Ricerca personalizzata

domenica 26 febbraio 2012

QUOTE SOCIETARIE

L. (loc. n.d.)

Salve,
Da qualche mese sto lavorando ad un progetto web in ambito culturale/creativo europeo che sta riscontrando un discreto successo in termini di partnership e ipotetici sponsor. I tempi di un reale guadagno sono ancora all'orizzonte ma questo piano piano si avvicina e non vorrei trovarmi impreparata nel momento di un'eventuale divisione di spese e ricavi tra collaboratori ed investitori.
Al momento 3 singoli individui (me inclusa) svolgono ruoli essenziali di coordinazione delle risorse e sviluppo di idee e contatti. Inoltre, una societa' composta da 3 persone si occupa degli aspetti legati alla produzione video, al momento ancora fermi, e una societa' formata da altre 3 persone si occupa dello sviluppo del sito web e della grafica.
La mia idea iniziale e' stata sviluppata ma non modificata dagli altri membri e in termini di contatti importanti, siamo in 2 ad avere in mano le fila del tutto.
Tutti investiamo in termini di manodopera volontaria, nessuno viene retribuito e i pochi investimenti iniziali saranno di tasca mia, come anche a nome mio e' registrato il dominio web e sara' registrato il nome della societa'. Risorse tecniche come server e attrezzatura saranno messi a disposizione dalle altre societa' in quanto materiale pre-acquistato, non specifico per il progetto.
E' gia' possibile ipotizzare una divisione percentuale di profitto nel momento in cui si muoveranno dei finanziamenti?
E' sensato vedere le due societa' come due individui e quindi assegnare una quota collettiva che poi loro provvederanno a dividere oppure e' necessario vedere ogni singolo partecipante come individuo a se' anche quando parte di una società pre-costituita?
So che queste domande possono sembrare banali ma sono proprio le basi a generale piu' conflitti e incomprensioni se non trattate approfonditamente fin dal principio.
Spero in un vostro parere e consiglio. Se servono ulteriori delucidazioni non esitate a contattarmi.
Intanto complimenti per il blog, molto utile e chiaro.
Grazie
L.


Gentile L.,
è davvero molto difficile darLe un consiglio perchè quando si parte con un progetto tutto è lecito e consentito. Non essendoci nulla di definito, tutto si può discutere; anzi si deve discutere.
E, se posso dire, ogni possibile chiarimento va fatto prima di iniziare. Nella creazione di una società come quella che sta mettendo in piedi entrano diversi fattori anche personali che non sono tenuti in considerazione quando in una società le persone che collaborano sono sconosciuti assunti per svolgere un lavoro.
Nel Suo caso, mi par di capire che, bene o male, vi conosciate ed avete già tra Voi un certo rapporto, magari di amicizia. In ogni caso, anche se così non fosse, la partecipazione “come soci” crea un legame diverso da un rapporto di dipendenza vero e proprio.
Diciamo allora che, solitamente chi porta i capitali iniziali prende o chiede la quota di maggioranza perchè se questi non fossero portati, la società non avrebbe modo di partire e quindi si dà a questa soluzione un maggiore peso.
Tutti voi investite in manodopera volontaria; ciò non toglie che i pochi o tanti investimenti iniziali vengono portati da Lei e Suo è anche il dominio web e la registrazione della società. Di norma un valore questo lo ha.
Prima di dirLe le opzioni possibili, torno ad un punto che mi è caro.
Personalmente convocherei un meeting mettendo all'ordine del giorno una discussione su come gestire le quote societarie proporzionalmente all'apporto del lavoro o degli investimenti di ognuno.
Lo farei dicendo esattamente ed in anticipo questo, in modo che i partecipanti possano avere il tempo di sviluppare una propria idea sul tema.
Un meeting così è molto più difficile da gestire perchè quando un partecipante, pensandoci prima, si sarà fatta un'idea sulla cosa, cercherà di portarla avanti e sarà poco disposto a variarla.
Ma lo farei ugualmente perchè è meglio che le discussioni ed i chiarimenti vengano fuori prima piuttosto che a società avviata.
Chi accetta supinamente tutto perchè al momento della discussione non è preparato, può benissimo riflettere successivamente dando il via a successive situazioni di scontento che si possono riversare sul lavoro.
Se qualcosa deve essere chiarita quindi, meglio subito.

