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domenica 3 maggio 2009

PERCHE'

Marisa L. Salerno


Gentili Signori,
entro sempre nel Vostro blog e leggo tutte le risposte che date. Molte naturalmente non hanno nulla a che vedere con me ma in tutte trovo, dopo la riposta che date, anche quelle raccomandazioni ammantate di molto buon senso che possono essere utili a tutti. Per questo ne prendo sempre nota.
Io non ho nulla di particolare da chiedere ma ho solo una curiosità. Spesso vedo che quando esiste qualcosa che non va in un rapporto di lavoro, siete molto decisi a dire di cambiare lavoro. Vedo che non Vi fate remore su questo punto. Perchè? Trovate sia giusto o piuttosto non è meglio che la persona cerchi una soluzione lì dov'è?
Grazie


Mia cara Marisa,
è vero. Molto spesso, quando mi vengono presentati problemi nell'ambito del lavoro, dopo aver cercato di far comprendere il perchè magari qualcosa è accaduto, termino col dare il suggerimento di cambiare aria. Faccio questo perchè, quando i rapporti sono tesi, è molto ma molto difficile tornare a situazioni idilliache.
Vedi Marisa, il lavoro è una cosa che deve piacere. L'uomo non è nato per lavorare; il lavoro non fa parte di noi. Lavoriamo perchè dobbiamo vivere.
Quando il mattino ci alziamo abbiamo bisogno di una molla che ci spinga al lavoro e questa molla è “la motivazione”. Il lavoro è bello quando c'è una motivazione per farlo; quando siamo o ci sentiamo motivati. Solo questa è la molla che ci permette di accettarlo. Se non esiste, il lavoro diventa un peso anche insopportabile. Trovarsi davanti una giornata pensando di occuparla con qualcosa che ci pesa, è davvero terribile.
Molto spesso ricevo lettere di persone che, per motivi vari, si trovano o si sono trovati a dover gestire problematiche nel lavoro che li hanno segnati. Una discussione col Capo; un'incompatibilità con i colleghi; un riconoscimento non ricevuto; tutte motivazioni che possono portare a segnare pesantemente il futuro lavorativo. Quando un lavoratore sente di non essere completamente accettato dall'azienda, dal Capo o dal gruppo, inizia una fase di tale frustrazione indicibile.
Le colpe possono essere sia della persona che scrive (io non posso obbiettivamente conoscere sempre la verità) quanto della controparte; ciò non toglie comunque che, colpe di uno o dell'altro, il rapporto può essersi teso se non rotto. Pensi che sia possibile riaggiustarlo? Per esperienza dico che è la cosa più difficile in assoluto. Da una parte o dall'altra rimarrà sempre astio e questo continuerà ad essere strisciante, in ogni situazione, in ogni pensiero od azione.
Qualcuno potrebbe cercare, in questi casi, di suggerire che si deve portar pazienza, che va accettato quanto capita come qualcosa che, anche se brutto, viene dal cielo; che si deve sopportare ed altro ancora. Io suggerisco di cambiare.
Sapessi quante volte, cambiando, il lavoratore ha trovato la soluzione della vita!
Voglio farTi un esempio chiaro. Ipotizziamo che un lavoratore abbia una difficoltà col proprio Capo, con i colleghi o con l'azienda. Prima un lieve disaccordo poi una discussione un po' più dura. Le cose pare si mettano a posto ma basta una piccola scintilla che, assieme al nuovo, torna fuori tutto il vecchio e la collaborazione prende una brutta piega. Il Capo inizia a servirsi meno del collaboratore; questi finge di non vedere il Capo. Quando c'è qualcosa per cui debbano parlare si trovano di fronte a dire solo si e no, insomma, si crea nell'ambito del lavoro la fase di tensione che non ha fine.
Le lettere che ricevo non sono mai dell'azienda che chiede cosa fare verso il dipendente ma , naturalmente sono di quest'ultimo che chiede come comportarsi verso l'azienda, dopo comunque aver già avuto discussioni e tensioni.
