Ricerca personalizzata

venerdì 29 febbraio 2008

Rapporti interpersonali

nome e località' conosciuti ma non pubblicati
“intanto grazie per la preziosissima consulenza che mi avete regalato: il mondo mi aveva disabituato a cose di questo genere!Ho riflettuto E prima di scrivere come ho agito, una precisazione.Nella precedente mail non avevo parlato di un manager che si trova al di sopra dei Capi . Mentre i due si occupano principalmente di gestire la nostra attività, il manager gestisce i rapporti tra noi ed il resto della società. Questa persona è in azienda da un anno. Questo è stato ciò che ho fatto. Inizialmente ho individuato all'interno del gruppo chi la pensa come me. Parlando con loro (singolarmente) effettivamente hanno confermato i miei pensieri sulle problematiche interne, sulla poca capacità di lavorare come un team e sulle situazioni poco professionali che si palesano in ufficio, ma nessuno ha avanzato proposte, voglia di far qualcosa o mettersi in gioco per cambiare la situazione. Chi mi ha dato consigli professionali per gestire il singolo rapporto o risolvere il singolo problema, chi mi ha detto che è inutile e che la situazione non cambierà mai, chi mi ha raccontato di aver già cercato tante volte di far qualcosa e che non è servito a niente. Oggi, per caso, ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con ilmanager e, cogliendo la palla al balzo, gli ho parlato di questo argomento. Ho deciso di parlare con lui, piuttosto che con i due Capi , perché lavora in questo ufficio da poco tempo e non è ancora all'interno di quelle dinamiche e problematiche interpersonali che coinvolgono a mio avviso anche i due Capi Infatti era quasi completamente all'oscuro della situazione perché i miei colleghi sono molto bravi a comportarsi in modo professionale e amichevole quando è necessario.Le ho fatto qualche rapido esempio per farle capire come siamo poco in grado di lavorare in gruppo. Dopo averle esposto la situazione lei mi ha chiesto dei consigli su come gestire la cosa (??!!). Le ho risposto che non ne ho idea e che i colleghi più anziani che la pensano come me non hanno intenzione (né probabilmente la capacità) di occuparsene.Ci siamo lasciate con l'intenzione di monitorare la situazione e riaggiornarci con novità e/o suggerimenti.Sono contenta di averle parlato perché sento che è la cosa più giusta per l'azienda e perché mi è sembrata interessata a risolvere questo problema. “

Gentilissima,
sul finale della nella mia precedente risposta Ti avevo chiesto di capire semmai ci fosse il modo di parlare con il Capo, ma di non farlo ancora. Un conto è studiare la strategia ed essere pronti a metterla in opera al momento opportuno, ed un altro è buttar fuori il rospo senza essere totalmente preparati.
Infatti, quando i Tuo Capo Ti ha chiesto cosa si potrebbe fare, Tu hai risposto....non lo so, mentre avresTi dovuto, una volta preparata a questa possibilità, dare una Tua valutazione sulle azioni da intraprendere.
Sarebbe stata una grandissima possibilità che purtroppo hai perso di dimostrare una capacità di visione della gestione delle problematiche del gruppo; capacità di cui probabilmente il Tuo Capo avrebbe preso buona nota.
Mi hai poi comunicato qualcosa che non avevi detto prima e che cambia non poco la situazione. I rapporti interpersonali nell'ambito dei gruppi di lavoro sono delicati, molto delicati. Tu gestisci un gruppo. Prova a pensare come accetteresTi se un Tuo collaboratore decidesse di “lamentarsi” di una situazione di lavoro che coinvolge Te, direttamente con il Tuo Capo. Credo che Te la piglieresTi non poco perchè diresTi che se c'è qualcosa che non va e che Ti coinvolge in qualche modo, o coinvolge il gruppo sarebbe giusto parlarne col diretto interessato (quindi con Te).
Invece Tu, hai seguito un'altra strada. Hai parlato dei problemi del gruppo, non con il Tuo diretto superiore ma con il Capo del Capo.
Come può fare quest'ultimo a risolvere il problema se non chiamando il Tuo Capo per avere chiarimenti? E come pensi ci rimanga il Tuo Capo quando si sentirà impreparato a rispondere, sentendosi scavalcato?
A questo punto valuta la possibilità di accennare al Tuo Capo che casualmente Ti sei trovata a parlare con il Vostro Capo e che, a domanda “come vanno le cose?” hai detto serenamente quelli che credi essere i problemi del Gruppo. Puoi dirlo ingenuamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E se lui trovasse la cosa strana, cerca di sminuire il tutto come se si fosse trattato di quattro semplici parole, dicendo però che sei consapevole che per migliorare il lavoro, per il bene di tutti, occorre comunque che i problemi siano analizzati e risolti.
Se arrivi prima che le cose si muovano in altro modo, ci metti per così dire “una pezza”.
Tu stessa comprendi e temi che se si venisse a sapere.....
Quando però le azioni sono fatte occorre essere responsabili ed eventualmente accettarne le conseguenze. Altrimenti non si farebbe più nulla. A volte occorre il coraggio anche se, come Ti ho scritto, prima, un po' di strategia andava preparata.
Che ognuno dei Tuoi colleghi abbia detto la sua non mi meraviglia. Di fatto, però, mi par di capire che rientrino nella massa (le cose non vanno ma non si può far niente ecc..ecc...) classico modo per “mugugnare” senza risolvere. E' difficile trovare persone che vogliano mettersi in gioco perchè questo significa rischiare e pochi hanno il coraggio o la possibilità di farlo. Ma se ognuno è consapevole che qualcosa va fatto, è sufficiente che questo qualcosa parta dai Vostri Capi.
Ora, per darTi soluzioni da suggerire dovrei essere a conoscenza di ogni singolo problema, comprese le visioni degli altri colleghi. Comprendi anche Tu che non posso farlo quindi, suggerisco a grandi linee quella che potrebbe essere una linea di condotta.
Essendoci più gruppi di lavoro che operano assieme ma ognuno con un loro Capo, Ti suggerirei di dimenticare ciò che fanno gli altri e di concentrarTi sul Tuo gruppo. Parla con i Tuoi addetti (spero che siano sempre gli stessi, e che ognuno di Voi abbia un ben preciso gruppo di collaboratori, altrimenti ciò che dico perde valore). Passa loro l'entusiasmo che Tu hai; la visione corretta del lavoro; parla della necessità di collaborare, fai capire loro che lavorare bene costa meno fatica che farlo male; spiega loro che vuoi che tutti loro siano ritenuti i migliori e che Tu li seguirai per far si che questo avvenga.
Stimola in loro il concetto di gara verso gli altri al fine di dimostrare d'essere i migliori; porta loro tutte le informazioni necessarie affinchè vedano, giorno dopo giorno, i progressi rispetto agli altri gruppi. Lodali a voce alta ogni qualvolta ne hai opportunità; stai vicino materialmente a chi problemi ed aiuta chi è in difficoltà, spiegando cosa fare. Di loro che non devono aver alcun timore a dirTi tutte le cose che per loro andrebbero cambiate e, se puoi, in ufficio o fuori, trova il modo di riunirli anche per poco, per discutere assieme le soluzioni. Parla dell'azienda, dei risultati; di quello che significa per ognuno il fatto che l'azienda vada bene. Falli innamorare del loro lavoro e se qualcuno non accettasse questo Tua visione, fagli capire che forse non sta svolgendo il lavoro adatto. Fai capire che per tutti ci sono possibilità di sviluppo e che comunque quello che imparano lavorando bene, potrà sempre servire anche altrove.
Ciò che sto tentando di dirTi è di focalizzare la Tua attenzione non sui problemi generali compresi i colleghi, ma sul Tuo gruppo. Se Tu riesci, col buon senso, con l'appoggio e con la presenza costante a migliorare il Tuo gruppo rispetto agli altri, avrai anche dimostrato a tutti che un miglioramento è possibile. E se il Tuo gruppo risulterà il migliore, vuol dire che il Capo ha la stoffa....
Non pensare quindi a risolvere i problemi di chi tutto sommato non ha voglia di risolverli, perchè probabilmente è più facile che riescano loro a far desistere Te che non Te, loro. La Tua strategia quindi è di pensare al Tuo gruppo. Migliorarlo e stimolarlo.
Lascia perdere anche le ovvie critiche e le risatine che dovessero venire dagli altri. Tira avanti e basta.
Circa le soluzioni che il Tuo Capo Ti ha chiesto ed a cui Tu hai dovuto rispondere di non sapere, le trovi in questo scritto.


- Meeting tra Voi per analizzare le problematiche e coinvolgere tutti circa la serenità del luogo di lavoro.
- Passare una visione di accordo e non di disaccordo tra i Capi
- Instaurare un clima di lavoro divertente con gare interne sui risultati migliori (dateVi Voi i parametri) Non ha importanza il premio che può essere anche una pizza per il gruppo migliore.
- La gara andrebbe fatta anche tra Voi.
- Far si che i collaboratori sappiano di poter contare sempre sull'appoggio dei propri Capi
- Instaurare la classica, logora ma sempre valida cassetta delle idee dove ognuno, anche anonimamente, può dire la Sua per suggerire soluzioni a problemi d'ufficio e di lavoro
- Motivare i collaboratori premiando chi ha l'approccio migliore col cliente. Una volta visto chi si comporta meglio, va preso d'esempio e la sua tecnica va portata a conoscenza di tutti, elogiando l'autore. (Faccio presente che spesso l'approccio migliore può non essere quello a cui obbliga l'azienda).

Potremmo andare avanti ma per ora basta così.
In bocca al lupo.

mercoledì 27 febbraio 2008

Advertising

LUIGI M. (n.c.)
“.......quindi per la mia attività da poco partita, non posso disporre di investimenti tali da poter stare al passo con i concorrenti. Mi vengono fatte proposte per investire in pubblicità su alcune riviste dove anche i concorrenti si fanno vedere, ma i costi sono elevati e dovrei spendere per essere poco o nulla visto. Cosa posso fare?.......”

Egregio Sig. Luigi,
quando si è nella Sua condizione di poter investire ma non quanto i concorrenti, occorre agire d'astuzia. Prenda in considerazione non tanto le testate classiche offerte, su cui i Suoi concorrenti agiscono ma piuttosto altre testate che, pur operando in campi diversi dal Suo, siano comunque nello stesso solco e quindi con lo stesso target di lettori. In questo modo Lei spenderà probabilmente anche meno ma ciò che conta è che il Suo messaggio non sarà in concorrenza visiva sulla stessa rivista. Faccio un esempio (che non è il Suo, solo per chi legge). Se Lei vendesse creme di bellezza potrebbe non agire sulle solite riviste femminili ma, perchè no, su riviste legate alla lingerie o su quelle dedicate all'arredamento della casa. Così facendo, il Suo messaggio avrà un maggiore impatto essendo forse l'unico del segmento in quella rivista e quindi con poca possibilità di confronto con altri.
Tanti cari saluti

Parlare ad un gruppo

Teresa P. Bologna
“.....Quindi, Lei capisce la mia angoscia quando devo tenere un meeting. Preferirei andare a vendere 100 volte piuttosto che parlare in pubblico....”

Gentilissima Signora Teresa,
capisco le Sue paure perchè sono quelle di molti altri ma non comprendo il terrore. Il guaio è che tutti noi siamo troppo presi dal voler imitare ciò che vediamo sugli schermi. E' proprio così. I nostri punti di riferimento oggi sono dati da personaggi che recitano o che, intervistati, rispondo senza alcun problema con una scioltezza che sorprende. Occorre però pensare che un attore studia una parte, la studia per bene eppure quando recita si sbaglia anche decine di volte. Noi non vediamo (se non in certi programmi) le papere che fanno, ma le fanno eccome. E le risposte in studio durante un'intervista a domande che paiono improvvisate, in realtà sono state ben concordate in precedenza in modo che l'attore s'è potuto preparare. Il Suo problema è che probabilmente Lei pensa più a voler a tutti i costi far bella figura (proprio come un attore che recita) e questo pensare, durante la presentazione stessa, Le impedisce di riflettere bene su quanto dice. Ecco allora, le indecisioni, i dubbi, le gaffe, gli errori, la mancanza di parola e altro. Se invece Lei pensasse solo a comunicare bene quanto ha in testa in modo che chi ascolta possa comprendere, tutto andrebbe meglio. Ricordi che è importante esprimere il concetto. In quanto alle parole usate....poco importa se chi ascolta capisce. Solitamente chi parla avendo paura di farlo ha un solo pensiero. Il giudizio del pubblico. Ci si preoccupa essenzialmente di “cosa penserà il pubblico di me” e quindi non si è mai spontanei. Si pensa a far bella figura. Ci si domanda sempre, mentalmente “sarò stato bravo. Sarò piaciuto?” Invece dovremmo chiederci “sarò riuscito a passare ciò che volevo dire?”
Lasci perdere le pose e le raffinatezze. Si prepari bene, scrivendo e leggendo i punti essenziali (quante volte ho già risposto a questi problemi) eppoi, semplicemente li presenti tenendo a mente l'obiettivo: far comprendere a chi ascolta ciò che vogliamo dire. Stop.

martedì 26 febbraio 2008

Rapporti personali

Pamela (loc. n.c.)
“sto seguendo da un pò il suo blog, e mi sembra veramente interessante, in particolare mi piace la passione con cui parla nelle sue risposte. I giovani in questo momento arrivano così confusi e impreparati al mondo del lavoro, che hanno proprio bisogno di un aiuto!Mi chiamo Pamela, ho 28 anni e il mio problema è più che altro un problema di relazione.Son entrata da circa un anno in un ufficio marketing di un'azienda. Son arrivata qui a due anni dalla laurea dopo essermi adattata a fare vari lavori e continuando a cercare un lavoro nel campo pubblicitario. Avendo studiato design e pubblicità, il lavoro di addetto marketing e grafico è perfetto per me, sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto. Mi son inserita in un ufficio dove hanno sempre lavorato solo due persone, il mio capo e una mia collega, assunta prima di me.Però non mi sono mai sentita accettata, pur portando a termine tutti i lavori che mi venivano assegnati mi son vista per vari mesi rinnovare il contratto di mese in mese e questo ha cominciato a farmi pensare che non fosse un problema di capacità ma un problema di "simpatie". Lavoriamo tutti e tre nello stesso ufficio, ed io sono costretta a subire continuamente scene in cui loro si avvicinano bisbigliando per non farsi sentire da me, o in cui si azzittiscono all'improvviso se arrivo da fuori, a volte si fanno esplicite battute complici su qualche mio atteggiamento...e io sto diventando paranoica! Questi loro comportamenti mi fanno diventare sempre più insicura tanto al punto che a volte mi inibisce anche una semplice chiacchierata sulle vacanze e per non sbagliare, rimango in silenzio. Non so dove sbaglio, non so se dovrei rispondere in qualche modo a questo loro cameratismo...so che questo lavoro mi piace, e non vorrei doverlo abbandonare solo perchè non mi so rapportare con le altre persone. Sono stata io a rovinare tutto fin dall'inizio? Posso migliorare i rapporti in ufficio?”