Ora, il Suo dubbio è come dividere i profitti quando ci saranno ed è a questo che cercherò di risponderLe.
Scrive: “E' gia' possibile ipotizzare una divisione percentuale di profitto nel momento in cui si muoveranno dei finanziamenti?” Non solo è possibile ma va chiarita proprio prima.
“E' sensato vedere le due societa' come due individui e quindi assegnare una quota collettiva che poi loro provvederanno a dividere oppure e' necessario vedere ogni singolo partecipante come individuo a se' anche quando parte di una società pre-costituita? “
Se le società sono e rimangono due, può esserlo e questo semplifica le cose.
Come fare? Occorre dare un peso percentuale al valore dei capitali apportati per l'inizio dell'attività. Tanto più sono stati o sono necessari, maggiore è l'incidenza che essi hanno sul valore della società.
Poi calcolate il peso dell'apporto dell'uso dell'attrezzatura o quant'altro. Infine, se c'è altro, date un valore anche a questo.
Le ho già anticipato che una possibilità può essere di dare un peso all'idea e quindi a chi l'idea l'ha avuta. L'apporto di capitali può essere un altro punto di differenziazione che andrebbe premiato. Così come ha un valore l'apporto o l'uso di sistemi o macchinari che, pur non acquistati, siano resi disponibili da chi può farlo.
Questo però ad una condizione: che l'uso sia certo, come i capitali apportati, e non provvisorio o aleatorio perchè se dopo aver iniziato l'attività e diviso le quote, questi venissero a mancare, vi sarebbe qualcuno premiato per qualcosa che non c'è più.

Insomma, al di là del valore del lavoro di ognuno, andrebbero calcolati i valori di queste cose. Poi, può essere che ad essi venga dato, per magnanimità, un valore simbolico o addirittura nullo. Sta a Lei o a Voi deciderlo.
Poiché però Lei ha portato i capitali e l'idea, pur se sviluppata da altri, appare logico pensare che la quota maggiore dovrebbe toccare a Lei ma, dato che mi parla di “due società”, diciamo che si potrebbe ipotizzare un valore paritario delle partecipazioni al 50%.
Scommetto si chiederà subito cosa farei io. Le rispondo che se mi trovassi in una iniziativa tra veri amici, certamente non ne terrei conto ma se fossi in una situazione di collaborazione diversa, darei un peso al capitale e a chi permette l'uso di macchine utili allo svolgimento del lavoro.
Può quindi arrivare a valutare due singole società distinte che si divideranno gli utili al 50% e che poi parteciperanno in egual misura alle spese di gestione ed al pagamento, nella misura concordata, dei collaboratori.
Ancora, potrebbe valutare una sola società in cui Lei apparirebbe come socio di capitale che, avendo una quota del 50%, godrebbe del 50% degli utili finali della società.
Credo però che l'idea sia di compensare i collaboratori non tanto con uno stipendio ma con la quota di un eventuale utile che la società dovrebbe dare.
Se così fosse, si avrebbe un 50% a Lei ed un 50% ad altri da cui togliere le percentuali per i collaboratori.
Dato che Lei parla di una società di 3 persone + un'altra società di altre 3 persone, se ne conviene che costoro dovrebbero rientrare nel famoso 50% del Suo ipotetico socio, con quote quindi che saranno, se va bene, del 5%. Sempre che il Suo socio accetti di accontentarsi del 20% netto.
In quest'ultima ipotesi, per rendere costruttiva e realizzabile l'idea, occorrerebbe pensare a quote minori da subito anche per i soci fondatori. Si potrebbe pensare ad un 25%. Si avrebbe così il 50% per Voi due ed un 50% di quote da dividere tra gli altri.

Per farLe venire ulteriormente il mal di testa, Le dico che un valore societario andrebbe dato anche a chi porterà materialmente clienti e fatturato su cui la società baserà gli utili.
Per semplificare tutto, invece, Le dico che si potrebbe creare una società con tutte quote divise in parti uguali (cooperativa) indipendentemente da ciò che ognuno ha apportato e basandosi solo sul fatto che tutti lavoreranno per far si che la società arrivi al massimo.
Come vede le ipotesi sono diverse ed altre potrebbero essercene. Ho iniziato dicendo che non c'è nulla di definito e tutto può essere fatto a condizione che coloro che partecipano sappiano e siano d'accordo.
Lei, se vuole, faccia presente che, comunque, chi porta capitali o uso di macchine dovrà essere inteso come socio prioritario e che questo significa godere di una quota maggiore. Poi starà a Lei identificare la quota minima oltre cui non vorrà andare.
Parlatene con serenità e disponibilità ad accettare le motivazioni di tutti.
Le auguro successo di tutto cuore.

lunedì 20 febbraio 2012

VENDERE NEGOZIO

b.b. (loc. n.c.)

