Ricerca personalizzata

lunedì 28 giugno 2010

ASPETTATIVE ED INSODDISFAZIONE

Marco (Lombardia)

Buongiorno,
 
sono arrivato al vostro interessantissimo blog perchè su Google ho digitato questa ricerca: "Idealizzare il lavoro". Perchè stavo ricercando proprio questo? Perchè penso di essere affetto da questo fastidiosissimo problemino! Cercherò di spiegarmi meglio...
 Ho 34 anni e negli ultimi 9 anni, dopo essermi laureato, ho lavorato per diverse società in diverse mansioni. Ho sviluppato una mia visione di "quello che voglio fare" e penso di aver seguito un percorso lavorativo che, se agli occhi di un selezionatore potrebbe sembrare dispersivo, ha comunque un suo filo logico. Non sono stato fortunato come chi, uscendo dall'università di economia (quella che ho frequentato io), inizia a fare il revisore, cresce fino ad associarsi in una big 4, e poi va a fare il cfo per una società sua cliente, e poi magari diventa anche l'AD della stessa. Non avevo le idee così chiare ma ho dovuto scontrarmi con la realtà e modificare in itinere le mie convinzioni e aspettative. 
Io non ho avuto questo percorso, anche perchè la carriera lavorativa si è fusa con la vita familiare  e ci sono scelte, assolutamente spontanee e che rifarei tuttora, che sono state orientate in favore dell'equilibrio familiare piuttosto che in favore degli obiettivi professionali. 
 In 9 anni ho lavorato per una piccola società di informatica nella città del nord in cui vivo, sono entrato poi in una grande azienda italiana solida e stabile e in quattro anni e mezzo, partendo dalla base come semplice impiegato, sono arrivato all'ufficio direzionale a cui puntavo. Poi mi sono reso conto che i miei obiettivi professionali e quelli del mio datore di lavoro non erano conciliabili, e così ho lasciato per frequentare un master che mi ha dato la possibilità di entrare nell'azienda per la quale lavoro oggi, da più di un anno e mezzo. Mi occupo di export e sono arrivato alla consapevolezza che quello che mi aspettavo anche da questa azienda (e non tanto dalla posizione che ricopro e che mi piace) non è in realtà quello che mi può offrire. E quindi mi ritrovo a rimettermi alla ricerca di una posizione come la mia ma in aziende differenti. Perchè mi ritrovo sempre in questa situazione di disaffezione? Forse perchè ho sempre troppe aspettative, troppi sogni (si, sono affetto dalla malattia del "sognatore") riposti nell'azienda per cui vorrei lavorare. Ma mi rendo però anche conto che mi è capitato poche volte di avere degli obiettivi concreti su cui posso confrontare i risultati che porto a casa (parliamo di budget, parliamo di risultati quantitativamente misurabili):" per cui questo mio approccio diciamo "creativo" o "strategico" prende il sopravvento e inizio a costruire una mia visione di "come dovrebbe essere". E rimango immancabilmente deluso perchè la realtà è diversa. Mi ritrovo oggi a dover smontare le aspettative che ripongo nel lavoro, nell'azienda, e ricercare altro perchè forse non riesco a scendere a compromessi con la realtà.
Sicuramente, se riuscissi a trovare un altro posto, dopo un po' di tempo questa disaffezione tornerebbe a  bussare alla mia porta. E allora come posso fare per sgonfiare a priori le mie aspettative e come posso essere più realista e non idealizzare troppo il mio lavoro o l'azienda per la quale lavoro?
Grazie per la vostra cortese attenzione.
Marco.


Egregio Dottor Marco,
ho riletto molte volte la Sua lettera e con molta attenzione. Prima di mettermi a risponderLe mi sono per un attimo calato nei panni di tutte quelle altre persone che leggendo ciò che Lei ha scritto, La invidieranno. Eh si, caro Marco, chissà quanti vorrebbero trovarsi al Suo posto ed avere anche le capacità, la preparazione che ha Lei ed anche, perchè no, trovarsi nella Sua attuale posizione.
Scommetto che tanti se ne infischierebbero di aspettative che non vanno a buon fine, se arrivare dove è arrivato Lei significa aspettative non arrivate a buon fine.
Però, non siamo tutti uguali e ciò che va bene ad uno non va ad un altro. Inizio allora a rispondere partendo dalla fine della Sua lettera.
Non sgonfi le Sue aspettative, per carità. Esse sono un sogno ed i sogni vanno sempre portati avanti. Lei tuttalpiù eviti davvero di vedere l'azienda come qualcosa di perfetto; qualcosa da mettere su un piedistallo; un modello di riferimento certo, così come quell'entità che finalmente, capendoLa, soddisferà ogni Sua aspettativa.
Le aziende non sono formate che da gruppi di lavoratori, ognuno con pregi e difetti. Pregi e difetti che si uniscono o si scontrano; che si associano o si allontanano anche proporzionalmente alle visioni strategiche; alle necessità dei Soci o della Proprietà come anche, e forse ancor più, alle necessità dei lavoratori e dei problemi che le persone hanno.
Nelle aziende non trovano quasi mai spazio i desideri o le aspirazioni dei singoli. Sa meglio di me che l'azienda si pone obiettivi generali di gruppo e si affida proprio al Management ed al lavoro di tutto il team di addetti affinchè questi vengano raggiunti. Come ciò avvenga, a volte non è nemmeno chiaro ma avviene.
Potremmo, per questo, scomodare la psicologia di gruppo ma non è il caso.
Tenga i suoi sogni e continui a svilupparli ma li separi dalla realtà quotidiana.
Lei scrive “ ...mi rendo però anche conto che mi è capitato poche volte di avere degli obiettivi concreti su cui posso confrontare i risultati che porto a casa (parliamo di budget, parliamo di risultati quantitativamente misurabili):" per cui questo mio approccio diciamo "creativo" o "strategico" prende il sopravvento e inizio a costruire una mia visione di "come dovrebbe essere". E rimango immancabilmente deluso perchè la realtà è diversa.”

