, lentamente, portala nel mondo del lavoro, ammesso che Ti serva.
La prossima volta che parli con un amico o quando incontri una persona che non vedi da tempo, salutala, chiedile come sta e poi guardala in viso senza più dire nulla. Lei risponderà e quando vedrà che Tu la guardi e non prosegui a parlare, dopo un po' di silenzio riprenderà lei con una qualsiasi domanda o argomentazione che tirerà fuori pur di riempire quel momento di vuoto e di silenzio.
Tanto più una persona tace, tanto maggiore sarà la possibilità che l'altra continui a parlare dicendo anche cose che nulla c'entrano ma che tira fuori pur di non tacere.
Ammettiamo che in una riunione di lavoro, riuniti attorno ad un tavolo vi siano il capo e alcuni collaboratori. Solitamente tutti tacciono perchè il capo parla e quando costui pone una domanda in generale, i collaboratori si guardano in faccia come per domandarsi “chi risponde?”. Poi qualcuno interviene senz'altro anche se la domanda non è pertinente con i suoi compiti. E se il capo prosegue a tacere (tecnica usata per far venir fuori tutto quanto c'è nei collaboratori) costoro continueranno a parlare, di cose magari che nulla c'entrano con l'argomento, perchè c'è qualcosa che fa loro paura: il silenzio ed il vuoto che questo crea.
Ciao

domenica 26 luglio 2009

SBAGLIARE SEMPRE 2

Ferruccio Firenze
Grazie per la risposta che non pensavo arrivasse. Credevo che fosse tutto finto invece devo ammettere che è vero e che quindi ho sbagliato ancora una volta. Vede come è facile per me sbagliare?
Comunque la ringrazio per avermi dato quella che per lei è una regola da seguire. Ho riflettuto molto e cercherò di metterla in atto. E' difficile per me perchè probabilmente le difficoltà me le vado a cercare anche dove non ci sono ma tenterò. Per fare questo ho stampato la sua risposta e ne ho messo una copia in un quadretto (non rida) che tengo sulla scrivania ed un'altra nel portafoglio.
Poiché lei ha detto che se avessi voluto potevo scrivere ancora, da buon fiorentino ne approfitto per saperne ancora di più. Cosa può dirmi d'altro? La ringrazio.

Caro Ferruccio,
uomo di poca fede. Hai effettivamente sbagliato ancora nel dubitare delle risposte. Sono vere, eccome. Evidentemente sei proprio portato a sparare valutazioni veloci e questo è il metodo migliore per sbagliare spesso. Un buon metodo per cercare di migliorare può essere quello di fermarTi davanti ad un giudizio o ad una scelta e prendere tempo. Solitamente si dice che una decisione, quando va presa occorre prenderla senza tergiversare e perdere tempo. Poi, strada facendo si vedrà se è stata giusta o meno e se non lo fosse si cercherà di aggiustare il tiro. Nel Tuo caso invece suggerirei di fare l'opposto. Pare anormale ma è una tecnica valida quanto l'altra, sopratutto nei casi come il Tuo.
Quindi: quando devi decidere o scegliere qualcosa, aspetta. Prendi tempo. Certo, non all'infinito. Devi solo darTi il tempo di riflettere analizzando il problema con calma. Puoi benissimo uscire, sederTi su una panchina e guardare davanti a Te. Non a vuoto, non a destra o sinistra e non controllando ciò che fanno gli altri. Guarda davanti a Te, lontano, e rifletti concentrandoTi sulla scelta che devi fare o sulla decisione da prendere. Il Tuo occhio probabilmente, abituato a vedere subito ciò che Ti sta davanti e vicino, imparerà a guardare lontano ed a percepire più cose di quanto non hai fatto sino ad ora. In pratica, lentamente imparerai ad avere una visione più ampia di ciò che Ti circonda, senza peraltro accorgerTene.
Hai fato bene a stampare la risposta ed a metterla in luoghi dove puoi averla sottomano e sotto lo sguardo. Guardala spesso.
Ed ora veniamo ad un'altra regola per sbagliare meno. Non è mia ma ne ho sempre fatto tesoro perchè è piena di buonsenso. Possiamo metterla in questo modo: “se ci sembra che non succeda niente di nuovo vuol dire che è già successo e noi non ce ne siamo accorti.”
Ciò che ci circonda cambia continuamente. Ogni giorno avvengono scoperte fantastiche; innovazioni incredibili, passi da gigante in qualunque disciplina. Se noi, nel nostro piccolo mondo, non vediamo questi cambiamenti per quanto realmente sono e valgono, vuol dire che non siamo attenti; che viviamo in una realtà a lato o che viviamo chiusi nelle nostre convinzioni. Quando riteniamo che ormai tutto sia fatto e tutto sia stato scoperto siamo sulla buona strada per sbagliare ancora. Pensare invece che ogni giorno porterà novità di cui noi potremo approfittare per lavorare e vivere meglio, ci pone nella condizione di essere predisposti a non dare giudizi aprioristici. Proviamo a pensare che ogni valutazione indiscutibile che esca oggi dalla nostra bocca potrebbe essere totalmente rigettata già domani stesso.
Perciò, se vogliamo sbagliare meno, apriamo la mente a tutte le possibili varianti. Avremo così modo, prima di dare un giudizio secco o di fare una scelta avventata, di valutare meglio.
In gamba!

