Ricerca personalizzata

domenica 29 giugno 2008

Chiacchiere

Augusto R. Massa
“Dio bono! A volte mi trovo ad avere a che fare con chiacchieroni che non so come, in modo educato, mandare al diavolo. Ho una piccola attività e sono visitato da venditori che mi sembra non sappiano come riempire il tempo. Eppure dovrebbe essere prezioso per tutti. Che posso fare?”


Mio caro Signor Augusto,
il tempo dovrebbe essere si, prezioso per tutti, ma come Lei stesso vede, non lo è.
Come fare, in poche parole, per liberarsi da chi ci tiene bloccati o da chi non sa come arrivare a sera?. Per questi quesiti non devo spremermi le meningi a dar risposta perchè sono situazioni che ho vissuto, discusso per molti anni ed ancora discuto.
Vediamo qualche suggerimento:
Inizi con l'accennare ai Suoi impegni dicendo, ad esempio: La ringrazio per avere raccolto l'ordine. Ora devo lasciarla perchè tra poco attendo una persona.
Oppure, può benissimo alzarsi in piedi per far vedere che vorrebbe terminare il colloquio.
Ancora potrebbe, prendere la penna, far vedere che la infila nel taschino, poi chiudere il blocco o l'agenda davanti a Lei. E' questo un chiaro messaggio di chiusura.
Può pure chiudere il discorso dicendo al venditore: La ringrazio della Sua esauriente spiegazione. Ne terrò buona nota. Quando conta di passare ancora?
Altro metodo può essere quello di dire al venditore: la prossima volta che verrà, si ricordi che dobbiamo parlare di una condizione extra che voglio chiederLe. Ora non posso perchè non ho tempo. (Questa situazione fa mettere subito le ali al venditore, per non ricevere subito la richiesta extra)
Infine, se ad esempio suona il telefono, se Lei alza la cornetta e parla, autorizza il venditore a stare fermo dov'è. Può invece cogliere la palla al balzo e, prima di rispondere al telefono, dire: “Non La trattengo oltre. Ci vediamo come al solito il prossimo mese” e quindi mentre il venditore si alza, rispondere al telefono.
Buon lavoro.

mercoledì 25 giugno 2008

Psicologia e lavoro

Mauro N. (loc. n.c.)
“L'azienda per cui opero mi ha fatto partecipare ad un corso che comprendeva anche alcuni coinvolgimenti in situazioni che nulla avevano apparentemente a che fare col lavoro ma che alla fine si sono rivelati, a detta del coordinatore, estremamente utili per capire i nostri comportamenti. Io non credo però totalmente alla loro utilità perchè le situazioni non sono reali e nessuno può dire come ci si sarebbe comportati nella realtà piuttosto che in aula. Ho questo dubbio. Lei può confermarmelo o smentirlo. E se si, come?"

Egregio Dr. Mauro,
i test a cui allude sono abbastanza frequenti ad un certo grado formativo, quando cioè vengono coinvolti manager e capi che devono essere pronti a gestire uomini e situazioni delicate in tempi che a volte non danno possibilità di prendersela comoda.
Sono momenti in cui viene a galla un po' tutto di chi partecipa perchè l'emotività è difficile da controllare e, se lo psicologo che guida il training sa davvero fare il suo mestiere, i partecipanti non possono non scoprire le proprie carte (vizi e virtù).
Purtroppo però ho visto anche persone impreparate messe a gestire queste situazioni solo perchè avevano letto sul di un libro come fare. I risultati allora sono assolutamente da non prendere sul serio in quanto non è di per sé il “gioco” che vale, quanto l'interpretazione stessa che lo psicologo sa darne.
Comunque, che si sia trattato di sbarco sulla luna o naufragio o quant'altro, personalmente non posso esserne contrario facendo parte di ciò che faccio.
Dato che mi chiede cosa può emergere da queste situazioni in aula, Le dirò che dall'analisi che il conduttore fa in aula prendendo direttamente nota di quanto accade, momento per momento, (pur cercando di non farlo vedere) possono uscirne ad esempio l'attitudine di ognuno a dimostrarsi leader; ad adattarsi a situazioni che variano continuamente; a gestire i conflitti. Si notano i livelli di emotività, la capacità di concentrazione, di esprimere ciò che si pensa, senza prevaricare sugli altri componenti il gruppo. Anche, ad esempio, la capacità di contenere le emozioni o meno. (Ho visto persone piangere a dirotto durante lo svolgimento del gioco, senza per questo voler dire che ciò sia stato un bene o un male). Si può notare il grado di creatività che le persone usano per uscire da situazioni senza via di scampo ed anche la capacità di coinvolgere gli altri per ottenere il consenso.
Come vede, Dr. Mauro, da un semplice gioco in aula si possono notare molte cose. Negativamente, anche l'aggressività, la visione negativa, l'accettazione passiva di ciò che viene deciso da altri o la chiusura a ciò che gli altri esprimono.
I partecipanti possono essere messi al corrente di questo o meno. Dipende dall'indirizzo che l'azienda ha dato al formatore. Personalmente ritengo che questi test debbano essere spiegati a tutti i partecipanti, facendo una breve analisi dei comportamenti di ognuno direttamente in aula a test terminato (che solitamente non ha orario e può anche durare un giorno o una notte interi). Discutere subito con tutti il comportamento tenuto, li aiuta a comprendere meglio se stessi e quindi a cercare di modificare l'atteggiamento che potrebbero trovarsi ad avere in situazioni di lavoro aziendali in cui, mascherati da normali decisioni, vivono gli stessi comportamenti.
E' inutile anche, Dr. Mauro, sapere come ci si deve comportare nel caso ci si ritrovasse a partecipare ad un altro corso in cui sono contenuti questi test. La situazione ed il gruppo porta inevitabilmente a far uscire da ognuno il proprio carattere anche se già si conosce come ci si dovrebbe comportare. Il Coordinatore poi, se non è di primo pelo, capisce immediatamente se qualcuno cerca di bluffare e non ci mette molto a coinvolgerlo come se fosse la prima volta.
Quindi, dire che in aula non ci si comporta come ci si comporterebbe in quella situazione è giusto ma...non serve. In aula si studiano i comportamenti e non la situazione.
Mi auguro comunque che Lei ne abbia tratto vantaggio. Essendo un manager, ne avrà prima o poi sicuramente bisogno.
Cordiali saluti

lunedì 23 giugno 2008

Vendita

Luigi M. (loc. n.c.)
“Da pochi mesi ho iniziato l'attività di vendita. Il settore è........... Il mio problema, perchè credo stia nascendo un problema, è dato dal fatto che il mio capo dice che non ottengo i risultati che lui vorrebbe e di darmi da fare.
Io non so come agire diversamente da come faccio. Visito diligentemente i clienti su appuntamento; mi faccio io stesso dei rapporti (dietro vostro suggerimento che ho letto in alcune risposte) che mi servono per ricordare tutto dei clienti, anche perchè l'azienda non ci fornisce di schedari e quindi non so dove trovare la storia se non sul programma del pc che porto con me e che uso per le dimostrazioni secondo quanto vuole l'azienda. Ma girare nei programmi per trovare le informazioni, a volte anche davanti al cliente è lungo e il tempo spesso non c'è. Le argomentazione, se fosse per me, sarebbero diverse ma noi venditori in realtà dobbiamo parlare ben poco perchè dal cliente apriamo il programma di presentazione che l'azienda ci fa pervenire ad ogni inizio giro ed il pc presenta direttamente su schermo tutte le informazioni.
Insomma, dove posso intervenire per portare migliori risultati, visto che lo spazio di intevento è così ridotto? Vi ringrazio della risposta”