Non conosco l'azienda in cui Lei sta operando, ovviamente, ma mi pare di comprendere che Lei si trovi in una posizione di Responsabile Export. Da quanto Lei scrive ed ho sopra riportato, credo che nella posizione che occupa, a Lei non abbiano dato obiettivi misurabili da raggiungere e questo Le crea problemi. Sinceramente li creerebbe anche a me ed a qualunque Manager ma, proprio in quanto manager Lei, abituato a trovare soluzioni ai problemi, deve saper trovare una soluzione anche a questo che, se non è un problema dell'azienda, lo è divenuto per Lei..
Esistono aziende, quasi sempre padronali, in cui i Manager sono tenuti a capo di qualcosa per svolgere compiti assegnati che, spesso, non obbligatoriamente sono legati ad obiettivi perchè la Proprietà chiede solo la gestione, tenendo per sé la linea strategica.
In pratica, Manager a mezzo servizio ovvero, persone di cui il Padrone ha assoluta fiducia e che per questo tiene, ma che, di fatto, devono fare e disfare ciò che la Proprietà dice. Posizioni piuttosto demotivanti ma assai ambite proprio per mancanza di responsabilità.
Lei, questa mancanza di responsabilità la soffre. Vorrebbe avere obiettivi; lavorare per questi, trovando soddisfazione nel loro raggiungimento. Forse, dico forse, questo soffrire la mancanza di obiettivi e di conseguente valutazione del lavoro che svolge può significare una Sua volontà di voler vedere riconosciute i Suoi meriti e le capacità che ritiene avere ma che non vede formalmente accettate. Ecco il Suo sogno; il Suo idealizzare il lavoro. Tornerò più avanti su questo punto.
In altra parte della lettera, scrive: ““ho sviluppato una mia visione di "quello che voglio fare" .... Se ha sviluppato una Sua visione del lavoro e vuole vederla realizzata, credo che la strada per farlo sia solo un'attività in proprio. Sin quando opererà in altre aziende, difficilmente potrà veder realizzato questo sogno.
Se può farLe piacere sappia che nel nostro paese, se togliamo le multinazionali che, necessariamente ed obbligatoriamente operano con precisi budget da raggiungere e di cui i vari Manager sono responsabili e se a queste Società aggiungiamo qualche manciata di altre grosse società che hanno imparato ad operare con seri obiettivi, abbiamo una realtà ben diversa di gestione.
Solitamente, le aziende più o meno grandi o medie, si danno un obiettivo annuo senza poi viverlo veramente con l'attenzione mensile o trimestrale che dovrebbe avere, per conoscere ed eventualmente correggere gli andamenti. Di fatto, l'obiettivo (perchè sempre di obiettivo si parla) è qualcosa che occorre “tentare di raggiungere” ma, se strada facendo ciò non avviene, lo si accetta adducendo a scuse varie, e se invece lo si azzecca, forse nessuno sa esattamente perchè ciò sia avvenuto.
In questo panorama, se un Manager “sognatore” sogna che l'azienda in cui opera sia perfetta, idealizza il proprio lavoro e si ritrova quasi a non sapere se ha lavorato bene o no, perchè non è stato posto nella condizione di confrontare il proprio lavoro con un budget che gli avrebbe detto se è stato bravo....., certamente non può trovarsi bene. Gliene do atto, ma stia attento. Forse non troverà diverso ambiente in altre aziende.
Ecco quindi allora la necessità di prendere consapevolezza di questo andazzo, trovando in sé la soluzione. Ma gliela dirò più avanti.
Le aziende, caro Dottor Marco, hanno i limiti ed i vincoli di ogni organizzazione. O si accettano o, se la cosa non è sostenibile, ci si guarda attorno. Difficile credere di riuscire a cambiarle, a meno che la posizione sia tale da permetterlo.
Rileggendo nuovamente la Sua lettera, e questa volta dall'inizio, è chiara una Sua certa e probabilmente giusta intolleranza verso ciò che inizialmente appariva una cosa per poi scoprire che non è così.
Tralasci la parte iniziale delle Sue esperienze lavorative. Non mi sembra comunque che ne abbia avute di brutte ma anche se fosse, all'inizio, va tutto bene. Addirittura rafforzano.
Scrive: “... sono entrato poi in una grande azienda italiana solida e stabile e in quattro anni e mezzo, partendo dalla base come semplice impiegato, sono arrivato all'ufficio direzionale a cui puntavo. Poi mi sono reso conto che i miei obiettivi professionali e quelli del mio datore di lavoro non erano conciliabili, e così ho lasciato”.
Qui mi soffermerei un attimo. Si è trovato una buona azienda ed in quattro anni, dalla base è arrivato alla Direzione a cui puntava..... E dice poco? Questo doveva bastare per farLe comprendere che la stoffa c'è e da questo doveva partire per solidificare la posizione,mantenendola. Invece, ecco venir fuori che i Suoi obiettivi professionali non erano conciliabili con quelli del Suo Capo.
Sorrido perchè mi vien in mente che quando si inizia una collaborazione ed ancor prima, durante un colloquio di lavoro, ci si trova nella stessa posizione di due quasi innamorati che vedono solo rose e non spine. Non mi è mai capitato di partecipare o seguire un colloquio in cui tutto non fosse possibile, accettabile, assolutamente certo. In cui la disponibilità aziendale o del lavoratore non sia di totale apertura a qualunque futura richiesta.
Quasi sempre poi, finito il periodo di fidanzamento, l'azienda si scorda di qualche promessa o il lavoratore si scorda di qualcos'altro. Ed anche a Lei è accaduto di scoprire che i Suoi obiettivi non erano più conciliabili e se n'è andato.
Ha riposto i Suoi sogni e l'idealizzazione dell'azienda nella valigia ed ecco inserirsi in un'altra realtà (probabilmente con lo stesso approccio da innamorati) per accorgersi molto presto che anche qui, l'azienda non può darLe ciò che vorrebbe.
E qui mi fermo.
Se parliamo di sogni posso suggerirLe una ricetta semplice ma mi pare, a questo punto che ci sia qualcos'altro.
Lei dice che la posizione che svolge Le piace ma l'azienda non può seguirLa.
Non voglio approfondire perchè è giusto che sia Lei a guardarsi dentro ma forse, riprendendo quanto ho scritto in precedenza in altro punto, c'è uno stato di insoddisfazione personale che Lei addebita all'azienda, piuttosto che uno stato di incapacità dell'azienda a soddisfarla. Mi pare davvero strano che nelle Sue esperienze, peraltro positive, sia sempre arrivato a questa conclusione.
Cosa cerca? L'azienda potrà darLe una posizione ma non può prendersi cura dei Suoi bisogni interiori. Non mettiamoci a cercare in un'istituzione come l'azienda la soddisfazione di nostre necessità personali. Da quanto Lei scrive credo che Lei abbia dato tanto alle aziende con cui ha operato ma mi pare che anche esse abbiano corrisposto con responsabilità. Probabilmente entro i limiti che le aziende avevano l'hanno portata a crescere, premiandoLa a modo loro. Lei desiderava o desidera “riconoscimenti, considerazione e conferme” che Le dicano “sei bravo”. Non ha riconosciuto e non ritiene di riconoscere nei metodi delle aziende che il modo usato sia quanto meno accettabile.
Non veda nell'azienda il padre o la madre. Veda nient'altro che un'organizzazione di lavoro a cui Lei può dare il massimo e da cui riceverà probabilmente sempre un po' meno di quanto possa aspettarsi. Stop.
Se non prenderà atto di questa realtà, vivrà sempre male un rapporto che invece mi sembra Lei possa portare avanti molto bene.
Il problema della disaffezione, che in Lei è, a questo punto, quasi normale, può derivare (mi scusi se mi azzardo pur non conoscendoLa) da una grande stima che Lei ha di sé stesso e che Le fa fare probabili giusti piani mentali senza poi che questi siano considerati o voluti o accettati dall'azienda. In altre parole, Lei pensa che le cose vadano fatte in un certo modo. L'azienda magari segue un'altra via. Questo, tendenzialmente porta il Manager che ha sviluppato un proprio piano strategico a sentire non riconosciuta la propria capacità e da qui, una lenta ma costante disaffezione.
Come dire: “non capiscono niente. Occorrerebbe fare così e non lo fanno. Se mi avessero ascoltato....”
Infine, eccoci alla Sua visione di “come dovrebbe essere” ed eccomi a parlare dei sogni.
Si può essere buoni Manager aziendali ma anche buoni Manager di sé stessi. Sappia che I sogni servono per realizzare noi stessi ancor prima di soddisfare gli altri.
Vero è che un Manager che non ha obiettivi arriva alla frustrazione ma un Manager può e deve darsi gli obiettivi. Deve farlo per una soddisfazione personale.
Lei ha scritto di non avere obiettivi quantificabili. Bene. Se li dia. Conosce il Suo lavoro; conosce la struttura; il mercato; i clienti, la concorrenza. Si dia degli obiettivi ambiziosi e poi, come più volte ho detto da queste pagine, (può trovare numerose risposte al merito in archivio) faccia tutto per raggiungerli. L'azienda non arriva a darglieli? Poco importa. Si scriva su un foglio dove vuole arrivare; cosa vuole costruire; quanto vuole vendere; che quote vuole prendere; quanti clienti, con quale struttura o rete vendita.
Non voglio assolutamente insegnarLe a ragionare in percentuali di sviluppo. Nella Sua posizione, che ci siano gli obiettivi aziendali o meno, poco importa. Se li dia Lei e faccia di tutto, tenendoli sotto controllo mensilmente, per arrivare a centrarli. Può anche dimostrare all'azienda di saper andar oltre, presentando Lei gli obiettivi che si è dato, tenendola aggiornata periodicamente degli andamenti e degli eventuali correttivi.
Ma non è così importante che questi siano resi pubblici. Se li costruisca e se li porti avanti Lei. Mi creda, se lo dovesse fare e dovesse centrarli, come credo, troverà in questo, tutte le soddisfazioni che non ha avuto e che forse poco avrà. Un po' come un gioco. Una sfida con sé stesso. Se altri non riconoscono le Sue capacità....peggio per loro. Lei sa di valere. Tutto il resto può tirare avanti.
Infine, ancora, se proprio dovesse decidere di cambiare azienda, si ricordi di presentarsi al colloquio con precise Sue richieste proprio sui punti che per Lei sono inderogabili, compresi, perchè no, la volontà di avere obiettivi aziendali a cui Lei affida la valutazione del Suo lavoro.
Se nelle Sue ambizioni c'è la volontà di dimostrare d'essere bravo tanto da voler arrivare ad essere il numero Due (non dica mai il numero Uno altrimenti non verrebbe mai assunto), chieda durante il colloquio se l'azienda può portarLa a questa posizione. Se la risposta è “no, oppure...vedremo al momento, od ancora...così in alto sarà difficile ma non si puoi mai sapere...” lasci perdere perchè altrimenti dopo poco Lei si troverà nuovamente davvero demoralizzato per le aspettative non realizzate.
Le aspettative che ha, Le tenga e Le sviluppi per Lei stesso. Sia solo più pragmatico nella valutazione del mondo del lavoro, sopratutto se deve dipendere da altri.
Vorrei dirLe che l'insoddisfazione che ha Lei è alla base di molte passate scelte di attuali imprenditori che, ritenevano di non essere riconosciuti nelle loro capacità, in precedenti occupazioni. Non voglio con questo spingerLa ad alcun gesto che, coi tempi attuali, è meglio non fare se non si è coperti per farlo, ma effettivamente molti imprenditori sono divenuti tali proprio perchè non accettavano di non veder riconosciute le loro idee. Sa però qual'è il rovescio della medaglia: quegli stessi manager una volta divenuti imprenditori hanno teso e tendono a portare avanti le loro idee...senza ascoltare quelle dei Manager, tipo Lei, che hanno alle dipendenze.
Ed il gioco si ripete.
Mi chiede: “...come posso essere più realista e non idealizzare troppo il mio lavoro o l'azienda per la quale lavoro?” Beh, può farlo semplicemente pensando che l'azienda, proprio in quanto conglomerato di uomini, racchiude in sé tutti gli splendori e le miserie umane, esattamente come nella vita, essendo proprio uno spaccato della stessa; un microcosmo in cui vivono gioie e dolori, simpatie ed antipatie, accordi e liti.
Veda l'azienda per quello che è.
Tanti in bocca al lupo per il Suo futuro.