Mia cara Dottoressa Pamela,
La ringrazio per quanto dice circa la passione che evidentemente passa da quello che dico. Mi auguro sempre possa essere da esempio a quei giovani che ne mettono poca.
Eccoci al Suo problema. Sono contento nel sapere che Lei è riuscita, nel lavoro, a coronare il desiderio di svolgere una mansione che voleva fare. Ora mi segua e tenga presente queste Sue tre espressioni:
“sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto.”
Veniamo al resto. La vita che si svolge negli uffici è uno spaccato identico a quanto c'è all'esterno. In pratica è una vera vita parallela. Simpatie, antipatie, cricche, legami, amicizie, affetti, esattamente come avviene fuori. Questo deve tenerlo sempre bene a mente. Dunque, Lei entra in un ufficio in cui esiste un Capo ed una collaboratrice. E' quasi scontato che tra i due possa o debba esserci comunque una sintonia, visto che già lavoravano assieme e Lei è stata aggiunta e non è andata a prendere il posto della collega.
Se il rapporto professionale tra i due funziona bene (e mi sembra di capire sia così) è nato tra loro un piccolo gruppo. Arriva Lei. E' nuova, forse più giovane; forse più bella, con maggiori conoscenze....insomma, il terzo incomodo. Non occorre scomodare Freud. Il gruppo di lavoro deve riassestarsi su nuove posizioni. Gli equilibri vanno riposizionati. Probabilmente all'inizio Lei è stata più vicina al Suo capo (per quanto mi ha detto in una parte della Sua lettera e che non ho trascritto per non renderLa troppo riconoscibile) e questo può aver creato tensione o paura alla collega. E' normale che un lavoratore se sente in pericolo la propria posizione cerchi di salvaguardarla. Forse la collega ha capito che doveva muoversi e Voi donne siete abilissime in questo. Basta una piccola parola nell'orecchio al Capo, un dubbio sulle Sue capacità, una critica su un lavoro; insomma, tante piccole cose utili comunque a mettere i puntini sulle i e far capire al Capo che il gruppo vero è quello originario, quello a due. Poi, c'è Lei. Fa parte dell'ufficio ma deve mantenere un tantino le distanze. E la Sua collega Le fa capire tutto questo facendoLe vedere di poter parlare all'orecchio del Capo; di potergli fare il sorrisino; di poter bisbigliare o fare le battutine. Tutti messaggi a livello inconscio per dirLe che si, Lei è lì con loro, ma non deve cercare di rompere il gruppo e l'equilibrio.
Da come Lei spiega poi le cose è anche forse abbastanza evidente che possa esserci qualcosa di più, e se così fosse, ci metta pure un po' di sana gelosia da parte della collega.
Soffermiamoci ora sul Suo “sto divenendo paranoica”. Perchè vuole divenirlo? Dato che almeno questa è una Sua scelta, eviti di pensarlo o di “decidere” di divenirlo. Inizi invece a dirsi che “non c'è proprio motivo di divenire paranoici”.
Lei ha la sensazione di non essersi mai sentita accettata. Una possibile spiegazione l'ho già data ed il riferimento è il gruppo esistente. Come nella vita esterna, entrare in un gruppo di lavoro già formato, è sempre difficile. Sentirsi accettati, ancor di più. Sa perchè Le dico “sentirsi accettati”? Perchè in realtà dobbiamo sempre vedere le cose anche da un altro lato. Possiamo sentirci accettati o meno, ma sta anche a noi pensare di FARCI accettare. Se io entro in un gruppo, il mio primo compito è cercare appunto di farmi accettare (azione attiva) e non aspettare o almeno non pensare di vivere una situazione in cui gli altri debbano accettarmi. Se agisco in questo modo (azione passiva) do al gruppo il potere di decidere se io sia o meno utile, simpatico, interessante...
Faccia solo tesoro, per il futuro, di questa riflessione. Per questo caso, ciò che è fatto è fatto.
Veniamo al presente. Lei, ripeto, ha la sensazione di non essersi mai sentita accettata e questa sensazione l'ha chiusa in se stessa, La fa sentire insicura e l'insicurezza crea paure che La rendono ancor più insicura. Ed ecco quindi che Lei arriva alla classica frase della paranoia. Provi però a rivoltare il tutto e vedere la cosa da un altro punto di vista: Lei è insicura di se stessa (sul piano personale, quindi timidezza) e proietta questa insicurezza sugli altri, tanto da non farsi totalmente accettare. Altra ipotesi: Lei non è insicura sul piano personale ma solo su quello lavorativo. Spesso l'insicurezza su questo piano è data dal sentirsi inesperta nella mansione rispetto a qualche collega ed è più diffusa, ovvia e banale di quanto si creda. La rassicuro però sul fatto che con l'esperienza nella mansione, diminuisce e sparisce anche l'insicurezza.
Penso però Lei non debba crearsi problemi più di tanto, per questa situazione.
Termina scrivendo: ”Non so dove sbaglio, non so se dovrei rispondere in qualche modo a questo loro cameratismo...so che questo lavoro mi piace, e non vorrei doverlo abbandonare solo perchè non mi so rapportare con le altre persone. Sono stata io a rovinare tutto fin dall'inizio? Posso migliorare i rapporti in ufficio?”
Che brutto finale, Pamela! Mi piacerebbe che Lei non dicesse più queste cose. Se inizia a crearsi ulteriori dubbi sul fatto che forse è Lei che sbaglia..., che non sa relazionarsi con gli altri, sino a chiedersi se è stata Lei a rovinare il tutto... arriverà a spalmarsi di pessimismo acuto, per niente.
Non mi ha detto e forse era importante saperlo, se anche fuori dall'ufficio ha gli stessi problemi. Perchè se così non fosse, la risposta a tutto se la dà da sola.
Non è stata Lei a rovinare tutto, almeno volutamente, e quindi non può addossarsi colpe che non ha. Come Le ho detto, è entrata in un gruppo esistente, ristretto a due (capo e collaboratrice, che forse potrebbe anche far intuire altro). Non credo, per finire, che Lei possa o debba fare qualcosa per cambiare questa situazione. Anzi, ogni Suo eventuale gesto potrebbe addirittura venir visto come volontà di rompere quel bel gruppo e quindi ritorcersi contro. Lasci stare le cose come sono.
Ed ora, cara dottoressa Pamela, riprendiamo con quelle tre espressioni che Le avevo prima detto di tenere a mente?
“sono contenta, molto soddisfatta e sto imparando tanto.” Vuole, per cortesia ripetersele un po'? Anzi, seguendo un mio metodo che mi creda, dà risultati, perchè non si scrive queste tre espressioni su un bel foglietto e lo mette in qualunque posto Lei possa vederlo spesso?
Pensi al lavoro, pensi alla soddisfazione che ne trae ed al fatto che sta imparando cose che non conosceva. Pensi che queste cose, alla fine, arrivano a Lei anche attraverso il Capo e la collega e quando Lei le avrà ben assimilate, saranno per sempre Sue. Rubi al gruppo le tecniche, le conoscenze le esperienze. Questo vale, ed in questo “rubare” Lei è parte attiva.
Circa l'andamento dell'ufficio Lei deve lasciar correre davvero le risatine, gli approcci e tutto il resto. Accetti che ci siano come ci sono nei gruppi esterni ( e come forse ha anche Lei con qualche amico o amica all'esterno) . Non se la prenda e non si rabbui se entrando in ufficio li vede parlottare. Liberi di farlo! Non divenga permalosa per questo, perchè magari se davvero devono dirsi qualcosa...di segreto, è chiaro che quando Lei entra, devono zittirsi.
Se vuol proprio dar loro una mano faccia si che la Sua presenza sia annunciata. Un piccolo rumore prima di aprir la porta; un colpetto di tosse..insomma, dia loro una mano. Così agendo, mi creda, Lei finirà per sentirsi più forte. Tenga sempre presente questo:
l'ufficio ha bisogno di Lei ma anche Lei ha bisogno dell'ufficio (ovvero imparare il più possibile). Quando riterrà d'aver imparato potrà andarsene magari in altra azienda, nella posizione dell'attuale Suo Capo. Ma La prego: non si prenda un assistente uomo e non faccia un Suo piccolo gruppo!
Mi riscriva se ne sente il bisogno.
Cordiali saluti

lunedì 25 febbraio 2008

Rapporti personali

Antony B. Trento
“....Sono convinto che le organizzazioni funzionino bene se vengono mantenute sempre regole fisse nel lavoro. Ho vissuto in aziende in cui non c'era disciplina; tutti disturbavano tutti; il lavoro veniva preso sempre un po' sottogamba, nessuno stava al proprio posto di lavoro. Per chi fosse arrivato dall'esterno, la visione era di solo caos. Sembrava che gli impiegati non fossero lì per lavorare ma per passare il tempo. Ed anche il mio Capo, a quei tempi, sembrava non vedere nulla. Lasciava correre ed a volte, pareva partecipare anche lui al casino; tanto aveva la fortuna che l'azienda produceva e faceva comunque profitto. Io, da quando occupo la posizione di Direttore in questa società, ho voluto portare innanzitutto proprio la disciplina, in termini di ordine. Ordine nel lavoro; sulle scrivanie; nelle persone; nei rapporti; nel modo di comunicare. Dedico parte del mio tempo (al di là di quanto faccio per l'azienda) ad insegnare ai miei dipendenti che nella serietà e nella precisione date da un rapporto disciplinato, c'è la sicurezza di un lavoro ben fatto e quando un lavoro è ben fatto, tutto fila liscio. Ho insegnato loro, ad esempio, che non possono venire a bussare alla mia porta ogni volta che c'è un problema, per sentire il mio parere perchè se dessi ascolto a tutti, avrei la fila in ufficio ed io non potrei più lavorare anche per il loro bene. Prima, invece, era un continuo via vai. Nessuno si prende la briga di addossarsi una responsabilità di una decisione. Tutti vogliono sentire me. Così ho dato loro l'idea di scriversi i vari problemi su un memorandum e a fine giornata, chi ne ha può venire da me e ne discutiamo......”

Egregio Antony,
Ti parlerò con estrema franchezza. Stai sbagliando. Lo fai per il bene, dici Tu, del gruppo, ma credo Tu lo stia portando dalla parte opposta a dove vorresTi andare. Nella Tua azienda, scusa se lo dico, non ci starei nemmeno un minuto. Sono duro, lo so, ma desidero farTi comprendere che l'azienda è fatta da un gruppo di lavoro. Ed un gruppo di lavoro è fatto di uomini, ognuno con una propria personalità ed un modo d'agire. Compito del Capo è quello di gestire al meglio questo gruppo e far si che ognuno possa amalgamarsi con gli altri al fine di rafforzarlo, creando coesione. Un buon Capo non dovrebbe neppure dare ordini. Nella mia logica ed esperienza, il Capo è colui che gestisce le potenzialità dei collaboratori che dovrebbero essere posti nella condizione di assumersi le responsabilità. Il Capo è colui che guida, motiva, premia o punisce con lealtà, che ascolta e suggerisce senza ordinare. C'è molto altro, ma basta così.
La Tua lettera, che trovi ridotta per spazio, è un po' allucinante. Tu parli solo di disciplina. Nessuno deve disturbare. Tutti al loro posto. Zitti a lavorare. Nessuno dovrebbe muoversi. Ma Tu pensi che in questo modo davvero il gruppo operi serenamente al meglio; che l'azienda produca di più? Pensi che controllare che le scrivanie siano in ordine faccia si che i Tuoi dipendenti siano migliori? Passeranno solo più tempo a mettere in ordine le scrivanie, magari togliendolo a cose più costruttive. Senza dire poi che, a volte, obbligare all'ordine un disordinato che nel suo disordine troverebbe tutto, può voler dire creargli problemi. Ti meravigli perchè le aziende o l'azienda precedente dove il Tuo ex Capo, che non guardava a queste cose e lasciava fare, i risultati erano comunque ottimi e non pensi che forse qualcosa era dato anche da questo? E com'erano i lavoratori in quelle aziende? Più tristi o più allegri dei Tuoi di oggi? Più motivati, collaborativi o forse pensi che lo siano i Tuoi?
La porta del Tuo ufficio, come tutte le porte, dovrebbero essere aperte. Sai perchè vorrebbero venire da Te ogni due minuti con un problema? Perchè sanno di non aver alcuna delega a gestire i problemi. Tu non l'hai loro data e loro non vedono perchè dovrebbero prendersela. Per farsi poi fare una ramanzina? Davanti ad ogni problema quindi devono ricorrere a Te e, non potendolo fare subito, sono costretti a scrivere un foglio e discuterlo a fine giornata. E se un problema è urgente?
No, Antony, è tutto sbagliato. Non discuto la Tua voglia di cose ben fatte; la Tua precisione che nasce dalla correttezza e anche dalla Tua onestà lavorativa ma non operi nell'esercito in cui tutto questo è obbligatorio affinchè tutto funzioni. Tu operi in una realtà in cui la prima cosa a cui pensare è di sviluppare coesione, collaborazione, soddisfazione delle persone per raggiungere assieme un obiettivo comune.
Ricomincia da capo. Può non essere facile ma devi farcela. E se hai ancora dubbi, riscrivimi.