martedì 21 luglio 2009

MOBBING

lettera non firmata

Buongiorno. Ho scoperto per caso il vostro sito e non so neppure se questa mia storia può essere catalogata nelle vostre pubblicazioni. Sembrerà comunque una storia come altre ma ogni esperienza purtroppo per chi la subisce merita attenzione, ma soprattutto per le persone che hanno provato questa esperienza serve anche sapere che, purtroppo oggi come oggi è quasi l'ordine del giorno, alle persone viene negato un diritto umano. Diventi mamma e non servi più.
La cosa più bella che una donna possa desiderare è diventare MAMMA.Dopo tanti anni ho realizzato il mio sogno è nata un angelo, veramente è una angelo di bambina.Tutto questo ti ricopre di gioia poi un bel giorno devi fare i conti con l’invidia, la gelosia e soprattutto con la cattiveria umana.Diventi mamma e perdi il Lavoro.Perdere il lavoro ai tempi d’oggi è una cosa molto tragica ma la cosa ancora più allucinante è che lo perdi non per mancanza di lavoro, per fallimento aziendale ecc ma perché ti fanno MOBBING.Oggi se ne parla tanto ma fondamentalmente nessuno lo conosce bene o, mi spiego meglio nessuno è in grado di aiutarti.Leggo tutti i giorni che esistono centri, sindacati, associazioni ma alla fine sei sempre sola con te stessa, se poi aggiungiamo che per sfortuna sei anche economicamente in difficoltà sei proprio allo sbaraglio!!! La devastazione arriva quando meno te lo aspetti ma non ci credi finché non la provi. Te lo fanno trovare su un piatto d’argento: è il mobbing, peggio che avere un cancro perché l’informazione ci documenta che da esso ti puoi anche salvare, il mobbing ti conquista e non ti lascia maiQuel lavoro era tutta la mia vita. Ho dedicato anni per essere sempre più corretta, leale ma alla fine mi sono trovata sola… ho abbandonato il posto di lavoro dopo 10 anni di servizio, mi sono e mi hanno umiliata, ho pianto, ho pregato e alla fine mi sono ammalata.Quando leggo esperienze come le mie mi sento impotente perché vorrei aiutare tutti ma purtroppo non riesco a fare nulla, come del resto ho fatto con la mia persona, non sono stata brava mi sono dovuta arrendere e dopo 5 anni stò ancora pagando le conseguenze. Dove ho sbagliato!!!!!!.Una mattina come le altre, vai in ufficio sembra tutto ok ma invece inizia l’incubo.All’inizio non riesci tanto a comprende cosa stia succedendo anche perché ti colpiscono quando stai vivendo una momento della tua vita abbastanza impegnato, a me è successo in un periodo meraviglioso.Poi i giorni, i mesi passano e ti rendi conto che qualcuno ti sta guardano, parlano in modo diverso, allora ti fermi, fai un esame di coscienza e ti chiedi cosa sta succedendo? devo dire che, per la mia esperienza personale, ancora oggi dopo 5 anni mi chiedo ancora dove ho sbagliato, dove potevo tamponare, dove non sono riuscita a capire e soprattutto PERCHÉ non ho capito cosa mi stava facendo quella DONNA prima di ammalarmi e dimettermi.Mi ha rovinato la vita ma quello che mi fa più soffrire è che oltre alla mia di conseguenza ha rovinato quella di mio marito, che devo dire è sempre stato al mio fianco senza parlare ma c’era e c’è tutt’ora, ma del mio piccolo angelo che chiedeva solo una mamma che sorridesse come prima e di non vederla sempre triste chiedendomi persino se la colpa fosse sua.Devo dire che se non avessi avuto lei in certi momenti ma no non lo voglio ricordare.Ho tanto pianto, mi sono fatte tante domande ma non ho risolto nulla.L’unica cosa che volevo e che ho fatto, nella speranza che paghi per la sofferenza che mi ha REGALATO, ho intrapreso una causa di lavoro. Mi guardo allo specchio e mi vedo invecchiata di 20 anni però mi dico che devo essere forte, se non per me per il mio angelo che ha tanto bisogno di una mamma serena e mi auguro e voglio credere che i Giudici che esamineranno la mia causa non siano solo bravi legislatori ma siano anche persone umane. Vorrei augurare a tutti quelli come me di poter riprendere a vivere
UNA MAMMA

