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martedì 27 ottobre 2009

IL PROFILO DI UN BUON VENDITORE

Sotto il titolo “il profilo di un buon venditore” ha inizio una serie di riflessioni formative che, se sviluppate, formeranno coloro che sono interessati al tema. Questi scritti vanno presi come schizzi di preparazione di un quadro.

La tecnica che uso è quella a me molto cara: un racconto da leggere stando in poltrona, con tutti gli ingredienti per comprendere in modo davvero facile e divertente. Se vi appassionerà, sarete sulla buona strada.

Ultime righe della seconda parte
“ Beh! Su questo credo proprio di non aver nulla da imparare. Io sono un tecnico e queste conoscenze sono la prima cosa che esigo. Ogni articolo che è in concorrenza con noi viene analizzato nei minimi dettagli, anche da me. Vengono così passate tutte le informazioni che servono per chiudere i confronti che i clienti possono fare tra noi e gli altri”
“Questo lo credo; sono certo che sia proprio così. Sa una cosa? Mi viene in mente una situazione in cui mi sono trovato tempo fa. Dovevo acquistare una nuova auto e mi sono recato presso un concessionario....”

terza parte

I DUE VENDITORI
“...Ho trovato un venditore eccezionale; preparatissimo, sicuro di sé e di quanto diceva. Conosceva alla perfezione tutti i pregi dell'auto che volevo acquistare; li conosceva con una sicurezza che aveva dell'incredibile. L'auto era appena stata presentata dalla società produttrice e lui ne sapeva addirittura troppo. Per certi versi mi affascinava e dentro me ricordo che dissi: dovrebbe far parte della mia squadra! Mi aveva davvero convinto e quando glielo dissi mi rispose che avrei fatto l'affare della vita; che non c'era paragone tra la mia auto attuale e questa nuova ed iniziò ad elencarmi una serie infinita di difetti che, secondo lui, non potevo non aver riscontrato sulla mia. Insomma, dopo poco, pur cercando di accettare ciò che aveva detto come pure argomentazioni di vendita, iniziai a sentirmi a disagio. La mia auto mi aveva sempre servito fedelmente; non avevo mai riscontrato alcun problema di quelli da lui elencati e soprattutto non ritenevo che il suo prodotto dovesse apparire superiore solo relativamente ai presunti difetti del mio. La cosa mi disturbò a tal punto che, lei ci creda o no, non acquistai. Andai da un altro concessionario; trovai un onesto venditore che pur riconoscendo le qualità della mia auto, mi presentò il suo nuovo modello come un logico passo avanti nella tecnologia. Mi disse anzi quali erano i pregi della mia auto e cosa, la sua, aveva in più. E così....finii per acquistare lì.”
Il direttore generale si mosse sulla poltrona e rimase un attimo in silenzio a riflettere. Acconsentì con qualche movimento del capo e con un sospiro, disse:

LA NOSTRA AZIENDA

“ Credo d'aver imparato ancora qualcosa. In effetti, ed è giusto che lo ammetta, in certe situazioni la mia storia influisce sul modo in cui dovrebbe essere correttamente svolto il lavoro, ma sino ad ora non lo avevo capito. Il problema, vede – proseguì guardandomi - è dato dalla mia storia. Ora gliela racconto. Io ho iniziato molti anni fa. Ero un giovane di belle speranze; avevo una voglia pazzesca di riuscire a fare qualcosa; i tempi erano diversi da quelli d'oggi e forse chi aveva volontà e coraggio poteva trovare più spazi. Ero un tecnico; la mia passione era la meccanica e tutto quello che aveva a che fare con questa. Iniziai da solo in una piccola officina poco più grande di un box. Pensi che riparavo i prodotti degli altri che la clientela del vicinato mi portava. E dentro di me, dicevo sempre: se avessero usato questo materiale, questo pezzo non si sarebbe rotto. Oppure ancora pensavo: se avessero messo questo pezzo in questo modo, questo apparecchio sarebbe stato migliore.... Poi un giorno decisi che potevo e dovevo tentare. Non dormivo di notte per gli impegni presi ma continuai per la mia strada. Con pochi operai creavo utensili che dovevano andar bene per forza perchè avevo studiato tutti i difetti degli altri e vevo fatto si che sui miei non ci fossero. Li modificavo con evidenti minor spese perchè la ricerca era ormai nella mia testa... “