Caro Luigi,
non Te la prendere per quello che succede. Se ritieni che quello specifico modo di lavorare non sia per Te e se Tu non trovi soddisfazione, lascia perdere e cambia settore o, per lo meno, cambia azienda e trovane un'altra che abbia idee meno attuali (o futuristiche).
Se Tu sapessi quante vendite oggi perdono i venditori per il solo fatto di doversi presentare dai clienti con un bellissimo personal che dice tutto lui, non ci crederesTi.
Non so, sinceramente, chi in queste aziende sia fautore di così poco geniali idee, ma certamente non è un Commerciale. Non può essere un Commerciale con una storia ed esperienza di vendita a suggerire di presentarsi da un cliente con un personal e lasciar parlare lui. Non può essere un vero Commerciale che non dà le informazioni sul cliente e che pretende possano essere trovate girando fra i programmi inseriti; non può essere un Commerciale che lascia parlare un personal (da inorridire) al posto di un venditore.
Eppure, è così. Eppure ci sono personaggi simili. Solitamente credo siano persone un po' frustrate, abituate solo a passare il tempo davanti ad un computer, magari non sapendo altro, pensando che poiché ritengono interessante dialogare con una macchina, debbano ritenerlo interessante anche i clienti.
Lo ripeto, Luigi. Una quantità incredibile di vendite non vanno a buon fine solo perchè il cliente non ha tempo di seguire una prolissa presentazione su personal, fatta di parole che entrano ed escono dallo schermo, con musiche di sottofondo; con colori lampeggianti e voci fuori campo che non convincerebbero nemmeno a provare gratis qualcosa che venga offerta.
Troppe volte mi sono state mostrate queste forme di vendita e altrettante volte ho cercato di far comprendere che non avrebbero ottenuto risultati. Pochi mesi dopo, venivano eliminate ed i risultati riprendevano quando si tornava ad un rapporto venditore-cliente basato sul dialogo.
Il fatto è (lo dico per chi legge perchè Tu lo hai già provato su Te stesso) che il cliente, davanti ad una presentazione multimediale, non segue il contenuto ma guarda solo l'involucro. Guarda cioè il modo in cui appaiono le parole o le frasi; sorride vedendo i giochini di luci; pone pochissima attenzione ad ogni grafico di cui sono sempre ampiamente farcite queste presentazioni; giudica se la voce fuori campo è impostata o meno, se è gradevole o no, ma alla fine, ammesso che non faccia interrompere prima, dice:
“molto bella questa presentazione. E' stato bravo chi l'ha preparata. Io però non ho bisogno di nulla e La ringrazio” ed il colloquio termina lì.
Non dico cosa succede semmai il cliente dovesse fare qualche obiezione su un dato presentato. Il venditore (o meglio il presentatore di argomentazione multimediale) deve tornare a cercare nel programma il punto esatto per ripresentarlo al cliente. E qui, davvero, la cosa diventa barzelletta per la ricerca che non trova mai fine ed il cliente si sapzientisce.
Quando la Tua azienda capirà che è meglio far fare ai venditori il loro mestiere, probabilmente tornerà ad essere contenta dei risultati. Ma se non lo capisse, ascoltami: trovaTi un'altra azienda meno innovativa ma ancora disposta a credere che una trattativa vive sul dialogo.
Ciao

giovedì 19 giugno 2008

Argomentazioni

Agostino L. Napoli
“Illustrissimi Signori,
è vero che nella vendita bisogna stare attenti alle parole ed ai modi sbagliati di parlare? E che cosa significa modo sbagliato di parlare? Vi ringrazio per la risposta perchè sto iniziando come venditore e non voglio farlo male”

Caro Agostino,
grazie per quel “illustrissimi signori” molto partenopeo. Si, ci sono modi sbagliati di espressione, nella vendita, come in ogni altra situazione. Vi sono numerosi testi che presentano questi errori, più comuni di quanto non si possa pensare. Direi anzi che la quasi totalità dei venditori sbaglia nell'esprimersi e lo fa paradossalmente per apparire più vero e sincero. Se si vende dicendo che il prodotto è il migliore che ci sia, si ha paura di apparire arroganti e poco credibili e quindi, si tende a sminuire un pochino il tutto pensando che dall'altra parte si dica “ è corretto, non finge di vendere chissà cosa. Sta coi piedi per terra....ecc..ecc...”
In realtà, chi vende deve usare un linguaggio sicuro perchè chi acquista, anche se non sembra, vuole sentire cose certe; vuole pensare d'acquistare il meglio anche se magari sa benissimo che così non sarà. Insomma, nel gioco delle parti, accetta le bugie o almeno le esagerazioni perchè sa che fanno parte della vendita. Se quindi qualcuno parte già riducendo il valore di ciò che offre, la percezione di chi acquista sarà che il prodotto offerto vale ancor meno. Frasi come: “tutto sommato questo è un buon prodotto” significa che c'è qualcos'altro che non viene detto? Perchè usare quel “tutto sommato”? Un altro modo sbagliato tipico è: “ generalmente i miei clienti sono soddisfatti di questo prodotto....” Perchè generalmente? Allora vuol dire che ce ne sono altri che non lo sono! Altri esempi ancora sono quelli che contengono i termini “normalmente”. “Normalmente io vedo che questo prodotto non si rompe.” (vuol dire anche che questo accade non sempre e quindi può rompersi) oppure la parola “credo”. “Credo che si troverà contento d'aver comperato” (perchè credo? E' come dire che comunque non ne siete certi).
Riesco Agostino a farmi comprendere? Io Ti ho presentato alcuni modi sbagliati, usati per presentare i prodotti, con la certezza di non vendere. Gli esempi possono continuare. Ecco perchè nella vendita occorre sempre preparare le argomentazioni; studiarsele e verificarsele. Basta poco per mandare all'aria tutto. RicordaTi: chi acquista vuole certezze. Se gli si passano dubbi, non lo fa.
In bocca al lupo.

mercoledì 18 giugno 2008

Capire il cliente

Franco A. (loc. n.c.)
“Ho letto la risposta che Lei ha dato a Mariella di Modena. Mi ci sono rispecchiato perchè sono nella stessa situazione. Ciò che ha detto è veramente vero perchè da qualche giorno sto cercando di metterlo in atto e vedo con mia sorpresa, che il dialogo è diverso.
Allora, Le chiedo di dirmi qualcosa di più, se qualcosa di più c'è da dire. Insomma, visto che sto imparando, sono assetato”