Gentile Signora,
ho letto più volte la Sua lettera perchè, spesso, anche se non vogliamo, nei nostri scritti e soprattutto tra le righe dei nostri scritti è possibile comprendere molto di noi.
E' assolutamente chiaro che in Lei v'era un desiderio di maternità che sicuramente, in un certo periodo ha prevalso su ogni altra situazione. Ogni riga della Sua lettera è impostata e tende a soffermarsi sulla maternità. Maternità per anni desiderata; maternità all'apice dei sogni; maternità come coronamento femminile.
Quando si è così presi da un desiderio tanto forte, spesso si può anche non comprendere ciò che accade attorno a noi; si può, anche involontariamente, perdere forza in altre situazioni; si può non rendere più nel lavoro perchè la mente è occupata altrove e non riesce ad essere obiettiva.
Tanto più vi è difficoltà a divenire mamma, tanto più la mente si focalizza (sino a conseguenze che non è il caso di approfondire qui) su questo obiettivo, tralasciando o vedendo sotto un'altra luce gli altri impegni.
Il desiderio di maternità può divenire un'ossessione e davanti ad un'ossessione c'è ben poco che tenga e ben poco che stia, nella nostra mente, alla pari.
Si può arrivare a non vedere chiaramente le cose che ci circondano,con mente lucida, tant'è che poi forse a ragione ma forse anche a torto, si arriva a dare la colpa di ciò che non va a quello che ci circonda. Così, in ufficio, le persone alla nostra mente diventano ed appaiono improvvisamente invidiose, gelose e cattive. Perchè? Perchè improvvisamente dovrebbero divenire tutte nemiche? Non sarà forse stato che la Sua mente le ha viste così? Invidiose del Suo stato d'attesa? Gelose della Sua maternità? Cattive? E perchè mai? Solitamente la maternità porta a situazioni di tenerezza e coinvolgimento maggiore. Può darsi però che, come Le ho detto, quel Suo stato l'abbia portata all'estrema idealizzazione della maternità, tale da mettere in secondo piano tutto il resto.
Forse questo è stato notato dalle colleghe e dal Capo. Forse hanno visto in Lei una collega che non aveva più sul lavoro l'atteggiamento necessario. Forse.
Quel lavoro, scrive, era tutta la Sua vita. Ma poi, ha probabilmente travaso tutta la Sua vita sulla figlia.
Andava in ufficio e notava un atteggiamento strano. Leggendo la Sua lettera comprendo però poco sui motivi per cui ciò è successo e neppure comprendo se tutto ciò sia accaduto per colpa (mi pare) di una “donna”. E' solo chiaro un particolare del Suo modo d'agire. Lei ha visto le cose che non andavano e si domandava perchè? Si ammalava e si chiedeva “dove ho sbagliato?” Si è fatta tante domande ma non ha trovato risposte.
Solo che è inutile fare domande a se stessi. Le domande vanno fatte agli altri per avere risposte e per comprendere ciò che è successo. Lei, se mi permette, era in quei giorni che doveva chiarire con chi di dovere ciò che stava accadendo e non passare il tempo a piangersi addosso. Agire così non aiuta e non ha mai aiutato nessuno, tant'è che dopo 5 anni (credo di capire) sta ancora domandandosi il perchè.
Già il fatto che dopo un periodo così lungo di tempo Lei porti ancora dentro una visione che solitamente si prova a distanza di pochi giorni o settimane, significa una forte emotività non perfettamente gestita e forse, un astio, che dovrebbe essere ormai caduto “in prescrizione” per poter proseguire a vivere bene la Sua vita.
Ogni essere umano ha alti e bassi nella salute, nei rapporti, nella vita lavorativa. Di ogni cosa, prima o poi se ne fa una ragione, alza le spalle, fa un bel respiro profondo e tira avanti. La vita prosegue. Se ognuno stesse a piangersi addosso per qualcosa che è andato come non doveva, il mondo sarebbe un disastro.
Lei purtroppo, no. La Sua lettera ed il Suo modo dì esprimersi, dimostra che è ancora fortemente presente un dolore che non dovrebbe più esserci ed addirittura un dolore in cui ha coinvolto il marito e, quasi, la figlia.
C'è qualcos'altro che Lei non dice o che forse non sa e che avrebbe potuto sapere all'ora, se ne avesse parlato con il Capo.
Nel Suo scritto, ho cercato di trovare qualcosa che mi indicasse cos'era accaduto ma non sono riuscito a trovarlo. Credo sempre che in ogni nostra diatriba con altri, prima di dire che noi siamo vittime, dovremmo pensare sempre che quando puntiamo un dito contro gli altri, ne abbiamo tre puntati contro noi.
Questo per dirLe che i torti e le ragioni possono essere da entrambe le parti e solo dialogando si comprendono.
E se, a quei tempi, Lei avesse compreso che la “foga” della maternità Le aveva fatto perdere di vista il lavoro? Forse parlando lo avrebbe saputo ed avrebbe anche potuto gestire meglio la cosa. Ma ha preferito farsi domande senza potersi dare risposte; ha preferito non interrogare chi poteva rispondere; si è chiusa in se stessa sino ad ammalarsi per continuare in tutti questi anni a pensare che il mondo ce l'ha con Lei.
Ha pianto tanto ma piangere non serve. Dice che Le hanno distrutto la Sua vita e quella di Suo marito.
Brutti pensieri, se permette. Pensieri che portati dentro per tanto tempo possono arrivare a brutte soluzioni.
Sul mobbing, se Lei ha letto qualcosa in archivio, avrà visto che io non sono sempre così disponibile a comprendere il mobbizzato perchè spesso la situazione di mobbing si incancrenisce anche per volere della vittima che, anziché comprendere ciò che accade, i motivi che portano ad essere mobbizzati e le conseguenti rapide azioni da intraprendere, si blocca e si chiude in se stesso vedendo mobbing, a volte, anche dove non c'è. Chi si sente mobbizzato tende a vedere lo stato di cose come una situazione in cui lui deve pagare per chissà quale mancanza di altri. Si vede isolato, frustrato, colpevolizzato, ridicolizzato, messo in un angolo e quindi estraniato dal gruppo. Ed è questa la cosa che maggiormente fa male. Non tanto la perdita del lavoro in sé quanto il sentirsi isolato ed abbandonato dal gruppo che invece prosegue la propria strada.
Ora è in causa. Ed ancora scrive che l'unica soddisfazione che potrà avere è far pagare la sofferenza avuta (che poi forse dovrà consegnare al Suo avvocato). Dopo cinque anni ancora questi pensieri? Spera che il giudice sia buon gestore ma sopratutto “persona umana”.
I giudici devono giudicare secondo le leggi. L'umanità non può essere tirata in ballo. Anche perchè, solitamente entrambe le parti pensano d'aver ragione e quindi vorrebbero che i giudici la pensassero come loro. Ma alla fine, una parte perde necessariamente la causa pensando sempre d'averla persa ma d'essere comunque stato dalla parte della ragione.
Esca da uno stato mentale che non può portarle che male, perchè anche se dovesse vincere ( e vincerà perchè le cause del lavoro sono quasi totalmente vinte in partenza dai lavoratori e non dalle aziende) Lei proseguirà nel tempo a portare avanti quello che forse è divenuta una fissazione.
Anche vincendo troverà modo di rivangare il passato, di incolpare gli altri per i problemi ed i Suoi insuccessi. Ne esca. La smetta. Glielo chiedo anche duramente. Lo faccia. Mandi al diavolo tutti e tutto il Suo passato. Pensi che il mondo è andato avanti in questi cinque anni; solo Lei è rimasta ferma. Inizi a riprendersi il tempo perduto, galoppi verso il futuro; guardi in faccia Sua figlia con occhi diversi. Si apra mentalmente a nuove possibilità. Cerchi soluzioni, non ossessioni da coltivare.
Le difficoltà devono servire a renderci più forti, non a mantenerci “lagnosi”.
Lei è madre, come tante. Non so la Sua età ma se può, si cerchi un'occupazione a tempo pieno o part time. Torni a dimostrare a se stessa ad ai Suoi cari che Lei è ancora valida, attiva, capace. Solo così potrà tornare a vedersi “vincente” ai Suoi occhi.
Qualunque piccola occupazione Le sarà utile. Se dovesse trovare intoppi mentali per non agire come Le ho detto, dimostrerà che quel famoso mobbing era colpa Sua. Se tornerà a vivere ed a lavorare, dimostrerà a se stessa che aveva ragione Lei.
Che facciamo?