INps

Elena (loc. n.c.)
“Volevo saper se ci sono dei casi in cui non siano previsti i controlli inps in caso di malattia prolungata e certificata.
Mi spiego. Si tratta di una persona che a causa di un incidente stradale ha subito un trauma cranico che lo ha reso temporaneamente inabile al lavoro, ma non alla sua vita!
E' possibile con la dichiarazione del suo neurologo essere esentati dagli obblighi degli orari di controllo?”

Cara Elena,
questa, come altre richieste giunte, non fa parte del nostro campo di conoscenze. Credo che qualsiasi dottore possa risponderTi. In ogni caso, una semplice telefonata all'INPS della Tua città chiarirà il tutto, senza alcun problema.
Personalmente credo che i controlli medici siano sempre possibili, indipendentemente dalla malattia accusata. L'INPS solitamente non dovrebbe però muoversi se non c'è una richiesta del datore di lavoro. Una dichiarazione del neurologo non credo possa esentare (d'ufficio) la persona dall'obbligo di residenza . Il neurologo potrà semmai dare parere personale a che la persona possa uscire dall'abitazione. Che l'ammalato poi debba necessariamente uscire proprio negli orari in cui dovrebbe stare in casa....... Anche questa però è un'informazione che l'INPS stessa può dare.
In ogni caso, detto tra noi, se comunque una persona sta male, non dovrebbe aver voglia di uscire ma se invece ha voglia d'uscire...qualcuno potrebbe chiedersi perchè allora non va al lavoro.
Ciao

domenica 24 febbraio 2008

Vendita

Noemi (zona n.c.)
“......mi è stato quindi detto di non farmi problemi. Dal cliente la trattativa nasce da sola. Basta seguirla e si arriva a vendere. Si, però se non c'è almeno una partenza come faccio a sapere se inizio bene o no? Il risultato è che con questo metodo, faccio solo fatica e vendo poco. Mi può dire se è giusto quello che mi è stato detto o se invece c'è qualche metodo da seguire?.....”

Gentlissima Noemi,
non allibisco più quando mi dicono quello che Tu scrivi. Mandare una venditrice allo sbaraglio dicendoLe solo di iniziare che poi la trattativa va avanti da sola è un suicidio commerciale. Io mi auguro che questo suggerimento non provenga da un formatore ma solo dal capo della Tua azienda che evidentemente saprà produrre bene ma in quanto a vendere, meglio lasciar perdere. Forse quarant'anni fa, in presenza di un ottimo prodotto con forte richiesta, questo suggerimento avrebbe potuto essere tollerato, ma oggi.....
Dunque vediamo di darTi una mano. Ti scrivo una tabella relativa alle fasi della vendita. Attieniti a questa. Non posso qui farTi un vero corso formativo per cui non posso addentrarmi in molte spiegazioni, ma sono certo che saprai senza dubbio comprendere ed agire.
Ecco dunque la tabella di ciò che è importante fare per gestire al meglio tutte le fasi della vendita:
conoscere i prodotti. Non si vendono mai bene i prodotti che non si conoscono. Questo è forse l'unico punto che le aziende di carattere prettamente produttivo, curano bene. Informati su tutto, circa il prodotto. Com'è fatto; con cosa; come funziona...insomma, tutto quello che incuriosisce Te incuriosirà anche il cliente. Le domande che Ti fai Tu, se le farà anche il cliente.
Preparare l'incontro. Non andare mai impreparata a nessun incontro. Prima che il cliente apra bocca, devi già sapere cosa potrà domandarTi. Preparare l'incontro significa anche cercare d'avere l'orario migliore in cui il cliente è più ricettivo. Significa (dico senza ordine) avere i prodotti in perfetto stato per mostrarli; avere tutti i dati aggiornati di fatturato; sapere quanto ha acquistato in passato; conoscere le preferenze d'acquisto; conoscere il cliente o buyer anche sotto l'aspetto personale. Insomma, andare preparata con tutto e in tutto. Nulla di quanto esce deve trovarTi senza risposta.
Creare le argomentazioni. I prodotti, solitamente, hanno argomentazioni di base simili per tutti i clienti. Ciò non toglie comunque che queste argomentazioni non debbano essere calibrate in modo proporzionale a chi ci sta difronte. Con qualcuno dovrei essere più tecnica; con altri, dovrai lavorare più sull'aspetto emotivo.
Rispondere alle obiezioni. Quello delle obiezioni è un argomento che torna spesso nelle richieste. Se hai seguito in passato le mie risposte, avrai visto come agire. Le risposte sono solo domande di chiarimento e quindi non dev'esserci paura a rispondere. Certo, però, che alle obiezioni bisogna risponder serenamente e subito, in modo fluido, senza impappinarsi o far comprendere d'essere stati presi in castagna. Ecco perchè, dato che le obiezioni alla fine son sempre le stesse, occorre prepararsi prima le risposte.
Conclusione. Dopo una presentazione dei prodotti ed aver risposto alle eventuali obiezioni occorre passare velocemente alla conclusione, con un'adeguata offerta. Non devi mai mostrare dubbi sulle quantità che offri, ma anzi devi dare la sicurezza che stai offrendo il giusto per le necessità del cliente.
A questo punto, e solo se ci sono dubbi nel cliente, devi ritornare a rafforzare con altre argomentazioni la conclusione e quindi passare all'ordine.
Scrivimi ancora se hai dubbi. Ciao

Vendere

Gianfilippo D. (n.c.)
“.......Sono venditore da qualche tempo per la............, azienda che Lei conoscerà. Sono contento ma questo non mi vieta di saperne sempre di più sulla vendita ed anche di chiedere pareri per capire se quanto faccio sia giusto o no. In questo momento vorrei chiederle, se può rispondermi senza problemi, se sia possibile schematizzare una linea di condotta che permetta d'essere seguita al fine di avere un buon rapporto col cliente. La ringrazio se vorrà rispondermi......”

Si, caro Gianfilippo, Ti rispondo.
Credo di capire quanto Tu desideri. Vorresti una linea guida che Ti dica se quanto fai è giusto o meno. Ebbene, credo che un buon venditore debba avere sempre chiari questi punti:
conoscere il cliente. E' inutile andare a vendere a casaccio, senza avere la minima idea di chi abbiamo di fronte. Conoscere i bisogni del cliente. E' inutile e dannoso offrire inutilmente ciò che non serve al cliente. Se invece conosco i suoi bisogni (le sue necessità in termini di prodotti o condizioni) potrò instaurare un dialogo corretto e vendere meglio sapere cosa ci chiederà. Troppo spesso o quasi sempre il venditore visita il cliente all'oscuro di quanto il cliente potrà acquistare o le richieste che potrà fare. Se invece si è preparati su questo punto non si potrà rimanere come allocchi davanti alle eventuali sue richieste.
Sapere le obiezioni che potrà farci. Se vogliamo rispondere alle sue domande dobbiamo essere preparati e per questo dobbiamo intuire prima di visitarlo, le obiezioni che ci farà.
Saper rispondere alle obiezioni. Se le conosciamo in anticipo potremo prepararci le risposte ed apparire quindi molto fluidi nei discorsi. Sapere cosa per lui è importante. Inutile, come capita spesso, insistere su qualcosa che al cliente non interessa minimamente, col rischio di fargli perdere la pazienza. Se sappiamo cosa lui ritiene importante nella trattativa, opereremo per rispondere e soddisfarlo proprio su quello. Ma se non lo sappiamo.....
avere chiaro l'obiettivo che si vuol raggiungere. Sai Gianfilippo quanti venditori mi trovo davanti che non hanno idea di ciò che vogliono raggiungere? Spesso si va a caso, si spera nell'ordine, nell'occasione favorevole. Ma se non abbiamo un obiettivo chiaro, come facciamo a raggiungerlo?
Avere tutto il materiale necessario. Banale? Non tanto. Oggi poi che si viaggia sempre più spesso con un'agenda sotto braccio, non ci si rende conto dell'importanza di una buona presentazione del materiale di vendita e del materiale amministrativo. (Il computer portatile purtroppo ha creato più danni che altro nell'ambito della vendita). Se vuoi interessare il cliente devi mostrargli sempre ciò che vuoi vendergli. Devi far si che sia sempre in perfetto ordine e, per carità, lascia perdere le presentazioni fatte al computer in cui tu ed il cliente guardate lo schermo come due poveri cristi. Sapere quanto offrire. Che tristezza, per mancata conoscenza del cliente e delle sue necessità, offrire dieci e sentirsi rispondere “è poco. Mandamene venti” Questa è davvero un'occasione persa. Vuol dire che il cliente avrebbe potuto accettare trenta.
Avere chiaro quanto dovrà durare la trattativa. Ogni cliente ha una sua misura del tempo da dedicare ad ogni azienda. Inutile voler tener fermo il cliente un'ora quando lui ha deciso che per te ha mezz'ora da dedicarti. Ho visto venditori parlare un'ora nel tentativo di catturare il cliente che dopo dieci minuti era già pronto all'acquisto e che dopo mezz'ora d'ascolto aveva deciso di non acquistare più. Prima della visita un buon venditore deve calcolare il tempo da dedicare al cliente. Poi deve tenerne conto e non superarlo.
Ciao.

venerdì 22 febbraio 2008

Valore di un benefit

Carmelo (loc. n.c.)
Salve,lavoro per una societa di xxxxxxxxxxx. Essendo un commerciale, ho in dotazione un'auto aziendale .Sto facendo dei colloqui con un competitor importante, che mi offre una buona posizione nel marketing.Questa posizione però non prevede l'auto aziendale.Mi hanno detto che la mancata assegnazione dell'auto verrà monetizzata con un importo una tantum.La domanda è, sapete in che modo viene calcolato questo importo??? é un valore ricavabile oppure va a discrezione dell'azienda? Si parla di car allowance??

Egregio Sig. Carmelo,
la Sua lettera, come alcune volte accade, è stata ridotta per non rendere riconoscibile la situazione.
Come commerciale oggi, l'azienda Le mette a disposizione un'ottima macchina. Quest'auto ha un valore che Lei oggi riceve come “uso”. In pratica, per sapere il Suo attuale guadagno, dovrebbe aggiungere allo stipendio, anche il valore dell'uso dell'auto. In altri termini deve domandarsi quanto dovrebbe spendere Lei di Suo, se usasse quell'auto. Bollo, assicurazione, carburante, manutenzione e valore della spesa che Lei non ha dovuto sostenere pur usando l'auto. (il valore solitamente lo si calcola suddividendolo per tre anni)
Questa è la base su cui Lei doveva o dovrebbe discutere per la nuova posizione che non prevede l'auto. Poiché dice che la nuova posizione è “buona” ritengo che anche lo stipendio sia altrettanto. Se l'azienda Le ha detto che la mancata assegnazione dell'auto verrà monetizzata, Lei dovrà semplicemente portare avanti i calcoli che avrà fatto (come Le ho suggerito) e quindi discutere su quella base aggiuntiva.
Tenga però conto che difficilmente Lei riuscirà a strappare tutto il valore, perchè se davvero lo volesse, deve tener conto che al valore del servizio offerto dall'attuale auto, percependo una monetizzazione in stipendio, Lei dovrebbe a questo aggiungere anche i versamenti e le tasse che su questo incideranno. Se per esempio Lei arrivasse a calcolare un valore dell'auto pari a 1500 euro mese (è una pura ipotesi), per mantenerLe lo stesso godimento netto, l'azienda dovrebbe versarLe presumibilmente un 50% in più, quindi 2.250 euro lordi aggiuntivi a quanto hanno offerto come stipendio.
Sempre difficile che questo accada, e quindi dovrà valutare Lei la convenienza dell'offerta. Va da sé che deve essere pronto a dimostrarsi non molto contento (qualunque cosa Le offrano) sino ad arrivare comunque a qualcosa che, pur non soddisfandoLa, sia per Lei accettabile.
Questo, semmai l'azienda decidesse di darLe mensilmente un contributo auto. Poiché però Ledi parla di un importo una tantum, la cosa si fa più delicata. Non credo infatti che l'azienda decida, all'atto dell'assunzione di regalarLe un una tantum di così grande importo, quindi ho paura che Lei dovrà inziare....accontentandosi.
Mi auguro però che Lei abbia già una Sua autovettura, altrimenti, l'acquisto dovrà essere messo sul piatto della trattativa come un impegno oneroso che Lei è obbligato a sostenere, quando oggi non ne ha la necessità. Faccia bene i Suoi calcoli, anche valutando la nuova posizione. Può essere accettabile perdere rispetto ad oggi, se la mansione ne fa valer la pena. Ma essendo un commerciale, queste cose Le sa.
In bocca al lupo!