venerdì 25 giugno 2010

PARLARE PER SE'

Antonio B. Milano


Ho ventisette anni e da due opero in una società commerciale, in ufficio, con altri sette dipendenti. Fino a metà dello scorso anno tutto andava bene. Avevamo un capo assolutamente preciso ma comprensivo. Un giorno ha dato le dimissioni ed è arrivato un altro piuttosto anziano che ha cominciato da subito a dare ordini nel senso cattivo del termine; a controllare, anche ad urlare se qualcosa non andava. Poiché va a braccetto con l'alta dirigenza, può permettersi tutto.
L'ufficio ha cominciato a mugugnare. Io personalmente mi sono trovato in una situazione in cui sono stato ritenuto o quasi ritenuto colpevole di un lavoro gestito male mentre la realtà è un'altra. Così tra di noi abbiamo cominciato a parlare delle cose che non vanno; di come vorremmo che andassero; come questo capo è assurdo; di come la dirigenza dovrebbe accorgersene; del lavoro che secondo noi va peggio perchè nessuno si prende più la responsabilità di niente ed altre cose. Premetto che i miei colleghi sono di tutte le età e di tutte le anzianità aziendali.
Quando si parla e io dico la mia, trovo tutti d'accordo e tutti che mi dicono si, è vero, bravo, bisogna dirlo. Così è accaduto che un giorno, all'ennesima provocazione di questo capo, io sono sbottato e gli ho detto tutto quanto non andava e tutto quanto pensavo. Per rafforzare ciò che dicevo, ho detto che anche gli altri impiegati erano d'accordo con me e la pensavano allo stesso modo.
Non lo avessi mai fatto. Improvvisamente, uno per uno si sono tirati indietro dicendo che loro ascoltavano e basta.
Il capo li ha poi chiamati in ufficio uno per uno e dato che alla fine sono stato chiamato io, mi ha detto che i miei colleghi non erano affatto d'accordo con me e che non dovevo tirarli dentro a suffragare le mie tesi solo per farmi forte. Insomma alla fine la colpa è mia perchè ho detto che anche loro la pensavano così. Mi sono preso una lavata di capo con preghiera di andarmene se non sono contento ed in oltre, per aver portato avanti un problema a nome di tutti, mi sono fatto tutti nemici.


Caro Antonio,
a ventisette anni forse non si è ancora preparati e corazzati alla vita d'ufficio, anche perchè la stai facendo da solo due anni.
Accade spesso che, in situazioni difficili, per avvalorare quanto si dice, per farsi forza e dimostrare che non si parla solo per sé, si dica “parlo a nome di tutti”.
Male, molto male! Non riesco a condannarTi perchè questo è un vezzo italiano che puoi sentire quotidianamente anche in televisione. Gli italiani non sanno più esprimere un proprio parere parlando a proprio nome. Per dimostrare chissà cosa, dicono sempre che parlano a nome degli altri. Ma perchè? Perchè parlare a nome degli altri? Gli altri se vorranno, parleranno a loro volta.
Occorre proprio imparare a prendesi le proprie responsabilità Se gli altri pensano davvero che sia giusto, starà a loro intervenire ed associarsi a quanto detto, ma mai bisogna tirar dentro qualcuno che in quel momento tace.
Un vezzo da ufficio è proprio quello di criticare tutto e tutti e dirsi d'accordo sulle critiche portate avanti da altri. Ma questo è un vezzo; un classico gossip da ufficio che termina alle cinque e mezza per riprendere il giorno dopo. E' quasi l'autorizzazione al mugugno che i marinai avevano per contratto. In ufficio si può fare gossip perchè fa parte del lavoro.
“Parlo a nome degli italiani” si sente spesso dire da qualcuno in televisione. Ma chi ti ha detto di farlo? Chi ti ha autorizzato? Perchè devi parlare a nome degli italiani? Io non ti autorizzo a parlare per me. Eppure, la gente parla a nome di altri.
E così anche Tu, in buonafede ma un po' ingenuamente, ci sei cascato. E Ti è costata molto cara. Più di quanto hai detto (che del resto è un parere e come tale un Capo dovrebbe recepirlo) la figuraccia si fa quando si tirano in ballo gli altri e questi fanno un passo indietro. Quel momento è davvero brutto.
Il Tuo Capo poi chiamandoli uno ad uno in ufficio ha avuto gioco facile a sentir dire che Tu parlavi per Te. Chi vuoi che vada a confermare d'essere d'accordo su una causa che è già persa?
Oggi Ti sei fatto tutti nemici e ci credo. Non sarà poi più nemmeno possibile ricucire con loro perchè nessuno si fiderà più a dirTi le cose ne ad ascoltarTi.
Se Tu avessi detto ciò che pensavi, senza tirar dentro loro, avresTi espresso un'opinione, discutibile per il Tuo Capo, ma comunque, un'opinione. E contemporaneamente avresTi avuto le lodi dei colleghi che avrebbero visto in Te un leader forte, senza macchia e senza paura. E' andata diversamente anche perchè in certe situazioni, se non c'è esperienza, è anche difficile riflettere.
Il guaio è che ora l'ambiente Ti è ostile. Personalmente, anche se non lo chiedi, e forse non lo fai perchè lo hai già capito, io inizierei a cercare un'alternativa di lavoro e me ne andrei semplicemente perchè non è possibile andare in ufficio e lavorare otto ore tutti i giorni del mio futuro, in un ambiente in cui tutti mi girano alla larga.
E nel prossimo lavoro....vedrai che non Ti capiterà più. Non farTene un grosso problema; devi solo stare più attento.
Ciao.

lunedì 21 giugno 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 15

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.


Fine quattordicesima parte


Ho voluto che il premio fosse diviso in parti uguali perchè tutti danno il massimo. Ognuno di loro poi può farne ciò che vuole. Può tramutarlo in oggetti per uso personale, può decidere di lasciarlo nella cassa comune che, del resto dà ottimi interessi e prelevare anticipi quando serve, in ogni momento. Insomma, libertà di gestire ciò che hanno guadagnato. Sono tutti in gamba”
“Da come si è sempre espresso non ho dubbi....” - risposi
“La vendita è un rapporto delicato tra due persone che, nel momento della trattativa comunicano tra loro per raggiungere un obiettivo comune....