domenica 19 luglio 2009

CHIUDERE L'ORDINE

Federico N. Ascoli P,

Egregio Dottore,
ho da poco iniziato a fare il venditore. Mi trovo bene e, anche se non lo pensavo, ritengo possa essere la strada che percorrerò nella mia vita. L'azienda per cui lavoro è corretta, ha buoni prodotti e tutto sommato paga bene. Qual è allora il motivo per cui scrivo? Presto detto. Nella vendita, arrivo ad un certo punto, alla fine, che non so se è ora di chiudere tutto o di proseguire a parlare. A volte vorrei passare all'ordine ed a volte penso che sia meglio proseguire ancora dicendo altre cose al cliente. Come faccio a saperlo? E c'è una ipotetica scaletta delle cose da fare?
Grazie

Caro Federico,
c'è una scaletta delle cose da fare e di questa ne ho parlato diverse volte (le troverai in archivio). Quello che piuttosto voglio dirTi oggi, relativamente alla chiusura della vendita è legato ad una serie di punti e considerazioni che di volta in volta il venditore deve saper valutare.
Tieni presente Federico che Tu porterai il cliente ad acquistare se avrai avuto con lui un buon o ottimo rapporto sia in quella specifica visita che prima e nel proseguo del tempo e delle visite.
Lo porterai ad acquistare se sarai riuscito o quando riuscirai a capire la persona , il suo modo di fare, di ragionare, di esprimersi. Lo porterai ad acquistare se avrai o comprenderai i suoi problemi, le esigenze e le aspettative. Problemi che deve risolvere, esigenze d'acquisto e aspettative del prodotto.
Lo porterai ad acquistare quando, dopo aver compreso tutto quanto sopra detto, gli suggerirai le giuste soluzioni. Non offrire e non spingere mai un prodotto se ritieni che non sia adatto a quel cliente, alla sua clientela od alla zona. Un prodotto venduto per forza ed acquistato quasi per insistenza e che alla fine dovesse rimanere invenduto sarà come un cattivo biglietto da visita per tutte le visite successive. Come arriverai da lui, si ricorderà immediatamente del bidone avuto quando si è sentito forzato ad acquistare ciò che non è riuscito a vendere e sarà già al 50% disposto a non proseguire.
Lo porterai ad acquistare quando avrai ben argomentato nella fase di presentazione dei prodotti. Spiegare bene un prodotto, far capire cos'è; a cosa serve; l'utilità che ne trarranno i suoi clienti che dovessero acquistarlo, significa dare argomentazioni che anche lui può usare. E se lui saprà spiegare bene un prodotto, lo venderà meglio.
Infine, riuscirai a vendere bene quando sarai riuscito a rispondere a tutte le obiezioni che, come spesso dico, non sono barriere che il cliente dice per non acquistare ma piuttosto dubbi che il cliente vuole gli siano chiariti proprio per acquistare.
Quando avrai fatto tutte queste cose e riterrai d'averle superate bene, è il momento di chiudere la trattativa. RicordaTi che molti ordini vengono “non fatti” solo perchè il venditore, anzichè capire quando era ora di chiudere, per timore proprio della chiusura (timore di sentirsi dire di no) continua imperterrito a parlare nella speranza che sia il cliente a dire: “stop. Acquisto” Difficile che accada. E' il venditore che deve arrivare alla percezione che è il momento di finire.
Ciao

martedì 14 luglio 2009

SBAGLIARE SEMPRE

Ferruccio B. Firenze

Sbaglio sempre. Qualunque cosa faccia, sbaglio. Non so perchè ma è ormai certo. Mi pare di essere quel famoso personaggio pessimista che vede sempre nero. Se credo in qualcosa è sbagliata. Se penso di fare, è già stato fatto; se faccio, sbaglio. Ma c'è un modo per fare bene e cercare di non sbagliare?
Cosa ne dice lei? Io la leggo sempre perchè dice sempre cose giuste. Vorrei tanto che mi aiutasse. Grazie

