Ricerca personalizzata

venerdì 29 maggio 2009

GRUPPO DI LAVORO

Franco B. Piacenza

Grazie per le risposte che date e che sono sempre estremamente lucide quanto facilissime da comprendere. Se le aziende avessero o si affidassero a formatori come voi, le cose andrebbero meglio perchè rendete facili anche i concetti più difficili. Personalmente ho preso spunti dalle vostre risposte che mi sono serviti con successo in diverse occasioni.
Vorrei chiedervi come, secondo voi, va creato un gruppo di lavoro perchè è un po' il problema generale che hanno in tanti, anche dove lavoro io.
Vi ringrazio se mi risponderete. Attendo di leggervi sul blog.

Caro Franco,
Ti ringrazio per le lodi anche se eccessive. La domanda che poni richiederebbe una risposta lunghissima e molto articolata. Come va creato un gruppo di lavoro? Accidenti che domanda. La risposta è un corso vero e proprio.
Quando mi trovo in queste situazioni ed obiettivamente sono nella impossibilità di avere il tempo per dire tutto quanto andrebbe detto, mi rifugio sempre nelle storielle perchè sono il metodo più adatto per far comprendere rapidamente le cose.
I singoli elementi di un gruppo hanno differenti modi di comportarsi e di agire. Ognuno, in base al proprio vissuto, alla propria cultura ed esperienza, ha approcci diversi ai vari problemi. Colui che deve gestire un gruppo deve essere ben conscio di questo. In pratica può trovarsi con un numero di modi di pensare quante sono le teste dei componenti. Un gruppo non è la somma dei comportamenti dei singoli e nemmeno la somma dei vari modi di pensare o agire dei singoli. Un gruppo è l'unione di tante persone che, pur nelle loro diversità, cercano di trovare una via d'intesa per arrivare ad un obiettivo.
Questo avviene solo quando ogni componente accetta di limare qualcosa di sé, per aiutare gli altri ed accetta come suo qualcosa degli altri.
In pratica, il gruppo funziona quando si amalgama; quando si fonde e la visione dell'obiettivo diventa prioritaria anche rispetto al proprio modo di pensare o agire.
L'esempio che Ti dicevo Te lo faccio un poche parole. Immagina di essere un forgiatore e di dover preparare una statua di un artista. Inizierai a cercare i vari metalli necessari. Poi passerai lentamente a miscelarli ed a fonderli assieme. Se il lavoro sarà fatto bene, nascerà una lega perfetta che Ti permetterà di creare la statua . Il risultato, se ci pensi, nasce dall'unione di più metalli, in parti differenti che, uniti, miscelati e fusi assieme danno una lega che è superiore ad ogni singolo metallo usato e che, preso a se stante, non Ti avrebbe permesso di arrivare all'obiettivo. Il loro amalgama invece, porta a risultati eccezionali.
I vari metalli sono i componenti del gruppo. Il Capo deve saperli amalgamare, motivare, incentivare, fondendo le loro positività per portarli, uniti, all'obiettivo. La forza di un gruppo così costruito sarà sempre superiore alla unione delle forze dei singoli componenti.
Ciao.

martedì 26 maggio 2009

SEGRETI E LAVORO

Romolo B. Roma

“Ho trovato per caso questo blog e lo sto leggendo. Sono stato colpito da quello che dici e cioè che spieghi i segreti per avere successo poi però non ne ho trovato uno di segreti ma sono consigli. Io voglio sapere i segreti. Ho 23 anni voglio trovare un lavoro ma non lo trovo.”

Romolo,
la Sua lettera è tutta qui. Non dice nulla di più di quanto scritto ma ciò che scrive è sufficiente per capire diverse cose.
Innanzitutto parliamo di segreti. E' vero, ho la possibilità di svelare i segreti per agire meglio nell'ambito del lavoro; per comportarsi nel modo adeguato in diverse situazioni; per superare difficoltà nel gruppo; per interagire meglio coi colleghi; per relazionare coi clienti; per sviluppare la creatività e per tante e tante cose che Lei non immagina. Ma mi sono dato l'obiettivo di aiutare chi scrive rispondendo ai quesiti che mi vengono posti e chi mi segue avrà notato che spesso mi vengono posti quesiti di tutt'altro genere a cui cerco comunque di rispondere dando un parere. Se non vengono scoperti segreti eclatanti forse è perchè gli stessi segreti sono già compresi nei suggerimenti dati. A volte occorre saper leggere tra le righe.
Sono certo che chi mi pone quesiti vede nelle risposte possibili soluzioni ai problemi e questi aiuti, per alcuni, possono essere sufficientemente importanti.
Ma se Lei, ad esempio, volesse conoscere un vero segreto per il successo sul lavoro, me lo scriva. Sia chiaro su quanto vuol sapere; mi dia informazioni su Lei, su ciò che sta facendo e ciò che vorrà fare ed io avrò un quadro più ampio su cui ragionare.
Poi, vede Romolo, un segreto per il successo è tale se noi lo riteniamo tale. Se snobbiamo quanto ci viene detto, non c'è alcun suggerimento che ci aiuterà.
E veniamo, caro Romolo all'ultima frase della Sua lettera che, spesso, mi fa inquietare quando la leggo. Lei ha ventitre anni, ha voglia di lavorare (tanta?) ma non trova un lavoro.
Sarà sfortunato, che vuole che Le dica! Io apro un giornale e trovo decine di inserzioni che lo offrono; passo davanti ad una vetrina di un ufficio di lavoro interinale e leggo decine di proposte; nelle vetrine dei negozi giacciono, a volte per mesi, avvisi di ricerca di commesse/i senza che qualcuno si offra. Catene di supermercati propongono tutto l'anno di iniziare con loro la carriera che può portare alla direzione di un punto vendita, ma sono pochi, pochissimi che si presentano e mai in numero sufficiente alle necessità.
Vuole che prosegua? Penso che basti. Il guaio purtroppo viene fatto soprattutto dai nostri media che continuano, con assoluta impreparazione ed ignoranza in ciò che dicono, ma solo con la presunzione che ciò che dicono è vero solo perchè sono loro a comunicarlo, ad annunciare che il lavoro manca, che i giovani non sanno cosa fare ecc...ecc...
Vede, Romolo, se io non avessi da fare, penso che troverei un lavoro in circa dieci minuti e non è un'iperbole. Certo che se iniziassi a mettere paletti a più non posso per potermi giustificare che non ne trovo uno adatto, ci riuscirei benissimo. Lo sa, Romolo, quanti extracomunitari sono necessari alla nostra economia solo perchè molti lavori non vengono assolutamente considerati dai giovani?
Eppure, per uno che ha voglia e deve lavorare, sono lavori come altri. Il decoro di un lavoro è dato da chi lo fa, come lo fa e per le motivazioni con cui lo fa.
Prendiamo esempio una volta tanto dagli USA dove non vi è alcun preconcetto al lavoro e dove è possibile vedere un laureato (diciamo un ingegnere) perdere il lavoro e fare il camionista, benzinaio, venditore porta a porta, cameriere, poi tornare a fare magari l'ingegnere senza che questo abbia minimamente minato la propria immagine. Solo da noi tutto si mina. Apriti cielo se un laureato non trova un lavoro “adatto” agli studi fatti. La famiglia stessa, anziché sostenere che un lavoro vale un altro se fatto onestamente, è la prima a crearne un caso. I figli non si toccano. Potessero, le mamme farebbero esse stesse un sit-in incatenandosi a qualche cancellata per garantire un posto degno del figlio.
Mi sono dilungato su questo fatto, caro Romolo, e spero non doverlo più fare, ma ogni volta che leggo quello che anche Lei ha scritto, mi viene l'orticaria.
Diciamo che se vuole davvero lavorare non deve far altro che accettare una delle mille proposte che offre il mercato. Se invece vuole una scusa per non farlo, la può trovare anche dormendo. Penso sempre sia più facile lamentarsi che darsi da fare. Il movimento di chi non trova lavoro è sempre molto forte e solido e farne parte non renderà ma permette di mugugnare all'infinito tanto da convincersi d'essere nel giusto. Quando ci si lamenta ci si pone sempre dalla parte di chi ha ragione. Se non si lavora è perchè gli altri, il mondo, la società, il destino vuole così e noi come facciamo a rivoltarci contro queste cose più forti di noi? Non possiamo, non è colpa nostra.
Si dia da fare, Romolo, mi ascolti.

lunedì 25 maggio 2009

COLLOQUIO

Antonio B. F.