Salve,
ho un negozio di gadget, accessori moda, bigiotteria aperto da 1 anno e mezzo, vorrei venderlo ma non so se la cifra che pensavo di chiedere possa andar bene...
Il primo anno di attivita' ho fatturato 32000 € con un utile fiscale di 6000 €.
Per l'avviamento ho speso sulle 20000 €, vorrei sapere se puo' essere una cifra da poter chiedere con merce e arredamento compresi.
Aggiungo che il negozio si trova in una zona centralissima e con alto passaggio pedonale e in questi 6 mesi del secondo anno sto notando un miglioramento negli incassi rispetto il primo anno.
Spero in un vostro consiglio
Grazie


Gentilissima,
il periodo non è certo dei migliori per vendere un negozio. La situazione economica non è tale da decidere di investire in negozi e questo porta, inevitabilmente, ad un deprezzamento del valore del bene.
E' anche vero che, per un investitore col fiuto, acquistare oggi potrebbe voler dire fare un affare. Le possibilità di comperare a poco, ci sono. Il guaio è che l'affare non è per chi vuole vendere.
Quando c'è crisi, se la situazione economica lo permette non si dovrebbe mai vendere. Molto meglio guardare al futuro, alla ripresa, e resistere. Ma solo se la situazione personale lo permette!
Invece, quasi sempre, alle prime difficoltà, si ha paura e ci si vuole disfare dell'attività. E questo costa!
Lei scrive che gli incassi degli ultimi sei mesi sono in progressivo aumento rispetto al primo anno.
Non è poco. Ha avuto un inizio lento ma se le cose vanno meglio e se può permetterselo, forse potrebbe continuare. Se riesce a sviluppare ancora il lavoro, al di là di un maggiore guadagno aumenterebbe anche le possibili pretese in una successiva vendita.
Se Lei mi avesse scritto d'avere il punto vendita in una zona periferica, con poco passaggio, Le avrei probabilmente detto “perchè mai ha aperto un negozio” ma visto che scrive d'averlo in zona centralissima e di forte passaggio....perchè non pensa invece a stimolare ulteriormente le vendite con qualche forma promozionale. Se cerca in archivio troverà diversi suggerimenti per stimolare le vendite nei punti vendita. Veda se qualcuno può andar bene anche per Lei.
Detto questo, è giusto che risponda alla Sua domanda.
Per la richiesta di vendita può calcolare il fatturato di un anno più valore arredamento e merci in magazzino. Nel Suo caso abbiamo 32 mila euro, in crescita, più all'incirca i 20 mila di avviamento, arrivando a 52 mila. Questa è una cifra teorica di partenza su cui basare la trattativa.
Altra possibilità di calcolo è data da 7 anni di utile. Se per Lei è stato di 6 mila euro (ed è in crescita) avremmo 42 mila euro. A questo andrebbero aggiunti le merci in giacenza e l'arredamento che, dopo un anno, è quasi nuovo. Diciamo che si potrebbe arrivare attorno ai 60 mila euro.
Tra la prima ipotesi di 52 mila e la seconda che può arrivare a 60 mila, diciamo che potrebbe arrivare a chiedere 55 mila.
Poi, come Le ho detto, tutto dipende dal compratore. Se trova chi è davvero interessato può partire da 60 mila e non scendere; se deve per forza liberarsi dell'attività, scenda sin dove vuole, avendo coscienza dei valori.
Cordiali saluti

venerdì 17 febbraio 2012

RICHIAMO

A.C. Lombardia

Buongiorno, volevo un' informazione, al mio ragazzo a fine dicembre gli è stata consegnata una lettera di richiamo, poichè la mattina dello stesso giorno il direttore della ditta presso cui lavora gli ha ordinato tramite il suo responsabile(quindi non direttamente il direttore)di pulire i vetri, i muri dopo aver svolto le sue mansioni quotidiane; specifico è un 4° livello ccnl pubblici esercizi manutentore macchine da gioco(slot, bowling, ecc), il mio ragazzo ha contestato la cosa poichè gli era stato già chiesto la settimana prima, è lui l' ha svolto nonostante non fosse di sua competenza, ed anche perchè vengo chiesti sempre a lui sti lavori e sono in 5manutentori, nonostante il battibecco alla fine lui ha pulito le vetrate per non litigarci; a fine turno gli è stata consegnata questa lettera di richiamo, dove chiedevano spiegazioni del suo comportamento.Ha risposto entro i 5gg come da lettera allegata, il direttore ieri alla fine del turno gli ha dato un' altra lettera con su scritto che le sue motivazioni non sono valide, poichè quei lavori non li svolge tutti i giorni ma solo saltuariamente e che deve rispondere entro 20gg tramite ccnq. Ci dobbiamo preoccupare? Poichè sò che alla 3° lettera c'è il licenziamento, cosa ci consigliate di fare?
grazie mille