Caro Ferruccio,
peccato che Tu non dica la Tua età e cosa fai nella vita. Avrei avuto un seppur piccolo ritratto di Te.
Vediamo. E' difficile dire cosa va fatto o non va fatto per non sbagliare. Non ci sono regole che possano funzionare per tutti anche perchè ognuno tenderebbe sempre ad aggiustarsele su misura. Posso semmai dirTi una regola che io ho sempre cercato di seguire. Per me ha sempre funzionato, magari potrebbe aiutare Te.
Ho sempre cercato, ad esempio, di non seguire le tendenze. Può darsi sia stato il mio carattere, certamente un po' ribelle, certamente disposto a dire “no” per avere poi la soddisfazione di cercare una soluzione alternativa e quindi essere molto più utile e collaborativo. Sta di fatto che mi sono sempre comportato in modo istintivo per arrivare paradossalmente ad essere più contributivo. Tutti andavano in una direzione? Sorridevo. Mi sembravano caproni. Tutti seguivano una moda o un pensiero culturale in auge? A mio modo di vedere costoro erano privi di qualunque senso critico; superficiali. “Andiamo dalla parte ove van tutti, così non sbagliamo” Ecco, questo pensiero, questo atteggiamento classico del gruppo, non mi pareva utile. Mi rendeva piuttosto diffidente. Per me la logica era ed è che quando tutti si muovono in una direzione significa che quell'idea che ha indirizzato e guidato quel movimento è già nella fase di esaurimento. I primi, solo i primi possono essere salvati. Coloro che avevano avuto l'idea iniziale possono essere definiti “creativi” perche, all'inizio, avranno dovuto per forza superare ostacoli per portare avanti la loro idea, magari combattendo l'incomprensione della massa che poi, man mano che quell'idea risultava vincente, si aggregava. Una volta fatto questo, quando l'idea era ormai un movimento consolidato, si univano tutti gli altri. Ad esempio i conformisti e quelli che, per muoversi, hanno bisogno di sapere di andare dalla parte delle certezze sicure.
Ma vedi Ferruccio,quando accade questo, stai pur certo che c'è già senza dubbio qualcuno che si sta muovendo in altra direzione, lanciando un'altra idea, un'altra possibilità, un altro movimento. E questi sono coloro che, in quel momento hanno idee nuove e che iniziano a battersi contro il conformismo; quello stesso conformismo che i primi del precedente movimento, paradossalmente, avevano voluto superare ed annullare finendone poi essi stessi dentro come in una grande macina.
Mi sembra da ciò che scrivi, che Tu oggi sia colui che, nel dubbio di sbagliare segua l'onda. Vada cioè nella direzione della massa, pensando che se ci van tutti vuol dire che è giusto così. Ma, come ho detto, quando la massa va in una direzione, ormai i giochi son fatti
La titubanza, la paura di apparire diversi porta quasi sempre a seguire gli altri. Non importa cosa facciano ne il pensiero che seguono. Se lo hanno gli altri, si può fare. E niente si faceva prima e niente si farà dopo. Poi, ci si ferma, si cerca di guardare il risultato ottenuto e ci si accorge, come fai Tu, che non si è fatto nulla o, se si è fatto, si sono fatti errori.
Mi sembra che qualcuno o più di uno abbia detto, ad esempio, che la moda va fatta e non seguita perchè chi la segue è già fuori moda. Ecco, questo concetto è perfettamente calzante con quanto ho scritto. Quando tutti vestono seguendo la moda del momento, quella stessa moda non è più “la moda”, ovvero qualcosa di nuovo da sfoggiare prima degli altri. Colui a cui far riferimento è l'innovatore, l'ideatore, il creatore, non tanto coloro che lo seguono pedissequamente solo perchè così va fatto. Certamente, quando una moda viene lanciata, il creatore sta già lavorando al dopo, a creare ciò che sarà il futuro.
Nell'ambito del lavoro (anche se Tu non mi chiedi espressamente questo) essere alternativo significa non prendere per oro colato e seguire le istruzioni o i movimenti alla lettera. Occorre invece cercare di trovare in queste istruzioni o movimenti alcuni punti da sviluppare e che permettano di andare oltre; di migliorare, di scovare nuove soluzioni o scoperte, pur operando con le stesse regole. Non c'è nulla che debba e si possa fare in un solo modo. C'è sempre un'alternativa ad una soluzione. Ebbene, sii creativo. Preso atto di un movimento, di un'idea, di un concetto, cerca un modo diverso per andare oltre e per sviluppare quello stesso metodo con altra forma, aggiungendo qualcosa di nuovo a cui altri non hanno pensato.
Nei gruppi di lavoro, la massa segue gli orientamenti e le richieste che ad essa giungono senza sapere che questa tecnica porta poco. Nelle organizzazioni servono coloro che intuiscono e poi sviluppino nuovi metodi, nuovi mercati, nuove idee commerciali, prima degli altri. Chi segue....
Non so, Ferruccio, se posso esserTi stato utile. Ti ho dato solo una delle mie poche regole di vita che poi adattare al lavoro.
Se ne vuoi ancora, scrivimi.
Ciao

domenica 12 luglio 2009

VENDITA PROPRIETA'

Angelo (loc. n.c.)

Causa raggiunti limiti di età (84) sono costretto a vendere il ”mio” campeggio, figlio di tanti anni di sacrifici, sono a chiedervi informazioni x ciò che riguarda gli obblighi fiscali in caso di vendita. Premesso che il terreno 20.000 mq. appartiene al 50% alla mia signora e l’altra a me, negli anni sono stati edificati un caseggiato adibito a sala bar, servizi igienici, più altri 2 gruppi servizi + docce x uso estivo.
Vi chiedo quali tasse devo pagare in caso di vendita? Posso considerare la vendita da privato a privato?
Devo considerare tutto questo impresa? Ho ricevuto informazioni diverse tipo: lei è impresa , accatastamento D8(che significa?), quindi calcolo plusvalenze etc…= su valore richiesto 450.000.00€, tasse x 150.000.00€ circa, in quanto l’impresa (io) ha un valore basso, poichè non ci sono state spese documentate negli anni x lavori di manutenzione etc. (li ho fatti tutti io!!!) Chi mi può aiutare?
Grazie

Egregio Sig. Angelo,
purtroppo, e me ne spiace, non sono io che può aiutarLa. Lei probabilmente non mi ha mai letto e non sa che quanto Lei chiede non è di nostra competenza, per cui preferisco sempre demandare a chi può dare risposte giuste.
Mi pare però che il Suo caso non sia poi così difficile. Lei vuol vendere, arrivato ad un'età in cui è più corretto riposare facendo altro, che non proseguire il lavoro. Se vuol vendere, come dice, non c'è Santo che tenga. Deve andare da un buon Commercialista e seguire le norme. Non badi a risparmiare sulla scelta del Professionista. Cerchi un Commercialista che sia conosciuto e che lavori bene. Si affidi a lui. Per quanto possa saperne, ciò che Le è stato già detto è giusto. Se negli anni Lei ha svolto lavori per migliorare il tutto, ma lo ha fatto di persona e quindi senza alcun documento che comprovi le spese fatte, purtroppo non c'è nulla da fare. Deve accettarlo, ma pensi però che avendo fatto Lei quei lavori, ha comunque migliorato il tutto portandolo oggi ad un valore che altrimenti non avrebbe e che, se avesse fatto svolgere i lavori da un'impresa avrebbe sborsato danari che invece non ha sborsato. Insomma, una cosa aiuta l'altra.
Mi auguro che qualcosa abbia accantonato in questi anni. Ha fatto un lavoro che, per quanto capisco, è stata una passione e quindi, venda serenamente secondo le regole. Semmai ci fosse una possibilità di risparmiare qualcosa sulla vendita, un buon Commercialista glielo dirà.
Tanti cari auguri per il Suo futuro.

giovedì 9 luglio 2009

VENDERE DA DIETRO IL BANCO 4

Anna B. Loc. n.c.