Calma Franco,
mi segua sempre e potrà dissetarsi. Visto che me lo chiede, torniamo sull'argomento e cerchiamo di approfondire ulteriormente.
Per chi magari non avesse letto la richiesta di Mariella e la mia risposta, dirò che stiamo parlando della tecnica di assumere gli atteggiamenti ed i modi di fare del cliente per entrare in quella sintonia che permetta una maggiore comprensione.
Per approfondire Le faccio un esempio banale ma immediato.
Nel periodo del corteggiamento o dell'innamoramento, le persone tendono a RISPECCHIARSI NEL PARTNER ovvero, cercano di trovare ogni possibile PUNTO IN COMUNE CHE PERMETTA DI ANDAR DACCORDO E DI PROSEGUIRE UNA SITUAZIONE CHE E', IN QUEL MOMENTO, INDUBBIAMENTE FELICE.
(ho scritto in maiuscolo i punti che vanno meglio memorizzati).
Bene. Credo che anche Lei avrà avuto modo di trovarsi nella situazione sopra descritta ed ora, se ci pensa, vedrà che è vero. Quando siamo innamorati, tutto va bene. Guardiamo ciò che fa il partner e lo copiamo; ascoltiamo ciò che dice e lo seguiamo; ci vanno bene i suoi hobby; la sua cucina, insomma, non c'è nulla che non sia perfetto. E' proprio così? Non sempre purtroppo, ma in quel momento in modo naturale e un po' ruffiano, sappiamo che seguendolo sul suo terreno otterremo di proseguire la storia che ci piace.
I matrimoni perfetti hanno avuto o hanno sostanzialmente alla base la volontà di entrambi i coniugi di CAPIRE L'ALTRO; DI IMMEDESIMARSI NELL'ALTRO, RISPECCHIANDONE I COMPORTAMENTI ED I PENSIERI.
Questo stesso rispecchiamento è molto importante nel lavoro di vendita. Poiché per vendere qualcosa, un oggetto come un'idea, occorre operare nella logica delle cose che UNISCONO, cercare di rispecchiarsi in lui e nei suoi modi di fare, mostra al cliente che gli SI E' VICINO E CHE LA PENSIAMO COME LUI.
Rifletta su questo punto:
“NOI TENDIAMO AD APPREZZARE SEMPRE, CHI CI ASSOMIGLIA E CHI LA PENSA COME NOI.”
Il cliente non è da meno. E' una persona che tenderà ad apprezzare ed ad andar d'accordo con chi la pensa come lui. Quindi, se vedrà in noi questa figura, vedrà anche in noi il PARTNER IDEALE DEI SUOI AFFARI.
Le auguro buoni affari.

martedì 17 giugno 2008

Che lavoro fare?

Gianfilippo B. (loc. n.c.)
“ho terminato lo scorso anno l'università. Dopo un periodo di vacanza mi son messo a pensare quale fosse l'occupazione per me più idonea. Ho vagliato varie strade ma ad un certo punto trovo qualcosa che mi fa dire che quella non sarà una strada che potrà darmi soddisfazione.
Sono in un vicolo cieco. In realtà non ho una vera e propria passione per l'indirizzo che la laurea mi ha dato. Più che altro mi sono affidato alle sensazioni dei miei genitori. Che devo fare?”

Caro Gianfilippo,
ho ripetuto sino alla noia che la scuola e quindi anche l'università è la base di una maggiore cultura personale ma non certo una sicurezza per il mondo del lavoro. Nel Tuo caso poi, addirittura peggio. Tu non trovi interesse nemmeno per ciò che riguarda il Tuo indirizzo di studi. Figuriamoci!
Se devo essere sincero, ciò che scrivi (e che ho riassunto molto) mi lascia intendere che comunque la voglia di lavorare per Te non è impellente. Ti sei guardato intorno ma se ci si guarda attorno senza voglia, non c'è nessuna professione o lavoro che va bene. Sappi che la voglia non Ti salta addosso e se anche fosse, forse Ti scanseresTi.
Ad ogni modo, non voglio essere più duro di quanto già non sia stato. Che fare per non poltrire?
Rifletti ancora un po', ma veramente! Lascia stare gli studi e la laurea e prova a pensare a ciò che potrebbe davvero piacerTi. Spesso non è quello per cui ci si è preparati. Magari è un lavoro semplice, senza impegno intellettuale oppure è un lavoro in cui ciò che conta è non avere responsabilità.
Molti svolgono lavori semplici, anche part time, perchè ciò li fa sentire liberi e senza vincoli.
Non dico che questa sia la scelta migliore. Personalmente la scarterei ancor prima di pensarla, ma non tutti fortunatamente sono simili.
Ho conoscenti plurilaureati che hanno deciso di fare i pescatori (proprio in mare) e sono felicissimi della scelta fatta anche se è pesantissimo. Altri hanno scelto la vita di campagna.
Come dico sempre: è preferibile fare ciò che si sente di fare piuttosto che ciò che altri vorrebbero si facesse. La vita è una sola ed è giusto non sprecarla a rimpiangere di non aver intrapreso quello che si desiderava. Anche perchè, credimi, se si fa ciò che si desidera, il lavoro non sarà mai pesante e darà sempre soddisfazioni.
Scrivi su un foglio, di getto, appena letta questa risposta, i lavori che non Ti sembrano brutti. Datti poi dei paletti come per esempio: non voglio lavorare di notte oppure, non voglio starmene al chiuso od anche, voglio arrivare ad avere un'attività mia ecc...ecc.... Pensa ciò che alla fine vorresti divenire. Scrivi fin che puoi. Poi incrocia i primi lavori che hai scritto con i paletti che Ti sei dato. Qualche mansione si eliminerà da sola. Ma probabilmente le prime scritte sono proprio quelle che, anche se riflettendo non sembra, sono più adatte a Te e dove forse i paletti che Ti darai saranno meno vincolanti.
RicordaTi che la vita corre e gli anni passano.
Ciao
.

lunedì 16 giugno 2008

Organizzazioni

GianRoberto A. Pomezia
“non ho veramente un problema da sottoporre ma vi ringrazio per quello che fate. Oramai ho eletto il vostro blog come preferito ed è la prima cosa che leggo il mattino. Se tutti i lavoratori lo facessero, le cose forse andrebbero meglio. Fate qualcosa per renderlo più famoso. Io lo dico ai miei amici ma troppi ancora non lo conoscono. Sono invece convinto che le cose che dite, più in tanti siamo a conoscerle e meglio agiremmo anche noi. Veniamo al dunque. Giorni fa abbiamo avuto un meeting nazionale dell'azienda a cui hanno partecipato venditori e impiegati. Sono stati illustrati gli andamenti ed i programmi. Io opero nel marketing come Senior Product Manager e, dentro di me, mi vanto per come il nostro gruppo da tempo stia portando risultati ottimi all'azienda. A questo va aggiunto un buon lavoro delle vendite. Nel meeting sono state spese, da parte dell'Amministratore Delegato molte parole di lode per il Direttore Generale che sta ottenendo grossi risultati. Alla fine, qualcuno ha detto grazie anche a tutti gli altri”