mercoledì 20 febbraio 2008

Dubbi sul futuro

Francesca Brescia
“....Ho trovato per caso questo blog: lo trovo molto interessante, positivo e propositivo. Finalmente qualcuno che pensa con il cuore a noi giovani!!! Io sono Francesca, ho 27 anni, sono della provincia di Brescia e sono alla ricerca di un senso per quanto ho fatto finora e per quello che devo fare ancora. Sinceramente è la seconda parte che mi preoccupa di più. Mi sono laureata in architettura al Politecnico di Milano. Vi spiego un po’ la mia situazione per arrivare poi ai miei dubbi e ai miei interrogativi… Ho lavorato per otto mesi in uno studio d’architettura della mia città, in cui collaboravo alle attività di progettazione. Con quest’esperienza mi sono avvicinata (credo con successo) alla progettazione degli spazi aperti e del verde. Adoravo le attività che svolgevo, ma ci sono stati alcuni attriti/malintesi con i datori di lavoro, quindi ho scelto di lasciare tutto. Nel frattempo (come poi è da quando ho iniziato l’università) ho intensificato la collaborazione con lo studio tecnico di famiglia, ma ciò senza grandi stimoli. A settembre ho iniziato una nuova esperienza in uno studio d’ingegneria di Brescia. A gennaio ho lasciato anche questo studio per questioni fondamentalmente economiche, anche se anche qui ho imparato molte cose. In questi mesi ho superato l’esame di stato, mi sono iscritta all’Albo degli architetti e ho iniziato la libera professione (almeno per piccoli lavori per conto mio). Qualche piccola soddisfazione l’ho avuta! Adesso è un mese che sto cercando di tirare le somme, sto cercando di capire cosa voglio fare, se questa è la strada giusta. Ho mandando parecchi curriculum, sempre ad aziende di cui avevo trovato annunci, ma non ho avuto alcuna risposta. Mi stavo chiedendo, dopo essermi fatta una cultura esasperata di annunci lavorativi di vario tipo, come mai tutte le aziende/studi tecnici/professionisti sono alla ricerca di persone con un bagaglio di esperienze grandissimo, che siano giovani e che conoscano innumerevoli nozioni/programmi/lingue straniere? Io oramai è più di un anno che lavoro, un po’ d’esperienza nel mio campo ce l’ho…ma mi sento “tagliate le gambe” se per esempio volessi cambiare settore…uscire un po’ dal mio seminato...mi spiego meglio...A me piacerebbe molto iniziare un’esperienza nel settore dell’arredamento d’interni, ma non ho alcuna esperienza a livello di vendita, di rapporto con il cliente. In fondo l’università ha dato poche basi. Quello che so, l’ho imparato dopo. Per una giovane come me, con tanta voglia di fare, non c’è spazio? Io voglio crescere, voglio imparare, voglio conoscere…vorrei entrare in contatto con settori diversi (anche non direttamente connessi all’architettura) per poi capire qual è quello più adatto a me. Perché ora come ora non ho idea di quale sia giusto per me. Ma vorrei avere la possibilità di provare. Come si fa a capire se una persona ha le capacità, se non la si fa provare? Sono fermamente convinta che le esperienze bisogna farle principalmente a quest’età. Non ho voglia di adattarmi a situazioni comode. Voglio riuscire a essere soddisfatta e orgogliosa di quanto ho fatto. Voglio arrivare un giorno, fra qualche anno, a dire di essere finalmente qualcuno. Chiedo troppo? Come dovrei agire? Sono disposta a trasferirmi, a cambiare città, a fare sacrifici, a trasformare completamente la mia vita. E’ come se continuassi (da testarda) a lanciarmi contro un muro. E inizio a demotivarmi..."

Carissima Francesca,
dalla Sua lettera si capisce bene la Sua confusione. Per una giovane come Lei, con tanta voglia di fare, lo spazio c'è, eccome. Deve però capire Lei cosa vuol fare. Ha iniziato in uno Studio di famiglia. Se ne è uscita forse perchè lavorare ...con i familiari non è mai bellissimo se non ci si adatta. Passa in un altro Studio. Bisticcia o ha incomprensioni con i datori di lavoro e se ne va. Torna dai Suoi. Riesce perchè non ha sufficienti stimoli. Entra in un nuovo Studio, da cui dice d'aver appreso molto, ma se ne va per motivi economici. E finalmente inizia un'attività in proprio con qualche soddisfazione. Ma non basta. Sta cercando di tirare le somme per capire....cosa fare.
Proseguiamo dopo per il resto della lettera. Adesso, analizziamo questa parte. Non sarà che Lei è un tipo un po' troppo vulcanico? Quello che ha fatto, Francesca, avrebbe già soddisfatto molte giovani; invece Lei è ancora alla ricerca della Sua strada. Dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere per capire come mai tutto quanto fatto sino ad ora non Le è bastato o meglio, non è andato così bene tanto da farLe decidere di proseguire su quella strada. Con la famiglia....non ci sono stimoli. Con i primi datori di lavoro ha avuto da ridire. Io non so il motivo ma Lei, si. Era un motivo serio? L'incomprensione era data da atteggiamenti errati da parte loro o magari da insofferenza da parte Sua? Perchè se così fosse, forse questa insofferenza la ritroverà sempre, anche in futuro. L'aver lasciato la seconda possibilità offerta dal destino, per motivi essenzialmente economici, quando è cosciente d'aver appreso molto e sapendo di poter apprendere ancora, significa ulteriore indecisione e insofferenza che Lei ha forse tacitato nella coscienza dietro il paravento dell'insoddisfazione economica.
Ecco quindi che non Le rimane che mettersi in proprio (sogno di molti) ma anche dopo questo passo, non sa che fare. Ahi, Ahi! Vedo un futuro di indecisioni continue e di insoddisfazioni su tutti i fronti. (Mi auguro non anche su quello sentimentale). Dice quindi di voler tirar le somme. Ma le ha già tirate, tant'è che ha iniziato ad inviare curricula a destra e a manca.
Altra esperienza poco positiva. Su questo però posso rassicurarLa. Tutti vogliono giovani, da pagar poco, con un'esperienza che può avere solo un cinquantenne. In realtà, spesso, è ormai un'abitudine negli annunci chiedere l'impossibile ben sapendo che un giovane non potrà mai avere ciò che viene chiesto. Ma se non lo si facesse, si riceverebbero tante risposte inutili. Diciamo quindi che questo è un filtro nella speranza che chi risponde, abbia almeno un po' di esperienza. Poi, è vero, ci sono richieste assurde di conoscenze che un giovane non può avere e chi le chiede, alla fine, rimane a bocca asciutta e deve accontentarsi di ciò che il mercato offre.
Penso comunque che Lei abbia inviato il Suo curriculum a società e Studi che ricercavano laureati in Architettua o no? Perchè se Lei ha inviato curricula, facendosi forte della Sua laurea in Architettura per altre posizioni in cui questo non fosse stato chiesto, certamente non sarebbe stata presa in considerazione.
Ed eccoci ora alla novità.
Dice: “...A me piacerebbe molto iniziare un’esperienza nel settore dell’arredamento d’interni, ma non ho alcuna esperienza a livello di vendita, di rapporto con il cliente....” Quindi, mi sta dicendo che il Suo nuovo orientamento è verso un lavoro di creazione di interni, parallelamente alla vendita degli stessi, seguendo i clienti nelle loro richieste. Ho ben capito?
In questo caso l'esperienza di vendita a cui lei accenna, non è proprio quella tipica e specifica di un venditore che deve “piazzare” qualcosa già prodotto. Se capisco, Lei desidererebbe (forse, ma non è detto) crearsi uno Studio di Arredatore. In questo caso, dovrebbe preparare qualche buon lavoro da mostrare come biglietto da visita. I lavori che seguirebbero sarebbero poi fatti su indicazioni degli stessi clienti. Il rapporto col cliente non sarebbe quindi propriamente una vendita. Semmai dovrebbe concordare le eventuali scelte, motivandole. Niente vera vendita, ma se avesse problemi....mi scriva pure e Le darò tutto l'aiuto necessario.
Aggiunge: “Per una giovane come me, con tanta voglia di fare, non c’è spazio? Io voglio crescere, voglio imparare, voglio conoscere…vorrei entrare in contatto con settori diversi (anche non direttamente connessi all’architettura) per poi capire qual è quello più adatto a me. Perché ora come ora non ho idea di quale sia giusto per me. Ma vorrei avere la possibilità di provare.” Per chi vuole provare ed ha tanta voglia, gli spazi ci sono. Occorre però che la persona abbia chiaro cosa vuol provare e forse Lei ha ancora un po' di dubbi. Non faccia come l'asino che per non sapere verso quale covone indirizzarsi è morto di fame, La prego!
Si fermi un attimo. Prenda davvero un periodo di riflessione. Scelga le strade che vorrebbe percorrere. Analizzi le varie opzioni sulla base della “simpatia” che ogni strada può darLe. Essendo strade nuove non può avere altri mezzi di valutazione. Poi, quando avrà deciso, dovrà esser consapevole che, facendo quella scelta, dovrà inevitabilmente buttare le altre ed andare a testa bassa in quella direzione. Potrebbe mantenere ancora aperte le altre opzioni ( sono certo, pur non conoscendoLa, che questa sarebbe la Sua volontà) ma deve però tener presente che a forza di provare nuove strade passerebbero anche gli anni e Lei dice che vuole diventare qualcuno, tra solo qualche anno!!
Infatti finisce scrivendo (certamente di getto) “Voglio riuscire a essere soddisfatta e orgogliosa di quanto ho fatto. Voglio arrivare un giorno, fra qualche anno, a dire di essere finalmente qualcuno. Chiedo troppo? Come dovrei agire? Sono disposta a trasferirmi, a cambiare città, a fare sacrifici, a trasformare completamente la mia vita. E’ come se continuassi (da testarda) a lanciarmi contro un muro. E inizio a demotivarmi… “
Dovrebbe agire...calmandosi. Troppa enfasi, mi creda, crea confusione. C'è un momento in cui, dopo aver sognato o dopo aver messo tanta carne al fuoco, è necessario fare il punto della situazione, prendere decisioni. Altrimenti, come accade a Lei a fine lettera, vi è l'improvvisa presa coscienza dell'inizio di una demotivazione.
Vede Francesca, non è tanto importante la strada che intraprenderà, quanto lo spirito che nporrà nel nuovo lavoro. Per come scrive, sono certo che Lei abbia tutte le carte in regola per far bene qualunque cosa.
Deve però sentirsi appagata da ciò che fa; deve provare un interesse intenso; un continuo entusiasmo (come in un amore iniziale). Ed è su questo che, mi pemetta, ho qualche dubbio. Ho la sensazione che, dopo un po', quando inizia la fase di “normalità”, qualunque cosa Lei faccia, non Le basta più. Deve trovare nuove emozioni in qualcos'altro. Ed ecco la continua nuova ricerca.
Se riesce a comprendere che, ogni lavoro, prima o poi entra in una routine di normalità a cui ci si deve abituare (forse anche per nostra fortuna) si troverà a scegliere con serena consapevolezza, la strada da percorrere. Magari non la migliore, ma quella più giusta. Se continuerà a rincorrere quella più interessante, finirà per non trovarla mai, vivendo in modo insoddisfatto, perchè può esserci sempre qualcosa migliore tra ciò che non conosciamo.
Se ho capito com'è Lei, non credo di averLa potuto soddisfare con le mie risposte, quindi, se vuole, mi riscriva.
Cordiali saluti

Lavoro tempo determinato

Roberta (loc. n.c.)
“......avrei bisogno di informazioni riguardo ai contratti a tempo determinato. Avendo un bambino piccolo vorrei sapere se ho diritto a stare a casa quando si ammala e in generale tutti i diritti che mi da questo tipo di contratto.
Vorrei anche sapere se esistono dei permessi per i padri in caso di malattia del bambino,premetto che mio marito è un dipendente dell'arma dei carabinieri.
Vi ringrazio anticipatamente e complimenti per il blog....”

