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martedì 26 febbraio 2008

Rapporti personali

Pamela (loc. n.c.)
“sto seguendo da un pò il suo blog, e mi sembra veramente interessante, in particolare mi piace la passione con cui parla nelle sue risposte. I giovani in questo momento arrivano così confusi e impreparati al mondo del lavoro, che hanno proprio bisogno di un aiuto!Mi chiamo Pamela, ho 28 anni e il mio problema è più che altro un problema di relazione.Son entrata da circa un anno in un ufficio marketing di un'azienda. Son arrivata qui a due anni dalla laurea dopo essermi adattata a fare vari lavori e continuando a cercare un lavoro nel campo pubblicitario. Avendo studiato design e pubblicità, il lavoro di addetto marketing e grafico è perfetto per me, sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto. Mi son inserita in un ufficio dove hanno sempre lavorato solo due persone, il mio capo e una mia collega, assunta prima di me.Però non mi sono mai sentita accettata, pur portando a termine tutti i lavori che mi venivano assegnati mi son vista per vari mesi rinnovare il contratto di mese in mese e questo ha cominciato a farmi pensare che non fosse un problema di capacità ma un problema di "simpatie". Lavoriamo tutti e tre nello stesso ufficio, ed io sono costretta a subire continuamente scene in cui loro si avvicinano bisbigliando per non farsi sentire da me, o in cui si azzittiscono all'improvviso se arrivo da fuori, a volte si fanno esplicite battute complici su qualche mio atteggiamento...e io sto diventando paranoica! Questi loro comportamenti mi fanno diventare sempre più insicura tanto al punto che a volte mi inibisce anche una semplice chiacchierata sulle vacanze e per non sbagliare, rimango in silenzio. Non so dove sbaglio, non so se dovrei rispondere in qualche modo a questo loro cameratismo...so che questo lavoro mi piace, e non vorrei doverlo abbandonare solo perchè non mi so rapportare con le altre persone. Sono stata io a rovinare tutto fin dall'inizio? Posso migliorare i rapporti in ufficio?”