Eh si, caro GianRoberto, le cose nel mondo, a volte, vanno proprio così. Bravo Tu, bravo quell'altro (purchè ai livelli massimi della gerarchia aziendale) e poche parole per gli altri. Che gaffe, dovremmo dire! Che tristezza, aggiungo io. Il fatto è che tutto viene dato per scontato e la capacità a motivare i collaboratori spesso non è propria degli Amministratori Delegati. Ma accidenti, qualcuno che avrebbe dovuto avere la forza di dirlo..
Comunque, inutile ricamarci sopra. Sai cosa devi fare? Voi del marketing preparateVi un bel cartello da incorniciare e mettere in ufficio. Sul cartello scrivete solo: Non esiste un grande Capo senza grandi Collaboratori.
Chissà che qualcuno, passando da Voi, vedendolo, non rifletta. In realtà nessun Capo può rimanere al Suo posto e divenire grande se non ha sotto di sé dei collaboratori all'altezza. Può essere un genio ma se sotto non ha materia prima...ha poco da fare. Qualcuno di cui non faccio il nome, un giorno disse che anche Michelangelo se invece di ottimo marmo avesse avuto solo argilla, sarebbe stato un semplice vasaio.
Diciamo che se tutta l'azienda va bene e se i risultati sono stati ottimi, potete andarne fieri dentro Voi stessi.
Saluti.

domenica 15 giugno 2008

Capire il cliente

Mariella N. Modena
“sto iniziando un'avventura di vendita nel settore della moda. Tutto mi affascina e sono molto entusiasta. Malgrado questo ho il timore di non riuscire a capire chi ho davanti e, proseguendo, chi avrò davanti.
E' una brutta sensazione che per fortuna non mi ferma ma che mi lascia qualche dubbio. Esiste un modo per cercare di superare questo problema?
La ringrazio della risposta e anche se lo hanno detto in tanti, complimenti per questo sito che visito regolarmente e mi piace perchè davvero dà risposte”

Gentilissima Mariella,
continui La prego la Sua avventura con quell'entusiasmo che sento nelle prime righe della Sua lettera.
Non se ne faccia un cruccio del problema su cui chiede se esiste soluzione. Sono certo che quando si ha entusiasmo, le soluzioni vengono spontanee. Tuttavia, per questo caso, se proprio vuole, dobbiamo un po' chiedere aiuto alla ormai solita Comunicazione.
Nello specifico caso mi sento di suggerirLe tre punti fondamentali, quando è davanti ad una persona (o cliente)
abbia chiari gli obiettivi di ciò che vuole raggiungere
osservi bene chi ha di fronte
cerchi di rispecchiarsi in lui (al massimo)
Si dia degli obiettivi, sempre. Senza obiettivi, come ho detto fino alla noia, non si arriva da nessuna parte e soprattutto non li si raggiunge.
Poi, si concentri essenzialmente sulla persona con cui parla e non su se stessa. Tendiamo spesso a concentrarci su noi; su quello che dobbiamo dire e come lo diciamo, sempre per la solita pura di sbagliare e di far brutta figura. In questo modo, perdiamo il contatto con chi ci è di fronte.
Osservi quindi bene la persona (il cliente). L'espressione che ha; il tono di voce,lo sguardo, il modo di respirare, di gesticolare. Se Lei si abituerà ad analizzare queste cose, entrerà subito in sintonia. All'inizio non sarà facile e ci metterà qualche tempo; poi tutto verrà in modo semplice ed automatico. Solo analizzando questi comportamenti capiremo se chi abbiamo davanti è d'accordo con noi totalmente, in parte oppure è in disaccordo.
Infine, dopo quest'analisi che Le porterà via qualche secondo, deve “rispecchiarsi” in lui. Ovvero, deve porsi al suo stesso livello. Cerchi di parlare come lui, secondo i suoi ritmi; con i suoi gesti, le sue espressioni ed il suo tono di voce. Non sarà difficile, assolutamente e vedrà che Le verrà quasi automatico.
In pratica occorre che il cliente si rispecchi in noi, sentendosi a proprio agio. E questo accade quando il cliente vede che chi ha di fronte è come lui. Non ad un altro livello; non una persona che se la tira; non uno che fa pesare d'essere magari superiore.
Mi sappia dire.
Cordiali saluti

giovedì 12 giugno 2008

Rapporti tesi

Luisella B. Vercelli
“......non capisco come poter uscire da una situazione di difficoltà che si è venuta a creare nell'ambiente di lavoro. Mi spiego per darVi tutti i riferimenti. Sin dall'inizio il mio capo che è poi il padrone dell'ufficio dove lavoro, ha avuto nei miei confronti un rapporto gerarchico esclusivamente basato sul dare ordini. Fai questo, fai quello, tieni ferma quella cosa; hai sbagliato a rispondere così; non preoccuparti, fai come ti dico....
Insomma, devo lavorare e non posso dire nulla. Eppure, se capisco, anch'io dovrei poter dire ciò che penso. Non mi va di andare in ufficio il mattino per ricevere solo ordini sino a sera.....”

Cara Luisella,
ho letto bene la Tua lettera. Credo vi sia alla base una grande confusione dei ruoli, dei doveri e dei diritti. Tu sei al primo impiego. Non hai mai lavorato e questa è un'opportunità che, affermi, Ti piacerebbe se non ci fossero questi problemi.
Posso comprendere che forse il Tuo Capo stia sbagliando nel modo di esprimersi, ma Tu però non tieni conto di non avere esperienza e d'aver necessità di imparare tutto di quel lavoro. Forse in lui, oltre che un atteggiamento paternalistico, c'è anche quello di un imprenditore che deve far comunque proseguire bene il business e quindi, anche se in modo brusco, fa che questo avvenga.
Probabilmente rivedi nei suoi atteggiamenti quelli di Tuo padre “non fare quello; tieni fermo; non rispondere così....” sono apertamente comportamenti paternalistici che non possono portare ad una crescita del collaboratore. D'altro canto, però, cara Luisella, credo che essendo Tu al primo impiego, forse occorra una maggior pazienza e soprattutto una certa dimistichezza con i problemi, per poter intervenire e dire la Tua. Non pensi? Allora, fai così: ripromettiTi di passare almeno sei mesi con l'obiettivo di comprendere appieno come funziona l'ufficio, il Tuo ruolo e ciò desidera il Tuo Capo Poi sfida Te stessa al gioco del “secondo me lui vorrebbe che io agissi così”. In altre parole, prima di fare qualcosa pensa a come lui vorrebbe Tu agissi. Poi fallo. Vedrai che, comprendendo lui, capirai anche che forse sta agendo come agisce solo perchè sa che sei nuova e che quindi “deve guidarTi”. Man mano che Tu migliorerai e prenderai coscienza delle cose da fare e di come ci si deve comportare in ufficio, sono certo che la sua pressione diminuirà. Anche essere sempre presenti sui collaboratori è uno sforzo non da poco e appena uno può, se è intelligente ed aperto, smette di farlo. Se non lo fosse, nel frattempo Tu avrai fatto un po' d'esperienza, avrai capito come ci si deve comportare e quindi potrai, con calma, cercare un'altra occupazione.
Come sempre però devo dirTi che non devi mai pensare che un altro ufficio sia la soluzione ideale. Ogni ufficio ha le proprie difficoltà. Quando le persone vengono messe assieme per lavorare, è inevitabile che nascano situazioni di disaccordo. Sta proprio a noi, credimi, stemperarle, alzare le spalle e non farci caso.
Ciao.