Inizio quindicesima parte


....Il venditore quindi, o nel mio caso, un mio collaboratore, deve capire bene cosa occorra al cliente. Deve essere allora molto disponibile ad ascoltare ed io dico che dev'essere anche molto sereno per lavorare bene. Non è molto facile capire sempre alla perfezione cosa desidera il cliente e qual è il problema da risolvere. Ecco perchè le persone devono essere in gamba! In gamba anche nell'esprimersi, nel saper presentare un oggetto o , come ci siamo detti prima, nel saper passare SENSAZIONI POSITIVE.
Io ho aiutato queste persone a crescere ed ora che mi sono di così grande aiuto; ora che vivono questa realtà di vendita come fosse loro, non posso certo trattarli diversamente da ciò che sono: collaboratori amici.
L'idea del QUALCOSA IN PIU' ad esempio, è venuta a loro. Certo, non conoscendo a fondo le condizioni praticate dalle aziende o i margini di vendita, la loro è stata una proposta creativa che mi ha permesso, con una discussione ed un'analisi, la possibile attuazione. In pratica – proseguì – si è partiti da questo concetto: in un settore in cui tutti vendono le stesse cose; in cui i prodotti di marca sono qualitativamente simili; la comunicazione delle aziende è praticamente uguale; il packaging non si differenzia.....insomma, anche volendo è impossibile essere diversi.
Allora, o si rimane nel gruppo e si resta in attesa del cliente lasciando a lui la scelta (che è sempre a nostro svantaggio) oppure, per attirare e vendere, dobbiamo offrire qualcosa di più. Ed è su questo concetto che ho lavorato. QUALCOSA DI PIU' è così divenuto un nostro modo di differenziarci. In pratica, ogni nostra vendita dà sempre qualcosa in più al cliente. Può essere un pezzo optional dato in omaggio ed in aggiunta all'acquistato e che prima o poi al cliente servirebbe. Può essere un buono di assistenza gratuita oppure, se proprio l'articolo in vendita non ci permette questi abbinamenti, aggiungiamo un piccolo dono.
Insomma, il concetto del QUALCOSA IN PIU' è ormai un nostro modo di essere differenti. Il cliente lo sa: a parità di prezzo con gli altri, da noi è più conveniente acquistare. I produttori cercano ogni soluzione per ridurre qualcosa mantenendo il listino di sempre così, ad esempio, ogni confezione, se lei ci bada, contiene sempre spazi vuoti o nicchie che un tempo servivano per alcuni pezzi che sono stati tolti. Proseguendo così, fra non molto diverrà optional anche il pezzo principale – disse ridacchiando un poco - ed assieme alla confezione si venderà l'idea del prodotto.
Noi prendiamo invece uno o più oggetti che prima erano inclusi, ne calcoliamo il costo e li proponiamo in vendita abbinata ad un listino di molto inferiore alla somma dei singoli prezzi. Ovvero, torniamo a riempire i vuoti facendo risparmiare i clienti. Che ne dice? Facciamo bene?”
“Beh, è certamente una bell'idea – risposi – che presumo non pubblicizzerete molto per non stimolare gli altri...”
“No, no, anzi, i nostri concorrenti conoscono tutti questo nostro modo di fare ma non tempo laconcorrenza perchè, al solito, sono il solo a farlo. Gli altri non mi seguono per paura di guadagnare meno....
La sola paura di rimetterci qualcosa dell'ipotetico margine fa rimanere tutti fermi al palo. Pensi che siamo i soli, ad esempio, a partecipare alla Fiera cittadina con gare e premi.
Ricorda quando le dissi che è un peccato rivolgersi solo agli addetti, quando il mercato è più ampio? Bene, è sotto quest'ottica che ogni anno presentiamo un nostro stand, alla fiera cittadina. Pensi che neppure parliamo dei nostri prodotti. Nel nostro stand invitiamo tutti a cimentarsi in gare simpatiche e semplici, con possibilità di vincere premi. Non vendiamo; non parliamo di prodotti ne di cose tecniche. Non facciamo altro che cercare di avvicinare persone ad un settore spesso visto come difficile. Ed è in questo modo che donne e ragazzi provando per gioco, magari per la prima volta, uno strumento ritenuto d'uso esclusivo degli addetti, s'accorgono che non è poi così difficile il fai da te.
Inventiamo gare molto belle e poiché è qualcosa di assolutamente diverso da quanto proposto da altri, che tra l'altro non propongono nulla, ci ritroviamo tutti gli anni con grossi articoli sul giornale, foto dei vincitori e tanta pubblicità gratuita, oltre ad un parco di nuovi amici.”
“Credo che un caffè – dissi – possa solo servire a farla rilassare un attimo, tra un'idea e l'altra. Ammesso che non abbia ancora terminato. Io non mi meraviglierei..... Spesso, mentre parla, mi ritrovo a chiedermi cosa accadrebbe se lei potesse sfruttare queste idee su scala più ampia...”
“No, per carità – disse mentre, avvicinandoci al banco bar, notavamo un paio di commessi presentare alcuni prodotti stando comodamente seduti, coi clienti, ai tavolini – il bello del mio lavoro sta nel fatto che opero nell'ambito della mia realtà. Se gestissi qualcosa di più grande probabilmente non potrei fare ciò che faccio. Si ricorda il discorso di Davide e Golia? I grandi hanno i limiti imposti dalla loro grandezza. Proprio per questo io posso attaccarli su ciò in cui loro non possono seguirmi. Un po' come l'idea del PACCHETTO SCONTI....., accidenti, questa quasi me la dimenticavo – disse - Forse avevo proprio bisogno di un caffè. Dunque – proseguì - quella del PACCHETTO SCONTI è un'idea che mi venne un giorno, mentre visitavo un centro commerciale. Mentre mi lambiccavo il cervello per trovare qualcos'altro che mi aiutasse a differenziarmi, pensai ai negozi cittadini ed al centro commerciale. Quest'ultimo attirava massa, non lo si può negare. Era pieno, ed erano ben frequentati anche i negozi della galleria. I negozi..., i negozi...pensai tra me, ed ecco che arrivò l'idea.
Così, tornando a casa, riflettei e più ci pensavo, più la trovavo interessante.....


fine quindicesima parte

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 15

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.


Fine quattordicesima parte


Ho voluto che il premio fosse diviso in parti uguali perchè tutti danno il massimo. Ognuno di loro poi può farne ciò che vuole. Può tramutarlo in oggetti per uso personale, può decidere di lasciarlo nella cassa comune che, del resto dà ottimi interessi e prelevare anticipi quando serve, in ogni momento. Insomma, libertà di gestire ciò che hanno guadagnato. Sono tutti in gamba”
“Da come si è sempre espresso non ho dubbi....” - risposi
“La vendita è un rapporto delicato tra due persone che, nel momento della trattativa comunicano tra loro per raggiungere un obiettivo comune....



