Ricerca personalizzata

domenica 16 novembre 2008

Precariato

Manuela M. Cosenza
“Mi permetto di scrivere per avere un parere. Può darsi abbiate già dato risposte in tal senso ma non ho avuto tempo di leggere il vostro archivio. Sono una giovane laureata. Dopo anni di studio e di speranze, come tutti, mi sono ritrovata nella realtà di dover far fruttare il tempo impiegato nello studio e nella laurea ottenuta. Non ho trovato nulla che andasse bene, Non sono nella zona dove abito ma anche in regione e fuori. Mi domando allora perchè si debba tanto studiare se poi non c'è lavoro. Poiché ho ottenuto un altissimo punteggio sono stata contattata da alcune realtà ma tutte, dico tutte, hanno offerto solo lavori precari che non mi interessano e che trovo un'offesa.......”

Interrompo qui la Sua lettera, gentile Dottoressa Manuela, perchè se vado oltre mi viene un po' d'orticaria. Nulla di grave, per carità, non mi fraintenda, ma leggere ciò che scrive e sopratutto vedere come pensa, mi crea quest'effetto e sono dispiaciuto per Lei.
Si, in passato ho risposto ad altre lettere con lo stesso tema, altre lettere che Lei non ha avuto il tempo di cercare ed anche questo indica una Sua predisposizione a non darsi da fare ma piuttosto a chiedere che Le venga dato. Sarò un po' duro, lo so, ma se gioco coi sottintesi corro il rischio di non farmi capire mentre credo Lei, abbia bisogno proprio di chiarezza.
La Sua è la storia, ormai trita, di tanti giovani che, dopo aver passato anni sui libri (anche perchè questo a volte allontana lo spettro dell'impegno nel mondo lavorativo vero e proprio, ovvero il momento in cui si saprà di che pasta si è fatti) si ritrovano a “cercare” un lavoro. Dire cercare è sempre un eufemismo, perchè in realtà si aspetta solo che Qualcuno con la Q maiuscola, arrivi di corsa e dica, nel Suo caso, che non può fare a meno di Lei. Quel Qualcuno non c'è ne per Lei ne per altri. Una laurea non indica assolutamente che quella persona è superiore ad altri. Indica solo che è più colta e quindi, presumibilmente anche più intelligentemente pronta a comprendere meglio. Cosa che spesso neppure è. Il mondo del lavoro ha visto persone senza preparazione che in quanto a caparbietà, volontà e finezza di pensiero hanno battuto fior di laureati che stavano col naso all'insù.
Il mondo del lavoro è fatto di due realtà. Chi dà lavoro e che lo svolge. Chi lo svolge vorrebbe, come Lei, una sicurezza assoluta; mi hai assunto, ora mi tieni per la vita. Che vada bene o no; che sia bravo o meno; non importa. Mi hai assunto e mi tieni. Dall'altra parte c'è l'industria che deve poter avere personale valido per far fronte alle sfide del mercato. E l'industria non può prendere a caso; non può accettare un pacco chiuso che solo dopo aperto saprà cosa c'è dentro. L'industria abbisogna di flessibilità; di provare un lavoratore e decidere se sa fare quello che spesso dice di saper fare e che a volte, non sa fare; di verificare se è una persona che interagisce col gruppo di lavoro; se è un lavoratore che opera con giudizio. Tutto questo può farlo solo provando il lavoratore stesso. Questa prova, tanto vituperata, permette anche alle aziende di sapere d'avere una forza lavoro preparata che sarà d'aiuto in molte situazioni e che l'aiuterà a vincere le sfide.
Insomma: da una parte l'azienda che chiede di provare il lavoratore; dall'altra il lavoratore che vuole essere solo assunto per non pensarci più.
Lei, Dottoressa Manuela, purtroppo ragiona in questo modo. Non dico che Lei sia fatta in questo modo, ma solo che in questa situazione ragiona così. Le racconto qualcosa che La farà riflettere. Più di una volta mi sono trovato a gestire situazioni in cui gruppi di operai ed impiegati avevano prelevato le ceneri di attività lavorative in cui loro stessi operavano. Pur di non smettere, avevano creato cooperative per cercare di raddrizzare situazioni difficili da cui l'imprenditore, stanco, aveva deciso di uscire. Ebbene, gli operai e gli impiegati che avevano dato una bella mano a far si che le cose andassero male, una volta trovatisi dall'altra parte sono divenuti i nemici più acerrimi di quanto essi stessi asserivano prima. Altro che assunzioni fisse; altro che malattie senza controllo; altro che lavoro tanto per fare col tempo passato a fumare davanti alla macchina del caffè. Parlare con loro era come trovarsi sulla luna, tanto da non riconoscerli.
Il periodo di prova, nelle aziende, Dottoressa Manuela, c'è sempre stato. Tre mesi per alcune mansioni. Sei mesi per altre. Sinceramente non bastano ne tre ne sei per capire se una persona è valida o meno ed a questo sono venuti in aiuto gli accordi con i contratti a scadenza. Possiamo non essere d'accordo sul loro uso improprio ma sono utili.
Permettono alle aziende di provare i giovani e, mi scusi, sta poi ai giovani dimostrare d'essere validi. Ho il dubbio a volte che alcuni giovani non vogliano essere messi alla prova solo perchè sanno di non essere validi. Ma se io, giovane senza lavoro, mi trovo davanti ad un'opportunità con cui mi si dà la possibilità di provare d'essere bravo a svolgere una mansione, perchè mai devo farmi problemi sul fatto che l'assunzione sia precaria? (Termine su cui ho già discusso e che uso per necessità ma su cui non concordo nel significato che viene dato).
Ben venga l'inizio. Stara poi a me dimostrare che ci so fare. Avrò un contratto per un anno? Bene. Alla fine, sarò assunto. Verrà protratto per un altro anno? Nessun problema se so lavorare. Il guaio c'è se io non so fare ciò che mi si chiede o se sono un lavativo.
Sappia poi, Manuela, che le aziende, lo ripetuto alla noia, hanno bisogno di persone valide e se un cosiddetto precario dimostra d'essere valido, viene trattenuto in azienda, eccome! Nessuno si lascia scappare le occasioni buone, mi creda.
Sul fatto di dire a priori, come Lei scrive, che non Le interessano lavori precari e che li sente offensivi, ho paura che dovrà aspettare parecchio e credo che, anche se Lei riuscisse ad entrare nel mondo lavorativo privato, ne caverà ben poco se continuerà a ragionare in questo modo.
Non è, Manuela, che non ci sia lavoro. Non c'è mai il lavoro che si vorrebbe perchè si vorrebbe un lavoro che ci lasciasse liberi di fare ciò che vogliamo, sicuri che nessuno può aver da ridire e sicuri di non poter essere mandati a casa. Ma lavoro ce n'è, eccome. E tutti i lavori sono onorevoli ed anche motivanti se fatti con intelligenza ed impegno.
C'è paura, Manuela, nei giovani per il lavoro perchè forse per la prima volta nella loro vita devono prendere atto che il mondo non è come quello vissuto sino a quel momento. E' una svolta epocale e questo fa paura. C'è paura di trovarsi a dire si, quando per una vita si è detto no ai genitori. C'è paura anche di trovarsi davanti alla realtà di non valere quanto si è sempre creduto ed anche di quanto gli stessi genitori hanno sempre fatto credere.
Solo le paure bloccano. Pensi che è precaria la nostra vita, tutto il resto, fa sorridere.
Le faccio tanti auguri per il Suo futuro, ma credo poco che Lei si dia una mano.
Cordiali saluti.