La ringraziamo Signora Roberta e siamo spiacenti non poterLe essere d'aiuto. Ciò che Lei chiede non è di nostra competenza e per nostra volontà non diamo risposte a quesiti di cui non siamo certi. Riteniamo che qualsiasi patronato della Sua città o qaualsiasi sindacato possa risponderLe molto bene. Essi sono infatti informati su normative che, spesso, cambiano continuamente.
Qualunque patronato o sindacato, sappia, dovrà darLe risposta senza chiederLe alcun compenso o iscrizione a qualsivoglia movimento.
Ci spiace. Cordiali saluti.

martedì 19 febbraio 2008

Mettersi in proprio

Viviana (città del Nord)
.... Vi ringrazio, prima di tutto per la Vostra presenza nella rete e per l'utilissimo servizio da Voi offerto.Vorrei porVi una domanda, in sè abbastanza breve, ma che richiede un lungo preambolo, per farVi comprendere appieno la mia tragica situazione ed escludere il dubbio sul fatto che la mia intenzione non sia stata presa con cognizione di causa.Ho lavorato, dal 2004 al 2005 come "stagista" (non retribuita e senza nessun "contratto") e dal settembre 2005 al 14 gennaio 2008, con contratto a progetto "finto", con retribuzione, diciamo, "da stagista".Il datore di lavoro mi ha gabbato, rischiando così, di compromettere il mio futuro.Ho frequentato una scuola creativa privata dal 2001 al 2004, per un corso triennale in Art Direction in pubblicità. Di tutti i diplomati del mio anno (nel mio stesso reparto, quello creativo, 4 sezioni da 30 studenti ciascuna), una sola persona è stata in grado di penetrare (con successo) in questo sistema molto elitario (grazie alle conoscenze giuste. Non parlo di raccomandazioni dall'alto, ma semplice possibilità di stringere amicizie con creativi già solidamente inseriti).Io, attraverso parecchi mesi di lavoro, che consisteva semplicemente nell'invio del mio curriculum creativo (lavori svolti nel triennio di corso, presentati con un'impaginazione creativa), allegato a un'email di presentazione, creativa e personalizzata per ogni destinatario, ad ogni singolo creativo (art director, copywriter e direttori creativi) di ogni grande agenzia di Milano (una decina circa), sono riuscita ad ottenere un colloquio con almeno un direttore creativo per ogni agenzia.Questo significa che, comunque, non ho sprecato tempo e danaro in quella scuola. Anche solo 5 minuti di colloquio con un direttore creativo, equivale a 30 secondi di udienza dalla Regina Elisabetta. Se ti regalano 5 minuti del loro tempo, significa che c'è del potenziale appetibile. Non lo fanno certo per cortesia.Purtroppo, per efficenza dell'ufficio stage di una scuola "concorrente", ogni colloquio effettuato era comunque a "fondo perduto", dato che i posti in stage disponibili erano tutti già occupati da studenti di quella scuola; stage che, per motivi pratici, vengono abitualmente prolungati per svariati mesi.Ho, quasi per scherzo, inviato un curriculum anche a un art director a New York, sempre di una multinazionale presente anche a Milano. Là, pare che ci sia molta più disponibilità di stage e dopo svariati colloqui via email e "test" mi era stata proposta una prova, RETRIBUITA, di sei settimane (confermatami anche dal direttore creativo del team in cui lavorava questa persona). Per vicissitudini non volute ho però dovuto interrompere il contatto-Ho perso un'enorme occasione, ma comunque, il fatto di essere stata contattata da un'agenzia di New York, mi ha fatto superbamente pensare che non devo essere poi tanto incapace come art director.Non ho avuto la forza interiore di insistere. Quindi, abbandonato, con gran dispiacere, il sogno che avevo fin da bambina (di fare le pubblicità, quelle in televisione), ho accettato la proposta di xxxxx, che gestiva con successo, da circa un anno, una piccola web agency nella provincia di xxxxxx. All'inizio, il mio ruolo era solo quello di assistere, aiutare, per quel che potevo, nell'esecuzione di lavori grafici e imparare il mestiere del web designer.Non avrei mai potuto intuire che tutto ciò non sarebbe mai accaduto.Dopo circa un anno, mi è stato proposto un contratto a progetto, a 450€ mensili. L'accordo consisteva in 4 ore di lavoro normale (occupandomi dei progetti ADV "extra", non essendo l'attività contemplata tra quelle dell'agenzia) e 4 ore di puro studio in autonomia (principalmente di programmazione), con l'affiancamento di xxxxx come tutor.Mai successo. 8 ore piene e anche di più. Per 3 anni. Ingenua e illusa io, certo, ma la speranza che, un giorno, qualcuno mi avrebbe insegnato qualcosa di nuovo, ardeva in me. A gennaio 2007 venne assunto (con contratto a progetto) un nuovo programmatore, con già due anni di esperienza in un'agenzia di Milano.Il fatto che questa persona, appena arrivata (con meno anni di "esperianza" di me, anche se più specifica) guadagnasse già 1.100€ netti, mi innervosiva. Ma tenevo duro, nella vana speranza che la mole di lavoro venisse ben distribuita e che qualcuno avanzasse un po' di tempo per insegnarmi qualcosa.Ovviamente, nulla di tutto ciò è successo. Nel frattempo il mio lavoro di declassava sempre più. NON AVEVO DIRITTO di intervenire, con le competenze acquisite durante i miei studi (poca cosa, ma cognizioni base di grafica e percezione visiva, comune ad ogni essere umano, quindi applicabili anche a un biglietto da visita).In aprile scorso mi viene comunicata la fusione del nostro studio, con la ditta che si occupava della gestione dei nostri server. La nuova gestione ha portato a una mia "promozione". Da 450€ a 850€. Che dopo 4 anni di apprezzato servizio, mi sono sembrati un insulto. Soprattutto perché, per questo aumento, la mia occupazione sarebbe stata anche quella di centalinista. Quindi, esprimo la mia intenzione di cercarmi un'altra occupazione.C'è da dire che io, in questi 4 anni, non sono stata certo con le mani in mano. A discapito delle ore di sonno necessarie al mio fisico e dello svago necessario alla mia mete (e alla mia vita sociale), ho autonomamente imparato l'utilizzo (ottimo) del linguaggio di programmazione ActionScript 2.0 (che vi assicuro, non è cosa da poco, da autodidatta), necessario nella costruzione di siti Flash (quindi animati, ma non necessariamente "infantili e pacchiani", come molti credono) con contenuti dinamici (facilmente aggiornabili) e interattivi (termine che può riguardare anche un semplice form di contatto).Le mie dimissioni dalla società sono state causate dall'assunzione di una copywriter e dell'assegnazione di quest'ultima (al secondo giorno di lavoro) alla creazione di un annuncio pubblicitario (inaccettabile che io, dopo 4 anni, non sia nemmeno stata interpellata).Detto tutto ciò, non mi resta altro che lavorare per conto mio.Il mio dubbio riguarda la P.IVA. Una mia amica, anche lei webdesigner, freelance da qualche anno, mi dice di non avere P.IVA e di utilizzare la ritenuta d'acconto. Ma non è stata in grado di spiegarmi in che modo funziona.Anche attraverso ricerche su internet, non comprendo come la ritenuta d'acconto possa "rimpiazzare" la P.IVA in un'attività autonoma.Inoltre, vorrei tenermi una "porta aperta" a occupazioni alternative, salvagente, come promoter nei supermercati (come una studentessa, sì). Io ho veramente una gran paura di essere "mangiata" dal sistema fiscale o di essere snobbata sul mercato come professionista. E dopo tutti gli anni di studi e impegno nella comunicazione visiva, ci terrei proprio a restare nel settore.E' veramente possibile fare tutto ciò con la ritenuta d'acconto?Perdonatemi se mi sono dilungata nei dettagli, ma mi sembrava importante sottolineare che, ho sì riposto male la mia fiducia, ma che non sono stata ad aspettare la manna dal cielo, mi sono veramente data da fare (e sono già stanca come se avessi 80 anni, non 27) e che ho paura dello Stato Italiano (che si permette anche di prendermi in giro).....”

Cara Viviana,
ho tagliato la Tua lunghissima lettera ma ciò che pubblico è comunque utile a comprendere il problema e probabilmente può servire ad altri lettori.
Venendo alle Tue domande finali, come ho già detto in passato, noi rispondiamo solo a questiti di cui abbiamo sicure conoscenze, nell'ambito delle vendite, marketing, pubblicità, gestione rapporti, comunicazione ecc..ecc..
Non abbiamo esperienza nei rapporti e contratti di lavoro, ne tantomeno nelle questioni fiscali. Quest'ultime poi sono talmente delicate, con continui aggiornamenti, per cui è meglio che le fonti siano altre e più ufficiali.
Posso dirTi, ma non prenderlo come oro, che la ritenuta d'acconto si fa quando nell'arco dell'anno vengono svolti saltuari lavori (pochissimi) e sempre con datori di lavoro diversi. Se fosse sempre lo stesso...il rapporto non può essere con ritenuta.
La ritenuta non prevede contributi INPS. Il valore massimo di tutto il lavoro saltuario, se ben ricordo e se è ancora valido, dev'essere di poco meno di 5000 euro all'anno. Ci sono però continue restrizioni ed anche molti ma molti controlli per verificare che il rapporto di lavoro sia effettivamente saltuario.
Quindi, se vuoi davvero saperne di più, con assoluta certezza, devi solo andare all'Ufficio delle Entrate della Tua città. Ci sono persone appositamente predisposte per darTi tutti i chiarimenti e, dati da loro, hanno un altro valore. Potrai chiedere tutto, senza alcun problema e uscirai certa di non sbagliare.
Venendo invece alle Tue vicissitudini, che devo dirTi? Sino ad oggi non Ti è davvero andata bene ma, credimi, quello che Tu hai passato è abbastanza la norma per i giovani. Al di là d'esserTi trovata silurata da un rapporto che non avrebbe dovuto; ciò che hai vissuto con la scuola è stata tutta una farsa.
Vorrei ora darTi qualche consiglio:
primo, non scoraggiarTi. InsisTi se puoi, nella ricerca di un lavoro in Agenzia. Non piangerTi addosso, Ti prego. Se continui a farlo, non Te ne libererai più e diventerai schiava di quello che è un “gioco psicologico” pericoloso. Mi è andato tutto male o mi è andato tutto storto, sono concetti da dimenticare. Le cose sono andate come sono andate per una serie di situazioni che non sono mai dipese della Tua preparazione. Quindi, dimentica e ricomincia con la grinta iniziale.
secondo parallelamente alla ricerca di un aSocietà, porta avanti ogni possibile ricerca di altre attività, senza aver paura di svolgere un lavoro che non sia quello per cui hai studiato (sapessi quanti lo fanno ed a volte, va addirittura meglio).
Terzo: se hai la possibilità di rintraciare amici con cui hai studiato, perchè non pensate, in gruppo, di formare magari una cooperativa ed andare così ad offrire i Vs. servizi in modo globale? La sede può essere presso una Vs. abitazione, uno scantinato o, perchè no, ognuno a casa propria. Oggi ci si può colegare col mondo, senza muoversi! E' sufficiente che il gruppo contenga persone con espereinze e compiti diversi. In questo modo ridurrete le spese all'osso. Pensaci.
Quarto: sei una creativa e quindi sai cosa vuol dire pensare in modo laterale. PoniTi la domanda: “a chi può servire una mia mano?” Troverai molte altre strade a cui magari non hai pensato. Ad esempio: le TV locali passano spot orribili di clienti che non sanno nemmeno lontanamente come pubblicizzare. Questo perchè si affidano a cose fatte in casa; ad intuizioni. Perchè non parlare con qualche emittente offrendo loro un servizio di creazione da poter offrire ai potenziali clienti? Una consulenza, se vuoi, od un rapporto continuativo con qualche Rete, che aumenti il valore delle loro offerte. Un cliente contento di una buona proposta, potrebbe divenire un cliente interessato ad altri successivi lavori.
Quinto: se vuoi divertirTi, Ti propongo un gioco. Ami la pubblicità televisiva e quella sui media. Probabilmente molte volte, vedendo uno spot Ti sarai detta che non è efficace; che l'idea è sbagliata; che così facendo non può catturare l'attenzione..... Bene. MettiTi al tavolino e rifalla secondo il Tuo modo di vedere. Rifiniscila, ritoccala, correggi le parole, le situazioni, la scena o il dialogo che non cattura. Fatto questo, informaTi per conoscere quale agenzia ha fatto lo spot. Prendi il Tuo suggerimento e con una bella letterina, lo invii alla Direzione. Non avrai risposta? Può darsi. Ma intanto il Tuo nome, se hai fatto qualcosa di bello, rimane. E potrebbe capitarTi invece, che qualcuno Ti chiami.
Sappiamelo dire. Ciao.

Attività in proprio

Mimmo (Bari)
“.....sono Mimmo dalla provincia di Bari Sono titolare di un negozio di vendita di Dolciumi, articoli da regalo Disney, palloncini, statue di palloncini, decorazioni per torte, tutto per Party, ecc. Sono aperto da 1 anno e ho un solo concorrente nel paese di 11000 abitanti. Nonostante sto su una via principale di passaggio per molte auto,(ma poco di persone a piedi); nonostante faccia volantini pubblicitari per le occasioni più importanti(natale, san Valentino, Pasqua, ecc.). Ho un basso afflusso di gente giornaliera, cioè un fatturato basso. Vorrei sapere se c’è una soluzione che mi risolva almeno in parte il problema. Grazie....”