Il collaboratore che può anche avere dalla sua parte mille ragioni, non ne ha una sola, dico una, per cercare di rimanere dov'è. Si troverebbe a vivere pesantemente quella stessa soluzione da lui voluta. In una situazione di tensione tra Capo e dipendente, in cui il dipendente ha ragione, può l'azienda decidere di eliminare il Capo?
Non lo farebbe mai. Parti dal principio che se una persona è divenuta “Capo” qualcosa di buono l'ha naturalmente fatto e se vale, nessuna azienda correrebbe il rischio di privarsene. Un Capo valido vale molto. Pur ammettendo che in quella situazione il Capo abbia avuto torto, l'azienda lo richiamerebbe solo privatamente e la cosa finirebbe lì.
In una querelle tra Capo e dipendente non è possibile, in una organizzazione che venga data ragione al dipendente per un motivo molto semplice: non creare precedenti destabilizzanti. Se accadesse che in una disputa un Capo venisse eliminato per lasciare il collaboratore, si creerebbe la situazione per cui, ad ogni incomprensione, qualsiasi altro lavoratore si sentirebbe autorizzato a fare la stessa cosa. In quell'azienda non si vivrebbe più ed il lavoro non procederebbe.
Va tenuto presente che un'azienda non è un ente assistenziale, dà lavoro ma deve anche funzionare per dare profitti che a loro volta generano altro lavoro e sicurezza per gli stessi lavoratori.
Quindi, abbiamo già due motivi per cui il lavoratore ha poche speranze di trovare soddisfazione. Un terzo motivo è che è più facile sostituire un lavoratore che trovare un Capo.
Il quarto motivo è che, se si arriva a situazioni di tensione, su quel lavoratore difficilmente si potrà ancora fare affidamento.
Spesso le aziende, davanti a queste situazioni, cercano di isolare il collaboratore in modo che sia lui a decidere di lasciare. Si isola un lavoratore lasciandolo nella posizione in cui è ma riducendogli il carico di lavoro lentamente; oppure ignorandolo; non facendolo partecipare a lavori di gruppo come anche dandogli nuovi incarichi. Questi possono essere non motivanti oppure, pur se motivanti, non idonei al lavoratore che verrebbe quindi a trovarsi in difficoltà.
Possono bastare le cose dette perchè io suggerisca sempre di trovare un altro lavoro?
Non entro nel merito della ragione, entro in quella della migliore soluzione che permetta al lavoratore di proseguire a “vivere” alzandosi il mattino con quella motivazione che lo spinga a recarsi al lavoro con entusiasmo.
Non si deve per forza abbarbicarsi dietro quel posto che si occupa col rischio di vivere male. Ad esempio, qualunque tensione nell'ambito del lavoro si ripercuote sempre anche sui colleghi. Ci saranno quelli che, contenti di ciò che fanno, non vogliono essere coinvolti in bagarre e quindi isolano lentamente il collega che vede così peggiorare la sua posizione.
Credimi, Marisa, non c'è motivo che tenga per cui debba suggerire di insistere tenacemente a rimanere dove si è o ad accettare piegando la testa.
Io rispondo sempre di non fare pazzie nel senso di non dire addio dall'oggi al domani. Uno può rimanere dov'è ma nello stesso tempo e molto velocemente, quando nasce una situazione come quella descritta, deve mettersi sul mercato e vendersi altrove. Il futuro è suo; la vita è sua. E' lui che deve trovare la soluzione migliore per se stesso. Cercando presto una nuova occupazione saprà anche presentarsi meglio ai nuovi colloqui perchè, il lavoratore non lo sa, ma chi lo intervista si accorge facilmente se la persona cerca un lavoro perchè vuole migliorare o solo perchè non sta bene dov'è. E se un lavoratore si presenta ad un colloquio dicendo o facendo capire, o non dicendolo (ma l'intervistatore se ne accorge) che vuole cambiare per dissapori o perchè dov'è non si trova bene, è come essere certo d'essere scartato quasi certamente. Nessuno si porta in casa anche solo un'ipotesi di “possibile rogna”.
Sappi Marisa che per problemi sul lavoro si rovinano anche molti matrimoni felici.
Penso proprio che basti per averTi fatto capire perchè suggerisco di cambiare aria.
Ciao