Nei prossimi giorni dovrò avere un colloquio per il mio primo impiego, almeno spero. Per me è importante. Vorrei fare bella figura. Forse sembrerà banale ma ho già dubbi anche su come vestirmi. Mi potete dare un aiuto. So che è una fesseria ma vorrei evitare di sbagliare.
Grazie

Caro Antonio,
non scrivi quale sarà la mansione per cui andrai a colloquio; non dici qual'è la Tua preparazione di studi ed io in queste condizioni sono sempre in difficoltà perchè una delle leggi primarie di chi dà suggerimenti o fa consulenze è di avere le idee chiare su cosa suggerire.
Mi spiace perchè così facendo, chi scrive perde molte occasioni di ricevere consigli mirati. Tuttavia, poiché sei in difficoltà già solo nella scelta del modo di vestire e di questo mi chiedi, posso risponderTi dicendo che in questo caso anche l'abito fa il monaco.
Qualunque cosa noi si faccia, dobbiamo sempre pensare a “cosa vorremmo o gradiremmo noi se ci trovassimo nella posizione dell'altra persona”.
Chi deve intervistare persone per dare una valutazione ai fini di un'assunzione è sempre portato, non conoscendo ovviamente in modo approfondito chi ha difronte, a valutare anche l'aspetto estetico dell'intervistato, ovvero al modo in cui si presenta.
I geni si possono scoprire attraverso test ma se, ad un colloquio, pensando di essere superiori e quindi di non dover sottostare ad altri obblighi, si presentassero vestiti da straccioni, sarebbero valutati come straccioni o, per lo meno, con molta diffidenza.
Inserire una persona in un organico in cui tutto probabilmente è oliato e funzionante, significa anche pensare ad un elemento che possa interagire con gli altri ed essere assimilabile dal gruppo.
Ecco quindi che il modo di presentarsi al colloquio diventa importante. Prendi l'abito migliore che hai e sei perfetto. Oggi, personalmente, accetterei la mancanza di cravatta purchè la camicia sia botton-down. Si può essere eleganti ugualmente senza essere troppo formali. Se la camicia è classica, occorre assolutamente la cravatta.
L'abito da colloquio non è quello da discoteca. Dico questo perchè per molti giovani non fa differenza e spesse volte non hanno neppure abiti che non siano da discoteca.
Non c'è nulla di peggio che trovarsi davanti qualcuno vestito in modo assolutamente dissonante alla situazione.
Al colloquio dunque, ci si presenta, vestiti in modo classico, con i capelli in ordine e senza nulla in mano.
Le mani vanno curate perchè sono tra le prime cose che chi intervista vede. Inutile portare con sé borse o blocco note in quanto ai colloqui c'è solo da ascoltare. Tutto quanto detto verrà poi messo per iscritto ma se qualcosa non è chiaro va chiesto subito di chiarire.
Poiché è questo che chiedi, a questo ho risposto. Se poi vorrai approfondire circa il comportamento da tenere e non hai più tempo a disposizione per riscrivere, cerca in archivio perchè altre volte ho già dato suggerimenti in merito.
In bocca al lupo.

giovedì 21 maggio 2009

TORNARE SUI PROPRI PASSI?

Michele (loc. n.c.)

Sono un giovane laureato che ha intrapreso da 4 anni una molto stimolante carriera nella vendita di prodotti di alta tecnologia. Dopo essere rimasto per i primi 3 e mezzo anni nella stessa azienda, ho iniziato a subire un po' quella che viene detta "mancanza di stimoli", quindi deciso di cercare un nuovo posto, dopo pochi mesi ho trovato un nuovo lavoro ho lasciato il vecchio posto, lasciandomi comunque in ottimi rapporti. Adesso dopo i primi mesi sono profondamente pentito della scelta che ho fatto, non mi trovo affatto bene in questo nuovo posto e anche il prodotto non mi affascina più di tanto, mi sono più volte chiesto se cercare di tornare sui miei passi, magari proponendo di rientrare in un altro dipartimento, ma sempre nelle vendite.Premesso che la dirigenza è stata in passato poco propensa a far rientrare vecchi venditori, mi chiedevo se valga la pena lo stesso tentare o se comunque anche dal punto di vista del curriculum possa essere vista come una debolezza. Guardare sempre avanti o anche tornare indietro? Vi chiedo un consiglio Grazie

Caro Michele,
personalmente non lo farei mai, anche se farlo non significa necessariamente fare una cosa sbagliata. E' un problema personale.
Da come scrivi mi sembra che Tu abbia già una buona visione del mondo del lavoro e dei suoi meccanismi per cui, anche se chiedi, penso che Tu abbia già una risposta da darTi.
Se capisco bene, quella precedente era la prima esperienza, durata 3 anni e mezzo. Sei arrivato al momento della mancanza di stimoli ed hai fatto bene ad andartene. Ma se non avevi più stimoli prima, non ne avrai nemmeno ora a tornare; infatti l'unico stimolo per tornare è dato dal non trovarTi bene in questo secondo lavoro. E' un po' poco e un po' comodo.
Sappi comunque che dopo una prima esperienza positiva, la seconda non lo è mai. La seconda azienda in cui si opera inoltre, non è mai quella definitiva e si tende sempre a cambiarla molto più velocemente della prima.
Tu quindi non fai eccezione e non devi nemmeno meravigliarTi.
Il fatto è che noi tendiamo a idealizzare il lavoro che vorremmo. I successi, il modo in cui vorremmo essere considerati e se questo accade in positivo la prima volta, siamo portati a cambiare nella ricerca di trovare tutto di più: maggior considerazione e maggiori successi. Ovviamente, idealizzare fortemente queste cose è il modo migliore perchè non accadano.
Andrà meglio in futuro in quanto partirai da questa esperienza con un altro spirito e tutto Ti apparirà quindi più giusto.
Se proprio vuoi tornare dovresTi farlo in modo che sia eventualmente l'azienda a chiederTelo, mai Tu ad offrirTi. Non ci si offre per tornare perchè, come Tu immagini, non ci si fa bella figura e ci si mette nella condizione di essere gestiti diversamente da prima. Se una persona, dopo aver provato fuori e dopo pochi mesi, vuole tornare dalla “mamma” non è mai considerato “professionalmente “ bene e può quindi essere gestito come si vuole perchè non potrà aver da ridire.
Tu stesso dici che la Dirigenza, in passato, era poco propensa a far tornare personale fuoriuscito e questo perchè nelle aziende è proprio buona norma non far rientrare personale uscito, fosse anche un “mostro di bravura”. Quando un collaboratore lascia, ha finito un ciclo. Ricominciarlo non ha senso. E scommetto che chi è eventualmente rientrato, non s'è poi mai più trovato bene come prima.
Ma ripeto, se proprio vuoi e se ne hai la possibilità, dovresTi far si che sia l'azienda a chiederTelo. Puoi andare a trovare qualcuno in azienda per fare due chiacchiere da amico; puoi fingere di passare per caso quando sai che il Tuo Capo esce dall'ufficio; puoi telefonare per chiedere un informazione e sperare che qualcuno Ti chieda “perchè non torni da noi?”; puoi chiedere Tu come va il Tuo sostituto; puoi domandare se sono contenti della persona che hanno messo al Tuo posto; insomma, puoi fare domande ma mai offrirTi.
Veniamo poi al curriculum. Fai bene a chiederTelo perchè è importante.
Ti ritroveresTi
anni 3 e mezzo in qualità di funzionario commerciale con la società XXXXXX
mesi 4 in qualità di funzionario commerciale con la società YYYYY
poi nuovamente funzionario commerciale con la prima società.
Alla successiva possibilità Ti piacerebbe presentarlo così?
Non è bello. Chi dovesse leggerlo capirebbe immediatamente che sei uscito, Ti sei scottato le dita ed hai subito fatto ritorno.
Quindi (ecco il problema) non saresTi affidabile perchè ciò che hai fatto una volta potresTi rifarlo. Una debolezza, esattamente come Tu stesso scrivi.
Diverso sarebbe se, dopo l'uscita dalla prima azienda e dopo un breve periodo nella seconda, Tu potessi scrivere nel curriculum che sei tornato per ricoprire una posizione superiore. Allora, si!
Vorrebbe dire che non vedevi spazi; pensavi di valere e Te ne sei andato. L'azienda si è accorta della perdita e pur di averTi Ti ha proposto una responsabilità superiore.
Oggi Ti stai trovando in questa situazione per la prima volta. Sappi che in una vita di lavoro le esperienza negative o pesanti o che Ti faranno rimpiangere la scelta fatta, potrebbero essercene ancora.
Guardare indietro può essere tranquillizzante perchè si sa cosa si tornerebbe a trovare ma gli stimoli li potrai avere guardando avanti; accantonando le scelte sbagliate, accettandole comunque come una parte importante di un'esperienza continua.
Nella mia vita professionale non ho mai guardato indietro e non ho mai pensato di tornare sui miei passi. Ho fatto esperienze inaspettatamente negative che comunque mi hanno dato un bagaglio di conoscenze pari alle esperienze buone con l'aggiunta di temprarmi.
Anche le situazioni negative portano sempre qualcosa di utile, fosse anche solo il fatto che Ti aiutano a divenire più forte; più paziente; più stratega.
Si può rimanere in una posizione che non piace anche per un po' di tempo al fine di non avere un curriculum con un periodo troppo breve e si può finire per arrivare, involontariamente, a trovare in quell'azienda ed in quella posizione, qualcosa di fortemente motivante che, all'inizio non si vedeva.
Dici di esserTi profondamente pentito e che il prodotto non Ti affascina più. Capita. Capitasse a me, dopo aver valutato che è meglio non cambiare momentaneamente, mi butterei a trovare motivazioni differenti.
E' possibile trovare nuove forme di vendita? Possono essere dati suggerimenti che portano migliorie? Hai un'idea che aumenterebbe il fatturato? L'organizzazione può essere migliorata? C'è qualcosa che Tu vedi non essere perfetta?
Se hai risposte anche ad una sola di queste domande e sai di poterne discutere all'interno, fallo. Insomma, trova altri stimoli e dimostra all'azienda che puoi essere usato meglio per migliorare tutto.
Se invece proprio non Ti riesce, inizia a cercare un altro lavoro. Per far questo però dovrai studiarTi bene una motivazione credibile che permetta di accettare il fatto che dopo pochi mesi te ne vuoi andare.
Questa motivazione non dovrà essere il pentimento. Potrai dire che l'azienda Ti aveva venduto una situazione che poi non hai trovato ed una linea commerciale rigida che blocca i risultati anziché svilupparli. Tu ritieni che rimanere, anche se ben voluto e stimato, sia per Te una perdita di tempo non vedendo sviluppi e quindi, anche se può essere visto negativamente (lo devi dire Tu per primo) preferisci troncare piuttosto che barcamenarTi.
Ecco, Ti do modo di fare ogni tipo di riflessione. Valuta Tu e, semmai avessi ancora bisogno, riscrivi.
Ciao