Inizio quindicesima parte


....Il venditore quindi, o nel mio caso, un mio collaboratore, deve capire bene cosa occorra al cliente. Deve essere allora molto disponibile ad ascoltare ed io dico che dev'essere anche molto sereno per lavorare bene. Non è molto facile capire sempre alla perfezione cosa desidera il cliente e qual è il problema da risolvere. Ecco perchè le persone devono essere in gamba! In gamba anche nell'esprimersi, nel saper presentare un oggetto o , come ci siamo detti prima, nel saper passare SENSAZIONI POSITIVE.
Io ho aiutato queste persone a crescere ed ora che mi sono di così grande aiuto; ora che vivono questa realtà di vendita come fosse loro, non posso certo trattarli diversamente da ciò che sono: collaboratori amici.
L'idea del QUALCOSA IN PIU' ad esempio, è venuta a loro. Certo, non conoscendo a fondo le condizioni praticate dalle aziende o i margini di vendita, la loro è stata una proposta creativa che mi ha permesso, con una discussione ed un'analisi, la possibile attuazione. In pratica – proseguì – si è partiti da questo concetto: in un settore in cui tutti vendono le stesse cose; in cui i prodotti di marca sono qualitativamente simili; la comunicazione delle aziende è praticamente uguale; il packaging non si differenzia.....insomma, anche volendo è impossibile essere diversi.
Allora, o si rimane nel gruppo e si resta in attesa del cliente lasciando a lui la scelta (che è sempre a nostro svantaggio) oppure, per attirare e vendere, dobbiamo offrire qualcosa di più. Ed è su questo concetto che ho lavorato. QUALCOSA DI PIU' è così divenuto un nostro modo di differenziarci. In pratica, ogni nostra vendita dà sempre qualcosa in più al cliente. Può essere un pezzo optional dato in omaggio ed in aggiunta all'acquistato e che prima o poi al cliente servirebbe. Può essere un buono di assistenza gratuita oppure, se proprio l'articolo in vendita non ci permette questi abbinamenti, aggiungiamo un piccolo dono.
Insomma, il concetto del QUALCOSA IN PIU' è ormai un nostro modo di essere differenti. Il cliente lo sa: a parità di prezzo con gli altri, da noi è più conveniente acquistare. I produttori cercano ogni soluzione per ridurre qualcosa mantenendo il listino di sempre così, ad esempio, ogni confezione, se lei ci bada, contiene sempre spazi vuoti o nicchie che un tempo servivano per alcuni pezzi che sono stati tolti. Proseguendo così, fra non molto diverrà optional anche il pezzo principale – disse ridacchiando un poco - ed assieme alla confezione si venderà l'idea del prodotto.
Noi prendiamo invece uno o più oggetti che prima erano inclusi, ne calcoliamo il costo e li proponiamo in vendita abbinata ad un listino di molto inferiore alla somma dei singoli prezzi. Ovvero, torniamo a riempire i vuoti facendo risparmiare i clienti. Che ne dice? Facciamo bene?”
“Beh, è certamente una bell'idea – risposi – che presumo non pubblicizzerete molto per non stimolare gli altri...”
“No, no, anzi, i nostri concorrenti conoscono tutti questo nostro modo di fare ma non tempo laconcorrenza perchè, al solito, sono il solo a farlo. Gli altri non mi seguono per paura di guadagnare meno....
La sola paura di rimetterci qualcosa dell'ipotetico margine fa rimanere tutti fermi al palo. Pensi che siamo i soli, ad esempio, a partecipare alla Fiera cittadina con gare e premi.
Ricorda quando le dissi che è un peccato rivolgersi solo agli addetti, quando il mercato è più ampio? Bene, è sotto quest'ottica che ogni anno presentiamo un nostro stand, alla fiera cittadina. Pensi che neppure parliamo dei nostri prodotti. Nel nostro stand invitiamo tutti a cimentarsi in gare simpatiche e semplici, con possibilità di vincere premi. Non vendiamo; non parliamo di prodotti ne di cose tecniche. Non facciamo altro che cercare di avvicinare persone ad un settore spesso visto come difficile. Ed è in questo modo che donne e ragazzi provando per gioco, magari per la prima volta, uno strumento ritenuto d'uso esclusivo degli addetti, s'accorgono che non è poi così difficile il fai da te.
Inventiamo gare molto belle e poiché è qualcosa di assolutamente diverso da quanto proposto da altri, che tra l'altro non propongono nulla, ci ritroviamo tutti gli anni con grossi articoli sul giornale, foto dei vincitori e tanta pubblicità gratuita, oltre ad un parco di nuovi amici.”
“Credo che un caffè – dissi – possa solo servire a farla rilassare un attimo, tra un'idea e l'altra. Ammesso che non abbia ancora terminato. Io non mi meraviglierei..... Spesso, mentre parla, mi ritrovo a chiedermi cosa accadrebbe se lei potesse sfruttare queste idee su scala più ampia...”
“No, per carità – disse mentre, avvicinandoci al banco bar, notavamo un paio di commessi presentare alcuni prodotti stando comodamente seduti, coi clienti, ai tavolini – il bello del mio lavoro sta nel fatto che opero nell'ambito della mia realtà. Se gestissi qualcosa di più grande probabilmente non potrei fare ciò che faccio. Si ricorda il discorso di Davide e Golia? I grandi hanno i limiti imposti dalla loro grandezza. Proprio per questo io posso attaccarli su ciò in cui loro non possono seguirmi. Un po' come l'idea del PACCHETTO SCONTI....., accidenti, questa quasi me la dimenticavo – disse - Forse avevo proprio bisogno di un caffè. Dunque – proseguì - quella del PACCHETTO SCONTI è un'idea che mi venne un giorno, mentre visitavo un centro commerciale. Mentre mi lambiccavo il cervello per trovare qualcos'altro che mi aiutasse a differenziarmi, pensai ai negozi cittadini ed al centro commerciale. Quest'ultimo attirava massa, non lo si può negare. Era pieno, ed erano ben frequentati anche i negozi della galleria. I negozi..., i negozi...pensai tra me, ed ecco che arrivò l'idea.
Così, tornando a casa, riflettei e più ci pensavo, più la trovavo interessante.....


fine quindicesima parte

domenica 13 giugno 2010

LA PRIMA VENDITA

Roberto B. Roma

Ho 18 anni e voglio fare il venditore rappresentante. C'è nella mia zona una piccola azienda che cercava un giovane venditore così mi sono presentato e mi hanno preso. I prodotti dovrebbero essere buoni e costano poco. Mi hanno detto di non avere molti clienti ma lavorando con pazienza si potrebbe fare un buon lavoro. Io prenderei provvigioni sul venduto e un aiuto sulle spese.
Però io non ho mai fatto questo lavoro e non so come neppure si fa. L'azienda mi dice di prendere la borsa, presentarmi a tutti i potenziali clienti ed offrire, perchè le condizioni sono buone.
Ora faccio una domanda, come faccio a vendere un prodotto?
Mi aiutate? Grazie