Caro Mimmo,
posso comprendre che Tu abbia una certa insoddisfazione per il Tuo fatturato. Da ciò che scrivi comprendo che forse la scelta fatta quando hai iniziato l'attività, forse non è stata approfonditamente analizzata. Operi in provincia, in un paese di 11.000 abitanti e non sei il solo ma hai un concorrente. Di fatto, se Tu sei stato il secondo ad aprire questa attività, avresTi dovuto vedere che il Tuo target di potenziali clienti era solo apparentemente di 11.000 anime, di fatto solo 5.500 persone, ammesso che Tu sia riuscito a portarle via al negozio già esistente. Gestisci una realtà piuttosto selettiva o di nicchia. Ciò significa che con i Tuoi prodotti non puoi servire tutti i 5.500 potenziali clienti ma solo una parte di essi. Quindi il campo si restringe ancora. Mi dai inoltre l'informazione, molto utile, e che io chiedo, relativamente al posizionamento del negozio. Mi dici che è in una via molto trafficata d'auto ma poco da persone a piedi. E' un altro problema, non trovi? Comprendo che, al di là delle classiche feste in cui i Tuoi prodotti venno per la maggiore, hai poco smercio, ma avendo Tu impostato il negozio in modo così specifico, è difficile oggi variarlo.
Potrei suggerirTi di ampliare l'assortimento con l'introduzione di nuovi prodotti per bambini e ragazzi ma non so se puoi permetterTelo. PotresTi vedere di iniziare con una presenza di giochi in scatola, figurine, per poi passare a videogiochi.
Il Tuo grosso problema però è fortemente legato proprio al passaggio che non hai. Spero almeno che le auto abbiano possibiltià di parcheggio vicino al Tuo negozio.. In questo caso, creativamente agirei sugli automobilisti. Fai stampare, ad esempio, i classici foglietti da inserire sotto i tergicristalli. Invita gli automobilisti a fermarsi, promettendo uno sconto particolare o un omaggio per ogni acquisto. Omaggio dedicato ai bambini. (Siamo tutti molto sensibili se si parla di bambini).
Nel negozio poi, penserei con davvero poco investimento, di offrire anche solo una caramella ad ogni persona che entra. Tieni un vassoio con caramelle varie e quando un cliente entra, oltre al buongiorno, allunghi il vassoio e gli auguri una...dolce giornata. “Prenda pure, è per augurarLe una giornata dolce e serena....” Bastano a volte poche parole per coinvolgere emotivamente un cliente, per predisporlo a spendere di più, vista la Tua gentilezza e per ricordarsi del trattamento avuto.
Fatti poi un elenco dei clienti. Quando una persona acquista, chiedi nome ed indirizzo. Dirai che è perchè, in questo modo, quando avrai la possiiblità di fare un'offerta particolare, lo avviserai.E' sempre bello per un cliente sentirsi coccolato. Se poi riesci (io Ti do diverse idee, poi sta a Te valutare come e quante metterne in atto) crea una piccola tessera da dare ai clienti. Ad ogni acquisto, metterai una firma su una casella e l'importo della spesa.. Dopo un determinato numero di caselle, offrirai un piccolo dono.
Per far questo devi calcolare il costo. Puoi, ad esempio, decidere di rinunciare al 2% dei Tuoi margini. Se alla fine darai un omaggio da 1 euro, vorrà dire che il cliente dovrà aver acquistato almeno 50 euro. Il meccanismo è sempre lo stesso anche se aumenti il valore del premio.
Ti proporrei anche una cosa inusuale ma che in un paese potrebbe aiutarTi. Fai circolare la voce che dedichi un piccolo spazio del negozio per cambi/scambi di giocattoli usati. (Spesso sono videogiochi o altre cose del genere). Questa dovrà essere essenzialmente un'attività gratuita, per favorire i ragazzi. Inzia facendoTi dare i primi pezzi da qualcuno che se ne vuole liberare e così cominci. Puoi anche diffondere la voce che il negozio è un punto di raccolta per giocattoli non più usati, da ridistribuire a bambini più poveri. Diffondi la voce nella scuola ed il gioco è fatto.
Dove sta il Tuo utile? Beh! Oltre a far del bene, sta nel fatto che avrai più passaggio nel negozio. Più gente entra, maggiori sono le possibilità di vendere poi dolciumi....
Infine, cosa che è sempre estremamente gradita, se hai una piccola macchina da caffè (oggi ce ne sono davvero moltissime e funzionano a capsule) poi offrire ai clienti un caffè (sempre che il Tuo cliente migliore non sia il proprietario del bar all'angolo).
Insomma, visto che ormai ci sei dentro, hai capito anche Tu che devi solo agire con creatività per sviluppare il Tuo business. Ti ho dato qualche idea, ma le possibilità sono molte. Se Tu pensi d'averne un'altra che Ti piace, scrivimi e dimmela. Ti darà il mio parere.
Davvero in bocca al lupo.

lunedì 18 febbraio 2008

Cosa e come scegliere

nome scritto ma non pubblicato (loc. n.c.)
Mi chiamo M. Sto per terminare il terzo anno di Scienze dellacomunicazione. Non sono pentita del percorso che ho scelto, ma adesso che miappresto a decidere in cosa specializzarmi sono un po' confusa. Il mioproblema fondamentale è che, a differenza di altri miei compagni, non sonofissata su una professione in particolare. Quello che cerco da un lavoro nonè il puro riscontro materiale, ho bisogno di sentirmi utile ed inserita inun sistema complesso di relazioni. Sono ossessionata dal confronto conculture diverse dalla mia e non esito a mettermi in dubbio. Non mi spaventapercorrere grandi distanze per lavoro, ma allo stesso tempo non vogliorinnegare le mie origini. ll mio lavoro ideale deve comprendere questeparole chiave: confronto, rispetto, entusiasmo. Il mio rapporto con ildenaro è assai conflittuale, nel senso che mi rendo conto della sua utilità,ma non voglio che diventi la mia ragione di vita. Per questo motivo spessotendo a non prendere in cosiderazione tutte le carriere (anche quelle checonsidero affascinanti) che offrono grandi opportunità di guadagno. Ho pauradi diventare schiava di un meccanismo di accumulazione continua. Ho unestremo bisogno di circondarmi di persone che mi stimolino intellettualmentee non voglio chiudermi al mondo solo per paura di venire aggirata e derubatadelle mie "ricchezze". A questo punto il consiglio che vi chiedo è: comescegliere una specializzazione mirata con tutti questi dubbi? C'è un modoper aggirare il problema o per fare un po' di chiarezza? Ovviamente quelloche vi chiedo non è di indicarmi "cosa" fare, ma "come" decidere cosa èmeglio per me. Spero di essere stata abbastanza chiara e di aver messo afuoco il problema.

Mia cara M,
diverse volte, in passato, ho detto che una laurea oggi va vista essenzialmente come bagaglio culturale della persona e non come viatico per uno sbocco sicuro nel mondo del lavoro. Sono sempre di più le persone che, con una laurea in tasca, finiscono per svolgere attività totalmente differenti da cio che avrebbero voluto.
Scienze della comunicazione poi, è davvero molto inflazionata. Oggi non sento altro...
Auguro ai Tuoi compagni, fissati su una professione particolare, di poterla davvero svolgere ma, spesso, chi guarda in una sola direzione può davvero trovarsi in cocenti delusioni. Occorre essere aperti a mille possibilità, anche le meno gradite, proprozionalmente a ciò per cui ci si è preparati. In caso contrario, è davvero difficile.
Tu, che non sei fissata su una carriera particolare, potresti essere davvero mentalmente libera se Ti togliessi gli estremismi di dosso. Togliti le “ossessioni” la “paura di dover rinnegare le origini” la “conflittualità col danaro” la “paura di divenire schiava dell'accumulazione” e altro. Libera la mente da concetti (ostacoli) che Ti stai creando solo per difesa ed allora, qualunque cosa Ti ritroverai a fare, sarà comunque qualcosa che avrai scelto, che Ti piacerà o che intelligentemente riuscirai a farTi piacere trovando in essa, sempre la parte buona. La libertà mentale è un dono prezioso. Tu, paradossalmente la vuoi tanto, che la freni.
Dici di non tendere a prendere in considerazione anche quelle carriere che comunque consideri affascinanti.
Io direi: prendile in considerazione, contrariamente a quanto scrivi, anche se non offrono grandi opportunità di guadagni. Trovarsi a vivere svolgendo l'attività che più affascina ed interessa, indipendentemente dal guadagno, è la cosa più bella che possa esserci. Non trovi? E' la vera totale libertà.
Mi piacerebbe parlare ancora, ma dobbiamo arrivare alla Tua richiesta:
“come scegliere una specializzazione”. Dopo quanto hai scritto e quanto Ti ho detto all'inizio, non dovresTi farTi problemi su come fare.
Pensa sempre che quanto studierai Ti rimarrà per tutta la vita come bagaglio di conoscenze, indipendentemente da ciò che Ti riserverà il mondo. Pensa che Tu puoi davvero essere mentalmente libera; perchè non Ti fai troppi problemi di danaro; hai già ben chiaro i contenuti del Tuo futuro lavoro “ confronto, rispetto ed entusiasmo” ed andrai alla ricerca di qualcosa che sia stimolante.
E poiché, se ci pensi, capirai d'aver senz'altro una seppur minima preferenza per una specializzazione non devi farTi un problema di scelta. Scegli quella che in questo momento (o nel momento che vorrai) sentirai più adatta a Te; più tagliata addosso.. Scegli d'impulso. Sarà la scelta migliore.Per come sei pronta ad agire, nella ricerca dei contenuti di un lavoro,e poiché i valori di ciò che cerchi son già chiari nella Tua mente e lì restano, assume poca importanza la scelta della specializzazione perchè Tu Ti troverai ad agire secondo quei valori, qualunque sia il lavoro che andrai a svolgere e, probabilmente, ne svolgerai uno che poco o nulla avrà a che fare con quanto studiato, se in questo vedrai i famosi punti che sono fissi in Te.

Iscrizione Albo

Nadia B. (Roma)
Mi sono laureata in Architettura ad Ottobre e, prima di iniziare a cercare un lavoro, ho colto l'occasione di preparare e sostenere l'Esame di Stato per l'abilitazione alla professione, necessario per una successiva iscrizione all'Albo degli Architetti e da poco sono in cerca di lavoro.
I miei dubbi però non si rivolgono al 'come' trovare e al 'come' cercare, ma si focalizzano sulla necessità o meno di una eventuale iscrizione all'Ordine.
Mi rivolgo a Lei perchè le notizie che riesco a reperire sono contradditorie e sul sito dell'Ordine non ci sono (o non sono stata in grado di trovare) notizie esaurienti.
Mi domando se valga la pena iscriversi, visto che ancora un lavoro non ce l'ho e ho sentito parlare di tasse fisse da pagare ogni anno, ma, le ripeto, sono solo notizie incerte quelle che posseggo.
Se mi posso permettere, Le rivolgo alcune domande specifiche, nel caso in cui la mia poca conoscenza della materia abbia reso questo discorso oscuro:
- quanto costa l'iscrizione all'albo e che vincoli comporta per quanto riguarda il pagamento delle tasse?
- si paga una quota fissa annua anche a prescindere dai reali lavori eseguiti o meno?
è obbligatoria la partita iva per l'iscrizione?...”

Gentilile Dottoressa Nadia,
su questo blog diamo risposte ed aiuti solo per problematiche relative a situazioni di cui siamo certi avere le conoscenze che ci permettano di non dare informazioni sbagliate.
Ciò che Lei pone come domande, purtroppo, esula dalle nostre conoscenze dirette per cui davvero, per non crearLe difficoltà preferiamo non risponderLe con dati che potrebbero non essere quelli ufficiali.
La strada più facile, al di là dei “mi dicono” o “mi sembra” è proprio quella di chiedere un incontro all'ordine degli architetti della Sua città, esponendo esattamente quanto chiesto a noi (tranne l'ultima domanda che non ho trascritto). Sono tenuti a rispondere, dandoLe tutte le informazioni. Non c'è alcun problema a chiedere anche i costi. Tutti i giovani che devono iniziare un lavoro, hanno pochi fondi e devono fare i loro conti. In Internet, è vero che si può trovare tutto ma spesso le informazioni sono parziali, non aggiornate e con molti svarioni. Se poi ci mettiamo che le normative hanno continue variazioni, l'unica fonte è solo l'Ordine stesso.
Personalmente posso analizzare l'nsieme e dirLe cosa penso.
Certamente c'è una tassa per l'iscrizione all'Albo e credo possa variare da città a città e certamente l'apertura della partita iva è obligatoria e prioritaria. L'apertura della partita iva significa poi aver a che fare con un commercialista che gestisca le incombenze del caso. Essendo un'attività all'inizio, i costi sono bassi ma comunque ci sono e quindi anche il commercialista va scelto in proporzione alle richieste che le verranno fatte (parlo di onorario).
Ci son poi tasse governative sempre relative all'iscrizione. Presumibilmente il tutto potrebbe aggirarsi attorno ai 300 euro. La tassa annua di iscrizione sarà senz'altro obbligatoria solo per il fatto d'essere iscritti, indipendentemente che Lei lavori o meno. E' una gabella, ma l'Italia è costruita su queste cose.
Sul fatto di pagare anche se non ci sono lavori eseguiti.....non vorrei dire cose errate ma credo che ci siano dei minimi scontati, validi solo per i primi tre anni, per i giovani che esercitano. Personalmente ritengo però che ciò valga, salvo dimostrazione contraria nel senso che se il giovane architetto dimostra di non aver effettivamente svolto alcun lavoro, il buon senso vorrebbe che non debba pagare nulla. Non dovrebbe nemmeno essere difficile da controllare perchè un Architetto deve firmare ciò che fa (a meno che non suggerisca ad un amico come raddrizzare una panchina storta).
Diciamo che, come in altre attività, dopo tre anni in cui l'architetto dimostra di non aver fatturato, potrebbero nascere controlli. Ma questa è una ipotesi personale.
Come vede quindi, anch'io posso darLe informazioni assolutamente confuse.
Ritengo che se Lei, attraverso conoscenze o per dimostrazione di ottimi risultati universitari, fosse nella condizione di trovare un lavoro (nel senso d'avere la sicurezza di un incarico) è obbligata a seguire l'iter dell'iscrizione. La situazione è totalmente differente invece se Lei fosse assunta in uno studio, In questo caso sarebbe stipendiata ed il Suo solo investimento dovrebbe essere la sola iscrizione all'Albo.
Se invece il Suo futuro è ancora incerto, può non farlo ma deve metterlo in conto se ritiene che quella sia la Sua strada. Logica vorrebbe che Lei possa essere comunque iscritta all'albo senza praticare, pronta per un domani qualora dovesse improvvisamente partire (sempre che, ma siamo in Italia, per iscriversi all'albo non si debba necessariamente avere la partita iva).
Non si crucci comunque. Se Lei ha letto o avesse possibilità di leggere altre risposte sul blog, io continuo a ripetere che le lauree vanno viste tendenzialmente come bagaglio di cultura personale e che spesso, la vita lavorativa si sviluppa per strade diverse. Se la Sua passione è l'Architettura, insista, ma.....non ne faccia un'ossessione. Ho visto laureati che insistendo nel voler svolgere il lavoro per cui s'erano preparati, han finito per non far nulla.

domenica 17 febbraio 2008

Rapporti sindacali

Marco (loc. sconosciuta)
“.....Sono un impiegato stagionale in un albergo stagionale. Vorrei gentilmente sapere se il datore di lavoro è obbligato a pagare le ore relative ai permessi retribuiti NON goduti e alle festività soppresse.Il CNL prevede che le ore settimanali debbano essere 40 mentre nel contratto individuale sono 39; può il datore di lavoro decurtare ogni ora in meno settimanale dal totale delle ore relative a permessi e ex festività?
Inoltre la mia mansione implica il maneggio di denaro in maniera continuativa; è obbligato il datore di lavoro a pagare l’indennità di cassa così come esplicitamente previsto dal CNL (ma non nel contratto individuale) o è facoltativo? Nel caso le risposte siano a mio favore posso farmi rivalere anche sulle buste paga degli anni precedenti?...”