Mia cara Dottoressa Pamela,
La ringrazio per quanto dice circa la passione che evidentemente passa da quello che dico. Mi auguro sempre possa essere da esempio a quei giovani che ne mettono poca.
Eccoci al Suo problema. Sono contento nel sapere che Lei è riuscita, nel lavoro, a coronare il desiderio di svolgere una mansione che voleva fare. Ora mi segua e tenga presente queste Sue tre espressioni:
“sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto.”
Veniamo al resto. La vita che si svolge negli uffici è uno spaccato identico a quanto c'è all'esterno. In pratica è una vera vita parallela. Simpatie, antipatie, cricche, legami, amicizie, affetti, esattamente come avviene fuori. Questo deve tenerlo sempre bene a mente. Dunque, Lei entra in un ufficio in cui esiste un Capo ed una collaboratrice. E' quasi scontato che tra i due possa o debba esserci comunque una sintonia, visto che già lavoravano assieme e Lei è stata aggiunta e non è andata a prendere il posto della collega.
Se il rapporto professionale tra i due funziona bene (e mi sembra di capire sia così) è nato tra loro un piccolo gruppo. Arriva Lei. E' nuova, forse più giovane; forse più bella, con maggiori conoscenze....insomma, il terzo incomodo. Non occorre scomodare Freud. Il gruppo di lavoro deve riassestarsi su nuove posizioni. Gli equilibri vanno riposizionati. Probabilmente all'inizio Lei è stata più vicina al Suo capo (per quanto mi ha detto in una parte della Sua lettera e che non ho trascritto per non renderLa troppo riconoscibile) e questo può aver creato tensione o paura alla collega. E' normale che un lavoratore se sente in pericolo la propria posizione cerchi di salvaguardarla. Forse la collega ha capito che doveva muoversi e Voi donne siete abilissime in questo. Basta una piccola parola nell'orecchio al Capo, un dubbio sulle Sue capacità, una critica su un lavoro; insomma, tante piccole cose utili comunque a mettere i puntini sulle i e far capire al Capo che il gruppo vero è quello originario, quello a due. Poi, c'è Lei. Fa parte dell'ufficio ma deve mantenere un tantino le distanze. E la Sua collega Le fa capire tutto questo facendoLe vedere di poter parlare all'orecchio del Capo; di potergli fare il sorrisino; di poter bisbigliare o fare le battutine. Tutti messaggi a livello inconscio per dirLe che si, Lei è lì con loro, ma non deve cercare di rompere il gruppo e l'equilibrio.
Da come Lei spiega poi le cose è anche forse abbastanza evidente che possa esserci qualcosa di più, e se così fosse, ci metta pure un po' di sana gelosia da parte della collega.
Soffermiamoci ora sul Suo “sto divenendo paranoica”. Perchè vuole divenirlo? Dato che almeno questa è una Sua scelta, eviti di pensarlo o di “decidere” di divenirlo. Inizi invece a dirsi che “non c'è proprio motivo di divenire paranoici”.
Lei ha la sensazione di non essersi mai sentita accettata. Una possibile spiegazione l'ho già data ed il riferimento è il gruppo esistente. Come nella vita esterna, entrare in un gruppo di lavoro già formato, è sempre difficile. Sentirsi accettati, ancor di più. Sa perchè Le dico “sentirsi accettati”? Perchè in realtà dobbiamo sempre vedere le cose anche da un altro lato. Possiamo sentirci accettati o meno, ma sta anche a noi pensare di FARCI accettare. Se io entro in un gruppo, il mio primo compito è cercare appunto di farmi accettare (azione attiva) e non aspettare o almeno non pensare di vivere una situazione in cui gli altri debbano accettarmi. Se agisco in questo modo (azione passiva) do al gruppo il potere di decidere se io sia o meno utile, simpatico, interessante...
Faccia solo tesoro, per il futuro, di questa riflessione. Per questo caso, ciò che è fatto è fatto.
Veniamo al presente. Lei, ripeto, ha la sensazione di non essersi mai sentita accettata e questa sensazione l'ha chiusa in se stessa, La fa sentire insicura e l'insicurezza crea paure che La rendono ancor più insicura. Ed ecco quindi che Lei arriva alla classica frase della paranoia. Provi però a rivoltare il tutto e vedere la cosa da un altro punto di vista: Lei è insicura di se stessa (sul piano personale, quindi timidezza) e proietta questa insicurezza sugli altri, tanto da non farsi totalmente accettare. Altra ipotesi: Lei non è insicura sul piano personale ma solo su quello lavorativo. Spesso l'insicurezza su questo piano è data dal sentirsi inesperta nella mansione rispetto a qualche collega ed è più diffusa, ovvia e banale di quanto si creda. La rassicuro però sul fatto che con l'esperienza nella mansione, diminuisce e sparisce anche l'insicurezza.
Penso però Lei non debba crearsi problemi più di tanto, per questa situazione.
Termina scrivendo: ”Non so dove sbaglio, non so se dovrei rispondere in qualche modo a questo loro cameratismo...so che questo lavoro mi piace, e non vorrei doverlo abbandonare solo perchè non mi so rapportare con le altre persone. Sono stata io a rovinare tutto fin dall'inizio? Posso migliorare i rapporti in ufficio?”
Che brutto finale, Pamela! Mi piacerebbe che Lei non dicesse più queste cose. Se inizia a crearsi ulteriori dubbi sul fatto che forse è Lei che sbaglia..., che non sa relazionarsi con gli altri, sino a chiedersi se è stata Lei a rovinare il tutto... arriverà a spalmarsi di pessimismo acuto, per niente.
Non mi ha detto e forse era importante saperlo, se anche fuori dall'ufficio ha gli stessi problemi. Perchè se così non fosse, la risposta a tutto se la dà da sola.
Non è stata Lei a rovinare tutto, almeno volutamente, e quindi non può addossarsi colpe che non ha. Come Le ho detto, è entrata in un gruppo esistente, ristretto a due (capo e collaboratrice, che forse potrebbe anche far intuire altro). Non credo, per finire, che Lei possa o debba fare qualcosa per cambiare questa situazione. Anzi, ogni Suo eventuale gesto potrebbe addirittura venir visto come volontà di rompere quel bel gruppo e quindi ritorcersi contro. Lasci stare le cose come sono.
Ed ora, cara dottoressa Pamela, riprendiamo con quelle tre espressioni che Le avevo prima detto di tenere a mente?
“sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto.” Vuole, per cortesia ripetersele un po'? Anzi, seguendo un mio metodo che mi creda, dà risultati, perchè non si scrive queste tre espressioni su un bel foglietto e lo mette in qualunque posto Lei possa vederlo spesso?
Pensi al lavoro, pensi alla soddisfazione che ne trae ed al fatto che sta imparando cose che non conosceva. Pensi che queste cose, alla fine, arrivano a Lei anche attraverso il Capo e la collega e quando Lei le avrà ben assimilate, saranno per sempre Sue. Rubi al gruppo le tecniche, le conoscenze le esperienze. Questo vale, ed in questo “rubare” Lei è parte attiva.
Circa l'andamento dell'ufficio Lei deve lasciar correre davvero le risatine, gli approcci e tutto il resto. Accetti che ci siano come ci sono nei gruppi esterni ( e come forse ha anche Lei con qualche amico o amica all'esterno) . Non se la prenda e non si rabbui se entrando in ufficio li vede parlottare. Liberi di farlo! Non divenga permalosa per questo, perchè magari se davvero devono dirsi qualcosa...di segreto, è chiaro che quando Lei entra, devono zittirsi.
Se vuol proprio dar loro una mano faccia si che la Sua presenza sia annunciata. Un piccolo rumore prima di aprir la porta; un colpetto di tosse..insomma, dia loro una mano. Così agendo, mi creda, Lei finirà per sentirsi più forte. Tenga sempre presente questo:
l'ufficio ha bisogno di Lei ma anche Lei ha bisogno dell'ufficio (ovvero imparare il più possibile). Quando riterrà d'aver imparato potrà andarsene magari in altra azienda, nella posizione dell'attuale Suo Capo. Ma La prego: non si prenda un assistente uomo e non faccia un Suo piccolo gruppo!
Mi riscriva se ne sente il bisogno.
Cordiali saluti