martedì 19 maggio 2009

ANCORA SULLO STRESS

G. N. Pavia

Ho letto con molto interesse una risposta di alcuni giorni or sono, relativamente allo stress. Confesso che mi sono rispecchiato tant'è che avrei potuto scriverla io. Mi è anche molto piaciuto, come sempre, il vostro modo di spiegare le cose che così dette appaiono sempre capibili a tutti.
Non so se quanto ha detto è già tutto o se invece può dirmi ancora qualcosa perchè credo possa interessare molti.
Quali sono gli effetti positivi e negativi e sopratutto quali sono le situazioni che creano lo stress. Credo infatti che, conoscere queste situazioni potrebbe aiutarci a vivere meglio.
Se c'è quindi qualcosa che ancora più dirci, le sarei grato.

Certamente posso dire ancora sullo stress perchè non si possono approfondire certe tematiche in una pagina. Solitamente le mie risposte, pur non volendolo, sono già piuttosto lunghe mentre non posso permettermi di riempire pagine su pagine per non presentare, a chi legge, un mattone poco digeribile.
Poiché però Lei mi chiede di approfondire, lo faccio volentieri.
Può darsi che in quel che dirò vi siano ripetizioni ma per riprendere un tema occorre anche aggiornarci su quanto già detto.
Dunque: lo stress ha effetti negativi e positivi su noi. Preferisco iniziare dai positivi. Vi sono situazioni, come lo sport o il fatidico esame scolastico od anche ancora quando, ad esempio, per lavoro, si debba tenere un meeting o parlare ad un congresso, in cui lo stress può essere benefico perchè stimola tutti noi ad una maggiore concentrazione, potere decisionale e riduzione di tempi di reazione. Lo stress aumenta anche i sensi. La vista ne beneficia ed addirittura i muscoli sono grati. Se ci pensa Le sarà capitato di venir a conoscenza di persone mingherline, assolutamente inoffensive che, messe alle strette, sono riuscite a menare forte e bene persone molto più grosse di loro. Questa forza muscolare improvvisa ed inaspettata è data dallo stress che in quel momento la persona vive. In questo modo possiamo quindi dire che lo stress ci può aiutare a raggiungere ciò che vogliamo. (Questo è il solito tasto che tocco da sempre quando voglio dire alle persone che noi possiamo ottenere ciò che vogliamo dalla vita).
Credo d'aver già scritto in precedenza (forse in finale di lettera) che lo stress però è positivo solo se noi siamo capaci di liberarcene. Terminata una situazione stressante dobbiamo tirare il fiato, dire al cervello che la sua attenzione può tornare normale, che tutto è OK. In pratica deve esistere in noi la consapevolezza che possiamo vivere momenti stressanti ma dobbiamo vivere anche momenti liberi da stress, creando così un equilibrio tra stimoli e durata dello stress.
Dopo queste buone nuove veniamo agli effetti negativi che, ripeto, si presentano quando permettiamo allo stress di impadronirsi di noi stessi.
Tra gli effetti negativi possiamo annoverare le malattie cardiache. Una situazione tenuta costantemente sotto pressione può effettivamente ledere il cuore. Un altro segnale di stress fortemente presente (ma ripeto, quando la persona vuole essere vittima dello stress e non è lei che lo guida o lo tiene a bada) è l'ulcera. Anzi, questa malattia è forse ancor più il segnale evidente di stress. Possiamo poi avere abbassamento dei livelli di concentrazione, classiche amnesie, spossatezza e difficoltà a giudicare qualcosa.
Tutto va poi a presentarsi in quello che può essere definito comportamento frustrante. La persona tende a d avere un atteggiamento da perdente; inizia a bere o a mangiare poco o eccessivamente; tende ad adattarsi con difficoltà alle situazioni di vita o lavorative.
Chiaro che tutti questi effetti non nascono e non si presentano immediatamente. Alcuni necessitano di tempo e si presentano, sommandosi ad altri, proprio con la mancata gestione dello stress, in quanto questi si autoalimenta, accumulandosi.
Non si faccia intimorire, caro G.N di Pavia, da quanto detto. Bene o male siamo tutti coinvolti nel problema stress. Importante è conoscerlo e riconoscerlo e quindi lottarlo scherzandoci sopra. Sdrammatizzare le situazioni è una tra le cure migliori.
Lo stress può nascere in ognuno di noi a causa di moltissimi fattori, anche quelli che per Lei possono apparire banali e per altri, estremamente importanti. Le parrà incredibile ma il clima ne è un esempio. Per chi soffre il caldo, questo può essere fonte di stress e così pure il freddo per chi lo soffre. Ma anche il rumore continuo può causare disturbi in alcuni ed in altri, no. Ci vogliamo mettere il traffico? Pensi a quante idiozie e drammi nascono per problemi di traffico a persone che dieci minuti prima parevano assolutamente normali. Non possiamo poi lasciar fuori la famiglia. I problemi familiari sono grossi veicoli di stress. Fattori economici, difficoltà di familiari, mancanza di mezzi di sussistenza come vorremmo. Anche un problema con vicino di casa può aumentare o far crescere nel tempo uno stress strisciante che mina l'organismo se non compreso.
Possiamo poi avere una difficoltà data dalla disoccupazione; dai costi che non riusciamo a gestire e da molto altro ancora.
Eppoi, per venire al classico, la gelosia verso il partner, una malattia di qualcuno a noi vicino.
Vogliamo dare un'occhiata al mondo del lavoro? Sono fattori di stress la competizione con un altro che riteniamo pericoloso per la nostra carriera; la rivalità in genere; la gestione di comunicazioni non chiare che ci impongono continui approfondimenti; le scadenze dei vari lavori che ci pesano sul capo e che sentiamo come una spada pronta a trafiggerci; la gestione delle emergenze che vengono a stravolgere tutta la nostra pianificazione che tanto ci dà sicurezza.
Insomma, mio caro G.N, lo stress può essere in ogni situazione di vita in quanto vive con noi ed ogni situazione può farlo aumentare. Non va quindi combattuto lo stress in genere; diciamo che va tenuto sotto controllo un suo sviluppo. Un po' di stress fa solo bene; se ci facciamo prendere la mano, entriamo in tutte le situazioni sopra descritte.
Se Lei è interessato, come scrive, al problema, sappia quindi, ora che conosce i fattori di stress, che è necessario imparare a conoscere. I segnali ci avvertono quando lo stress aumenta ed occorre quindi prevenirli. Se non lo si fa, allora davvero creeremo un danno alla salute. Mi verrebbe da dire che l'ulcera si deve curare quando sentiamo malessere allo stomaco, perchè quando ci ricoverano per un'operazione, il danno è fatto.
Vivere con lo stress, scherzare con lo stress, parlare con il proprio cervello come fosse l'amico invisibile e dargli indicazioni per tener calmo lo stress.
Se ci riesce, si accorgerà di vivere molto meglio.

domenica 17 maggio 2009

COMPORTAMENTO

Simone (loc. n.c.)

Buongiorno,
Vi scrivo per avere un consiglio “comportamentale”.Sono in contatto con un’azienda che e’ interessata a una mia particolare idea di costruzione di un prototipo.Ora mi trovo nella situazione di vendere la mia consulenza e soprattutto di trattare per futuri introiti dati dal prodotto. Come mi devo comportare? Che strategie deve seguire? Come trattare a livello di percentuali?E’ la prima volta che mi trovo ad affrontare una situazione del genere.Spero di avere una risposta al più’ breve visto che ho una scadenza da rispettare.
Grazie della Vostra attenzione e tempo.