Gentilissimo Signor Marco,
ciò che Lei chiede non è, purtoppo, di nostra competenza.
Se Lei ha dato un'occhiata alla presentazione del blog, avrà visto che le nostre competenze sono relative a vendite, marketing, comunicazione, rapporti interpersonali ecc...ecc... ma non abbiamo competenze relative alla contrattazione sindacale.
Ci spiace ma non vogliamo darLe un parere personale che non sia poi corretto.
Riteniamo comunque che, senza alcun obbligo o impegno di iscrizioni politiche, Lei possa avere queste informazioni presso qualsiasi patronato della Sua città o qualsiasi sindacato.
E' materia molto delicata e quindi è necessario che chi Le dà un consiglio sia ben a conoscenza delle norme. Non avrà comunque problemi.. Se qualcuno per darLe risposta chiedesse un Suo tesseramento, lasci perdere e cambi ufficio. Non è obbligato a farlo e la richiesta può avere il solo scopo di incassare ua quota. Approfitto per suggerire a chi avesse problemi analoghi di non rivolgere questi quesiti in internet e semmai di non fidarsi appieno di quanto detto. In internet ognuno può dire qualcosa senza alcuna responsabilità.

Rapporti interpersonali

nome e località conosciuti ma non pubblicati
“...sono una ragazza e lavoro presso un call center. Da qualche tempo sono stata promossa a team leader. Il call center è composto da molte persone e coordinato da diversi team leader.Sopra i team leader, alcuni supervisor che coordinano e gestiscono la nostra attività.Il nostro compito è prevalentemente quello di coordinare e controllare l'attività degli operatori telefonici, oltre ad altre mille responsabilità come la manutenzione delle attrezzature, la comunicazione con gli altri reparti dell'azienda, la sicurezza dell'ufficio...Il gruppo in cui lavoro è composto da persone che hanno tutte caratteri molto forti.Questo causa dissidi e tensioni all'interno del gruppo, che partono da motivi vari come l'organizzazione dei turni, il modo di controllare e valutare gli operatori o il modo di svolgere le nostre funzioni.Queste tensioni si manifestano apertamente anche davanti agli operatori e da tutto ciò deriva poca fiducia degli operatori nei nostri confronti e dunque nei confronti dell'azienda, e ancora di conseguenza un cattivo approccio al lavoro e una serie di problematiche come assenteismo, scortesia ecc... Ammetto che assenteismo, scortesia o poco impegno non abbiano come unica causa i nostri problemi, ma di sicuro tutto ciò non aiuta.Inoltre le tensioni e i dissidi rendono l'ambiente di lavoro molto teso e noi team leader, benché tutti amanti del nostro impiego, svogliati e con la voglia che arrivi presto il week end.Ho provato a migliorare lo spirito di gruppo con un atteggiamento scherzoso e leggero, ma è stato interpretato come ingenuità. Vi ho contattato perché sono ancora convinta che ci sia una soluzione per migliorare lo spirito di squadra, malgrado i miei colleghi non siano dello stesso avviso, e non solo per migliorare la nostra performance, ma anche perché il lavoro ci occupa la maggior parte della nostra giornata e non accetto di passarla guardando l'orologio.Amo il mio lavoro e sono convinta che una situazione può essere sempre migliorata.Grazie del servizio che svolgete e di una eventuale vostra risposta.....”

Cara amica,
ho ridotto la Sua lunga lettera che è stata in ogni caso analizzata approfonditamente.
Ti trovi in un bel guaio, davvero. Da come scrivi capisco il Tuo approccio serio e professionale per il lavoro che svolgi e ciò Ti fa onore. Sei team leader, devi gestire un gruppo di operatori e contemporaneamente hai la responsabilità che tutto l'ufficio funzioni. Situazione perfetta quando a questo compito è preposta una sola persona. Davvero difficile quando il gruppo è gestito da diversi team leader, differenti tra loro per esperienze, carattere, volontà e capacità. Le difficoltà, lo dico subito, nascono non tanto dal Tuo gruppo, quanto dalla presenza inefficace e, forse, incompetente, dei Capi a Voi preposti. Se questi svolgessero appieno il loro lavoro di guida di un team, Voi non sareste mai arrivati al punto in cui siete. Un consiglio dovrei quindi darlo a queste persone che, agendo come agiscono, porteranno inevitabilmente tutto il call center ad una situazione poco gestibile.
La litigiosità nell'ambito del lavoro è quasi la norma. Ci sono appositi corsi formativi per la gestione dei conflitti nei gruppi di lavoro. Pensa quindi quanto è grosso il problema.
Purtroppo, però, come da sempre dico, i Capi spesso si sentono immuni dal dover imparare qualcosa, come se l'essere diventati Capi, significasse capacità assoluta in tutto.
Ciò che scrivi avviene in qualsiasi gruppo di lavoro in cui manca una precisa leadership che coordini l'attività. Sei stata molto brava a comprendere e vedere che i dissidi stanno minando la compattezza del gruppo e degli operatori. Quest'ultimi poi, perchè mai dovrebbero operare professionalmente bene quando vedono che nemmeno i loro Capi lo fanno?
Dici d'aver tentato il possibile senza riuscirci. Devi sapere che affinchè un suggerimento venga accettato occorre che sia suggerito dal leader del gruppo. Il leader può essere quello imposto (i Vostri Capi) oppure quello “naturale” ovvero la persona che tutto il gruppo ascolta perchè ritenuta essere la persona con maggiore esperienza, col maggior peso e maggior ascendente sul gruppo.
In ogni gruppo però, a creare scompiglio, è sempre presente l'anti leader; colui cioè, che ritiene di poter prendere il posto del leader naturale o imposto. Ed è questa doppia presenza che, se non gestita, può veramente creare grossi guai. Nel Tuo gruppo poi, mi sempre chen di anti leader ve ne siano più d'uno.
E' incredibile che persone desiderose di lavorare bene siano messe nella condizione di vivere male la giornata, nell'attesa che essa finisca.
Un suggerimento è davvero molto poco. Dovrei farTene mille. Poiché non è possibile, inizio con qualcosa poi Ti chiedo di verificare le cose e successivamente, riscrivimi.
Partiamo, come ho detto, dai Tuoi Capi. Evidentemente non sono presenti perchè se lo fossero, dovrei ritenerli incapaci di gestire le tensioni. Hai verificato la possibilità di parlare loro? L'occasione può venire in qualunque momento, se Tu sei mentalmente pronta a dire quanto vuoi. E' sufficiente un incontro e la classica domanda: “come va?” per partire, sempre in modo soft, referendo quanto Tu pensi stia accadendo nel call center..
Se ritieni che questo non sia possibile (Tu conosci i Tuoi Capi mentre io no) devi agire all'interno del vostro gruppo di Team Leader. Analizza i Tuoi colleghi. Come sono? Vi è qualcuno che comprende il Tuo attaccamento e capisce che occorre far qualcosa o no? Se Tu dovessi dividere in due squadre le persone (favorevoli o no) sai chi mettere dalla Tua parte e chi invece devi necessariamente lasciare dall'altra?
Se questo è possibile, e me lo auguro, il problema del luogo di lavoro va analizzato e dibattuto con quelli che stanno dall'altra parte. Meno sono, meglio è.
La proposta però, come sempre, se parte dal più giovane, viene poco considerata. L'anzianita fa grado e mentalmente si associa, a torto, l'anzianità con saggezza. Quindi, se hai un collega più anziano che la pensa come Te, fai partire l'iniziativa da lui.
Le persone difficili da gestire in un gruppo, tendenzialmente si dividono in tre categorie. Gli aggressivi, coloro che sono stressati ed infine gli acidi.
L'aggressivo è colui che vuole sempre aver ragione. Tendenzialmente è prepotente. Tu parli di diversi caratteri forti ed è evidente che se in un gruppo c'è più di una persona forte..... inevitabilmente nascono i problemi.
La persona aggressiva, tendenzialmente è convinto che i colleghi o l'ambiente stesso di lavoro siano una minaccia per lui e spesso, questa aggressività è nata o si è rafforzata in precedenti esperienze di lavoro dove ha ottenuto risultati solo con la forza e non con la capacità di convincimento.
Tutto quanto scrivi sul comportamento dei Vostri collaboratori è in linea con la presenza di Capi forti ed aggressivi. In un ambiente simile, il gruppo di lavoro non è mai collaborativo ma tende a ritardare il lavoro, a non dare collaborazione e fregarsene di ciò che può avvenire.
Gli stressati sono coloro che pensano al lavoro con ansia, che camminano in fretta, che mangiano velocemente perchè c'è bisogno di loro. Chi ha un Capo stressato generalmente soffre di una situazione lui stesso di ansia per le pressioni che riceve. Il lavoro di un gruppo, in presenza di un Capo stressato, non migliora ma ne soffre.
Infine eccoci al Capo acido. Spesso questo tipo di persone attende solo di ricevere l'approvazione da parte del suo gruppo di lavoro su quanto lui fa. In pratica è portato solo a vivere dell'ammirazione degli altri. Un gruppo che deve sottostare ad un Capo acido, non agirà mai volontariamente; non si prenderà responsabilità ma aspetterà solo ordini per non sbagliare.
Può semprarTi paradossale ma questi tipi, nelle aziende, sono i più accettati perchè la loro rigidità sul gruppo che guidano fa sempre bella impressione. A lungo andare ovviamente tutta l'organizzazione avrà un tracollo a causa di questo atteggiamento, ma inizialmente.....è ammirato. Pazienza!
Bene, dopo questa lunghissima chiacchierata, dobbiamo purtroppo lasciarci qui.
Poiché il Tuo problema è più ampio di quanto credi ed interessa molti giovani, torneremo ad approfondire il tutto.
Ora Ti chiedo solo di analizzare la possibilità di parlare con i Tuoi Capi. Non farlo ancora. Rifletti solo per capire se sia possibile farlo senza che Tu lo chieda, facendo sì che possa avvenire casualmente.
Poi, valuta i Tuoi colleghi secondo quanto Ti ho detto. Da una parte (la Tua) quelli che Ti capiscono e comprendono che i dissidi fatti in pubblico sono negativi per tutti. Dall'altra parte coloro a cui non interessa (metterei quindi i colleghi con le tre personalità che Ti ho descritto.) In pratica, fai la conta per capire se Ti troveresTi ad andare contro i mulini a vento o se invece puoi avere degli alleati.
Un'altra ipotesi, ne riparleremo, è quella di “isolarTi” nella gestione del Tuo gruppo affinchè, andando bene questo, Tu possa acquistare peso e quindi portar avanti le Tue tesi.
Rifatti viva con le risposte e continua con la passione che sento Tu hai.
In bocca al lupo.

venerdì 15 febbraio 2008

Commercio

LUIGI (loc. non dichiarata)
“.....il mio supermercato abbisogna di idee e suggerimenti per uscire da una situazione di scarse vendite. Non posso dire che gli affari vanno male, ma vorrei fare di più. Lei può dirmi qualcosa?....”

Si, Signor Luigi, posso dirLe qualcosa e precisamente che questo blog, come più volte scritto, è destinato a chi, giovane o meno, entra nel mondo del lavoro, trovando o vivendo momenti di difficoltà. Non è destinato a imprenditori che, se necessitano di consulenza, devo rivolgersi a noi, privatamente.
Tuttavia, poiché “ci ha provato” ritengo meriti un suggerimento che vale più di quanto Lei pensi.
Se vuole vendere di più, inizi col pulire le ruote dei carrelli. E' fastidiosissimo per il cliente dover girare tra gli scaffali con carrelli che tirano da ogni parte e che vanno spinti di traverso per mantenere la rotta.
Questo è il mio suggerimento.

martedì 12 febbraio 2008

Vendita in negozio

Carlo M. Savona
“.....Sono un giovane negoziante. Mi sono laureato e pensavo di svolgere una mia attività quando problemi in famiglia mi hanno obbligato ad interessarmi del negozio che da oltre cento anni porta il nome dei miei. Prima, quando mio padre era attivo, non mi sono mai interessato del suo andamento. Oggi, che di fatto sono io che lo sto gestendo, vedo tante cose che forse andrebbero fatte. Mi rendo conto che un occhio nuovo, con mentalità giovane, vede cose che magari mio padre, per abitudine non vedeva. Rimane però il fatto che prima di fare cambiamenti, che peraltro non percepisco bene, occorre capire se valga la pena farli e come. Il mercato è certamente cambiato e cambia continuamente. La distribuzione pure. La gente è stimolata da centinaia di offerte. Vuole comodità quanto va ad acquistare. Sono convinto che per mantenere viva l'attenzione occorra qualcosa. In allegato Le invio la cartina del punto vendita ed un elenco delle idee che vorrei attuare. Se può aiutarmi, le sarei grato e se le occorressero altri dati, me lo dica. Grazie....”