mercoledì 11 giugno 2008

Organizzazioni

Città del nord
“da poco in un'azienda nella posizione intermedia di XXXXXX mi sono trovato in una situazione che probabilmente non ho saputo ben gestire e quindi...mi sono ritrovato a spasso. E' successo che ho scoperto alcune cose che non andavano bene, secondo me, Colto dall'intuizione che forse la cosa poteva essere l'aggancio per essere ben visto, ho fatto una relazione e l'ho consegnata al direttore generale. Pensavo di venir chiamato ed essere premiato, invece sono stato chiamato, mi hanno fatto i complimenti ma mi hanno anche detto che comunque non avrebbero potuto tenermi perchè la cosa sarebbe stata imbarazzante. Sono stato ampiamente pagato nei miei diritti ma mi hanno mostrato la porta, assieme al capo di cui avevo scoperto gli altarini. Posso capire cosa c'è dietro a queste decisioni?”

Si, caro M. puoi saperlo e Te lo dico. Nessuna organizzazione può permettersi di avere al proprio interno collaboratori, pur onesti e ligi al dovere, che però non rispettano le gerarchie. Mi spiego meglio. Tu hai scoperto qualcosa che non andava e, anche un po' furbescamente, devi ammetterlo, hai visto nell'azione di dirlo al Capo supremo, la possibilità di fare un passo avanti. Nelle organizzazioni però, vige una sacrosante regola che è di non scavalcare il proprio Capo, per qualsiasi motivo. Qualunque cosa ci sia da dire, la si dice proprio a lui, anche se lo riguarda, ma non si scavalca. Se la persona è nel giusto, deve avere il coraggio di parlare francamente. Se non l'ha, è meglio che lasci perdere. L'azione di scavalcare il Capo per riferire ad altri più gerarchicamente in alto, pone le strutture nella situazione di non potersi fidare del collaboratore. Se si accetta una volta che la persona scavalchi le gerarchie, si accetta che potrebbe farlo nuovamente e questo può creare instabilità nei gruppi di lavoro. Tieni presente che è proprio la stabilità, nel bene o nel meno bene, che fa andare avanti un gruppo. Se le regole vengono stravolte, viene a mancare la sicurezza. Tutti potrebbero sentirsi in dovere di dubitare di altri; potrebbero ritenere che raccogliere prove di qualcosa di non giusto porta alla possibilità di fare carriera e quindi il gruppo andrebbe allo sfascio, con le persone intente a spiarsi anziché collaborare.
Quando si presentano queste situazioni, di norma, a chi ha commesso qualcosa viene dato il benservito, ma purtroppo viene fatta la stessa cosa anche con chi a fatto accadere la cosa perchè quella persona, pur onesta e corretta, non riuscirebbe più a trovar posto nel gruppo.
Sappi che in un gruppo di lavoro, c'è sempre qualcosa che può non essere perfetto. E sapere d'avere un controllore che in qualsiasi momento può destabilizzare tutto il lavoro, non piace a nessuno.
Vedi, caro M., Tu non hai pensato che magari il Capo supremo poteva benissimo essere a conoscenza di quello che accadeva, come molto spesso è, ma che per motivi organizzativi, tacesse tenendo sotto controllo la situazione. Se chi è a capo di un'organizzazione dovesse ritenere che un dipendente fa qualcosa di non corretto ma è comunque un validissimo elemento, utile al gruppo ed in quella posizione, può anche decidere di soprassedere e fingere di non vedere. Nel momento però in cui qualcun altro scopre la cosa e la rende pubblica, non può più fingere e quindi deve prendere decisioni. Ti renderai conto però che la decisione crea un'improvviso disequilibrio nella struttura. Quindi, se ci si deve liberare di quella persona, lo si deve fare anche con l'altra; ricreando poi una nuova struttura che magari non funzionerà bene come la prima. Paradossalmente può anche accadere che la persona accusata, pur colpevole di qualcosa, non venga rimossa proprio in quanto altamente utile per capacità mentre invece chi ha cercato di uscire dalle regole della collaborazione, andando a riferire, viene allontanato per paura che un domani lo rifaccia.
Nel Tuo caso il Capo supremo, ha optato per la prima decisione. E' nella norma.
Vedo comunque che, tutto sommato, hai capito che forse non dovevi fare quell'errore (anche perchè c'era dietro un po' di cattiveria, di astuzia e di ambizione da parte Tua). Sognavi il colpaccio. E' andata male. Prendila come esperienza.
Ciao

martedì 10 giugno 2008

Lamentela

A.A. (loc. sconosciuta)
“Dite di svelare i segreti del successo ma poi non dite nulla”

Caro A.A.
Io non dirò forse nulla ma Tu non dici nemmeno come Ti chiami. Sappi però che io rispondo a ciò che mi viene chiesto (credo d'averlo già detto un'altra volta). Se le domande sono tendenzialmente su aspetti di comportamento, a queste rispondo.
Perchè non provi Tu a farmi domande dirette su qualcosa di preciso? Vedrai che Ti risponderò. O preferisci star zitto e leggere solo quello che chiedono altri?
Forza!

lunedì 9 giugno 2008

Cerco lavoro?

Mauro N. Roma
“Devo trovare un lavoro. Io non so cosa fare. Mi sto guardando attorno ma non vedo cose giuste per me. Mi hanno parlato anche di Ikea e del fatto che è una buona scuola. Un giorno sono andato all'Ikea ed ho guardato per bene quelli che vi lavorano. Li ho visti sudati, indaffarati, stanchi e non ho proprio capito perchè uno debba lavorare in quel modo. Se quella è una scuola, figuriamoci gli altri lavori. Io vorrei qualcosa di diverso. Sono al terzo anno di università......”