Caro Roberto diciottenne,
ho letto più volte la Tua lettera perchè un po' stentavo a credere che non fosse uno scherzo. Poi mi sono convinto che ancora oggi esistono piccole aziende, purtroppo senz'arte ne parte, che accettano chiunque si presenti dicendo loro “prendi e vai”.
Questa non è una critica per Te. Tu sei giovane, senza esperienza alcuna ma dotato almeno di voglia di lavorare e questo Ti fa onore. La critica è per l'azienda che, senza peli sullo stomaco, manda allo sbaraglio una persona, con il solo obiettivo di portar a casa qualche nuovo cliente. Poi, se il venditore si perderà per strada, ne arriverà un altro, sprovveduto, che porterà qualche nuovo cliente e così via. Senza impegni e senza alcuno sforzo, lentamente ci si fa una rete di clienti quasi gratuitamente.
Vi sono nel panorama industriale queste piccole entità produttive o commerciali che, a volte, hanno anche ottimi prodotti senza avere la capacità economica di lanciarsi sul mercato così come, a dire il vero, vi sono anche piccole aziende che credono di avere qualcosa di accettabile mentre invece producono prodotti pessimi e per questo non riescono a svilupparsi.
La Tua, com'è? Non lo sai certamente ed io meno di Te. Se prendo quanto Tu scrivi, non posso farmi una buna idea di un'azienda che Ti dice di prendere la borsa ed andare a vendere sapendo che non lo hai mai fatto. Questo mi lascia supporre che davvero vogliano sfruttare qualche Tuo entusiasmo iniziale, nella speranza che Tu possa portare magari un paio di nuovi clienti.
Sul fatto che i prodotti, a loro detta, siano buoni e costino poco, c'è poco da dire. Chi non lo dice e sopratutto chi non direbbe in fase di ricerca di un venditore? Te lo auguro, ma qualche dubbio ce l'ho.
Dopo questa premessa vengo alla Tua domanda: “come faccio a vendere un prodotto'”.
Essa dimostra davvero che Tu sei totalmente e talmente a digiuno da essere disarmante nella Tua semplicità e questo mi accende una lampadina nella testa. “Beati i semplici perchè a loro si apriranno le porte del paradiso”.
Perchè no, dunque. Perchè non a Te? Vedi, caro Roberto, la Tua brevissima domanda avrebbe bisogno di una risposta lunga un centinaio di pagine almeno. Dovrei farTi un saggio, costruire un'enciclopedia della vendita. Non è possibile ovviamente, anche se mi stai facendo venire in mente che potrei, un domani, avendone il tempo, mettere in rete un vero corso informativo/formativo di vendita per chi, come Te, può trovarsi in queste condizioni.
Ed oggi? Che fare per aiutarTi? Beh, Ti sembrerà strano ma voglio comunque riunire tanti suggerimenti in altrettante pochissime parole per arrivare al centro del problema.
Sei pronto?
Per vendere un prodotto devi trovare una positività in esso e puntare su questa. Ti spiego meglio. Ipotizziamo che Tu possa provare il Tuo prodotto (non so se mangiandolo o usandolo). Potrai avere le seguenti opzioni_
prodotto buono ma con prezzo caro
prodotto non buono ma a buon mercato
prodotto buono con prezzo basso
(Scarto l'opzione prodotto non buono con prezzo alto, perchè dovresTi scartarla subito anche Tu).
Veniamo quindi alle tre più logiche possibilità.
Se il prodotto è ritenibile buono ma costa caro, il suo vantaggio sarà dato dalla bontà. Tutto il Tuo sforzo sarà quindi da dedicare a far comprendere che quel prodotto è davvero superiore, tanto che il suo costo risulta alla fine ininfluente, proporzionalmente alla qualità che altri non hanno. Mi sono spiegato fin qui?
Se il prodotto è ritenibile non buono ma a buon mercato, il vantaggio su cui puntare non sarà la qualità ma il prezzo. Quindi dovrai parlare del costo basso come un vantaggio per i tempi che corrono. Dirai, su richiesta, che il prodotto sta nella fascia di prodotti comunque onesti, come del resto altri, che puntano ad accontentare il cliente facendolo risparmiare. Chiaro? Prima hai puntato sulla qualità per giustificare anche il prezzo. Nel secondo caso parli del prezzo basso che giustifica una minore qualità ma che soddisfa comunque chi vuole risparmiare.
Sulla terza ipotesi c'è poco da dire. Se Ti capita un prodotto buono con prezzo basso, unisci i due vantaggi....e chi Ti terrà più!
C'è però un'altra ipotesi a cui non avevo pensato ma che potrebbe essere logica per una piccola azienda locale; quella di un prodotto mediamente buono o accettabile, con un listino adeguato alla qualità (quindi medio) ma con un margine più alto per il cliente.
In questo caso, dovrai puntare molto sul fatto che stai dando l'opportunità al cliente, a parità di altre prodotti o aziende, di guadagnare di più in un momento in cui tutti riducono i margini. Punta sul fatto che avendo margini superiori lui potrà permettersi di fare riduzioni di prezzo, con offerte, ed essere competitivi e concorrenziali verso gli altri.
Non Ti dari altri suggerimenti perchè Ti ho detto il senso della trattativa di vendita.
RicordaTi sempre: ogni prodotto ha almeno un vantaggio o un pregio. Punta solo ed esclusivamente su quello. Enfatizzalo con entusiasmo e minimizza ciò che non possono essere vantaggi.
Se il prodotto non è alimentare ma, ad esempio, è un oggetto, trova in esso il vantaggio. Potrebbe essere dato dal fatto che è leggero, quindi non stancabile per chi lo usa. Potrebbe essere utile in più occasioni, quindi ecco che il prezzo va visto in termini di maggiori possibilità d'uso. E così via.
Parla dei vantaggi e dimenticati le eventuali negatività o ciò che può essere visto come ostacolo.
Ti auguro davvero di cuore di riuscire a farTi le ossa. Mettici sempre tanta forza e tanto entusiasmo. RicordaTi, semmai trovassi difficoltà e ne troverai, che il cliente successivo potrebbe essere quello buono. Non demordere nemmeno se arrivi a sera con tanti “no, grazie”. L'indomani è un altro giorno e nessuno può sapere cosa capiterà. Fatti le ossa, e vivi questa Tua prima esperienza proprio come una scuola. Poi, quando Ti sentirai pronto a qualcosa di più, apri un quotidiano e cerca un'azienda disposta a darTi in cambio del Tuo lavoro, anche una formazione base e maggiore professionalità.
Ciao.

mercoledì 9 giugno 2010

NEGOZIANTE CHE PASSIONE 13

L.C. Ancona

“.....In passato ho letto alcune sue risposte relativamente a ciò che riguarda il lavoro del negoziante o a tematiche simili. Erano però risposte frazionate che tenevano conto delle domande che venivano poste.
Ora, da quando ho iniziato a leggere quel suo racconto, tra l'altro bellissimo e utile, del profilo del buon venditore, mi sto chiedendo se non può scrivere il profilo del buon negoziante o se non può, con la sua fantasia, riunire tutte le raccomandazioni che possono essere fatte ad un negoziante in un solo testo, proprio come quello del venditore. Sarebbe utile a me ma anche a migliaia di altri negozianti. E' possibile? Ci può pensare?
La ringrazio per la risposta che attendo.


Fine dodicesima parte



Guardavamo all'insù....ma niente da fare. E che fa uno quando si trova, per certi versi bloccato ad aspettare che passi il brutto tempo? Guarda le vetrine. E proprio guardando le vetrine che vidi queste scarpe. Così, approfittai. Entrai, le provai e le ho acquistate. In realtà non avevo bisogno di scarpe e se non avessi avuto l'occasione di entrare li sotto per difendermi dalla pioggia non sarei entrato nel negozio.