Gentilissimo Dr. Carlo,
ho analizzato bene quanto da Lei inviatomi. E' stato molto preciso e questo mi fa pensare che l'attività della Sua famiglia sia in buone mani. Lei mi sottopone una serie di idee per rinnovare il punto vendita. Molto bene; possono essere messe in atto ma attenzione: ogni qualvolta un punto vendita viene totalmente rinnovato, nella speranza di piacere di più al pubblico e di attrarne maggiormente, spesso accade l'opposto. Sembra un paradosso, ma è così. In realtà il consumatore ed il cliente tendono a rifiutare il nuovo fatto tanto per fare. Ciò che cercano nel negozio, soprattutto come il Suo che è centenario, è la tradizione. Sapere che il negozio è così da decine d'anni; sapere che quando entro so dove mi trovo; sapere che lì, sono sicuro. Il consumatore cerca spesso anche la rassicurazione.
Io vorrei invece darLe qualche idea creativa. Non voglio in questo contesto dare informazioni sul suo punto vendita ne il settore in cui opera per cui mi segua bene.
Il segmento in cui Lei opera porta il cliente a rimanere abbastanza nel punto vendita ed anche ad aver bisogno del consiglio del commesso. Il Suo cliente era originariamente “uomo”. Da qualche tempo la clientela, con l'aumento dell'assortimento, è divenuta la famiglia. Il Suo punto vendita è davvero molto grande, quindi Le suggerirei solo di incrementare l'area self attuale sino a coprire metà dello spazio e di lasciare assolutamente intatta la parte relativa al banco, senza nemmeno toccarlo o rinnovarlo. In quel contesto opereranno i commessi che potranno spostarsi nell'area del self qualora i clienti chiedessero il loro intervento. Rimane molto altro spazio. Che farne? Aprirei un angolo delle prove in cui il cliente potrebbe, volendolo, testare immediatamente ciò che ha acquistato o che vorrebbe acquistare. Infine, poiché nel negozio possono venire le famiglie ed il tempo medio di permanenza non è breve, svilupperei un angolo relax. Qualche panchina, qualche sedia; tavolini, giornali del giorno e macchinette caffè e bibite. Il caffè dovrebbe essere offerto gratuitamente. Mentre il marito sceglie ciò che deve, la moglie ed i figli possono starsene nell'angolo relax. E' una piacevole sorpresa, fortemente innovativa che non mancherà di far piacere ai clienti. Coccoli il cliente, lo faccia sentire gratificato e sarà sempre Suo.
Potrebbe poi sviluppare altre idee di comunicazione per intervenire promozionalmente. Ma di questo, se vorrà, parleremo in futuro.

McDonalds

Gianna L. Genova
“Devo iniziare a lavorare. Sto pensando a McDonalds. Lei conosce i metodi? Che ne pensa?.....”

Cara Gianna, a una richiesta così telegrafica, rispondo immediatametne.
C'è nel mondo una società che ritengo non solo adatta all'inizio di un lavoro giovanile, ma addirittura maestra di un training formativo forse insuperabile per i giovani, con una capacità, inoltre, di possibilità di carriera che poche aziende sanno dare. E' McDonalds.
Questa azienda è alla costante ricerca di giovani da avviare ad una vera carriera. Eppure, la quasi totalità dei giovani che decidono di iniziare a lavorare lì, rimangono il tempo necessario per potersi pagare una vacanza o comunque lo sfizio di un acquisto di un abito o di un telefonino particolare. Guadagnato quel tanto, se la squagliano. Troppo pesante, dicono.
In realtà, è solo lavoro. La pesantezza o meno di qualsiasi lavoro, lo ripeto da sempre, è in chi lo svolge. Se non piace e non interessa o se non ci sono obiettivi da raggiungere, ogni mansione è impossibile e snervante. Occorre averne voglia ed affrontare il lavoro con lealtà mentale. Ma chi vuole oggi fare turni? Chi è disposto a lavorare la domenica quando gli amici vanno al mare?
Eppure McDonalds forma un giovane anche per molte altre attività. Si impara a stare al banco ed avere a che fare con clienti; si impara a gestire una cassa ed in cucina, a cuocere alimenti ed a assemblarli. Si impara a vivere con colleghi in una situazione di lavoro che è diversa dallo stare in compagnia su un muretto a ridere e scherzare; si impara a riconoscere il concetto di gerarchia; l'attenzione alle regole; a far fronte a situazioni di emergenza improvvisa di clientela; a dialogare con altri lavoratori spesso non di madre lingua.
Si, perchè McDonalds ha un altro grande vantaggio per un giovane. Lo mette in contatto con altre realtà e, per chi vuole, offre addirittura la possibilità di scambi di lavoro in altri paesi esteri. Ciò significa che chi vuol davvero pensare ad un proprio futuro nell'ambito di una mansione con una reale possibilità di crescita, può anche pensare di formarsi all'estero, nei paesi del mondo.
Non ci sarebbe quindi motivo per un giovane a dire no eppure, la voglia di ...non lavorare a volte è più forte. Ecco allora l'insofferenza per l'orario; quello per la gerarchia o per l'accettazione delle regole. E molti giovani se ne stanno a zonzo chiedendo lavoro, ben attenti ad entrare per evitare di leggere il cartello “cercasi addetti....”
Non esiste persona che sia entrata in McDonalds con la voglia di riuscire e di far carriera, che non l'abbia fatta.
McDonalds è molto meno formale di qualsiasi azienda o ufficio, la formazione è perfetta e continua. Può darsi ci sia da sgobbare, soprattutto all'inizio, ma all'inizio per chi vuol riuscire c'è da sgobbare da qualunque parte e con molte meno possibilità di farcela. Fossi un ragazzo e puntassi a far carriera in qualche solida realtà, correrei e magari chiederei di fare esperienze all'estero.
Detto questo, cara Gianna, a Te la scelta. Dipende da così vuoi dalla vita.
E se dovessi andarci...mandami un buono per un panino!
Ciao

lunedì 11 febbraio 2008

Posizionamento funzione

Sergio B. Trieste
“.....lavoro presso una grande multinazionale in qualità di buyer. Il contratto al quale sono sottoposto è quello dei metalmeccanici. Sono stato assunto nel1996 con il 2° livello (contratto biennale a tempo determinato), come operaio, avendo come titolo, di studio, una formazione professionale della durata di tre anni come elettrotecnico Premetto che l'azienda in cui lavoro si occupa di ........... Nel 1998 sono stato assunto a tempo indeterminato e mi è stato riconosciuto (era dovuto per legge), il 3° livello. Nel 2002 mi sono diplomato in ragioneria, e nel maggio del 2004 sono passato all'ufficio acquisti in qualità di buyer, ma sempre con il terzo livello, appena nel dicembre 2006 mi è stato assegnato il 4° livello, siamo a febbraio 2008 ma del 5° livello non ne vogliono proprio sentir parlare, quando curiosando su internet ho appreso che, in qualità di approvvigionatore, mi spetterebbe almeno il 5°livello. Potreste cortesemente aiutarmi, o indirizzarmi verso chi mi può dare un sostegno e/o indirizzarmi correttamente?.....”

Egregio Sig. Sergio,
premetto che il nostro blog non è indirizzato verso le problematiche che Lei ci chiede. Tuttavia mi sento di darLe qualche chiarimento perchè, al di là dei livelli, occorre valutare altre situazioni.
Se ci si attenesse esclusivamente ad una valutazione puramente contrattuale, Lei finirebbe per trovarsi, forse anche a torto, in rotta di collisione con l'azienda. Lo vuole? Non mi sembra. Occorre quindi, a mio parere, analizzare il contesto e vedere la situazione sotto un aspetto “meno contrattuale e più realistico” che tenga conto della realtà in cui si muovono le aziende e dei vincoli che possono bloccare ogni trattativa privata.
Partiamo dal 1998, da quando è stato definitivamente assunto a tempo indeterminato. In effetti Le era dovuto il terzo livello e Le è stato dato. Nel 2004 passa all'Ufficio Acquisti sempre col terzo livello. Nel 2006 Le viene dato il quarto livello.
Nel 2008, dopo ancora due anni, Lei si chiede come mai non Le danno il quinto livello che Le spetterebbe.
Nei Suoi passaggi, sinceramente credo che tutto sia stato regolare, nel senso che l'azienda ha fatto e sta facendo quello che tutti fanno: il meno possibile, pur rimanendo nella correttezza.
Occorre tener presente che il passaggio da una mansione ad un'altra, anche cambiando ufficio, non obbliga necessariamente il cambiamento di livello. Il livello si cambia quando la mansione svolta varia effettivamente in termini di job e responsabilità, rispetto a quanto fatto prima.
Per questo occorrerebbe che Lei analizzasse la Sua job description di oggi (semmai gliene sia stata data una) con quella della mansione precedente. Può così verificare se il livello qualitativo di responsabilità è cambiato.
Penso però che lo sia, infatti, Lei ha fatto il passaggio di mansione rimanendo al terzo livello (perchè probabilmente è entrato nell'Ufficio acquisti dovendo ancora imparare la mansione). Successivamente, l'azienda lo ha riconosciuto idoneo e l'ha premiata con il livello superiore.
Ciò è avvenuto dopo due anni. Posso dirLe che non mi sembra mediamente un periodo lungo. Diciamo che Lei vorrebbe abituarsi ad un passaggio biennale. Sarebbe molto bello, ma si scontra probabilmente con altre realtà aziendali.
Occorre anche vedere, Sig. Sergio, come sono posizionati gli altri operatori nel Suo ufficio ed anche il Suo Capo. Pensi che vi sono molte aziende che, oggi, posizionano dei Manager che dovrebbero avere la dirigenza per il tipo di mansione e responsabilità svolta, al livello di impiegato ( e nemmeno al primo livello che nel Suo caso dovrebbe esser il settimo, se non sbaglio).
Se, ad esempio, il Suo capo dovesse avere il quinto o sesto livello, difficilmente Lei potrebbe ottenere il quinto, anche per motivi di anzianità. E se nel Suo ufficio dovesse esserci un altro collega col quinto livello ed un'anzianità superiore alla Sua, è ovvio che l'azienda cercherà di non spostare gli equilibri, perchè facendo qualcosa per Lei, dovrebbe farlo anche per l'altra persona.
Non è sempre automatico il passaggio. Occorre tener presente che da tempo le aziende tendono a frenare i passaggi di categoria non solo per i costi, ma anche perchè se fossero automatici, dopo qualche anno si troverebbero con tutti i dipendenti al livello massimo. (E poiché a livello massimo sarebbero tutti generali, che farebbe un'azienda?)
Infine, va da sé, come Le ho detto all'inizio, che la job desciption è ciò che vale e che determina il livello attraverso la responsabilità.
Poiché potrebbe essere che nella Sua azienda venga chiamata in italiano, diciamo che la job è qualcosa come il “mansionario”, ovvero un documento o una carta che dice quali sono le mansioni proprie che può svolgere chi ha quel determinato livello.
Se Lei svolge esattamente le mansioni di chi è al quarto livello, non può dir nulla. Se Lei svolge mansioni che dovrebbe svolgere chi è al quinto, allora potrebbe pensare di chiedere chiarimenti.
Attento però: Le dico potrebbe pensare, perchè deve sempre tener conto del contesto in cui opera; dei colleghi, del Capo e della situazione generale in cui operano le aziende del settore.
Le ripeto: gli accordi ed i mansionari andrebbero visti un po' in modo elastico perchè le richieste e la troppa precisione nel confrontare mansioni svolte con la job, (corretto da parte di chi la vuole) può mettere in difficoltà l'Ufficio Personale che si troverebbe a dover gestire un problema che toccherebbe poi altri lavoratori. E queste sono situazioni delicate. Spero che Lei mi comprenda.
Sappia che oggi un laureato con 110 e lode, quando entra nel mondo del lavoro, non entra al massimo livello. Entra dalla base come tutti, e soffre anche lui le Sue stesse pene.
Detto tutto questo, Le parlo in modo molto aperto. Personalmente, più che pensare ad ottenere un livello maggiore, anche se magari dovuto ma che forse non potrà avere per altri motivi di struttura, (ripeto però che forse due anni dal precedente passaggio sono forse ancora pochi) punterei ad ottenere mansioni più importanti facendo vedere che si vale.
L'esperienza nei compiti ed una mansione più corposa e di maggiore responsabilità Le darebbe possibilità di scegliere eventualmente un domani, altri posti di lavoro.
Il livello non è un biglietto di presentazione che testimonia la Sua capacità, mentre l'aver fatto determinate mansioni è molto più importante.
Io sono sempre del parere che, in qualsiasi lavoro, ciò che conta è la soddisfazione che proviamo a svolgerlo. Se a Lei dessero improvvisamente il quinto livello tanto agognato eppoi dovesse svolgere i compiti di oggi od uno magari per Lei meno interessante (che non significa di livello inferiore) pensa che si sentirebbe realizzato? Forse per una settimana od un mese, poi sarebbe dura, mi creda.
Spingo sempre le persone a “rubare” il mestiere a chi ne sa di più. A capire come lo svolgono coloro che lavorano bene. Questa è la vera ricchezza che, un domani, rimane come patrimonio esclusivamente personale. Ed è forti di questa ricchezza che ci si presenta sicuri sul mercato. Sappia, per finire, che è nei cambiamenti d'azienda, che avvengono normalmente i cambiamenti di livello e di stipendio. Questo perchè se un'azienda dovesse essere interessata a Lei, per portarlo con sè, dovrà offrirLe qualcosa di più e questo qualcosa è proprio, almeno il livello. Ma se un'azienda dovesse essere interessata a Lei, caro Sergio, potrà esserlo solo grazie al fatto che Lei può garantire una preparazione ed una esperienza nello svolgimento di determinate mansioni che La identificheranno come uno che “è in gamba” indipendentemente dal livello.
Veda Lei. Cordiali saluti