Sono sempre Anna, la prima e unica (si fa per dire) che ha chiesto aiuti e suggerimenti e che poi è stata copiata da Francy che si è intromesso. Ma va bene ugualmente!
Ho letto quanto Lei ha risposto a Francy perchè ovviamente fa lo stesso mio lavoro, ha le stesse necessità e le sue richieste servono anche a me, come penso le mie serviranno a lui. Ma dove abita questo Francy? Magari è un bel ragazzo!
Scherzi a parte, sto diventando assetata di Suoi nuovi suggerimenti. Se le fa piacere e penso che gliene faccia, sappia che sto divenendo davvero brava e il mio capo se n'è accorto. Questo mi rende orgogliosa ed è giusto che Lei lo sappia. Le scrivo perchè, nel negozio non sono la sola commessa. Ho tre colleghi, due donne ed un maschietto. Sembra quasi che inizino a guardarmi storto perchè mi sto dando un gran da fare e questo pone loro in una condizione di inferiorità. Io vedo però che loro portano avanti il lavoro come un qualcosa che devono per forza fare e quindi non sono brillanti. Li vedo. Tutto è un peso. Sono amorfi. Stanchi. Non hanno un po' di brio, eppure ci vorrebbe poco. Io vorrei, se potessi, essere anche creativa, trovare nuove soluzioni, sentirmi eccitata. Perchè loro sono così apatici?

Cara Anna,
noto con piacere che hai visto d'avere un concorrente: Francy. Fa il Tuo stesso lavoro ed ha chiesto aiuto. Ma non preoccuparTi. Ciò che ho detto a lui funziona perfettamente anche per Te così come quanto dirò oggi a Te, servirà a lui. Ma per carità non mettetemi di mezzo in una situazione di gelosia. Ho risposte per tutti. In quanto a dove abita e se è bello non Te lo posso dire perchè non ne ho la più pallida idea. Per queste cose dovete rivolgersi ad altri blog.
Detto questo veniamo ai nuovi spunti che mi dai. Mi avevi già accennato in passato alla condizione di chi lavora con Te ed oggi confermi il loro atteggiamento piuttosto apatico che sta venendo fuori alla grande nel momento in cui Tu sei partita a razzo.
In un gruppo, vedere un componente che si stacca, non fa mai piacere. Se tutti sono alla pari, anche verso il basso, nessuno fa brutta figura. Se uno inizia ad eccellere, pone gli altri nella condizione di dimostrare che non sono poi così bravi. Ed è quello che sta accadendo da Voi.
Prendo spunto dal Tuo voler essere più creativa per alcune considerazioni che probabilmente coinvolgono i Tuoi colleghi.
La creatività dietro il banco.
Si può essere creativi facendo i commessi? Certamente si, eccome! Ogni lavoro permette di esprimere la propria creatività ed il Tuo non è da meno.
Tu, dicendomi del comportamento dei Tuoi colleghi mi confermi che troppo spesso la vendita è fatta da monosillabi: si, no. Il tal articolo c'è, quell'altro non c'è. Stop, tutto qui. Al massimo, segue la domanda: “serve altro? “
Cosa d'altro deve servire al cliente che, ad una prima richiesta si sente dire un bel no? Infatti la risposta solitamente è “ no, grazie, volevo proprio quell'articolo” . Trattativa terminata; cliente che se ne va.
Questi atteggiamenti deprimenti sono piuttosto abituali tanto che il commesso finisce per farsene un atteggiamento mentale prefissato. Si usano questi schemi secchi e negativi quando non c'è esperienza, quando non c'è volontà, voglia e quando c'è stanchezza in un ruolo che non piace. Si usano questi comportamenti per pigrizia, per comodità (meno parlo e meno perdo tempo), per non crearsi problemi, per menefreghismo, perchè il cliente viene visto come uno che viene a rompere; per non trovarsi addosso ulteriore lavoro, per non dover tirar fuori e rimettere a posto altri prodotti.
In pratica, “perchè non si sta facendo il mestiere adatto.
Partiamo dal principio che il commesso diventa od è creativo quando il lavoro che svolge gli piace ed usa la creatività al fine di migliorarsi e trovare stimoli nuovi o vie nuove che lo portino a soddisfare sempre più i clienti.
La creatività, nella mansione di commesso/a è possibile dimostrando al cliente la disponibilità a dargli una mano. E' possibile, ad esempio, anche trovando soluzioni alternative che soddisfino il clienti e conducano il commesso all'obiettivo della vendita. E' possibile inoltre essere creativi prendendo spunto dalla richiesta del cliente per proporre prodotti da abbinare. Questi sono solo alcuni esempi ma ne potremmo fare altri.
Tendenzialmente il commesso che non ama molto il proprio lavoro lo si nota dal modo di essere scostante come anche, paradossalmente, dal dare al cliente ciò che chiede, accontentandolo, perchè così non ci saranno problemi. Il cliente voleva quell'articolo ed il commesso glielo dà. Magari dentro di sé sa bene che quell'articolo non è il migliore, ma chi se ne frega. Quello voleva e quello gli ha dato.
Male, molto male.
Se in un punto vendita esistono commessi, il cliente desidera da loro pareri, suggerimenti e dritte. Insomma, desidera anche essere aiutato nella scelta.
Il cliente chiede un prodotto perchè ritiene che possa andar bene, ma spesso non è un esperto ed un parere di chi se ne intende è sempre gradito. Se questo parere non c'è, il rapporto commesso/cliente non funziona.
Un buon commesso creativo può ad esempio accennare al fatto che, al di là di quello che si vede, non tutti i prodotti sono uguali. Oltre al prezzo, è meglio quello piuttosto che quell'altro. Che, ad esempio, se fosse lui ad acquistare, si indirizzerebbe su quell'altro ancora.
Non dimenticarTi mai Anna che il cliente desidera essere considerato ed un parere personalizzato lo farà sentire più importante e Tu, sarai valutata come un'addetta in gamba.
Vuoi il solito pensiero da scrivere e tenere a mente? Eccolo.
“RicordaTi sempre che la garanzia di una commessa vale molto più di una garanzia ufficiale della Casa. La prima è personale, la seconda vale per tutti”
Cerca quindi di essere sempre più creativa nel lavoro. Sviluppa idee, suggerimenti, atteggiamenti che possano essere ritenuti d'aiuto. Il cliente Te ne sarà grato sempre.
Ciao.