Caro Simone,
come spesso rispondo, anche Tu dai ben poche possibilità di approfondire il caso e quindi devo necessariamente essere vago e certamente poco preciso.
Mi pare di capire che Tu hai inventato qualcosa o, perlomeno, hai pensato ad un particolare procedimento per costruire un qualcosa o un prototipo.
Ipotizzando che sia così, hai proposto ad un'azienda la Tua idea ed ora devi concludere.
La prima cosa che mi vien in mente è che spero Tu abbia quantomeno depositato la Tua idea presso un notaio o un ufficio brevetti, anche solo per salvaguardarla in qualche modo.
Fatto questo, ora devi vendere la Tua consulenza all'azienda. Credo di capire che dovrai seguire Tu la produzione dell'oggetto, perchè “vendere la consulenza” dovrebbe significare questo.
Come comportarTi?. Innanzitutto facendo sapere, se non lo hai già fatto, che l'idea è stata depositata. Non dirlo apertamente ma tira fuori la cosa durante un dialogo come fosse la cosa più logica.
Questo, semplicemente per far passare quei pruriti che spesso nascono quando c'è da pagare qualcosa a qualcuno e si intravede la strada per non farlo. Se qualcuno intuisce che il prodotto o l'idea non è depositata, può metterci un attimo a fregarTi.
Se ciò che hai inventato è un procedimento produttivo di qualcosa che comunque non è Tuo, ciò che avrai depositato è un bene dell'intelletto, altrimenti avrai depositato l'idea stessa. Non sei obbligato, al momento a dire di più.
Relativamente agli introiti da chiedere sul “prodotto” (quindi ora mi fai capire che potrebbe essere qualcosa di nuovo) v'è da dire che entriamo in un campo ancor più delicato perchè occorrerebbe sapere che prodotto è (ma non voglio saperlo per evitare qualsiasi problema); in quale settore andrebbe a posizionarsi; in quale canale; con quali costi produttivi, con quale prezzo di vendita, con quali margini aziendali e con quali investimenti.
Capirai che differente se invento un prodotto a larghissimo consumo e quindi a basso prezzo di vendita e margini altrettanto bassi oltre a forti investimenti di marketing oppure se invento un prodotto dal costo elevato che si vende in pochi pezzi in particolari canali.
Il prodotto va quindi prima posizionato (mentalmente o con un progetto) in un preciso segmento. Va identificato il costo di produzione ed il prezzo di vendita, per capire lo spazio entro cui potrai muovere le Tue pretese. Dovrai poi calcolare, da solo o con l'azienda, quali saranno le vendite e che tipo di rotazione può avere il prodotto (sempre che di prodotto si tratti). Se è un bene di consumo (ipotesi: detersivo) avrà un costo di vendita basso ma una altissima rotazione annua: il consumatore cioè tende ad acquistarlo più volte durante l'anno. Se invece è un bene durevole (ipotesi: una pentola) è chiaro che le cose cambiano. Si vende ad un prezzo più alto ma la rotazione è bassa. La consumatrice potrà acquistare la pentola una volta all'anno o ancor meno. In pratica, dovrai fare un vero e proprio piano di marketing che preveda il lancio e lo sviluppo ad almeno 5 anni.
Questo per dirTi che la Tua valutazione può variare proporzionalmente alle quantità che ritieni si possano vendere. Sappi poi che la vendita è fortemente subordinata agli investimenti che l'azienda deciderà di fare. Un prodotto, pur bello e geniale che sia, se non viene fatto conoscere, non sarà mai venduto.
Sempre nel campo delle ipotesi, se ritieni che si venderanno molte quantità di quel prodotto, sarebbe opportuno che Tu proponga d'essere pagato con una percentuale sulle vendite. Calcola Tu la percentuale. Non posso farlo io proprio perchè non ho la minima idea di cosa andrai a produrre.
Se il prodotto è di consumo potresTi chiedere il 5% sul prezzo di vendita fatturato al cliente. Se è un bene durevole con poche migliaia di pezzi venduti all'anno, puoi chiedere una cifra fissa per pezzo, proporzionale al prezzo a cui sarà venduto il prodotto.
Infine puoi anche chiedere forfettariamente un tot iniziale e svincolare l'azienda al pagamento di percentuali. Le aziende però tendono a preferire un pagamento in percentuale perchè se c'è un flop, non pagano più di tanto.
Tutto dipende da quanto credi Tu nel prodotto ma anche quanto credi possa essere valida l'azienda a vendere bene quel prodotto. Se pensi che non ce la farà, chiedi subito e porta a casa; se credi che avrà successo, pretendi una percentuale.
Tendenzialmente penso che dovresTi stare attorno a quanto detto ma, ripeto, sono troppe le variabili perchè io possa esserTi più preciso.
Tornando ora a come devi comportarTi, mi pare di capire che i Tuoi tempi siano adesso molto stretti e questo è un peccato perchè prima di ogni altra cosa io mi informerei presso un Ufficio Brevetti per capire se e come sia registrabile la Tua idea.
Con tempi ancora più lunghi e con spese, andrebbe anche fatta una ricerca per capire se qualcun altro non abbia già depositato o brevettato la stessa idea. Perchè se così fosse e l'altro inventore si facesse avanti, andresTi incontro a rogne a non finire (azienda compresa).
Probabilmente Ti spaventerò ma credimi, quando una mente inventa qualcosa, da qualche parte del mondo, un'altra mente ha già pensato la stessa cosa e se quest'altra mente ha depositato l'idea, sono davvero problemi grossi perchè il secondo inventore, pur se in buona fede, ha comunque fatto reato.
Le ricerche andrebbero fatte non solo per lItalia ma quantomeno per l'intera Europa. Ti salvaguarderesTi un poco ma se negli USA ci fosse un inventore che un giorno prima di Te ha depositato la stessa cosa, la Tua idea, anche se depositata in Europa, non sarebbe valida.
Se io fossi l'azienda con cui stai dialogando, prima di buttarmi a sviluppare un'idea propostami, pretenderei tutte le garanzie dall'inventore (prodotto già depositato e registrato) proprio per evitare di andare incontro a spese di produzione per poi trovarmi magari con beghe legali costosissime da gestire.
Non so come sei messo Tu a danari ma, se ne hai la possibilità, se credi nella Tua idea e nel prodotto, potresTi rallentare il tutto con l'azienda dicendo che non vuoi dare l'idea prima che questa (dicendo che è già comunque depositata) non venga dichiarata legalmente registrata.
Fatto questo, correrei presso un Ufficio Brevetti e inizierei a portare avanti le pratiche.
Mi rendo conto che posso “gelare” gli entusiasmi con quanto dico ma rendiTi conto che sarebbe davvero poco onesto se non dicessi anche degli eventuali intoppi a cui si può andar incontro se non si fanno le cose per bene. Il mio compito è di aiutare i giovani, non di seppellirli.
Ti auguro un grosso successo.

giovedì 14 maggio 2009

COME FAR RICORDARE

Pietro M. Roma

Gentili Signori,
sarebbe inutile fare complimenti ma ve li meritate. Avevo iniziato a leggere le risposte ad alcune tematiche a me vicine, tralasciando le altre. Poi mi sono messo a leggere anche altre cose ed ho scoperto che molti fatti e molti vostri suggerimenti potrebbero servire sempre anche se apparentemente non sembra per cui sto lentamente pescando dall'archivio e prendo nota di moltissimi suggerimenti.
Preferisco non addentrarmi molto nel dirvi ciò che faccio e la posizione che occupo perchè ho purtroppo timore di essere riconosciuto e quindi, sperando che ugualmente mi risponderete, cerco di spiegarmi.
Ho la necessità di far si che molte persone a cui io parlo possano ricordare e memorizzare al meglio le informazioni che passo. Però, forse perchè la mia cultura di studi fatti è totalmente differente da ciò che oggi svolgo, non credo di riuscirci perfettamente.
C'è qualche suggerimento che potete darmi per aiutarmi almeno in parte in questo compito?
Vi ringrazio di cuore e aspetterò la risposta.