Inizio tredicesima parte

Le scarpe sono comodissime e sono contento che quel giorno abbia diluviato”
Lo guardai un attimo, poi dissi: “ ....e l'idea delle scarpe?....”
“Eccola – rispose - Se trovandomi in quella situazione non avessi avuto avuto la possibilità di rifugiarmi li sotto, non avrei mai guardato quelle scarpe; non sarei mai entrato e quindi non le avrei mai acquistate. E sapesse quanta gente, in quei momenti, entrò nel negozio. Così ho pensato che una rientranza delle vetrine, potrebbe davvero essere utile anche al mio negozio. E...un invito per entrare, un invito a guardare con più calma senza essere d'intralcio a chi passa sul marciapiede. L'ho chiamata, appunto, l'idea delle scarpe e dalla prossima settimana inizierò i lavori. Le vetrine tradizionali che danno sul marciapiede ormai non servono più. E' inutile mostrare qualcosa se poi manca la possibilità di dialogare col cliente. La vetrina, spesso e volentieri, mostrano prodotti od oggetti che a volte sono superati e che non vengono tolti per mancanza di tempo o volontà. Allora che servono? Meglio un bell'invito ad entrare, no? In questo modo si evitano appunto gli spintoni di gente di passaggio”
“E' senza dubbio una soluzione corretta. Oltretutto oggi le vetrine hanno perso molto del motivo per cui sono state create. Anch'io penso sia più utile arricchire altre parti del punto vendita, ma.... - dissi quasi pauroso di fare una gaffe o di offenderlo - questa volta non mi ha detto qualcosa di nuovo. Molti negozi di tutti i generi adottano questo sistema....”
“Ha ragione, certo – rispose – non è un'idea mia ed è anche piuttosto banale. E' però importante il fatto che io sia arrivato a comprendere come possa essere utile sfruttarla per il mio negozio. Eppoi, vede – proseguì - ciò che io intendo dire è che fino a quando userò il mio cervello, troverò soluzioni ai problemi. E la mente la si usa se c'è passione. Questo va ricordato! Lo dico sempre ai miei collaboratori....”
“Quando li guardo – dissi interrompendolo in un momento forse inopportuno – ho l'impressione che più che dipendenti siano o si sentano lavoratori in proprio. Hanno una sicurezza ed una serenità....”
“Certo. E' vero. E' proprio così e tutto nasce da un rapporto schietto che c'è tra noi. Vede, è tutto un po' anomalo rispetto a come viene inteso normalmente un rapporto di lavoro. Io non ho bisogno di persone da curare, controllare, redarguire, incitare, minacciare o peggio ancora. Io ho i miei compiti ed essi, i loro. Sono proprietario ma non il padrone. Sono il loro riferimento, non il capo che ordina. Tutto qui dentro viene fatto dopo che se n'è parlato assieme ed assieme sono state trovare le soluzioni.
In questo modo, i miei dipendenti, per tutto quanto riguarda il lavoro, la gestione o l'organizzazione, sono al mio livello. Ognuno può avere un'idea e decidere di discuterla con me o in gruppo per verificarne l'attuabilità. Se è buona e si ritiene possa servire per il bene del nostro gruppo, perchè alla fine siamo un gruppo, viene immediatamente messa in atto. Le persone che vede – proseguì, dando una pacca ad un collaboratore che passava – sono qui da una vita. Vivono il lavoro, questo lavoro, come qualcosa che è loro. Se funziona e va bene, andrà bene anche anche la loro vita. Se si opera male, alla fine andrà male per tutti. Ho sempre voluto creare dei piccoli imprenditori ottenendone vantaggi. Ma, attento, questa volta non parlo di vantaggi economici che comunque ci sono stati, quanto piuttosto di vantaggi personali in termini di rapporti. Io ho personale che al mattino arriva felice di iniziare una giornata che potrà essere pesante ma non priva di soddisfazioni e che alla sera non chiude se non dopo aver saputo com'è andata. Persone così non è facile trovarne”
“in effetti – dissi guardandomi in giro - ho avuto l'impressione, sin dalla prima volta, che qui dentro ci fosse un'aria strana. Vedevo le persone lavorare serenamente, senza stress. Persone disposte ad un dialogo differente col cliente, quasi come se la vendita fosse, tutto sommato, non il fine.....”
“Per carità – mi interruppe l'amico negoziante – non dica una cosa simile. Chi vede la trattativa, il contatto o il dialogo col cliente solo come un mezzo per arrivare a vendergli qualcosa, è destinato inesorabilmente a chiudere. Quando i miei amici concorrenti dicono questa cosa, mi vien la pelle d'oca e capisco che di lì a poco qualcun altro chiuderà. Il cliente VUOLE PARLARE CON NOI; VUOLE CHIEDERE INFORMAZIONI o, in parole povere, CERCA, IN NOI, RASSICURAZIONI. Solo se sapremo darle , acquisterà. E la differenza, sa dove sta? Molti danno assicurazioni su tutto. Pur di vendere , fingono d'essere interessati ed appena intuiscono ciò che vorrebbe il cliente, elogiano quel prodotto come la migliore panacea.
Poi magari il cliente cambia opinione chiedendo un altro articolo ed immediatamente, da parte del venditore, il meglio non è più ciò che ha presentato prima ma diventa improvvisamente ciò che ha sottomano. Ecco, in questo modo non si danno assicurazioni; non si dimostra serietà ne professionalità ed il cliente se ne accorge; eccome se ne accorge. Il cliente non è stupido, anzi! Egli è disposto anche a PAGARE LA NOSTRA COMPETENZA se ritiene che questa ci sia e serva a dare preziose informazioni. Ecco un'altra differenza tra noi ed i centri commerciali. Loro, purtroppo per loro e buon per noi, non possono avere questo vantaggio. Non possono rassicurare perchè non hanno la possibilità di dialogare coi clienti. Questa è una parte del lavoro che devono lasciare alle aziende e che queste non possono sfruttare. Così, i prodotti vengono posti sugli scaffali e la battaglia finisce per essere obbligatoriamente sul prezzo.
Chi è competente può acquistare senza problemi ma la grande maggioranza dei clienti non ha una conoscenza tale da non tener conto del valore dato da un addetto che dà tutte le informazioni e le rassicurazioni possibili. Per questo noi negozianti siamo utili. Solo, dobbiamo esserne coscienti e dobbiamo essere tanto intelligenti da capirlo e sfruttarlo. Ecco vede – proseguì prendendo un oggetto da uno scaffale – ora le spiego meglio il concetto. Per molto tempo ho avuto proprio questo oggetto esposto all'ingresso. A fianco, un cartello a grandi lettere, diceva: SE LO VUOI ACQUISTARE, LO TROVI OVUNQUE. SE VUOI AVERE INFORMAZIONI, CONSIGLI, SUGGERIMENTI E PROVE D'USO, LE TROVI QUI' DA NOI.
Sono stato chiaro? Volevo far comprendere il concetto di competenza che noi abbiamo. Volevo rassicurare il compratore. Un po' come dire: AFFIDATI ALL'ESPERTO, SE NON LO SEI TU, che sotto sotto vuol anche dire: NON CREARTI PROBLEMI PIU' DI QUANTI NE HAI. LASCIALI A NOI. COMPRA SERENAMENTE....”



fine tredicesima parte

domenica 6 giugno 2010

TEMPO INDETERMINATO

S.C. (lettera non firmata. Loc. sconosciuta)


Sono stata assunta da uno studio professionale per un anno a tempo determinato, al momento dell'assunzione ero iscritta alle liste di mobilità. Passato l'anno ho richiesto verbalmente alla ditta che mi fosse dato un aumento di stipendio e un passaggio di categoria qualora avesse voluto riconfermarmi a tempo indeterminato. Al momento della trasformazione da tempo determinato a indeterminato non mi è stato fatto firmare alcunchè nè contratto ,nè lettera di assunzione. Io ho continuato a prestare la mia opera in quanto verbalmente mi era stato detto che ci sarebbe stato   l'aumento e il passaggio di categoria. Quando ho preso la busta paga dopo la trasformazione del contratto ho avuto l'amara sorpresa di trovarmi il medesimo importo netto in busta paga. Vorrei sapere se mancando una firma di accordo riguardo le condizioni contrattuali si può ritenere nullo l'accordo di assunzione in quanto in seguito a questa ho perso il beneficio dell'iscrizione alla lista di mobilità che aveva un termine addirittura al 31.12.2011. Il datore di lavoro ha deliberatamente confermato il contratto senza che ci fosse il mio consenso alle condizioni relative alla retribuzione, facendomi perdere l'iscrizione alla mobilità. Faccio presente che dopo il periodo di trasformazione ho lavorato anche se a malincuore per quattro mesi.
grazie dell'attenzione