Il direttore generale si mosse sulla poltrona; accavallò le gambe e tirò un sospiro pensando a quei tempi. Poi riprese:

“ Pensavo alla produzione, ai prodotti, agli impegni finanziari ed anche se non era il mio settore, mi occupavo anche delle vendite utilizzando le argomentazioni schiette che ritenevo avrebbero potuto farmi ottenere risultati. Dicevo apertamente ai clienti: gli altri hanno problemi su questo punto; non usano questo, oppure, gli altri vogliono risparmiare su quest'altro componente. Io ho risolto tutti questi problemi sui miei apparecchi... Ed i risultati arrivavano. Certo, erano altri tempi e le guerre commerciali si vincevano a suon di cazzotti, non a colpi di fioretto. Erano diversi anche i clienti; meno preparati, meno pretenziosi, sofisticati. L'azienda è andata via via crescendo ed io ho tenuto sempre il più possibile i contatti coi clienti che, abituati a questo, desideravano parlare con me. Ho anche formato i miei venditori secondo la mia scuola e, forse sbagliando, questo mi pare di capirlo ora parlando con lei - prosegui dicendo - li ho presi tra i miei migliori collaboratori in fabbrica proprio perchè erano ottimi tecnici che, secondo me, avrebbero potuto spiegar meglio i prodotti....”

L'ERRORE DI NON CAMBIARE

“Eh, si, capisco tutto quanto sta dicendo – interruppe il venditore che aveva ascoltato in sacrosanto silenzio - lei ha fatto quello che, errori compresi, si faceva a quei tempi. Poi l'azienda è cresciuta; avrà messo vero responsabili a capo dei reparti produttivi e non penso di sbagliare se dico che alle vendite, probabilmente ha piazzato un suo buon vecchio collaboratore della prima ora, che aveva seguito i suoi insegnamenti e che ancora oggi, se occupa la stessa posizione, cerca di portare avanti ciò che lei dice o ciò che pensa lei vorrebbe o farebbe se fosse al suo posto....”
Il direttore generale provava un certo disagio. Si sentiva scoperto, messo a nudo da una semplice e banale analisi che mai pensava fosse possibile fare solo facendo quattro chiacchiere.
“ Si, lei ha ragione. Credo proprio sia così. Stiamo portando avanti una rete vendita come se fossi io a vendere o come se fossimo in quei tempi. I venditori mi seguono quando in realtà non lo dovrebbero fare. Accidenti; lei mi fa capire che forse usano argomentazioni non più in linea coi tempi e con la clientela... - poi sospirando, aggiunse - senta un po', la storia della sua auto, vera o falsa che sia, è stato un bell'insegnamento. Le argomentazioni di vendita devono essere fatte per dire al cliente cosa c'è di buono nei miei prodotti, non ciò che di cattivo c'è negli altri.”
“Proprio così – rispose il venditore – e non solo questo. Si ricordi il secondo venditore d'auto. Il prodotto della concorrenza (la mia auto) era buono; il suo (la nuova auto) aveva in più, altri vantaggi!”
“Ora mi è veramente chiaro – interruppe il direttore generale - e credo che a questo punto lei mi dirà che le argomentazioni di vendita non possono essere lasciate al caso ma ben preparate....”
“Si, certamente. Attenzione: anche le sue non erano lasciate al caso ma ben preparate. Solo che lo erano e lo sono sul piano tecnico e giocavano più sui difetti degli altri che non sui pregi dei suoi.” Poi, il venditore prese il foglietto e la penna accantonati sulla scrivania e disse:
“Ora, per non scordarmi, mi segnerò quest'altra riflessione eppoi parleremo di argomentazioni” e così dicendo, aggiunse ai cinque il sesto.

Il venditore deve:
far sentire il cliente a proprio agio.
Conoscere bene ciò che vende
poter vedere come nasce un prodotto
sentirsi fortemente coinvolto nell'azienda
realizzare comunicazioni il più possibile legate contemporaneamente alla vista ed all'udito.
Saper argomentare e vendere la qualità dei propri prodotti
Una volta aggiunta la sesta riflessione, tornò a dialogare col suo ospite.
“Le argomentazioni di vendita. Si, non possono essere lasciate al caso ma devono essere preparate ed in questo, l'azienda ha una grande responsabilità. Le racconto una cosa che ripesco dai miei ricordi....” disse allungandosi sulla poltrona.

Fine terza parte