Gentilissimo Pietro,
Lei non desidera dare informazioni per non essere riconosciuto ma questo mette anche me nella condizione di non poter essere preciso. Sarebbe stato meglio se Lei mi avesse dettagliatamente descritto la Sua funzione ed i motivi che La portano a dover convincere altri a memorizzare quanto dice, chiedendo poi di non pubblicare quegli approfondimenti.
Comunque, come sempre, con piacere cercherò di darLe qualche aiuto.
Tutti noi siamo portati, per natura, a dimenticare spesso e volentieri ciò che leggiamo, vediamo o ci vien detto. Si figuri che gli studenti dimenticano quanto studiano, che invece dovrebbero ricordare per bene e da questo può capire come il processo di memorizzazione sia davvero un problema anche nell'ambito del lavoro.
Esistono numerosi studi che riportano ad una curva della memoria ed anche se può apparire lapalissiano dirlo, più passa il tempo e più le nozioni o le semplici informazioni avute cadono nel dimenticatoio.
Si calcola che mediamente noi dimentichiamo a distanza di un solo giorno almeno i due terzi di ciò che abbiamo saputo il giorno precedente. Ed entro qualche settimana viene a perdersi tutto quanto ci era stato riferito. Si immagini!
Nell'ambito della quotidianità questo potrebbe essere risolto con una semplice alzata di spalle ma nell'ambito lavorativo può venirsi a creare un problema. Calcoli che ciò che non riusciamo a ricordare, di fatto, è inutile. E se pensiamo ad eventuali informazioni che potrebbero tornarci utili successivamente, capiamo che avere difficoltà a memorizzare può creare serie problematiche.
Lei si trova nella condizione di parlare, di passare informazioni (per quanto credo di capire) e di non aver sicurezza che le persone a cui sono indirizzate le ricordino, o almeno le ricordino per sfruttarle bene sul lavoro.
Può darsi che Lei, come spesso accade, pensi che se le persone non ricordano sia un problema di loro capacità mnemonica. Credo invece di poter dire che se le persone non tengono a mente un messaggio, molto più spesso è colpa di chi lo ha passato.
Non tutte le persone sono uguali; non tutti siamo Pico della Mirandola e quindi, chi deve passare il messaggio deve farsi carico che questo arrivi al meglio.
Personalmente io seguo una vecchia scuola che ancora oggi ritengo la più adatta: la tecnica della ripetizione.
Quando devo passare un messaggio parto dicendo alle persone che sto per dire loro una determinata cosa. Poi la dico, poi la spiego ed infine ripeto ciò che ho detto.
Sembra ridicolo? Può apparire non possibile da fare? Tutt'altro. Quando dico “ora Vi darò precise informazioni su come gestire un problema che potreste trovarVi ad avere” catturo l'attenzione del gruppo che mi sta davanti.
Quando poi passo a descrivere il problema e spiego come gestirlo, l'attenzione rimane alta. Infine, dopo aver spiegato la cosa, mi trovo a dire: “ come avete appena sentito, ho detto che il problema può essere risolto agendo in questo modo ecc...ecc...” e torno a ripetere esattamente il tutto.
Come vede, Pietro, se mi pongo nella situazione di passare informazioni non dico le cose lasciando agli altri l'interpretazione o la valutazione di quanto debbano ricordare. Agisco in modo che, per lo meno, catturando la loro attenzione e ripetendo più volte i concetti, io abbia maggior sicurezza di riuscire a mantenere alto il loro ricordo.
Vi sono poi altri accorgimenti. Accidenti al fatto di non avermi detto cosa fa e perchè passa queste informazioni! Una maggiore chiarezza sarebbe stata utile. Ad esempio: ipotizziamo che Lei sia un Responsabile di una società di prodotti in cui il gusto o l'odorato la fanno da padrona (alimentari o profumi). Se così fosse, può fortemente giocare ad aumentare il ricordo legando alla presentazione o al messaggio, un assaggio od una semplice annusata. Sto cercando di dirLe che vi è la possibilità di abbinare e rafforzare il ricordo non solo a qualcosa che si è udito o visto ma anche assaggiato o annusato. I sensi sono un'arma incredibile per far riaffiorare nella nostra mente ricordi che pensavamo sepolti nella memoria.
Altro suggerimento che posso darLe è di sfruttare l'arma di abbinare ciò che vogliamo dire con un bisogno che l'uomo può avere.
Se dovessimo aver bisogno di un trapano particolare ed in fase di vendita il negoziante ci spiegasse il vantaggio dell'uso, noi ricorderemo ed assorbiremo meglio l'informazione. Ma se qualcuno volesse convincerci di qualcosa spiegandoci ciò che in quel momento non ci interessa, dopo poco l'avremmo dimenticata.
Se quindi quello che Lei dice può essere abbinato ad un bisogno, approfitti di questo ulteriore vantaggio per far memorizzare.
Può inoltre abbinare mnemonicamente l'informazione da dare ad uno stato di piacere o di dolore; a qualcosa che può riportare indietro nel tempo e che aiuti a legare il messaggio a qualcosa che ricordiamo bene.
Infine, tenga sempre a mente che quando parliamo alle persone, in gruppo o singolarmente, le cose che possono rimanere più impresse sono le prime dette od ancor meglio le ultime. Spesso ciò che diciamo nella parte che resta, viene dimenticato facilmente. Se quindi Lei dovesse trovarsi in un contesto in cui parla per un po' di tempo, potrebbe dare le informazioni più importanti subito all'inizio per poi riprenderle, con maggior enfasi, alla fine.
Ricorderà ?
Cordiali saluti

martedì 12 maggio 2009

FIABE

Angela P. (loc. n.c.)

Salve, mi chiamo Angela P. sono laureata in Filosofia e disoccupata. Mi piace scrivere filastrocche, fiabe, poesie ecc. Il mio sogno nel cassetto è quello di trasformare il mio hobby della scrittura in un lavoro, mi piacerebbe , cioè, pubblicare i miei scritti sui libri di lettura degli alunni delle scuole primarie e anche scrivere i testi di Storia, Geografia e altro , sempre per gli alunni delle scuole primarie. A quale casa editrice dovrei rivolgermi e in che modalità contattare gli editori ? Gradirei una Vostra risposta e nell'attesa porgo i miei distinti saluti. Angela

Gentilissima Angela,
è tale il garbo con cui scrive che penso che le Sue fiabe possano davvero essere “incantate”. Immaginare il lavoro da sviluppare nella vita come qualcosa che ci appartiene interiormente è davvero il raggiungimento della felicità.
Contattare gli editori non è assolutamente difficile. Gli indirizzi sono presenti ovunque. Può andare in alcune librerie scolastiche e chiedere semplicemente al libraio oppure, verificare direttamente sui libri stessi, sfogliandoli.
Può poi dare un'occhiata ai vari cataloghi di libri che vengono dati in omaggio e che trova anche nelle librerie Mondadori, Feltrinelli come le altre.
Può cercare nella Sua città eventuali librerie dedicate ai bambini e qui troverebbe davvero tutto. Infine, c'è internet.
No, mi farei problemi per questo. Relativamente ai testi di studio, le case Editrici sono ormai poche ma ci sono.
Per queste ultime, una presentazione è forse più difficile nel senso che solitamente, per risparmiare, gli editori usano sfruttare il materiale che già hanno (da decenni) sostituendo eventualmente qualche foto ed aggiornando solo i cambiamenti socio-economici, oltre al prezzo, naturalmente.
Comunque, può sempre inviare un Suo curriculum di studio dando la disponibilità per eventuali necessità dell'Editore.
Veniamo invece all'opportunità relativa alle fiabe che ho lasciato per ultimo. Gli editori sono numerosi ed in questo caso, trattandosi di lavori dell'intelletto, è chiaro che la necessità di nuovi autori esiste.
Nella fiaba, vale la storia quanto il modo di esprimerla. La capacità di appassionare quanto quella di incuriosire. La delicatezza come il sentimento e la morale.
Insomma, ce n'è per poter dire che un bravo autore può davvero riuscire.
Il contatto con gli Editori va fatto sempre inviando un breve curriculum (nel Suo caso di studi) ed allegando una prova dei Suoi lavori. Scelga la fiaba che più le piace. Aggiunga una filastrocca (le poesie le terrei inizialmente a parte a meno che non siano davvero semplici e brevi) e le invii come esempio.
Informi d'essere interessata a far editare le Sue opere, sia singole come in volume. I grandi Editori potranno risponderLe si o no, senza farLe altre proposte. Può darsi che i piccoli editori Le propongano di pubblicare le Sue opere....a spese Sue.
E' una valutazione che deve fare Lei. Solitamente queste iniziative sono rivolte al solo incasso di un guadagno da parte dell'Editore in quanto le copie stampate non vengono immesse sul mercato se non marginalmente e quindi senza possibilità di vendita.
Per una forma di pura sicurezza può aggiungere, in fondo alle Sue opere la seguente scritta:
il presente lavoro, frutto di opera dell'intelletto, è protetto da copyrights. Viene inviato in visione e non può essere diffuso senza autorizzazione. Nessuna parte di essa può essere estrapolata ne diffusa, ne presa a modello per altri qualsivoglia usi.
© 2009 Tutti i diritti sono riservati.
Questo può proteggerla da eventuali furti ma tenga però presente che a volte chi legge può prender paura se chi scrive si presenta molto “informato” su temi contrattuali. Veda Lei cosa fare. Con i grossi Editori, non ci sono problemi, con gli altri, non so.
Può poi pensare,se ne ha la possibilità, di editare in proprio un volume di racconti e fiabe e di inviare quello in visione. Sono molte, nelle città, le tipografie che fanno questi lavori. Ci sono però dei costi ed i risultati sono sempre piuttosto scarsi. Un libro di fiabe dev'essere bello anche a vedersi. Contenere disegni fantastici molto colorati e questo difficilmente si può fare per poche copie.
Non me ne farei comunque un problema.
Può anche iniziare a partecipare a qualche concorso letterario, sempre inviando le Sue opere. Eviti comunque tutti quelli che chiedono invio di danaro a qualsiasi titolo. I concorsi seri non lo fanno.
Tornando agli Editori, sceglierei, come detto, alcune delle opere più belle e le invierei, chiedendo eventualmente a titolo di cortesia un parere.
Nella lettera di presentazione dica semplicemente quello che ha scritto a me.
“Mi piace scrivere filastrocche, fiabe, poesie ecc. Il mio sogno nel cassetto è quello di trasformare il mio hobby della scrittura in un lavoro.
Per questo allego alcune mie opere affinchè cortesemente possiate valutarle ed eventualmente contattarmi. Vi ringrazio per la cortesia e rimango in attesa di un Vostro parere.”
Le auguro di cuore di riuscire a realizzare il Suo sogno e, semmai, non ci riuscisse subito, non smetta di sognare. Mai. Prosegua a scrivere e metta nel cassetto. Il sogno fa parte della fiaba!
Un mondo di bene.

lunedì 11 maggio 2009

VENDITA O MARKETING

Sigfrido M. Milano

Egregi Dottori,
mi trovo davanti ad una scelta per me difficile ed avendo trovato casualmente in rete il vostro indirizzo ho letto numerose risposte nella speranza di trovare qualcosa che assomigliasse al mio caso. Non avendolo trovato vi scrivo avendo fiducia nella vostra risposta.
La mia situazione di impasse è data dalla scelta che devo fare piuttosto urgentemente tra seguire la via del marketing o quella delle vendite. Confesso che entrambe mi attizzano ma mentre ne dovessi scegliere una mi spiacerebbe abbandonare l'altra. Non vorrei però fare come l'asino di Buriano....