Mia cara A.,
dietro le lettere di richiamo quasi sempre ci sono motivazioni che nulla hanno a che fare con quanto contestato.
In altri termini, a volte sul lavoro si sviluppano tensioni, malumori, antipatie che possono nascere da un Capo che pretende, ordina e poco accetta, come da un dipendente che non ha voglia di fare nulla più di quanto non sia concordato o che ha rapporti difficili con l'ambiente o altro ancora.
Queste situazioni aumentano il livello di non sopportazione tra le parti in causa. Un dipendente diventa, così, antipatico ed il datore di lavoro lo vede diversamente da come lo vedeva prima o, il datore di lavoro, viene visto come un dittatore che comanda e non accetta risposte negative.
La verità di ciò che accade tra le parti in questi casi sta sempre, come si dice, nel mezzo.
Il Capo chiede qualcosa che non è di pertinenza del lavoratore presumendo che costui lo possa fare per collaborazione e scopre invece che il lavoratore si ribella per poca volontà o anche solo per principio.
Spesso dietro a queste situazioni ci sono insoddisfazioni sulla collaborazione.
Ancora: il Capo vede il collaboratore con poca voglia, distratto, pretenzioso, attento solo ai diritti e meno ai doveri e quindi capisce che se si libera di quell'aiuto, forse è meglio. Accantona quelle sensazioni ma alla prima occasione di dissidio, esse tornano prepotentemente alla ribalta e tutto si somma.
Spesso, scrivo che quando si entra in queste situazioni di richiami, la cosa migliore è di cercare un altro lavoro anche perchè, dopo, le cose non rimarranno più le stesse e, torto o ragione, anche la vita personale del dipendente ne soffrirà.
Circa il licenziamento, non credo che la situazione descritta sia tale da portare all'allontanamento. Probabilmente secondo me, c'è stato più desiderio di far capire al dipendente che quando viene chiesto qualcosa, sarebbe giusto farlo. Dare una mano, senza pensare “lo chiedono solo a me e non agli altri” può portare più vantaggi che altro.
Va ricordato sempre, ma sempre, che un datore di lavoro difficilmente si va a creare problemi eliminando un collaboratore che porta vantaggi e che svolge un ruolo di aiuto con coscienza.
E' così difficile trovare brava gente che quando la si trova la si tiene stretta. Perchè mettersi a discutere con chi è utile al gruppo? E che soddisfazione si può trovare seppoi quella persona se ne dovesse andare? Perdere un elemento valido per una ripicca è un po' da stupidi.
E, da parte del dipendente, volersi attenere strenuamente al mansionario relativo al proprio livello non porta vantaggi. Dimostra solo che si è puntigliosi e, mi scusi, non collaborativi.
Dire o anche solo pensare “io non faccio quella cosa perchè non è nel mio ruolo in quanto io sono di livello superiore a quanto mi si chiede” può essere giusto sotto l'aspetto delle norme contrattuali ma certamente dimostra una persona che svolge un lavoro non perchè lo sente suo o lo appassiona ma solo perchè è obbligato a farlo.
Nessuno fa testo, per carità, ma io stesso, mentre ricoprivo incarichi di notevole responsabilità, mi sono trovato più volte nella mia vita lavorativa, in situazioni improvvise, a rimboccarmi le maniche aiutando l'ultimo dei collaboratori per far si che il lavoro si svolgesse secondo i piani. Non ho mai pensato che quel lavoro non avrei dovuto farlo perchè non era degno del mio livello.
Questo per dire che in un gruppo, tutti dovrebbero essere pronti a fare tutto, senza tenere il conto delle volte che viene chiesto a lui o ad altri. Anzi, più un Capo si rivolge ad un collaboratore e lo vede pronto, maggiore sarà la considerazione che avrà in lui, relativamente alla disponibilità.
Ora, il Suo ragazzo agisca come crede. Sotto l'aspetto contrattuale e di livello ha, come Le ho detto, ragione. Insistere a puntualizzare non lo rende più colpevole ma lo pone sotto una cattiva luce.
Al di là della situazione attuale quindi, sta a lui vedere se vuole vivere di etichette o di contenuti.
Ora, cosa fare? Se volete andare avanti nella disputa, rispondete nuovamente. Fate scrivere la risposta a chi ha vi ha suggerito la prima (che andava bene) oppure rivolgeteVi ad un patronato di un qualsiasi Sindacato che Vi potrà dare ogni suggerimento utile.
In bocca al lupo!