Mia cara,
mi poni un quesito che dimostra un po' di confusione in ciò che vuoi. Vediamo un po': sei stata assunta con un contratto a tempo determinato. Ciò vuol dire, per chi non è addentro alla cosa che, passato quel periodo, il datore di lavoro era libero di chiudere il rapporto se lo avesse voluto.
Malgrado la spada di Damocle del possibile non rinnovo, che avrebbe creato ansia in molti altri lavoratori e che li avrebbe fatti agire con molto tatto pur di mantenersi il posto, Tu hai agito molto diversamente (magari anche a ragione perchè evidentemente sai quanto vali) dicendo addirittura al datore di lavoro che “ se avesse voluto riconfermarTi a tempo indeterminato....avrebbe dovuto darTi un aumento di stipendio ed un passaggio di categoria”.
Un altro datore di lavoro probabilmente avrebbe chiuso subito i rapporti, Te lo garantisco, perchè la Tua è stata, velata o meno, se non un ricatto almeno una forzatura anomala in chi si trova nella condizione in cui è meglio tacere e lasciar fare alle cose il loro corso naturale.
In questo modo se il Datore di lavoro, per conto proprio Ti avesse riconfermata, avrebbe dimostrato una sua volontà e quindi dimostrato anche una disponibilità a successivi miglioramenti.
Messa come l'hai messa Tu, il Datore (forse, lo ripeto, perchè ha capito che sei brava o forse perchè non poteva permettersi in quel momento di chiudere il rapporto) ha acconsentito a rinnovare l'assunzione ma alle condizioni di norma.
Dico di norma perchè non si passa da un contratto a tempo determinato ad uno a tempo indeterminato con un passaggio di categoria ed un aumento. Potrà capitare, ma la norma è che, prima si assume il dipendente con il nuovo contratto e successivamente, proprio in virtù del nuovo accordo, il dipendente godrà dei vantaggi sindacali e contrattuali che questo porta.
La Tua richiesta è stata fatta a voce e la risposta, è arrivata senza averTi fatto firmare un contratto o una lettera d'assunzione. Risposta verbale, come la domanda. Almeno su questo siete pari!.
Hai ricevuto la prima busta paga e visto che nulla era cambiato. Per quel “peperino” che mi sembra Tu sia, trovo strano che non abbia subito chiesto il motivo. Forse lo hai fatto e non lo dici, ma poco importa.
Forse Ti è stato risposto che a tempo debito e seguendo le norme avrai aumento e passaggio se li meriterai.
Fatto sta che, oggi, dopo il nuovo accordo “sicuro” e dopo aver trovato un lavoro che, presumibilmente Ti piace ed è fatto per Te, dici che hai lavorato a malincuore per quattro mesi.
Cosa dirTi? Mi pare che Tu sia più legata e preferisca l'instabilità di un lavoro che può occuparTi qualche mese per poi essere di nuovo a casa piuttosto che sentirTi tranquillizzata nell'aver avuto la grossa occasione di rientrare subito e bene nel mondo del lavoro a tempo indeterminato.
Scrivi che hai così perso il beneficio all'iscrizione alla lista di mobilità; ma in ogni caso con il contratto a tempo indeterminato come volevi Tu, l'avresTi persa ugualmente. Perchè oggi ci piangi sopra? Solo perchè non hai avuto subito aumento e passaggio di categoria? Perchè non Ti metti calma calma a dimostrare al Tuo datore di lavoro che Tu vali molto più di quanto chiedevi? E quando l'avrai convinto...potrai anche essere Tu ad andarTene, dimostrandogli che ha fatto male a non cedere sulle Tue pretese.
Forse c'è un po' di confusione in Te. Se non sei contenta d'essere stata assunta e se hai altre possibilità più concrete, dai le dimissioni. Sappi che darle da un contratto a tempo indeterminato è ben diverso, anche per il Tuo curriculum.
Oggi vuoi sapere se mancando una Tua firma di accordo riguardo le condizioni contrattuali si può ritenere nullo l'accordo di assunzione. Non credo perchè il passaggio è automatico. D'altronde il datore di lavoro poteva chiudere, entro il termine, la collaborazione senza problemi e non lo ha fatto, confermando così l'assunzione e Tu potevi o puoi chiudere il rapporto in qualunque momento. Ma anche seguendo il Tuo ragionamento, se Ti dicessi che puoi ritenere nullo l'accordo, che faresTi? Te ne andresTi? Puoi farlo comunque.
Ultima riflessione: se quanto Tu hai posto l'ultimatum dell'aumento e del passaggio di categoria per essere riconfermata a tempo indeterminato, la risposta fosse stata un bel secco “no”, cosa avresTi fatto?
Se Te ne fossi stata zitta, proseguendo il rapporto, avresTi perso credibilità. Se Te ne fossi andata, come pensi sarebbe letto oggi il Tuo curriculum con quel periodo di lavoro a tempo determinato NON confermato?
Riflettici.
Oddio! Il Tuo datore poteva anche dirTelo in faccia che non Ti avrebbe dato nulla, salvo confermare l'assunzione. Non l'ha fatto. Ha sbagliato nel comportamento, ma anche Tu forse sei stata un po' troppo rigida nel dettare regole che forse non dovevi dettare in quel momento. Che vuoi farci?
Credo, sinceramente, che Tu Ti sia lasciata crescere dentro un'insoddisfazione che lentamente, aumentando, è divenuta quasi una piccola ossessione è che sta creando astio inutile.
Vuoi un consiglio? Lavora, sempre sorridendo e non, come hai detto, a malincuore. Datti da fare, dimostra che vali molto e vedrai che sarà il Tuo datore a premiarTi.
E se non lo facesse, quando sul Tuo curriculum avrai questa posizione solidificata, potrai dirgli “Ciao”.

mercoledì 2 giugno 2010

COLLOQUI DI LAVORO

Franco B. Roma



Egregio Dottore,
mi trovo in una situazione da cui non so uscirne. Sono laureato con lode ma, malgrado questo, ogni volta che riesco ad avere un colloquio di lavoro, ricevo tanto complimenti, la promessa di un successivo incontro e poi nulla. Non so spiegarmi questo fatto che, anche se non lo voglio ammettere, inizia a crearmi problemi. Cosa ho che non va? Perchè sono tutti gentili e poi nessuno vuole approfondire? Cosa faccio di sbagliato? Quali sono i meccanismi che non so muovere?
La ringrazio se potrà darmi una risposta aiutandomi.


Caro Franco,
capirai che non conoscendoTi; non vedendoTi, non sapendo come agisci mi è impossibile dire se e in cosa sbagli. Per aiutarTi devo quindi necessariamente darTi dei consigli generici.
1° ad un colloquio di lavoro ci si presenta in ordine; con vestiario adatto all'occasione ed al lavoro che si cerca. Tanto per essere più chiari: non si va ad un colloquio in maglietta e jeans strappati o con una camicia sbottonata fino all'inguine o con pettinature moderne adatte alla discoteca, salvo che la posizione per cui ci si presenta non sia appunto relativa ad un lavoro in locali per giovani.
2° non si deve presupporre che il titolo di studio sia un lasciapassare che annulli il resto.
3° non si deve raccontare ciò che non è inerente al lavoro. Spesso, ad esempio, alla banale domanda relativa agli hobby, il candidato si rilassa, pensando che finalmente le domande impegnative sono terminate ed inizia quindi a snocciolare hobby che si ritorcono contro chi li dice. Tutti gli sport “estremi” ad esempio che possano dare infortuni a lungo termine sono da considerare con le molle; tutti i passatempi “notturni” possono indicare che durante il giorno, nelle ore di lavoro, la persona non sia nella migliore condizione fisica.
4° non parlare dei sogni se si deve dire che il sogno è di abbandonare tutto e scappare in un paese tropicale. Bello, ma può indicare che la persona ha in testa cose che non le permetteranno di essere sempre presente mentalmente sul lavoro od anche può essere un avviso per il datore di lavoro che magari, un domani, può trovarsi improvvisamente senza quella persona.
5° non rispondere prima di aver perfettamente capito la domanda ritenendo, con questo, di dimostrare, la propria prontezza mentale. Quasi sempre le risposte affrettate non sono centrate con la domanda ed indispongono chi le pone.
6° non presumere di comprendere tutto sopratutto se ci si presenta per un compito od un ruolo mai svolto. Dire sempre “si, ho capito, nessun problema, va benissimo, chiaro....” non è sempre positivo. Occorre prima sapere bene di cosa si parla.

Questi sono solo alcuni suggerimenti che posso darTi. Può darsi che Tu già li segua o forse, no.
Ora, per ultimo, Ti dirò ancora una cosa che non dovrei dire. Molte persone parlano con stereotipi come, ad esempio: “io sono sincero; dico le cose come sono; mi piace la franchezza; dico ciò che penso ecc..ecc..
Espressioni inutili perchè nessuno direbbe d'essere bugiardo; di dire cose sbagliate o che non è franco. Si agisce così quando si pensa di rafforzare un proprio ragionamento al fine di convincere chi si ha davanti.
La sincerità personale è ininfluente in un colloquio. Non si è dal confessore. Si è davanti ad una persona che ha il potere di dare o di rifiutarci, un lavoro che ci serve. Sta quindi a noi essere, almeno in questa occasione, un po' furbi. Se vogliamo quel posto....cerchiamo di rispondere nel modo che riteniamo l'intervistatore voglia sentire.
E' una bugia nel comportamento, certo, ma è inutile pretendere che chi si ha di fronte ci assuma per quanto noi siamo, se quello che siamo non è ciò che lui vuole.
Se voglio quel lavoro, devo saper anche gestire la situazione del momento, usando un po' d'astuzia. Se ci si presenta per un posto di commesso, dire che “piace stare in mezzo alla gente o che piace aver a che fare col pubblico” è ovviamente positivo. Se però si ha un colloquio per un posto di analista e ricercatore, dire quanto detto sopra, è inutile ed anche negativo per una persona che se ne deve stare tutto il giorno quasi isolata.
Quindi, anche se non dovrei dirlo, ad un colloquio di lavoro, al di là di tutto, occorre essere abili nel vendersi al meglio, cercando di capire bene cosa, chi abbiamo di fronte, sta cercando, e rispondendo di conseguenza od offrendo di noi un'immagine che calzi con la figura cercata.
Può darsi, Franco, che Tu non stia agendo in questo modo. Tieni presente che durante il colloquio Tu “devi vendere al meglio un prodotto che si chiama Franco” se vuoi che l'altro acquisti. Se non sai presentare e vendere bene questo prodotto, perchè l'altro dovrebbe comprare?
Fai quindi qualche riflessione e se non Ti ritrovi in quanto Ti ho detto, riscrivimi pure dandomi ulteriori informazioni e proseguiremo volentieri.
In bocca al lupo.