Egregio Sigfrido,
con un nome così non posso che darLe del Lei. La posizione in cui si trova non è poi così drammatica come sembra. E' ovvio che non dandomi Lei alcuna ulteriore informazione sull'azienda o aziende dove dovrebbe svolgere le mansioni, mi pone nella condizione di non poter valutare più approfonditamente e quindi mi fermo alla valutazione personale sulle due mansioni. La prima risposta che posso darLe è che Lei essendo indeciso tra due strade che Le interessano entrambe deve, a pelle, scegliere d'istinto quella che per un “qualcosina” l'attira di più. Non vi sono infatti motivi per escludere una scelta o l'altra. Vale sempre, lo dico, la scelta verso ciò che riteniamo possa interessarci e piacerci maggiormente, perchè il lavoro poi dobbiamo portarcelo dietro una vita.
Lei saprà che tra marketing e vendite, in una buona azienda, non v'è molta differenza in quanto chi fa marketing dovrebbe (ma non succede quasi mai) aver fatto vendite e chi vende, dovrebbe farlo conoscendo le linee della dottrina del marketing e metterle in atto.
Non si può ormai più suddividere nettamente le due linee, escludendo però il marketing finanziario. Marketing e vendite (sul campo, tanto per intenderci) devono andare a braccetto. Il marketing non può non tener conto delle problematiche del commercio oltre che del consumo. E' vero che il marketing studia il consumatore, le abitudini, le scelte, i desideri e molto altro ancora, ma è anche vero che non può più fermarsi a queste ma deve capire il contesto sociale ed economico in cui questo consumatore si muove e vive. Il pensare oggi, come qualche decennio fa, che il marketing porta a far acquistare ciò che si vuole è piuttosto difficile e lo si può fare solo con investimenti che non valgono più il rischio. Quindi, il marketing, oggi, va più cauto puntando alla fidelizzazione dell'eventuale cliente parlandogli di sogni e desideri, è vero, ma anche di qualità, servizio, naturalezza; portando avanti campagne più sobrie e meno da show, come accade invece per le compagnie telefoniche che, non avendo nulla che le differenzia dai concorrenti, devono agire solo sull'asfissiante spettacolo che nessuno ormai guarda quasi più.
Le vendite , come settore, passano magari momenti non molto felici ma di fatto, se ci pensa, i consumi possono aumentare o calare un poco ma necessariamente rimangono. E' ovvio che dovrei analizzarLe lo specifico settore ma non dandomene la possibilità Le dico cose forse banali. Se il settore in cui Lei vorrebbe operare è il lusso (che più lusso non c'è) si troverà in un mercato che terrà sempre, perchè agendo sulla super nicchia e quindi su un mercato fortemente elitario e limitato, esisterà sempre. Se dovesse invece operare nel settore dell'alimentare o della casa, potrà trovarsi con cali di consumo ciclici ma comunque...dobbiamo sempre mangiare tutti o pulire la casa. Forse i settori oggi più delicati possono essere quelli ormai stra-sfruttati come l'abbigliamento medio o l'elettronica.
Detto questo, semmai desiderasse entrare nelle vendite, svolga il Suo compito avendo sempre l'obiettivo di approcciare la vendita ed il cliente con un pensiero al marketing. La vendita pura, (vendere per vendere) funziona solo in pochi casi. Se vuole fidelizzare il cliente, fargli avere fiducia in Lei, deve creare con lui un rapporto quasi consulenziale, in modo che lui senta di non essere pressato ed obbligato ad acquistare qualcosa che venderà con difficoltà. Crei questa situazione e vedrà che il cliente si affiderà a Lei. Sia per lui colui che lo contatta per dare suggerimenti, aiutandolo a capire i movimenti del mercato stesso affinchè il cliente possa e sappia muoversi senza isterismi. Venda pensando al profitto aziendale ed agisca come se Lei fosse il proprietario dell'azienda. Si tenga informato dell'attività della concorrenza; delle campagne pubblicitarie e promozionali, dei risultati raggiunti e delle quote di ogni concorrente. Sia pronto a discutere col cliente di tutte queste cose dandogli l'impressione che Lei è un collaboratore a lui prezioso.
Se invece dovesse entrare nel marketing, il primo suggerimento che posso darLe è di chiedere di poter fare almeno sei mesi di tirocinio come venditore in una zona media. Si faccia una esperienza di vendita; capisca i problemi dei clienti e quindi, con questa base entri a svolgere la Sua funzione nel reparto marketing. Vedrà che si troverà spesso, analizzando un problema, a chiedersi come potrà essere percepito all'esterno e con questa retro-preparazione, saprà agire molto meglio di molti professionisti che vogliono fare marketing uscendo direttamente dall'Università, senza averne alcuna esperienza.
Ora tocca a Lei. Mi sappia dire, se vuole.
Cordiali saluti

giovedì 7 maggio 2009

STRESS

M. Alessandria

Voglio solo gentilmente chiedere un vostro parere su come comportarmi in certe situazioni lavorative in quanto probabilmente per mia inesperienza, appena avuto un lavoro che oggi mi appassiona davvero, ho iniziato a prendermela troppo ed a vedere tutto con un occhio troppo serio.
Non so come dirlo ma ogni problema è come se fosse mio e me la prendo se qualcosa non va. Il fatto è che davvero mi piace la mansione che ho e quindi trovo giusto così. Come vi dicevo però l'impegno mi stressa enormemente e quando smetto di lavorare sono uno straccio. Non sto nemmeno in piedi e questo mi procura situazioni in cui pare che io finga di essere chissà chi.
Mi date una mano a capire perchè mi accade e come fare per ridurre se non eliminare questa situazione?
Grazie