Mio caro Mauro,
ho ridotto la Tua lettera perchè il succo di quanto scrivi sta tutto in queste poche righe. Il resto è solo un tentativo di scusare la Tua propensione a non fare proprio nulla.
Devo darTi atto che almeno sei sincero e lo ammetti, magari inconsciamente. Sei andato all'Ikea per guardare chi ci lavora e vedere se avevano visi allegri o no. Se erano stanchi o meno. Non credo che le scelte debbano essere fatte sulle facce degli altri. Lo si può fare se, come Te, non si cerca lavoro ma la scusa per non lavorare.
Sei al terzo anno di Università; dici che i Tuoi ne hanno un po' piene le tasche di mantenerTi a gironzolare tutto il giorno; sei un po' fuori corso e la Tua preoccupazione è di vedere se a lavorare si suda! Non credo d'essere una Cassandra nel pronosticare che anche dopo l'eventuale laurea (a meno di una improvvisa maturazione) Tu avrai problemi a trovare lavori in cui il metro di valutazione sia dato dal sudore o la faccia non stanca.
Io sono arrivato, Mauro, a fare ciò che probabilmente volevo, dopo numerose esperienze. Ora che mi ci fai pensare devo dire che sudavo eccome; mi arrabbiavo eccome, mi stancavo anche, ma ogni giorno era un giorno nuovo in cui dovevo e potevo costruire qualcosa in più; un tassello da aggiungere a ciò che avevo fatto, per andare oltre. E da questo traevo una grande motivazione che non mi faceva pensare al sudore ed alla stanchezza..
La gioia arrivava ogni volta che potevo raggiungere un seppur piccolo obiettivo che m'ero dato ed in quel momento me ne davo un altro un po' più ambizioso e sudavo e faticavo per raggiungerlo. E così via. Oggi, se ci ripenso, ho addirittura nostalgia di quei giorni, di quelle esperienze, degli errori e dei successi; degli obiettivi raggiunti e della rabbia per quelli non fatti e, sempre ripensandoci, la stanchezza, il sudore e l'essere indaffarato non mi è mai pesato. Sai perchè? Perchè avevo un obiettivo: il lavoro era un mezzo per raggiungerlo. Non lavoravo per riempire la giornata; non passavo le ore nella speranza che arrivasse prima la sera (non c'erano orari da statale e le ore non le contavo).
Il mattino anticipavo sempre il più possibile l'inizio del lavoro per non perdere nulla; per far si che la giornata durasse di più e chi lavorava con me, senza che mai abbia io detto qualcosa, comprendeva la passione che io mettevo e lentamente seguiva l'esempio.
Non credo d'essere mai stato una mosca bianca; diversi erano come me: quelli che sono riusciti in ciò che volevano.
Non esiste lavoro che sia in assoluto premiante ed un altro che non lo sia. Non esiste lavoro stancante o meno. Esiste un approccio mentale che permette di vedere bellissimo, appassionante ed intrigante qualsiasi lavoro, magari anche umile. Però quest'approccio, che può essere insegnato, vale poco se dall'altra parte c'è qualcuno che cerca di vedere negli occhi degli altri se un lavoro potrà essere bello o meno per sé.
Credo che Ikea sia davvero una grande scuola, per pochi mesi o per tanti. Faticoso lavorarci come può esserlo ogni altro lavoro se non ci si mette l'impegno e non si ha un obiettivo, ma anche bello se lo si approccia con lo spirito giusto.
Potrei andare avanti molto caro Mauro, ma devo finire qui. Potessi, un'esperienza all'Ikea la farei volentieri e forse riuscirei a far lavorare meglio e col sorriso anche quelli che hai visto sudati e stanchi.
Il problema non è quindi dove lavorare o cosa fare ma avere idee chiare su se stessi e sul proprio futuro.
Fatti una chiara domanda : “ma a me piace lavorare? Ne ho voglia?”
Tutto qui. Se le risposte sono entrambe “si” qualunque lavoro va bene. Se sono due bei “no” credo che i Tuoi genitori avranno loro da sudare per Te.
E, Ti prego, non rispondere “a me piacerebbe lavorare ma facendo altre cose” perchè questa risposta non è valida.
Ciao

domenica 8 giugno 2008

Comunicazione

Roberto B. Udine
“faccio il venditore. Non credo di essere un cattivo venditore dai risultati che ottengo, Ho alcune difficoltà come ce le hanno tutti ed alcuni possibili clienti da cui vado malvolentieri, anche se devo andarci, perchè so già che tutto quanto dirò sarà scarsamente valutato ed alla fine non vien fuori niente.
Mi sono sempre chiesto perchè con alcuni va tutto bene e con altri possibili clienti, anche ad offrire la luna, non si riesce ad entrare. Secondo Lei c'è un motivo?”

Si, caro Roberto,
il motivo c'è, anzi ce ne sono più d'uno. Possono essere definiti come “blocchi” che impediscono di stabilire una buona comunicazione che sta poi alla base della vendita.
Ti parlo di quello che è forse il più importante ed il più classico: la resistenza al cambiamento.
Saprai senz'altro che ognuno di noi è, per certi versi, un po' prigioniero delle proprie abitudini. Pensaci e vedrai che anche Tu hai abitudini a cui non rinunci. Sono quasi dei riti che ci fanno sentire meglio quando li attuiamo.
Preferiamo non cambiare le abitudini che abbiamo perchè, in un certo senso, esserne prigionieri, ci rassicura. Grandi parti delle nostre attività quotidiane le svolgiamo in modo quasi automatico secondo un nostro personalissimo rituale. Ci si alza in un certo modo, ci si prepara seguendo una prassi che conosciamo perfettamente e che non cambiamo mai; facciamo gli stessi gesti e ci prepariamo al lavoro con le stesse modalità. Gli americani definiscono questo stato di situazioni consecutive identiche come “habit channels” ovvero una serie di abitudini che seguono perfettamente identici canali in cui ci infiliamo.
Pensaci e vedrai che quando Ti prepari ad uscire, fai gli stessi movimenti e gli stessi gesti da sempre. Ti pettini in un certo modo meccanico; Ti controlli sempre nello stesso modo, esci da casa seguendo regole non scritte e volute ma che fai automaticamente. Quando leggi il giornale avrai le Tue abitudini sul come tenere il foglio o come piegarlo ( e lo farai sempre) e quando vai al bar agirai sempre nello stesso modo: prima mangi il cornetto e poi il caffè o viceversa, ma sempre nell'ordine prestabilito che hai in Te.
Ecco: con l'andar del tempo tutti sviluppiamo una personale preferenza ad alcuni gesti. Agiamo secondo un copione che nessuno ci ha mai detto di seguire ma che noi seguiamo. La stessa identica cosa avviene nella mente. Agiamo in un determinato modo perchè riteniamo che vada meglio di altri; ovvero ci convinciamo o ci siamo ormai già convinti che agendo in una determinata maniera, sappiamo per esperienza che le cose andranno meglio; sarà tutto più facile e che, così facendo o pensando, risparmieremo tempo o danaro.
Ebbene, il cliente non è nient'altro che una persona come Te. Anche lui ha le sue abitudini; i suoi modi di pensare; le sue manie e le sue sicurezze da ricercare anche durante i rapporti e gli incontri con i fornitori.
Se Tu preferisci (come me e come tutti) agire nello stesso modo; pensare nel modo che più ci rende sicuri, dovresTi ora capire che anche per il cliente è uguale.
Tu non riesci ad entrare presso alcuni clienti molto probabilmente perchè sono ancor più abitudinari della media. Hanno fornitori acquisiti; si fidano del rapporto; sanno di non aver aver problemi; insomma, vivono una situazione che dà loro gradevole sicurezza. Cambiare vorrebbe dire stravolgere le abitudini e quando tutto va bene; perchè farlo?
Ecco spiegato perchè con alcuni clienti trovi difficoltà. Puoi cambiare queste abitudini? Forse, ma è difficile. Il consiglio che Ti do è di non interrompere mai la visita a questi clienti. Porta loro notizie di mercato; informazioni su prodotti, facendo capire che li visiti anche se non acquistano, perchè ritieni di dar loro un servizio che utile. Quando si renderanno conto di non trovarsi davanti a qualcuno che vuole minare le loro abitudini, lentamente acquisiranno fiducia e potrebbero decidere che di Te ci si può fidare anche come fornitore. Ma è una svolta che deve venire da sola e verrà quando il cliente, vedendoTu, penserà: “che bravo ragazzo. Non acquisto e viene sempre a trovarmi, con gentilezza. Mi porta informazioni e non fa pressioni”
Sono riuscito a farmi capire?
Ciao