martedì 7 luglio 2009

CASSA INTEGRAZIONE

Simone Umbria

Buongiorno , mi chiamo Simone ho 35 anni e lavoro da otto anni in una azienda, ccnl metalmeccanica industria, di 30 operai con contratto a tempo indeterminato. In questi periodi di crisi ci hanno messo in cassa integrazione guadagni ordinaria per mancanza lavoro, ma prima ci hanno fatto consumare tutte le ferie dicendo che senno’ non potevano richiederla, e’ giusto? Non chiudendo del tutto hanno fatto lavorare sempre le stesse persone che quindi hanno ferie e non fanno c.i g. e’ giusto? Quanta c.i.g. si deve fare prima di essere licenziati? Non avendo i sindacati in azienda forse fanno come vogliono; vi sarei grato se mi risponderete. Grazie
Simone

Caro Simone,
questo nostro blog, anche se Tu non ne sei al corrente, è specifico per aiuti su altri settori.
Il servizio di aiuto che diamo è sempre essenzialmente impostato su marketing,, commerciale, formazione , motivazione e tanto altro, ma tra questi non c'è quello che Tu chiedi.
Io preferisco sempre non entrare nell'ambito delle problematiche relative ai problemi contrattuali o sindacali in quanto spesso, al di là dei contratti nazionali ci sono tante e tali interpretazioni o accordi locali che intercorrono tra aziende e sindacati che, una risposta data potrebbe indirizzare su una strada non giusta.
Quindi, anche se magari sappiamo o so come avvengono le cose, preferisco guidarVi verso altre fonti. Internet non sempre può essere d'aiuto perchè i casi sono sempre troppo pieni di sfumature e quindi diversi uno dall'altro.
Personalmente ritengo che il Tuo sia materia autentica del Sindacato locale. Qualunque Sindacato (o un Patronato) potrà analizzare quanto chiedi, secondo le logiche ed anche, paradossalmente, le abitudini con cui si agisce nella Tua zona.
Credo che l'azienda abbia comunque agito nel giusto ma, come ripeto, meglio che Tu prenda un'ora del Tuo tempo per andare a far visita ad uno o due Sindacati di zona. Non importa se sei o non sei iscritto. Ad un lavoratore la risposta va data.
A titolo di pura curiosità Ti dirò comunque che i Sindacati, anche se rifiutano di ammetterlo e probabilmente non sarà neppure il caso della Tua azienda, hanno sempre a cuore gli interessi delle masse e quindi delle aziende che hanno una forza lavoro di centinaia di persone. Un'azienda di 30 operai, vale sindacalmente ben poco (anche, se ripeto, non lo ammettono), per cui se qualcuno deve soffrire, pazienza.
Tornando al Tuo caso, quando sei stato assunto avrebbe dovuto esserTi dato copia del contratto di lavoro. Su quel libretto, nel paragrafo relativo alla cassa integrazione guadagni dovresTi trovare la risposta.
Infine, se non vuoi rivolgerTi ad un Sindacato, puoi chiedere ad altri operai che magari conosci e che sono passati per la stessa strada in altre aziende.
Se anche vuoi, vai in una libreria della Tua città in cui Tu possa sfogliare i libri. Nel reparto “contrattualistica” troverai anche quello che Ti interessa. Al capitolo “cassa integrazione” potrai leggere se si è agito nel giusto.
Circa l'aver fatto lavorare le stesse persone occorre dire che le problematiche delle scelte a volte sono incomprensibili ma spesso anche motivazionalmente valide. Possono, ad esempio, essere state scelte persone con forte esperienza e che quindi possono far proseguire il lavoro anche in assenza di un maggior numero di operai. Forse, mettendo in cassa integrazione loro, il poco lavoro rimasto ne avrebbe sofferto ancor di più. Un'altra ipotesi "cattiva" ma Te la dico perchè va fatta una riflessione anche su questo, forse sono stati messi in cassa integrazione gli operai che meno interessano sia per compiti svolti o per qualità del lavoro. Se così fosse per l'azienda, mentre Tu sei sicuro della qualità del Tuo operato, potresTi iniziare a guardarTi attorno, non trovi?.
Infine, non importa che in azienda ci siano i Sindacati o meno. Esistono i contratti che possono sempre essere impugnati e, per le informazioni, come ho detto, qualunque Sindacato può risponderTi in un attimo.
Ovviamente, anche un Commercialista o un Avvocato del lavoro possono farlo, ma in questo caso con i relativi costi.
Non avrai comunque problemi a trovare risposta. Pensa un attimo chi può saperlo o che strada fare e poi, via!
Ciao ed in bocca al lupo!

domenica 5 luglio 2009

E' UTILE L'ESPERIENZA ?

Maurizia B. (loc. n.c.)

Desidero complimentarmi con Voi per le innumerevoli risposte che date e che sono sempre estremamente chiare e utili.
Da un po' di tempo ho un dubbio che m'assale e sarei davvero molto felice se Voi poteste darmi risposta. Il mio quesito è: è utile l'esperienza? Cioè, siamo sicuri che serva? Chiedo questo perchè ho spesso discussioni col mio fidanzato che svolge un lavoro analogo al mio. Io dico che è sempre comunque utile e lui non ne è sicuro, anche se non sa spiegarsi il perchè.
Posso avere un vostro parere? Grazie