Quando diciamo di essere stressati intendiamo sempre dire che ci stiamo irritando per qualcosa, ci sentiamo depressi, stanchi. Questa situazione porta sempre a pensare che nella nostra vita c'è qualcosa che non va; qualcosa che stiamo sbagliando.
Lo stress però non è una situazione di tensione esclusivamente negativa o meglio, non dobbiamo assolutamente vederla solo in negativo. Senza lo stress probabilmente saremmo peggio. La medicina dice che lo stress aiuta a vivere ed è vero. Poco o tanto è sempre con noi e ci accompagna tutta la vita.
I problemi iniziano quando la dose di stress in noi è superiore a quanto noi possiamo sopportare. Il livello di stress infatti non è omogeneo per tutti. Alcuni schiattano per un livello molto basso, altri (tipo gli sportivi in gara) sopportano una tensione altissima senza danni.
Lo stress è un modo del nostro corpo di avvisarci che attorno a noi si stanno concentrando situazioni che vanno tenute maggiormente sotto controllo. Il nostro corpo reagisce a questi pericoli di probabile logoramento. Come se il nostro corpo dicesse : “attento a quello che fai perchè corri il rischio di crearmi problemi di logoramento. Poi non dire che non te l'ho detto!”
Lo stress avviene perchè esiste in quel momento un fattore di stimolo; una minaccia esterna che il nostro cervello registra. Un po' come un sistema di allarme antifurto che in condizioni di pericolo vicino va in preallarme. Ma non è il cervello, come si pensa, che è stressato. Il cervello fa solo la sua parte avvisando del pericolo di stress ed inviando l'informazione a tutte le parti del corpo. Ecco perchè, anche se noi diciamo che è una stanchezza mentale, in realtà in una situazione stressante o poco dopo abbiamo i muscoli che non reggono.
Dobbiamo però pensare, e questo dovrebbe essere il primo pensiero, che lo stress è quella situazione che grazie ad una forza aggiuntiva che viene scaricata in corpo può aiutarci addiritutta a salvare la vita ad altri. Lo stress quindi va visto anche positivamente salvo che non duri troppo a lungo e non sia troppo forte. In questo caso la tensione accumulata si ritorcerebbe contro.
Noi, caro M., dobbiamo abituarci a vivere con lo stress ed a governarlo. La maggior parte di noi lo subisce e ne è quindi inevitabilmente vittima. Personalmente ho sempre cercato di guidarlo, vivendo consapevolmente le situazioni in cui sentivo lo stress. Se siamo tanto pronti a riconoscerlo, non correremo mai il rischio di esserne sopraffatti.
Ricordo una tabella medica che indicava che avere la consapevolezza di vivere una situazione stressante aiuta a trovare la soluzione al 90%. Direi che non è poco.
Il nostro cervello, la più perfetta centralina mai creata, raccoglie ed elabora informazioni che poi dirama. Ad ogni informazione (stimolo) che riceve, si domanda se quella “cosa” sia o meno una minaccia. Se ritiene che non lo sia, se ne sta tranquillo e non manda avvisi in circolazione. Se ritiene che quello stimolo ricevuto possa in qualche modo essere minaccioso, comincia ad allertare tutto il corpo, avvisandolo che deve essere pronto a gestire qualcosa di non solito. Questo avviso è lo stress. Se capita una o poche volte nella giornata, non accade nulla. Se l'avviso è continuato, è naturale che tutto il corpo stando continuamente in allerta ne risenta.
Il cervello avvisa mandando stimoli che variano l'equilibrio e quindi ci “svegliano”. Maggiore produzione della famosa adrenalina; battiti del cuore in aumento, pressione più alta, respiro accelerato, maggiore aumento della percezione dei sensi, avvisi a stomaco ed intestino, meno sangue ai muscoli e molte altre cose ancora.
Come ho scritto all'inizio però, lo stress, mentre crea questi avvisi di attenzione, permette però anche un'attività più veloce del cervello; quindi possibilità di decisioni più rapide; una capacità di valutazione e di giudizio nel breve che altrimenti potremmo non avere. Porta a alta concentrazione ed aiuta anche la memoria.
Insomma, questo povero stress, qualcosa di buono riesce anche a crearlo. Siamo noi a vedere sempre e solo le cose negative!.
Se Tu, mio caro, sei tutto il giorno impegnato in un lavoro che Ti ha fortemente preso ed appassionato, è quasi automatico che il Tuo livello di stress sia costantemente alto e lo è come probabilmente lo è per migliaia e migliaia di altri lavoratori che prendono seriamente ciò che fanno.
Tutto sta quindi nella consapevolezza e nella gestione dello stesso.
Ti alzi il mattino ed immediatamente pensi al lavoro ed a quello che devi fare. Forse hai dormito male anche la notte. Ritieni d'essere assolutamente indispensabile alla soluzione dei problemi in azienda e Te la prendi a cuore per tutto. Termini il lavoro ed il buon cervello (che di Te è un po' stanco) pensa: “ meno male, per qualche ora posso starmene calmo. Avviserò tutto il corpo di rilassarsi” Ed in quel momento inizi a sentirTi uno straccio. Sei tanto stanco che non stai in piedi. Quasi Ti manca la voglia di parlare.
Eh, si, caro M.. sei proprio in una situazione in cui non sai gestire il Tuo stress.
Ti proporrei di parlare molto più spesso al Tuo cervello, durante il giorno. Prendilo un po' come l'amico invisibile che hanno certi bambini. Parlagli e digli di stare calmo; di non inviare messaggi strani che Ti sfiancano perchè tanto la situazione sai benissimo gestirla senza allerte.
Sul lavoro datti obiettivi da raggiungere ( è giusto) ma godine quando li hai raggiunti. Sorridi, rilassaTi, prendi atto d'essere riuscito in ciò che volevi e, come altre volte ho detto, premiati. Un lavoro appassionante non deve prenderci la vita. Deve occupare il posto giusto nella nostra giornata ed è quello spazio che va vissuto appieno, pronti però a tornare ad altri impegni fisici e mentali, quando è terminato.
Con l'amico stress poi, Ti ripeto, convivici scherzandoci. Ridi con lui, prendila bene e non farTi sopraffare. Sii consapevole e lo vincerai. Abbiane cura, fa parte di Te. Pensa ad un atleta che deve fare un salto da primato. Se lo vedi prima del salto è fortemente concentrato. Non vede nulla e nessuno. Adrenalina a mille, si dice. Ed è vero. Ma appena effettuato il volo, non rimane in stato di stress. IL cervello, ormai abituato, da ordine a tutto il colpo “si smobilita sino a nuovo ordine” e l'atleta torna assolutamente normale. Magari felice.
Vuoi provare ad agire così?
Ciao

mercoledì 6 maggio 2009

MEETING IMPOSSIBILI

Adriano e Romeo (loc. n.c.)

Siamo due venditori di un'azienda piuttosto importante a carattere nazionale. Scriviamo assieme perchè abbiamo lo stesso problema.
Siamo entrambi giovani, in azienda da solo un anno e qualche mese. Premetto che non siamo scemi e poi capirà il perchè.
Io sono diplomato ed Romeo è laureato. Questo per dirle che abbiamo sufficiente capacità intellettiva per capire le cose.
Veniamo al fatto. Il nostro Capo tiene mensilmente meeting di vendita con la rete. Per i venditori è davvero un appuntamento importante perchè in quel contesto si gioca tutto. L'azienda pensa di passare chiare informazioni per farci lavorare e noi (tutti, perchè scriviamo anche per voce di altri) siamo completamente assorti nel tentativo di capire cosa vuol dirci il nostro Capo, cosa che puntualmente non capiamo.
Così, usciamo dal meeting con talmente tanti dubbi di comprensione che abbiamo una confusione risolvibile solo nei giorni a venire, almeno una decina. Quando abbiamo tutti compreso ciò che voleva dirci, anche attraverso telefonate in sede all'Ufficio vendite per chiarimenti, è quasi ora della nuova riunione.
Appena inizia la riunione capiamo subito come andrà a finire. Ci passa un plico di carteggi alto almeno tre dita con talmente tanti dati, tabelle, percentuali, informazioni su tutto, tutti ed ancora di più, che alla fine non capiamo nulla.
Fatto questo come inizio, passa a dirci le cose scritte che ci ha dato, proiettando tutte le tabelle scritte fittissimamente, che ha inserito nel computer, con una tale velocità che quando termina di leggere la pagina, noi siamo ancora alle prime righe.
Lui purtroppo non spiega; legge. Ma legge cose che probabilmente anche lui non capisce appieno altrimenti non avrebbe bisogno di così tanti dati.
Le diciamo una cosa che sembra assurda. Alla fine del meeting, anziché andarcene a casa, noi venditori, almeno una ventina, ci ritroviamo in un bar vicino al luogo della riunione e cerchiamo, tra di noi, di rivederci le cose per vedere di riuscire a capire. Le sembra una cosa giusta? Perchè il nostro Capo agisce così? Quale molla psicologica lo muove?
La ringraziamo della risposta che anche se non potrà aiutarci a risolvere il problema, almeno ce lo farà comprendere.

Devo dire cari Adriano e Romeo, che la Vostra lettera mi ha fatto davvero sorridere e se la cosa non fosse seria, riderei di gusto.
Il Vostro Capo soffre di una serie di incapacità, impreparazioni ed inesperienze. Forse è in una posizione non adeguata e, come spesso accade in queste situazioni, si è tentati di coprire le mancanze con una serie il più possibile ampia di dati e di scritti.
Del resto, dalla Vostra spiegazione ben precisa su come passa blocchi di informazioni (tre dita è quasi una Divina Commedia) vuol davvero dire che in quei fogli c'è tutto e di più. Poi, naturalmente, quando si tratta di spiegare, se non si è preparati, si tenta di leggere tutto per paura. La paura, solitamente, è anche quella di venir interrotti con domande imbarazzanti per cui, si tende proprio a correre senza pause.
Vi è una forma d'ansia che presumibilmente è proprio dettata dall'inesperienza o dalla non conoscenza. Mi auguro che malgrado questo almeno il Vs. apporto all'azienda sia profittevole, altrimenti vivete in un disastro.
Il fatto che, dopo il meeting, dobbiate riunirVi tra di Voi è molto significativo, così come il dover saperne di più telefonando all'Ufficio vendite.
Al di là della capacità o meno del Capo, per cercare d'esserVi un po' d'aiuto, posso dirVi che la Vostra difficoltà di digestione dei dati è assolutamente naturale. Ognuno ha un limite per immagazzinare le informazioni che riceve tutte assieme. Se queste vengono fornite in blocchi di tre dita e magari in poche ore, senza essere spiegate, va da sé che non si possono digerire. Le informazioni saranno assolutamente rifiutate dal cervello arrivando, come accade a Voi, di vedere il meeting come una mattinata da mal di testa. Arrivare alla riunione con queste paure è assolutamente logico come è folle da parte dell'azienda far si che questo accada.
Ma le aziende, come tutte le organizzazioni, solitamente pensano che il volume delle informazioni dato significhi efficacia.
“Se Ti passo poche righe e poche informazioni, non potrai mai saperne su tutto. Meglio quindi passare un'intera enciclopedia in modo d'essere sicuri che non vi siano dubbi”
Questo modo di pensare è piuttosto generale e, tendenzialmente, nasce da Capi con cultura, esperienze o provenienti da settori diversi. Faccio un esempio. Se mettiamo un Amministrativo a spiegare alcune semplici cose, si sentirà subito portato a preparare tavole con diagrammi, cifre con quattro numeri dopo la virgola, confronto di dati, percentuali e quant'altro.
Sarà cioè portato a passare agli altri quello che lui vive quotidianamente e che per lui è la norma. Poiché lui capisce benissimo quei dati non si preoccupa di dubitare che altri non lo possano seguire nei suoi ragionamenti.
Non pensa che il tasso di digestione delle informazioni non è uguale per tutti e che, se non capito, porterà addirittura danno all'azienda.
Vorrei ora di chiederVi perchè non abbiate mai preso il coraggio di far arrivare questa cosa in Sede ma mi rendo conto che probabilmente per Voi, la Sede ....è Lui.
Dovreste allora cercare di non accettare più questa situazione. Come fare? Facendo subito domande, appena viene presentata la prima tabella; chiedendo informazioni sulle strategie; dicendo “non capisco bene” ad ogni pagina che Vi sottopone. Insomma, molto cortesemente, obbligarlo a fermarsi e ad approfondire. Se riuscite a frenarlo, potrà magari incavolarsi ma sarà obbligato a prendere atto del fatto che forse non è chiaro e che i dati o le informazioni che passa non servono.
Le persone con ansia da vendere, creano la loro normalità coinvolgendo altri e passando loro la stessa ansia. Se vedono rifiutata questa tecnica, si afflosciano da soli (parlo di queste situazioni).
Chiedetegli di passarVi poche informazioni per volta da discutere assieme, senza quasi leggerle sullo schermo. DateVi la colpa (lo farete felice). Dite che avete difficoltà a comprendere e che Vi ci vuole calma, ma portatelo a fare ciò che ritenete utile ai fini della comprensione.
Se non riuscite nell'intento, scrivetemi ancora.
Saluti.