giovedì 5 giugno 2008

Creatività

AnnaMaria B. Livorno
“...io non credo d'essere adatta al mondo del lavoro. Sto facendo una fatica enorme cercando di resistere in un team. Capisco che ognuno di noi debba portare il proprio contributo di lavoro e questo lo faccio ma quello che non riesco è portare qualcosa di nuovo. Non so se riesco a spiegarmi. Giorni fa siamo stati coinvolti in una riunione in cui la dirigenza ci ha chiesto di portare innovazione, idee, cambiamenti. Ci siamo un po' guardati in faccia. Abbiamo ovviamente risposto di si (non potevamo dire di no) e poi, terminata la riunione, le reazioni sono state:
ci vogliono eliminare
vogliono che le dimissioni vengano da parte nostra
abbiamo finito il nostro periodo in quest'azienda
cosa cavolo possiamo portare di nuovo
che cambiamenti possiamo fare
Queste sono state le reazioni. Io non ho parlato perchè sono l'ultima arrivata, ma se lo facessi non saprei che dire. Secondo Lei cosa significa una riunine del genere e cosa ci si aspetta da un gruppo come il nostro?....”

Gentilissima Dottoressa AnnaMaria,
tiro un sospiro, allargo le braccia eppoi Le rispondo. Io credo che la Vostra Dirigenza Vi abbia chiesto semplicemente un po' più di mordente; un po' più di innovazione in quello che fate e, buon ultimo, un po' più di creatività. Il Vostro gruppo ha mai sentito questa parola? Penso proprio di si. Non è questo un termine che va solo sentito ma anche messo in opera, soprattutto nel lavoro che Lei fa.
L'azienda ha dovuto per certi versi richiamarVi all'ordine, facendoVi capire che si aspetta da Voi qualcosa di extra, ovvero di normale.
Se devo schiettamente dire come la penso, dico anche che le reazioni avute dal gruppo dopo la riunione, reazioni che Lei mi riporta, sono demoralizzanti. Io non lavorerei in un gruppo simile, ne lo vorrei in azienda. Ha letto bene? Cinque reazioni assolutamente negative, prive di ogni possibile apertura mentale, improntate al non cercar di vedere al di là del proprio naso.
Lei vive in un team di pessimisti riuniti e forse, mi scusi lo è anche Lei.
Poiché però Lei mi chiede aiuto, vuol dire che pur non “vedendo” molto in là, sente d'aver bisogno di una mano. Forse non è negativa del tutto ma solo una persona poco ottimista in un gruppo di distruttivi. Mettiamola così.
Allora, parliamo un attimo di creatività. Forse la cosa che ho più apprezzato nei collaboratori per tutta la vita svolta nelle organizzazioni è stata la creatività. Non mi interessava la cultura, l'esperienza e la conoscenza. Tutte cose che vengono col tempo. Quello però a cui sono sempre stato attento è stato proprio il cercare di contornarmi di persone creative o che, capendole, intuivo la possibilità di svilupparla in loro.
Vede AnnaMaria, non esiste grosso problema che non possa esser superato con una buona dose di creatività. Essa aiuta anche ad agire con calma, perchè mentre si pensa ad una soluzione creativa per un problema, si è obbligatoriamente calmi. Molte situazioni imbarazzanti e difficili si superano con un pizzico di creatività; molti prodotti in azienda abbisognano di appoggi creativi per essere lanciati; le informazioni alle vendite, più sono creative e meglio vengono recepite; le gare per i venditori perdono mordente se dietro non c' è uno studio creativo. La creatività è innata in alcuni ma la si può imparare. Vi sono tecniche che se vorrà Le suggerirò. In questo momento posso dirLe questo. Il pensiero laterale (una tecnica che aiuta la creatività) dice di scartare sempre la prima soluzione che viene in mente quando devi risolvere un problema. Perchè la prima soluzione è la più ovvia, la più banale e certamente la meno creativa. Si deve allora, dopo aver scartato questa ipotesi di soluzione, pensarne ad un'altra. Forse anche questa andrebbe scartata per trovarne una terza. Insomma, la creatività la sviluppi e la migliori, togliendo le banalità per arrivare ad altre soluzioni. Provate, Lei ed i Suoi colleghi, a metterVi attorno ad un tavolo. Usate una sala non disturbata e che nessuno venga a chiederVi che fate. Mettete sul tavolo un problema (uno qualsiasi) e quindi cercate la migliore soluzione. Ognuno deve dire la Sua, senza problemi. E' una specie di brainstorming semplificato ma, inizialmente è più che sufficiente. Vedrà che dopo un po', quando uno di Voi dirà quella che secondo lui è la soluzione, un altro lo correggerà su qualcosa dando il proprio parere. Un terzo aggiungerà qualcosa e così via. Ci sarà un momento in cui vi troverete d'accordo nel dire che avete trovato quella che secondo Voi è la migliore soluzione. L'analisi di un altro problema non va fatto subito in quella sessione. Un problema per volta, quindi.
Ed ora una raccomandazione che vale per Lei ma anche per tanti giovani che magari leggono questa lettera.
Non importa il lavoro che Vi troverete a fare. Qualunque esso sia però, ricordateVi di approcciarlo creativamente. Sarà tutto più facile, più entusiasmante, più divertente. I bambini, che non hanno ancora incrostazioni mentali dovute al condizionamento della vita, esprimono il massimo della creatività con una facilità che lascia stupiti. Basta seguirli nei loro giochi per rendersene conto. A volte ci danno spiegazioni creative su quello che stanno facendo che, se fossero usate nell'ambito del lavoro, varrebbero chissà cosa. Noi tutti dobbiamo riflettere. La creatività la si può mettere in qualunque lavoro, come nel gioco.
Cerchiamo quindi di essere nel lavoro, giocosi e creativi tanto quanto sono seri i bambini nel gioco.
E per carità, non mi scriva più “cosa ci si aspetta da un gruppo come il nostro” perchè mi verrebbe voglia di risponderLe.
Cordiali saluti

mercoledì 4 giugno 2008

Grazie

Cinzia (loc. n.c.)
Buonasera,le scrivo semplicemente per farle i complimenti per il suo blog,ritengo sia utilissimo.cordiali saluti. Cinzia