Cara Maurizia,
sull'utilità dell'esperienza nell'ambito del lavoro e non, si è molto parlato, discusso e se ne parlerà ancora. Personalmente (ma non sono proprio il solo, anzi) ritengo che l'esperienza ci freghi. Sono stati effettuati studi in tal senso e nella branca della psicologia che se ne interessa, sono da tempo arrivati a questa conclusione. Il fatto è, cara Maurizia, che l'uomo è ormai abituato a non vedere facili le cose che in realtà lo sono. Sarà perchè se le cose sono ritenute facili e l'uomo le risolve, non può incensarsi nel dire d'aver superato un grosso ostacolo.
Noi tutti siamo abituati a risolvere problemi, non affrontandoli ed analizzandoli al momento in cui si presentano, ma affidandoci all'esperienza. Cosa vuol dire? Vuol dire che appena abbiamo un problema da risolvere andiamo a caccia nella nostra mente, di una situazione analoga a quella che stiamo vivendo, ripescando proprio dalla mente la soluzione usata in quel frangente. Ma, accidenti, se ci pensiamo, è evidente che la soluzione che abbiamo archiviato è relativa a quel momento ed a quella situazione. Invece, l'uomo pensa “ se era servita in quell'occasione per risolvere un problema, andrà bene anche adesso”.
Ed ecco l'errore! Non siamo più abituati ad analizzare la situazione del momento ma vogliamo sfruttare una soluzione “preconfezionata” che abbiamo archiviato nella nostra mente.
Chissà perchè, quando dovrebbe venirci in aiuto un famoso detto, non ne prendiamo atto. Si dice che “l'esperienza è la somma dei nostri errori”. Allora, tanto più andremo a ripescare nella memoria soluzioni messe in atto in altri momenti, tanto più ci ritroveremo a ripescare un errore fatto.
Ma tant'è. Sappiamo che non dovremmo farlo ma ci cadiamo sempre o quasi. Ovviamente ciò avviene per pigrizia mentale, ritenendo che in questo modo si possa essere più rapidi nelle decisioni. Invece, con molti sforzi dovremmo adottare quelle soluzioni che riteniamo ideali, al momento attuale che, ovviamente, non è e non può essere quello stesso identico momento di allora.
Vi saranno indubbiamente migliaia di variazioni. La persona (se di persona si tratta) il cliente, il momento, il tempo, noi stessi, il prodotto, la situazione, l'ambiente. Queste e tante altre cose che variano continuamente da momento a momento e che fanno si che la soluzione ripescata non potrà mai essere quella giusta.
Questo nostro voler adattare alla realtà odierna sarà responsabile delle difficoltà che incontreremo.
Faremo una fatica enorme a venir fuori da una situazione che poteva essere facile ma che abbiamo fatto di tutto per renderla difficile.

venerdì 3 luglio 2009

MANAGER

Pierfilippo (Mestre)

Buongiorno.
Sono un operaio di ventitré anni. Non credo di essere ignorante nel senso che non faccio parte della schiera di operai nati dalla povertà e dalla necessità di andare in fabbrica come unico mezzo di sostentamento. Dopo l'istituto professionale ho scelto questa strada.
Vengo al problema o meglio al quesito. Nella nostra società è arrivato da pochi mesi un nuovo capo, un cosi detto manager. Probabilmente bravo ma ha un difetto. Viene spesso in reparto a guardare, controllare e a criticare. Critica tutto. Come sono messi gli strumenti, come gestiamo la merce, gli scarti, gli stock. Insomma critica tutto. Può anche andar bene perchè ognuno la vede alla sua maniera ma non va bene quando arriva a criticare il lavoro che facciamo e come lo facciamo. Quando parla e dice le cose relative al nostro lavoro si capisce che non ne capisce niente e questo fa arrabbiare noi che cerchiamo di fare il meglio e sappiamo, anche per esperienza, come lavorare. Abbiamo saputo dall'esterno che costui non è mai stato un capo produzione ma un amministrativo nelle esperienze precedenti e quindi non ha nemmeno la possibilità di ritenersi esperto.
E' giusto che faccia così? Perchè un manager che sarà pur bravo in altri settori non capisce che oltre a fare brutte figure, rompe a chi sta cercando di lavorare correttamente?
O sono io e i miei colleghi a capire che quello che avviene è giusto?
Grazie

Mio caro Pierfilippo,
ho poco da dirTi perchè hai espresso bene il problema e mi sembra che le risposte Te le sia date da solo. Essere manager significa ricoprire un ruolo (quello di Capo). Non necessariamente un Manager dev'essere una cima di intelligenza, di capacità, di esperto in rapporti umani e così via. Il Manager è un esperto in qualche cosa. Marketing, vendite, produzione, amministrazione o altro. Spesso esperto solo nella materia che segue e che dovrebbe vederlo capace. Fuori di questa, molte volte il Manager sa ben poco di altro. Certamente per divenire Manager qualcosa di buono avrà fatto, credimi, e probabilmente sarà pure un professionista coi fiocchi. Ciò non toglie che potrebbe essere un genio nel marketing ma non capire nulla o quasi di come si fa funzionare una linea produttiva.
L'errore, a volte, in qualche Manager, è di pensare che, essendo bravo in qualcosa, per concessione dello Spirito Santo, si è bravi in tutto. E questa non obiettività crea problemi al personale, all'azienda ma di riflesso, a lungo andare anche al Manager stesso che viene preso da delirio di omnipotenza.
Ciò che vivete in questo momento può probabilmente essere un caso simile. Arriva il nuovo Capo, e costui vuole dimostrare d'essere bravo. Se le sue esperienze sono sempre state amministrative (nelle aziende c'è il pallino che un Amministrativo sia in gamba per tutto) è chiaro che potrebbe non riuscire a vedere nel giusto modo le attività produttive. Il guaio sta solo nel non essere umile, venendo in reparto a chiedere come va il lavoro e semmai, facendo domande sul perchè una cosa viene fatta in un determinato modo piuttosto che in altro.
In altri termini, anche un non addetto alla Produzione può trovarsi a doversene interessare e, se è intelligente, prima cerca di capire come si lavora e perchè lo si fa in quel determinato modo, poi potrà cercare soluzioni per lui più idonee, suggerendole, ma mai imponendole.
Il comportamento che Tu dici lui tiene, dimostra la Sua insicurezza. Solitamente è proprio dell'insicuro l'alzar la voce; dare ordini perentori, essere autoritario e comunicare ad una via. In questo modo evita un eventuale dibattito in cui, proprio in quanto ignorante in materia, potrebbe sfigurare.
No, non è giusto che faccia così, ma chi glielo dice? Non so come funzioni la Vostra azienda e chi c'è sopra questa persona.
Difficile dirVi di dirlo a chi sta sopra di lui perchè si verrebbe a creare una situazione di tensione. Difficile pure dirVi di stare zitti perchè se avesTe voluto farlo non mi avresTi scritto.
Giusto non lo è, e forse la situazione attualmente migliore è di seguire le Sue indicazioni. Se davvero sono sbagliate, prima o poi qualcosa succederà. Qualcuno si accorgerà del cambiamento e Vi chiederà il motivo. Starà in quella precisa occasione che tutti, dico tutti, dovrete dire che avete seguito le indicazioni del Vostro nuovo Capo, anche non convinti.