domenica 3 maggio 2009

PERCHE'

Marisa L. Salerno


Gentili Signori,
entro sempre nel Vostro blog e leggo tutte le risposte che date. Molte naturalmente non hanno nulla a che vedere con me ma in tutte trovo, dopo la riposta che date, anche quelle raccomandazioni ammantate di molto buon senso che possono essere utili a tutti. Per questo ne prendo sempre nota.
Io non ho nulla di particolare da chiedere ma ho solo una curiosità. Spesso vedo che quando esiste qualcosa che non va in un rapporto di lavoro, siete molto decisi a dire di cambiare lavoro. Vedo che non Vi fate remore su questo punto. Perchè? Trovate sia giusto o piuttosto non è meglio che la persona cerchi una soluzione lì dov'è?
Grazie


Mia cara Marisa,
è vero. Molto spesso, quando mi vengono presentati problemi nell'ambito del lavoro, dopo aver cercato di far comprendere il perchè magari qualcosa è accaduto, termino col dare il suggerimento di cambiare aria. Faccio questo perchè, quando i rapporti sono tesi, è molto ma molto difficile tornare a situazioni idilliache.
Vedi Marisa, il lavoro è una cosa che deve piacere. L'uomo non è nato per lavorare; il lavoro non fa parte di noi. Lavoriamo perchè dobbiamo vivere.
Quando il mattino ci alziamo abbiamo bisogno di una molla che ci spinga al lavoro e questa molla è “la motivazione”. Il lavoro è bello quando c'è una motivazione per farlo; quando siamo o ci sentiamo motivati. Solo questa è la molla che ci permette di accettarlo. Se non esiste, il lavoro diventa un peso anche insopportabile. Trovarsi davanti una giornata pensando di occuparla con qualcosa che ci pesa, è davvero terribile.
Molto spesso ricevo lettere di persone che, per motivi vari, si trovano o si sono trovati a dover gestire problematiche nel lavoro che li hanno segnati. Una discussione col Capo; un'incompatibilità con i colleghi; un riconoscimento non ricevuto; tutte motivazioni che possono portare a segnare pesantemente il futuro lavorativo. Quando un lavoratore sente di non essere completamente accettato dall'azienda, dal Capo o dal gruppo, inizia una fase di tale frustrazione indicibile.
Le colpe possono essere sia della persona che scrive (io non posso obbiettivamente conoscere sempre la verità) quanto della controparte; ciò non toglie comunque che, colpe di uno o dell'altro, il rapporto può essersi teso se non rotto. Pensi che sia possibile riaggiustarlo? Per esperienza dico che è la cosa più difficile in assoluto. Da una parte o dall'altra rimarrà sempre astio e questo continuerà ad essere strisciante, in ogni situazione, in ogni pensiero od azione.
Qualcuno potrebbe cercare, in questi casi, di suggerire che si deve portar pazienza, che va accettato quanto capita come qualcosa che, anche se brutto, viene dal cielo; che si deve sopportare ed altro ancora. Io suggerisco di cambiare.
Sapessi quante volte, cambiando, il lavoratore ha trovato la soluzione della vita!
Voglio farTi un esempio chiaro. Ipotizziamo che un lavoratore abbia una difficoltà col proprio Capo, con i colleghi o con l'azienda. Prima un lieve disaccordo poi una discussione un po' più dura. Le cose pare si mettano a posto ma basta una piccola scintilla che, assieme al nuovo, torna fuori tutto il vecchio e la collaborazione prende una brutta piega. Il Capo inizia a servirsi meno del collaboratore; questi finge di non vedere il Capo. Quando c'è qualcosa per cui debbano parlare si trovano di fronte a dire solo si e no, insomma, si crea nell'ambito del lavoro la fase di tensione che non ha fine.
Le lettere che ricevo non sono mai dell'azienda che chiede cosa fare verso il dipendente ma , naturalmente sono di quest'ultimo che chiede come comportarsi verso l'azienda, dopo comunque aver già avuto discussioni e tensioni.
Il collaboratore che può anche avere dalla sua parte mille ragioni, non ne ha una sola, dico una, per cercare di rimanere dov'è. Si troverebbe a vivere pesantemente quella stessa soluzione da lui voluta. In una situazione di tensione tra Capo e dipendente, in cui il dipendente ha ragione, può l'azienda decidere di eliminare il Capo?
Non lo farebbe mai. Parti dal principio che se una persona è divenuta “Capo” qualcosa di buono l'ha naturalmente fatto e se vale, nessuna azienda correrebbe il rischio di privarsene. Un Capo valido vale molto. Pur ammettendo che in quella situazione il Capo abbia avuto torto, l'azienda lo richiamerebbe solo privatamente e la cosa finirebbe lì.
In una querelle tra Capo e dipendente non è possibile, in una organizzazione che venga data ragione al dipendente per un motivo molto semplice: non creare precedenti destabilizzanti. Se accadesse che in una disputa un Capo venisse eliminato per lasciare il collaboratore, si creerebbe la situazione per cui, ad ogni incomprensione, qualsiasi altro lavoratore si sentirebbe autorizzato a fare la stessa cosa. In quell'azienda non si vivrebbe più ed il lavoro non procederebbe.
Va tenuto presente che un'azienda non è un ente assistenziale, dà lavoro ma deve anche funzionare per dare profitti che a loro volta generano altro lavoro e sicurezza per gli stessi lavoratori.
Quindi, abbiamo già due motivi per cui il lavoratore ha poche speranze di trovare soddisfazione. Un terzo motivo è che è più facile sostituire un lavoratore che trovare un Capo.
Il quarto motivo è che, se si arriva a situazioni di tensione, su quel lavoratore difficilmente si potrà ancora fare affidamento.
Spesso le aziende, davanti a queste situazioni, cercano di isolare il collaboratore in modo che sia lui a decidere di lasciare. Si isola un lavoratore lasciandolo nella posizione in cui è ma riducendogli il carico di lavoro lentamente; oppure ignorandolo; non facendolo partecipare a lavori di gruppo come anche dandogli nuovi incarichi. Questi possono essere non motivanti oppure, pur se motivanti, non idonei al lavoratore che verrebbe quindi a trovarsi in difficoltà.
Possono bastare le cose dette perchè io suggerisca sempre di trovare un altro lavoro?
Non entro nel merito della ragione, entro in quella della migliore soluzione che permetta al lavoratore di proseguire a “vivere” alzandosi il mattino con quella motivazione che lo spinga a recarsi al lavoro con entusiasmo.
Non si deve per forza abbarbicarsi dietro quel posto che si occupa col rischio di vivere male. Ad esempio, qualunque tensione nell'ambito del lavoro si ripercuote sempre anche sui colleghi. Ci saranno quelli che, contenti di ciò che fanno, non vogliono essere coinvolti in bagarre e quindi isolano lentamente il collega che vede così peggiorare la sua posizione.
Credimi, Marisa, non c'è motivo che tenga per cui debba suggerire di insistere tenacemente a rimanere dove si è o ad accettare piegando la testa.
Io rispondo sempre di non fare pazzie nel senso di non dire addio dall'oggi al domani. Uno può rimanere dov'è ma nello stesso tempo e molto velocemente, quando nasce una situazione come quella descritta, deve mettersi sul mercato e vendersi altrove. Il futuro è suo; la vita è sua. E' lui che deve trovare la soluzione migliore per se stesso. Cercando presto una nuova occupazione saprà anche presentarsi meglio ai nuovi colloqui perchè, il lavoratore non lo sa, ma chi lo intervista si accorge facilmente se la persona cerca un lavoro perchè vuole migliorare o solo perchè non sta bene dov'è. E se un lavoratore si presenta ad un colloquio dicendo o facendo capire, o non dicendolo (ma l'intervistatore se ne accorge) che vuole cambiare per dissapori o perchè dov'è non si trova bene, è come essere certo d'essere scartato quasi certamente. Nessuno si porta in casa anche solo un'ipotesi di “possibile rogna”.
Sappi Marisa che per problemi sul lavoro si rovinano anche molti matrimoni felici.
Penso proprio che basti per averTi fatto capire perchè suggerisco di cambiare aria.
Ciao