Cara Cinzia,
spendiamo tante parole in altre cose che dirLe grazie per il Suo messaggio è il meno che possa fare.
Cordiali saluti

martedì 3 giugno 2008

Che lavoro fare

Mario M. Mantova
Grazie per questo blog che sto seguendo, leggendo tutte le risposte, anche quelle che non dovrebbero interessarmi. Vedo in ognuna qualcosa di molto utile indipendentemente dal lavoro. Mi sto addirittura prendendo nota di molti spunti che poi discuto con gli amici. Senza saperlo Voi state facendo formazione.
Se devo essere sincero oggi, con quello che sto imparando su questo blog, mi sento più sicuro di me stesso ed anche in diverse situazioni di studio, ne sono uscito bene grazie a concetti espressi da Voi.
Sto finendo gli studi e mi si presentano probabilmente diverse opportunità. Mio padre è un venditore. Lo fa da una vita ed il suo guadagno è buono. Lui non me lo ha mai chiesto ma probabilmente non mi dispiacerebbe intraprendere questa attività. Ho una sola domanda da porvi ed è la seguente. Poiché non so se ho la faccia tosta per presentarmi davanti ad altre persone e convincerle a comperare ciò che posso offrire, potrò ugualmente riuscire? E' difficile vendere? Grazie per la risposta.

Mio caro Mario,
Ti ringrazio per le cose davvero belle che scrivi e che, una volta tanto non ho tolto. Sapere che ciò che scrivo possa davvero essere utile anche a chi non aspetta quella determinata risposta, è motivo per proseguire (anche se spesso il tempo e gli impegni mi dicono di interrompere il proseguimento del blog). Per certi versi ciò che Tu leggi Ti serve come motivo di riflessione. E la riflessione è la base della formazione. Non è perfetta perchè la vera formazione avviene solo dialogando e scambiando opinioni (cosa che comunque pochissimi formatori fanno anche in aula).
Fai bene a prenderTi nota di ciò che ritieni possa esserTi utile. E' un po' come quando a scuola ci si annotava delle note che non erano presenti sui testi. Grazie ancora. Ma ora veniamo alla Tua domanda.
Ce la farai a vendere? Saprai presentarTi davanti a sconosciuti per cercare di convincerli?
Voglio dirTi una cosa: tutti vendiamo qualcosa, sempre e senza accorgercene. Partiamo dal concetto che “vendere vuol dire convincere qualcuno di qualcosa”. Tu pensi di non essere già un venditore? Noi vendiamo noi stessi ogni qualvolta parliamo con gli amici e vogliamo portarli sulle idee che abbiamo in testa. Pensiamo che un'auto sia migliore di un'altra e parlando, portiamo a vantaggio della nostra tesi argomentazioni atte a convincere chi ascolta. Non abbiamo un vero interesse eppure cerchiamo di farli pensare come noi. Questo è semplicemente l'atto del vendere. Quante trattative fai in un giorno? Pensaci e vedrai che sono moltissime. Ti do questo se mi dai quello. Vengo in discoteca se tu poi mi dai...; Non vedo perchè debba acquistare questo quando per me è meglio l'altro...; Piazzo su e.bay alcuni vecchi giochi e col ricavato mi compro.....
Insomma; ognuno di noi, dal mattino alla sera, vende ciò che pensa a qualcuno che non la pensa come lui.
La faccia tosta poi è un concetto da preistoria legato alla vendita. Non serve, anzi semmai è negativo. Nessun vero bravo comunicatore (o venditore che dir si voglia) ha la faccia tosta. I clienti non sopportano questi tipi che spesso risultano anche un po' arroganti. Il venditore migliore; quello che ottiene alla lunga i risultati, è sempre un timido, anche introverso che riesce proprio grazie a questa sua timidezza ad apparire sincero, vero e non invadente. I timidi sanno, quasi per rivalsa, essere più convincenti. Un po' come il concetto che di solito i clown sono persone tristi.
Non crearTi un problema che non c'è. Piuttosto, una sola raccomandazione. Non fare un lavoro di vendita solo sulla sensazione che potrebbe piacere a Tuo padre. Non so perchè ma da qualche parte del Tuo scritto, anche se non lo dici, mi sembra di sentire questa cosa. Ma se non è così e davvero potrebbe piacerTi questa strada. Non pensarci due volte.
Ciao

Periodo pensionistico

Luca d.V. (Rijswijk)
Per prima cosa permettetemi di presentarmi. Mi chiamo Luca d. V. sonoitaliano, residente in Rijswijk.Dal 1981 fino al 1997 ho lavorato in Italia con regolari versamenti di contributi per la pensione dianzianità.Dal 1997 lavoro in Olanda per una compagnia olandese che paga ovviamente qui imiei contributi per la pensione di anzianitàAttualmente ho xxxx anni, per cui il mio momento per andare in pensione e'ancora lontano. Ma gradirei conoscere le procedure e i documenti necessariper sommare il periodo pensionistico contributivo olandese a quelloitaliano.Ringraziando anticipatamente per il Vostro aiuto , porgo distinti saluti.

Gentilissimo Sig. Luca,
quando ci vengono poste domande che esulano dalle nostre specifiche conoscenze, preferisco sempre non dare risposte per evitare di creare false aspettative in chi scrive.
Questo è uno di quei casi.
Le problematiche relative agli aspetti fiscali e normativi non fanno parte della nostra esperienza di vita professionale. Ecco perchè, pur magari conoscendo alcuni temi, preferisco non dare risposte ma demandare ad altre fonti più autorevoli e certe.
Anche nel Suo caso, Luca, io la indirizzerei senza paura al sito INPS che potrebbe darLe informazioni sicure. Credo anche che nella Sua attuale città di residenza, un console o la stessa ambasciata nella capitale possa avere queste informazioni proprio perchè avrà avuto a che fare numerose volte con casi di lavoratori come Lei.
Il Suo caso poi è probabilmente da analizzare bene perchè dovrebbe, secondo le leggi italiane, lavorare ancora per un numero di anni che non credo Lei lavorerà. Non conosco le leggi Olandesi in tal senso e quindi davvero ritengo che una visita all'Ambasciata Italiana (o un contatto telefonico) sia più che necessario.
Sappia comunque che se Lei oggi si presentasse all'INPS, in Italia, per chiedere informazioni, Le risponderebbero di ripassare quando mancherà qualche mese alla pensione....
Il fatto è, e Lei lo sa, che le leggi e la normativa che regolano le pensioni sono soggette a cambiamenti, aggiornamenti e ritocchi continui. Si figuri se quanto detto oggi potrà valere fra qualche decina d'anni!!!
Vuole un parere? Senta pure l'apposito ufficio in Ambasciata poi, metta tutto in un cassetto e viva tranquillo. Ci ripensi davvero tra un bel po' d'anni, quando sarà il momento, e vedrà che le cose nel frattempo saranno cambiate ancora.
Se può, accantoni un po' di danaro e lo investa. Sarà l'unica certezza che Le farà vivere una vita dopo il lavoro.
Cordiali saluti.